GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 62.
di Sandro Galantini*
Leandro Alberti, nella sua Descrittione di tutta l’Italia del 1550, reputava «molto dilettevole» la campagna tra San Benedetto e Grottammare grazie ai giardini di limoni che la puntuavano. A sud del Tronto ben diverso a quei tempi era la scenario che si offriva allo sguardo. Unica eccezione, quel giardino ducale delle «marange» o «citrangule», cioè ricolmo di piante di aranci amari (citrus aurantium), menzionato nel 1547-48 a Giulianova. Posto fuori le mura urbane, a valle del palazzo ducale e a poca distanza dalla «fontana grande» (quella cioè di Salita Montegrappa) così da utilizzarne le acque, il giardino era stato voluto probabilmente da Giangirolamo I
Acquaviva d’Aragona. Abile nelle armi ma anche letterato, filosofo e poeta, il signore di Giulianova aveva così voluto dotare la sua “reggia” di uno spazio verde che, riproducendo un modello assai diffuso nelle residenze dell’alta aristocrazia, costituisse il luogo privilegiato della conversazione tra pari ma anche il sito ideale per il dialogo e la riflessione. Indicato nel 1619 come «Cetransole» con una rendita di 111 ducati, il giardino ducale viene quindi utilizzato come area in cui coltivare, «per il moltiplico», tutte le piante in esubero nella ricchissima serra allestita nel suo palazzo di Roma da un cadetto ecclesiastico della famiglia Acquaviva, monsignor Giuseppe, divenuto il 5 settembre 1621 arcivescovo titolare di Tebe.
Si deve quindi a lui, appassionato di essenze rare e tra i maggiori collezionisti floreali italiani, se il giardino ducale giuliese, trasformato in succursale di quello romano e ridenominato «Lazzaretto», diviene una vera oasi botanica, rara a trovarsi nel resto dell’Abruzzo. Non è pertanto un caso se nella folta biblioteca acquaviviana di Giulianova compare un trattato sul giardinaggio del gesuita Giovan Battista Ferrari,
cioè Flora, seu de florum cultura lib. IV, volume stampato a Roma nel 1633 ed acquistato da Giuseppe Acquaviva l’anno prima della sua morte.
Lo splendido giardino ducale veniva tuttavia distrutto durante il difficile periodo dei moti masanelliani. Il 12 aprile 1648, infatti, il ribelle duca di Collepietro Alfonso Carafa assediava Giulianova facendo acquartierare le sue truppe in vari punti strategici: Torre del Salinello (l’attuale Migliori), i «magazzeni» regi vicini al mare, gli orti dell’allora convento dei Cappuccini, oggi parco di Casa Maria Immacolata, e
appunto il «giardino del Duca d’Atri» descritto come «luogo murato», protetto cioè da una recinzione in pietra.
Sicché non sorprende che nel 1649 il giardino, tornato a figurare tra i beni giuliesi degli Acquaviva col nome «Cetransole», risulti senza rendita essendo ridotto ad una mesta landa senza vita proprio a causa dell’assedio dell’anno prima.
La passione per la botanica e la vegetazione ornamentale non abbandona però gli Acquaviva. È forse del 13° duca Giosia III, nato a Giulianova nel 1631 e legatissimo alla città nativa dove amava risiedere con la moglie Francesca Nicoletta Caracciolo, il significativo libro Hortorum libri IV pubblicato dal gesuita Rene Rapin nel 1665, un poema riguardante fiori, piante, alberi e la posizione ideale per un giardino.
In ogni caso è durante la signoria dell’ultimo duca Rodolfo, nato a Giulianova nel 1691, che il vecchio giardino ducale giunge al suo momento di massimo splendore. È nella prima metà del XVIII secolo, dopo che la famiglia ritorna in possesso dei beni sottratti dagli austriaci e con Rodolfo divenuto duca nel 1745 a seguito della morte
del fratello Domenico, che il «giardino grande» alla marina, probabilmente l’ampio spazio verde pedecollinare tra l’attuale piazza Dalla Chiesa e le scalette Montegrappa, si espande diventando luogo di «delizie».
E che fosse una sorta di Eden, in grado di suscitare meraviglia nei pochi privilegiati ammessi a varcarne le due porte d’accesso, lo apprendiamo dai documenti settecenteschi. Impostato su spettacolari stilemi barocchi, il giardino era infatti dotato di «casino» con due stanze ombreggiate da una loggia, di un altro edificio munito di un vasto salone, di «luoghi terranei di più commodi», di stalle ed ambienti per il giardiniere.
Il tutto in una cornice ingentilita da agrumeti, lauri, cipressi, pini e siepi di mortella a formare percorsi labirintici oltre a bossi utilizzati per rievocare la pianta urbana della città di Buda. Né mancavano le statue e persino un grande acquario.
Storico e Giornalista*