MONTORIO AL VOMANO. LA RUOTA DEGLI ESPOSTI NEL CONVENTO DEI CAPPUCCINI di Pietro Serrani

 

Cartolina del Convento dei Cappuccini (Collezione Pietro Serrani)

Ruota dei Cappuccini – Montorio al V.

 

di Pietro Serrani

Di tanto in tanto, ogni qualvolta che si registra un fatto di cronaca nera, che ha per “protagonista” un neonato abbandonato in un cassonetto della spazzatura, oppure – come ci raccontavano una volta i nostri nonni – lasciato lungo le rive del fiume Vomano (almeno per quanto riguardava il comprensorio territoriale di Montorio), qualcuno vorrebbe ripristinare l’antica istituzione della ruota degli esposti o dei proietti, oppure dei trovatelli. In altre parole… evitare alle malcapitate creature una triste fine e auspicare una sorte migliore, garantendo tutela e sostentamento fino alla maggiore età. Ma che cos’è questa ruota, o meglio, che cos’era? A Montorio al Vomano, nel convento dei Cappuccini (edificato nel XVI secolo per volere di Diomede Carafa, all’epoca conte del borgo teramano), che vi si accede mediante una larghissima scalinata, nella parte sinistra del portale dell’annessa chiesa di Santa Maria della Sala (poi chiamata della Salute), sotto il colonnato è ancora ben visibile, mirabilmente conservata, un’antica ruota (attualmente, dopo i tristi eventi tellurici che hanno interessato le nostre zone, è “ingabbiata”). Come accennato prima, si tratta della ruota degli esposti (o dei proietti) di istituzione medievale, dove venivano portati i figli illegittimi o non desiderati. Ogni città, infatti, nei tempi andati, aveva un luogo preposto in cui lasciare i poveri sfortunati che appena nati – ahiloro – avevano già il destino segnato. Questi “congegni” si trovavano vicino alle chiese o nei conventi, oppure accanto a vecchi ospedali.

La ruota dei Cappuccini di Montorio è di legno ed è costituita da una forma cilindrica girevole, in corrispondenza di uno spazio ricavato nel muro perimetrale del pio luogo. Diametralmente, una parte è aperta e l’altra è chiusa, il neonato veniva posto nel lato aperto del cilindro, si girava la ruota delicatamente e il bambino si ritrovava all’interno del convento (ma il “marchingegno” serviva anche per ricevere l’elemosina dall’esterno, cibo e altro). Questo sistema permetteva di collocare il neonato nella ruota, quindi “depositarlo” all’interno della struttura conventuale, e non si correva il rischio di essere visti, o spiati, dall’interno del convento stesso. Si assicurava, così, alle povere e sventurate madri, l’anonimato e il segreto della maternità; ai malcapitati neonati, invece, si scongiurava una triste fine, augurando loro una sorte migliore e si garantiva protezione, cura e nutrimento. Chissà quanta vita sarà passata davanti questa ruota montoriese e quante lacrime saranno state versate – a notte fonda –  nella penombra del convento, ridiscendendo l’ampia scalinata in tutta fretta per non essere visti.

Già uscito oggi sul quotidiano La Città di Teramo

 

pietro.serrani@tin.it