“La Memoria legata al filo rosso: il ricordo negli occhi di mio padre”
Nessun giorno vi cancellerà dalla Memoria del tempo
Nulla dies umquam memori vox eximet
(Virgilio)
Per la prima volta insieme Silvia Pascale, storica e ricercatrice in Italia e all’estero, e
Orlando Materassi, Presidente Nazionale ANEI (Associazione Nazionale Ex Internati
nei Lager Nazisti) affrontano non solo la tematica storica degli Internati Militari Italiani
(IMI), ma proprio partendo dall’esperienza personale di figlio di Internato, dialogano sul
senso del trauma familiare, del rapporto tra padre e figlio, svolgendo un filo rosso che
unisce stima e affinità emotive.
Silvia Pascale da anni si occupa di deportazione, in particolare della prigionia dei militari
italiani, internati (IMI) dopo l’8 settembre 1943 nei Lager del Terzo Reich. Ha sempre
lavorato da sola, difficile condividere le sue modalità di studio e ricerca: le giornate sono
lunghe, costellate da svariati impegni, le scritture sono costruite in slanci immediati e in
intuizioni improvvise, le decisioni sono pesate, ma prese in solitaria. Sicuramente semplice
e empatica nelle relazioni, sempre disponibile ad aiutare le famiglie che cercano notizie e
documenti sulle deportazioni dei loro cari. Altro discorso la sua modalità di lavoro:
nessuno è mai riuscito a condividere un percorso lavorativo con lei per la difficoltà di
capire le sue strategie di ricerca, le sue riflessioni, la difficoltà di seguire i suoi passaggi da
un archivio ad un altro su cui si sposta con facilità per la conoscenza delle lingue con le
quali riesce a interagire nei molteplici Centri di Documentazione. Molti si sono avvicinati a
lei proponendo lavori a quattro mani e il risultato è sempre stato negativo, proprio perché
le competenze di lavoro erano molto diverse, se non incongruenti.
Accade un incontro che però cambia le carte in tavola (come nei migliori repertori):
Orlando Materassi, Presidente Nazionale ANEI dall’aprile del 2019.
Si studiano, animo riflessivo entrambi, ma anche pervaso da improvvisi fuochi emotivi,
temprato da valori importanti, il fulcro della loro vita, valori che ruotano attorno al senso
della Memoria; si conoscono, lentamente, passo dopo passo, riunione dopo riunione…
Scrive Orlando “Silvia era stata chiamata a lavorare a Parigi al Mémorial de la Shoah
con i più illustri storici contemporanei sulle tematiche del lavoro forzato e aveva
intrapreso una strada di studio e ricerche che forse all’interno dell’ANEI risultavano
molto accademiche e forse irraggiungibili. Quando è rientrata, lei presa da mille
proposte, io da impegni istituzionali, non abbiamo avuto modo di condividere i percorsi
di lavoro, ma nell’autunno qualcosa è cambiato. Sono stato invitato alla presentazione di
quello che per il 2019 era il suo ultimo volume “Fiori dal Lager” un’antologia che
raccoglie 53 storie di internamento e lì ho capito che avevamo un comune sentire la
Memoria: forse era Silvia la persona con cui avrei potuto condividere il mio impegno
personale di testimone del Ricordo degli IMI. Ho pensato a lei anche quando ho avuto la
possibilità di presentare un progetto al Ministero della Difesa: l’ho chiamata e le ho
chiesto se fosse disponibile a predisporlo e a venire con me a Roma. Dal 26 novembre, è
proprio quello il giorno in cui ho capito tutto questo, ho deciso che potevo trovare in
Silvia quello che finora non avevo trovato: una persona forte, onesta intellettualmente,
con un grande cuore, che ha fatto della Memoria il suo valore quotidiano a discapito di
tante illusioni e proposte arrivate strada facendo. Forse potevo contare su di lei!”
E Silvia? Il Covid 19 è stato complice di questo nuovo volume assolutamente unico nel suo
percorso di lavoro. La chiusura ha permesso di sentire Orlando quotidianamente e di
condividere i lavori che stava ultimando: “Guareschi e il Natale nel Lager” e “Il diario di
Mamma Teresa”. Proprio quest’ultimo volume ha permesso di mettere le basi profonde
della futura e insperata collaborazione. L’assonanza di vicende familiari hanno
indubbiamente, contribuito a maturare una ulteriore volontà per Orlando di avere Silvia al
suo fianco nel suo impegno come Presidente Nazionale ANEI, così come Silvia si è affidata
a lui per essere affiancata nei numerosi rapporti lavorativi dando vita ad un’ampia e
articolata collaborazione.
Silvia racconta: “La chiusura mi permette di riuscire, seppur telefonicamente, a parlare
con Orlando, a confrontarmi su molte tematiche, a conoscerlo un po’ meglio, ad ascoltare
sfumature di tono, a memorizzare frasi, a cogliere incrinature di voce.
Accade anche che un giorno verso la fine di marzo durante una telefonata mi chiede se
può mandarmi il materiale che ha raccolto di suo babbo, ma soprattutto un testo che
negli anni ha scritto. Appena mi invia i documenti e le foto le sfoglio ad una ad una e
qualche minuto dopo incrocio due occhi profondi e sorridenti. Orlando mi ha chiesto di
poter creare un volume su suo padre, nonostante il diario di guerra e prigionia sia già
stato edito tre volte. Mi colpisce come uno schiaffo la sua fragilità, la fragilità di un uomo
importante, con una carriera eccellente alle spalle, un percorso costellato di
riconoscimenti e successi, una mente brillante, ma fragile nell’affrontare il dramma della
deportazione del babbo. Ecco, quel giorno ho deciso di impegnarmi e salvare un pezzo di
cuore, di un Uomo spezzato dentro, di un trauma mai risolto, di una sofferenza che a
distanza di moltissimi anni e con un salto generazionale è ancora lì, forte, dà dei segnali,
riemerge come la spuma sulle onde del mare, ogni qualvolta si affronta l’argomento. Una
sofferenza che è anche la mia!”
Ecco nascere allora questo volume, unico nel percorso dei due autori, costruito
giornalmente, condiviso nei dettagli, frutto di un intimo viaggio all’interno di due anime
segnate dal trauma della deportazione di familiari: il babbo di Orlando (protagonista del
volume) e il prozio di Silvia; Silvia che racchiude dentro sé anche il dramma del genocidio
armeno e la discriminazione delle leggi razziali italiane.
Tanto rappresenta questo volume: la storia di Elio Materassi, uno dei 650.000 Internati
Militari Italiani deportati nei Lager del Terzo Reich dopo l’armistizio dell’8 settembre
1943.
Elio pagò con 20 lunghi mesi di internamento il suo “NO” al nazifascismo, costretto al
lavoro coatto come schiavo di Hitler. Dalle sofferenze dei campi di concentramento e dalla
miseria del lavoro forzato avrebbe potuto liberarsi optando per la Germania e la
Repubblica Sociale Italiana, ma decise di non farlo contribuendo alla prima forma di
Resistenza: una pagina di storia non ancora completamente studiata da lasciare in eredità
ai giovani.