Storico, giornalista, saggista e intellettuale a tutto tondo, da oltre trent’anni è impegnato a far conoscere l’Abruzzo in Italia e all’estero
Se non personalmente, almeno di fama sono tantissimi, in Abruzzo e fuori, a conoscere Sandro Galantini. Oltre cento pubblicazioni di carattere storico portano la sua firma. Ma ci sono anche i volumi giuridici, scritti dopo la laurea in Giurisprudenza ad Urbino quand’era avviato all’attività di ricerca universitaria in ambito criminologico e giuslavoristico, e persino gli studi sulla storia della letteratura regionale, durante il fruttuoso periodo in cui era coinvolto in ambito accademico all’ateneo di Chieti. E poi tantissimi articoli giornalistici, prefazioni, presentazioni, relazioni in convegni anche internazionali, poesie.
E tra breve anche un romanzo per la casa editrice Il Viandante. Insomma, un intellettuale a tutto tondo che dopo aver ricevuto decine di premi, con i suoi studi citati persino sul “Dizionario Biografico degli Italiani” della Treccani o richiamati in numerosi convegni internazionali, dalla Spagna alla Croazia, dal Belgio al Kossovo, non casualmente viene insignito nel 2013 del titolo di Cavaliere e sei anni dopo di quello di Ufficiale della Repubblica Italiana per benemerenze culturali e chiara fama. Eppure Sandro è rimasto simpaticamente alla mano, intercalando un italiano prezioso ed aulico ad un dialetto verace. Sempre con quel suo garbo che lo rende piacevole. Tale e quale a quando lo conobbi oltre un ventennio fa, ed era già allora molto noto, nelle vesti di direttore della frequentatissima biblioteca “P. Candido Donatelli” di Giulianova. Uno straordinario direttore, secondo l’opinione generale, perché molto attivo, competente, amato e seguito. Tanto da avere reso in breve tempo la “Donatelli” una delle strutture di riferimento non solo della provincia di Teramo ma dell’intero Abruzzo.
Ti manca, Sandro, la biblioteca “Donatelli”’?
«Tantissimo. Le rare volte in cui mi reco al Santuario dello Splendore, debbo fare uno sforzo enorme per scendere nel giardino dove si affaccia la biblioteca. E il più delle volte desisto. Dal 27 maggio 1995, data dell’inaugurazione, al luglio 2009, quando per l’ultima volta ne ho varcato la soglia, la “Donatelli” era in pratica casa mia. Lì, vero luogo dell’anima, sono rimaste pagine meravigliose della mia vita. Ma anche dei tantissimi studenti, ora professionisti, che la frequentavano e con i quali a volte mi vedo. Sono sempre i ‘miei ragazzi’, dei quali ho condiviso emozioni e cammini di vita; partecipando persino ai loro matrimoni. Mi chiamano ancora ‘il direttore’ ed ogni volta, non lo nego, mi commuovo».
Dopo aver diretto la “Donatelli” sei stato quindi, dal 2009 al 2019, Capo di Gabinetto al Comune di Giulianova. Un incarico prestigioso ma molto impegnativo. Eppure non hai mai reciso il tuo legame con la cultura.
«Quell’esperienza, benché massacrante, è stata fondamentale per capire in profondità tante cose, e non solo da un punto di vista amministrativo. E debbo aver lavorato bene se in seguito alcuni sindaci, di ogni schieramento politico, mi hanno offerto di ricoprire nei loro Comuni lo stesso incarico. Senza dubbio quand’ero Capo di Gabinetto i miei ritmi erano sincopati, e il tempo libero davvero risicato. Ma non potevo rinunciare a ciò che per me, sin dal 1987, è sempre stata una necessità vitale: appunto l’attività culturale. Compreso beninteso il giornalismo. Tra il 2009 e il 2019 ho pubblicato dieci nuovi volumi, firmato una dozzina di prefazioni e numerosi articoli, partecipato ad una mezza dozzina di convegni, vinto sei premi letterari. E ometto le varie presentazioni, i passaggi in tv, l’attività radiofonica. Correvo come un ossesso e dovevo rubare tempo al sonno e ore al riposo. D’altronde le rinunce sono inevitabili quando si hanno chiare le priorità».
Tra i tuoi volumi di quel periodo ce n’è uno in particolare, “Il Catasto onciario di Bellante, 1754” assai impegnativo.
«Verissimo. Uscì nel 2016 e per me, come per l’amico Silvio Di Eleonora che con straordinaria acribia ha trascritto il documento catastale, ha comportato un lavoro gravoso. Credo d’altronde che per ogni storico l’Onciario rappresenti un vero banco di prova; diciamo pure una sfida. Ma il risultato ripaga poi di ogni fatica. Tanto vero che con Silvio mi sono occupato di un altro catasto bellantese, quello del 1596. La casa editrice Ricerche&Redazioni di Teramo sta già impaginando il volume, che dovrebbe uscire nel corso di quest’anno. Non vedo l’ora. Anche perché ho scoperto cose interessantissime e sinora ignote sulla Bellante cinque-secentesca».
Da Bellante a Pineto, città sulla quale da pochissimi giorni è invece giù uscito il tuo nuovo libro.
«Si chiama “Pineto. Seduzione senza tempo” ed è il quarto titolo di una collana progettata con l’editore Paolo De Siena per veicolare la conoscenza dell’Abruzzo, e dei suoi centri grandi o piccoli, attraverso una formula nuova ma accattivante. Una sorta di itinerario emozionale, o un percorso ecfrastico se si preferisce, nel quale le immagini, dovute al fotografo pinetese Mauro Cantoro, fanno sponda alle mie parole, con opportuna traduzione in inglese. È, insomma, un dire le immagini e, al contempo, un vedere le parole avendo al centro Pineto e il suo territorio. Il libro, con prefazione del noto giornalista Paolo Di Mizio, ha una veste tipografica volutamente assai raffinata. Perché il bello ha certamente bisogno di contenuti senza però dover rinunciare all’eleganza del contenente».
Sandro, sei di Giulianova ed ami molto la tua città, tanto da averle dedicato la grandissima parte dei tuoi studi. Tuttavia, è noto, il tuo cuore batte anche per la montagna.
«Certamente. Alla montagna sento di appartenere forse ancor di più, per un legame ancestrale. Mia nonna materna, Ines Ciccola, nipote a sua volta di Geremia Lera e imparentata coi Ronchi, era di una nota e ricca famiglia proprietaria dislocata tra Ripe e Rocche di Civitella del Tronto ma con radice a Piano Maggiore, vicino a Macchia da Sole. E mia madre Serafina, nell’ultimo decennio della sua esistenza, si era innamorata di Fano Adriano al punto da acquistarvi una casa ponendovi la residenza. Un amore radicatosi in me, potentemente. Sicché, quando posso, salgo a Ripe o a Piano Maggiore. Ma più spesso a Fano Adriano, della cui comunità mi sento orgogliosamente parte integrante».
L’estate è ormai alle porte. Ti concederai una pausa o stai già lavorando ad altro?
«Il 21 giugno compirò 57 anni. Dovrei quindi ridurre le mie attività che invece mi impegneranno intensamente per tutta l’estate, e anche dopo. Al solito presentazioni e conferenze. Ma anche tanto studio. Ho infatti già segnato un giorno, l’8 ottobre, in cui sarò nel Palazzo Serra di Cassano di Napoli, sede dell’Istituto Italiano per gli Studi filosofici, per tenere una relazione in occasione di un convegno nazionale di altissimo livello. Un privilegio enorme considerato anche che sarò l’unico relatore abruzzese. Per cui il relax penso sia davvero un lusso a me non concesso. Ma, si sa. Ho voluto la bicicletta e allora….»
pietro.serrani@tin.it
Pubblicato già su La Città, quotidiano d’Abruzzo, del 13 giugno 2021