Cultura & Società

ITALIA E FRANCIA, ASSERGI E SAINT-GILLES, SAN FRANCO E SANT’EGIDIO


La storia di due Santi, sul Gran Sasso e in Linguadoca, con singolari coincidenze

di Giuseppe Lalli

L’AQUILA – Forse non tutti gli assergesi sanno che il primo patrono di Assergi non è stato San
Franco, ma Sant’Egidio. Con l’avvento del ‘locale’ San Franco – c’è da supporre fin dalla seconda
metà del XIII secolo, nell’epoca in cui con tutta probabilità la chiesa-santuario di Assergi viene
assumendo l’attuale forma di basilica – Sant’Egidio diviene, di fatto, ‘compatrono’, o ‘patrono
emerito’, come oggi si direbbe, secondo una prassi, verrebbe da pensare, tipicamente italica. Nella
summenzionata chiesa di Assergi, come si vedrà, c’è abbondante traccia di questo riconoscimento.
Le notizie su questo santo sono poche ed incerte, come avviene spesso per i santi dei primi secoli
del Medio Evo. La biografia di Sant’Egidio fu scritta nel secolo X e raccolta più tardi nella
Legenda Aurea da Jacopo da Varazze (o Varagine, 1230-1298), monaco domenicano e vescovo
di Genova che attese alla sua opera agiografica dal 1260 fino alla sua morte. Giova ricordare che la
Legenda Aurea, una sorta di piccola enciclopedia della santità medievale scritta in latino e assai
presto tradotta in volgare, ebbe vasta diffusione fino al XVII secolo, e solo a partire dal secolo
successivo fu di fatto soppiantata dagli studi agiografici dei cosiddetti Bollandisti (chiamati così dal
nome dal loro fondatore, il gesuita belga Jean Bolland, 1556/1665-), che dettero vita agli Acta
Sanctorum (Atti dei Santi), una monumentale opera sulle vite dei santi che consta di ben
sessantasette tomi.
La tradizione vuole che Egidio, nato ad Atene attorno alla metà del VII secolo, fosse giunto nella
Francia meridionale, nei pressi della foce del fiume Rodano, nell’attuale Linguadoca. Quivi, in
un bosco, aveva preso a condurre vita da eremita, trascorrendo il suo tempo, come si può
facilmente immaginare, in preghiere e digiuni. Si nutriva di erbe e frutti selvatici, avendo la nuda
terra per materasso e una dura pietra per cuscino, come San Franco, l’eremita del Gran Sasso.
Il Signore, sempre secondo la leggenda, avrebbe inviato ad Egidio una cerva affinché si nutrisse
ogni giorno del suo latte.
Non si può qui fare a meno di osservare come ricorra spesso nella descrizione delle vicende dei
santi antichi un loro rapporto particolare con gli animali. Viene da pensare al cane di San Rocco,
che reca ogni giorno una pagnotta al pellegrino di Montpellier che giace malato in una grotta, o
all’orsa di San Franco d’Assergi, che conduce l’eremita sprovvisto di viveri verso un favo di
miele. La tentazione, in questi casi, è quella di ricorrere alle categorie “ecologiste”, tanto di moda al
giorno d’oggi. In realtà, in una visione più profonda, questo rapporto armonico con gli animali e
con la natura in generale altro non è che l’equivalente fisico di una dimensione soprannaturale che
reclama i suoi diritti e che annuncia «i nuovi cieli e le nuove terre» che attendono un’umanità
redenta dal peccato e riconciliata, nella Grazia, con il Creatore.
Un avvenimento imprevisto irruppe nella solitaria vita dell’anacoreta. Si narra che nel corso di una
battuta di caccia, Flavio, il re dei Goti, invece di colpire la cerva, a cui aveva mirato, ferì il Santo,
presso il quale l’animale si era rifugiato. Tra i due uomini nacque una sincera amicizia, e per farsi
perdonare il re offrì all’uomo di Dio un grosso appezzamento di terra sul quale costruire
un’abbazia. L’eremita accettò l’offerta e, pur rammaricato per aver perduto la solitudine della
foresta, ebbe la soddisfazione di diventare padre spirituale di una numerosa comunità di monaci,
che adottarono una regola di vita ispirata da quella spiritualità benedettina che aveva segnato fin
dall’inizio il monachesimo occidentale.
Insieme ai suoi compagni di avventura Egidio attese ad una grande opera di civilizzazione della
regione, la Linguadoca, come s’è detto. Furono dissodati campi, fertilizzati terreni incolti, aperte
vie di commercio, e fu condotta un’opera incessante di evangelizzazione: “Ora et labora”, secondo
lo spirito del fondatore antico e sempre attuale, Benedetto da Norcia (480-547). Per i molti
prodigi operati, Egidio divenne noto in Francia come “il santo taumaturgo”. Morì nell’abbazia da
lui fondata il 1° settembre, probabilmente nell’anno 725.
Come stanno a dimostrare molte testimonianze, il suo culto si estese in Belgio, in Olanda e nella
nostra Italia. Non stupisce dunque che sia diventato patrono di Assergi, la cui bella chiesa

parrocchiale, per la quale si registra un crescente interesse da parte di turisti e studiosi, è
disseminata di tracce benedettine. Un altare dedicato a Sant’Egidio già figura nel 1580 nella visita
del vescovo dell’Aquila mons. Racciaccaris. Era posto nella navata di sinistra, sul lato destro
dell’attuale riscoperta cappella di San Franco (Cfr. D. Gianfrancesco, Assergi e San Franco, nota
269 a p. 163). Venne demolito presumibilmente attorno alla metà del XVIII secolo e in seguito a
detta demolizione, come ci informa il Tomei (N. Tomei, Dissertazione sopra gli Atti, e culto di San
Franco d’Assergi, p. 29) fu rinvenuta una ciotola contenente, insieme ad alcune reliquie, una
piccola pergamena scritta in latino riportante l’atto di consacrazione della chiesa, avvenuto nel 1150
ad opera di Berardo I, vescovo di Forcona (un piccolo miracolo di Sant’Egidio?)
All’inizio della piana di Campo Imperatore, in prossimità del bivio “Campo Imperatore – Fonte
Vetica”, a circa 1.800 metri di altitudine, si scorgono ancora i ruderi di un’antica chiesetta. Il
piccolo edificio, che non a caso era intitolato a Sant’Egidio, apparteneva alla parrocchia di
Assergi, come sta a testimoniare una bolla del vescovo dell’Aquila Paolo di Bazzano diretta al
preposto e al capitolo della chiesa S. Maria Assunta, datata 25 luglio 1362, riportata dal Tomei
nella sua Dissertazione alle pagine 17-22 e la cui copia originale, conservata nell’archivio
parrocchiale di Assergi, è andata perduta. Nel documento il vescovo lamentava il cattivo stato
dell’edificio e auspicava che si procedesse ad un adeguato restauro da parte di un Capitolo cui
spettava, tra l’altro, di nominare e rimuovere il rettore della piccola chiesa.
Singolare appare la vicinanza iconografica tra San Franco e Sant’Egidio nella chiesa di Assergi,
come si accennava all’inizio. Nella lunetta del portale principale, ora del tutto deteriorata
dall’azione implacabile del tempo e dall’incuria delle passate generazioni, era dipinta una Madonna
con Bambino con ai lati i due Santi. La stessa composizione appare in un dipinto che fino a qualche
decennio fa, prima degli ultimi restauri, fungeva da pala d’altare sopra la piccola abside. Figura
altresì nella cripta: nel cassone che contiene le reliquie di San Franco e nella facciata anteriore
dell’urna che raccoglie le ossa del santo eremita. Inoltre, in un altare dedicato alla Madonna degli
Angeli, che doveva ancora esistere nel XVIII secolo, figuravano in basso, di nuovo, Sant’Egidio e
San Franco, questa volta però in compagnia di San Francesco d’Assisi (N. Tomei,
Dissertazione…, pp. 131-132).
Si ha l’impressione che tra i due santi si sia realizzata attraverso i secoli una sorta di “armonia
prestabilita”. Altre sorprendenti analogie saltano agli occhi dello studioso: il santo del Gran
Sasso è, se così si può dire, un ex benedettino; il santo francese è un neo-benedettino; l’uno rifiuta
di diventare abate e si fa eremita, l’altro, da eremita che era, diventa abate di una grande comunità.
Inoltre, la chiesa abbaziale di Sant’Egidio (in francese Saint Gilles) che si trova nel centro di
Saint-Gilles – cittadina francese nel dipartimento di Gard di circa 14.000 abitanti, che prende
nome dal santo – è romanica come quella di Assergi, ed è in prossimità di un parco naturale, il
Parc naturel régional de la Camargue, che molto ricorda il nostro Parco Nazionale del
Gran Sasso.
Fatto ancor più sorprendente, le spoglie mortali di Sant’Egidio, come quelle di San Franco,
sono custodite in un sepolcro posto in una cripta sotterranea, alla quale, come avviene per la cripta
della chiesa di Assergi, si accede mediante una lunga scala in pietra. Chi scrive queste righe, nato
e cresciuto ad Assergi, si è sempre chiesto perché mai questo antico e prestigioso protettore, di cui
la chiesa-santuario conserva tanta traccia, non sia ricordato nel villaggio almeno con una funzione
liturgica. Parlando con una persona non molto avanti con gli anni e di ottima memoria, una di
quelle persone dotate di cultura sapienziale più che scolastica, lo scrivente ha scoperto che fino agli
anni ‘50 del secolo scorso, e forse fino ai primi anni ‘60, il 1° settembre, giorno in cui la Chiesa
Cattolica fa memoria di Sant’Egidio, si celebrava nella chiesa parrocchiale una messa in onore del
santo.
Ci si potrebbe chiedere: perché non ripristinare questa sacra tradizione? E perché in futuro – ma
questa forse è utopia – non adoperarsi per promuovere un gemellaggio tra il borgo di Assergi
e la piccola città di Saint-Gilles? Un impegno – chissà? – per le giovani generazioni, cui queste
modeste ricerche sono in gran parte destinate. Questo scritto vuole essere anche un piccolo atto di
riparazione nei confronti di questo santo francese nato in Grecia (la vecchia Europa cristiana…),
antico e un po’ dimenticato patrono di Assergi.

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