Giorgia Moschella ha conseguito, col massimo dei voti, la laurea in Studi Letterari e Culturali, discutendo una tesi – alquanto singolare – sul dialetto patrio: Profilo del dialetto di Montorio al Vomano (Teramo), con i professori Francesco Avolio e Carlo Serafini, rispettivamente relatore e correlatore, presso l’Università degli Studi de L’Aquila. Per la cronaca, ricordiamo che il prof. Avolio, titolare della Cattedra di Dialettologia presso l’ateneo aquilano, nel 2012, partecipò proprio a Montorio alla presentazione dell’ ormai noto Dizionario del Montoriese. Lessico e morfologia (EditPress, 2011) di Manlio Patriarca, studioso autodidatta, che ha dedicato quasi l’intera sua esistenza allo studio sistematico dell’idioma locale.
La neo dottoressa ha dichiarato che la scelta dell’argomento è stata motivata non solo dall’amore per il suo paese, ma anche dalla curiosità di approfondire la conoscenza di un aspetto non secondario delle comunità del passato. La ricerca del materiale le ha riservato una grande sorpresa: non avrebbe mai immaginato di trovare tante pubblicazioni sulla storia, sulla letteratura e sul vernacolo del suo luogo. Questo ha permesso a Giorgia Moschella di organizzare il lavoro in modo molto articolato. Come molti sapranno, il dialetto montoriese è più unico che raro. In effetti, già solo spostandosi nelle frazioni del stesso Comune – a una manciata di chilometri, ma anche meno – si notano diversità con quello parlato a Montorio centro. Quindi, avendo come faro illuminante le tre opere linguistiche del Patriarca, l’ex studentessa ha esaminato e illustrato le peculiari modalità espressive dell’idioma. Per verificare lo “stato di salute” attuale di questa “parlata”, sono state fatte diverse interviste a persone di varie fasce di età, che hanno dimostrato come il tramonto del vernacolo sia dovuto non solo a cambiamenti epocali – il discorso sarebbe troppo lungo – ma è venuto meno anche il contesto paesano, entro cui la lingua trovava il suo humus naturale. L’importanza del dialetto nelle società del passato stava nel fatto che era un elemento fortemente identitario, per cui ogni individuo veniva riconosciuto, nel bene e nel male, nel proprio territorio comune e tutti lo accettavano. Da questa dinamica derivavano per esempio i tanti soprannomi – talora persino imbarazzanti – ma nessuno si sentiva offeso. Dunque, grazie alle opere del medico e storico Quirino Celli (castellano di nascita e montoriese d’adozione), passato a miglior vita, di Egidio Marinaro (politico e storico locale), di Dilva Panzone (ex docente di materie umanistiche e cultrice di memorie patrie), alla quale va «un ringraziamento speciale per la sua infinita disponibilità e per aver fornito ogni materiale utile alla stesura dell’elaborato» (e non solo), Giorgia Moschella ha ricostruito un affresco della Montorio che non c’è più, un paese fiorente di attività artigianali e commerciali, che raccoglieva una vasta utenza dei borghi della montagna teramana. Un luogo che ha avuto un’antica origine e una storia gloriosa, è stato da sempre un territorio con grandi fermenti storici e culturali: lunga è la lista delle sue istituzioni e delle sue manifestazioni che in passato l’hanno reso grande, e alcune continuano la loro evoluzione ancora oggi. Parliamo dell’ultracentenaria Banda musicale; del gioco a carte dello Stù (praticato anche a Campli con regole diverse); di Radio Centrale che trasmette da 1977 con gli stessi proprietari fondatori e della Processione del Carnevale morto, che ogni anno – dal 1928 – si rinnova nella sera delle Ceneri. Una galleria d’arte – La Stalla – che vide la luce nel 1975 e che raccolse intorno a sé i migliori pittori, scultori ed artisti italiani; gruppi corali di una certa importanza; l’organo a canne più antico d’Abruzzo, custodito nella collegiata di San Rocco, fatta edificare dalla nobildonna Vittoria Camponeschi, madre del temuto e malvisto Papa Paolo IV; la costruzione del primo ponte sul fiume Vomano; il primato della luce elettrica nel 1899. La cittadina ha avuto anche una lunga tradizione cinematografica: la prima sala fu inaugurata nel 1921, durante la gloriosa epopea del cinema muto, inoltre ha dato i natali al regista cinematografico Tonino Valerii ed ha visto crescere e recitare l’attore e modello Daniele Creati, il gigolò della fortunata serie Suburra, che iniziò a calcare le scene negli spettacoli scolastici di Montorio.
Questa tesi riporta, nella parte finale, anche un capitolo relativo alla produzione letteraria dell’idioma montoriese, allegando testi poetici piacevoli e godibili, per chiudere con pagine delle commedie dell’autore e regista teatrale montoriese Erio D’Antonio (1953-2002); inoltre è corredato anche da una ricca bibliografia. L’unica dimenticanza – sicuramente involontaria e in buona fede – è di non aver preso in esame Li rabbutt’ (uomini dal corpo tozzo come i rospi), prima opera teatrale in vernacolo montoriese – a noi nota – scritta nel 1976 da Renzo Panzone, fratello minore della studiosa Dilva Panzone, per la regia di Erio D’Antonio e portata in scena durante il Carnevale dello stesso anno, nel piccolo teatro dell’allora Azione Cattolica, di piazza Ercole Vincenzo Orsini.
Tutto il lavoro, in definitiva, è “dedicato” alla tutela e alla salvaguardia di questo immenso patrimonio immateriale che, giorno dopo giorno, va inesorabilmente scomparendo. Sarebbe lodevole se l’Amministrazione comunale di Montorio al Vomano istituisse un premio per incentivare tali tesi di laurea relative alla cittadina, con studi scientifici sulle varie peculiarità che, da sempre, contraddistinguono il territorio sul quale – pare – sorgesse l’antichissima Beregra (o Beretra), città federata dei Romani (cioè liberamente alleata con la Città Eterna), sulle sponde del fiume Vomano.
Speriamo, inoltre, che il lavoro di Giorgia Moschella stimoli tanti giovani a conoscere il dialetto e conservarlo il più a lungo possibile, come una preziosa eredità culturale dei nostri padri.
Pubblicato già su La Città, di Teramo, del 12 Gennaio 2021
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