IL MATRIMONIO
di Alberto Ponno*
Nel 1968 partecipai ad una gara in salita con la macchina di serie appena comprata. Quando mi misurarono la pressione per avere il patentino, il manometro schizzò a 200 e ci volle del bello e del buono a convincere il medico che era colpa dell’emozione. Quell’anno agonistico finì per me con quella gara, mi sposai a dicembre del 68 e per sei mesi le corse furono solo un miraggio . Noooo, che avete capito? Non fu per colpa della mia futura moglie, ma…….mettetevi comodi che mo ve lo racconto.
Mi sposai a Giulianova, in una piccola chiesa, con 12 invitati, genitori e parenti compresi. Io quella mattina indossai per la prima e ultima volta nella mia vita, un bel completo antracite e con la sposa in abito bianco arrivai nel piazzale della chiesa, contravvenendo a tutte le regole, portandola con la mia fiammante gta rossa e relative strisce, quadrifogli bianchi e serpentone. Ragazzi, una bella inquadratura che purtroppo non ho, manco il fotografo c’era, così avevamo deciso. Salto tutto quello che riguarda quella giornata e vi dico solo che, era il 30 dicembre. La partenza per il viaggio di nozze era per il 31. Oddio, sono passati tanti anni che non ricordo se il giorno fosse il 30 o il 31, comunque, partimmo la mattina del giorno dopo. Ah, dimenticavo: com’era d’uso in quel periodo, gli invitati prima di congedarsi tra baci ed abbracci, consegnavano agli sposi una busta contenente un contributo per “l’arredo casa”, ebbene la raccolta fu di ben 1 milione e settecentomila lire! Una somma che avrà tutt’altro scopo che quello per il quale era stata donata . Mio padre, come regalo di nozze( sperando, come diceva lui, che io “mettessi la testa a partito”), mi aveva comprato un appartamento a Milano, un grande appartamento, ovviamente non ammobiliato, al quinto piano di un palazzo. C’era solo una bellissima cucina che il vecchio proprietario aveva dovuto lasciar lì perché fatta su misura, e un ingresso, sempre su misura, completamente foderato in noce, dove potevi appendere i cappotti. A questo punto voi penserete “ ma che ce frega dell’appartamento a Milano? Che c’entra? C’entra c’entra eh eh eh, adesso sorrido, ma vi assicuro che lo faccio solo perché son passati cinquant’anni. Torniamo alla mattina del 31. Con il baule del gta pieno di valige, partimmo alla volta di un viaggio senza meta, che il bello della storia, non la mia, ma di tutte le storie, come dice Branduardi, non è la meta ma il viaggio, perché è li che tutto accade…..eccome se accade! E me la sono fatta tatuare da Giulia, la mia attuale moglie da 9 anni, questa frase: “ l’importante è il viaggio non la meta”. Che poi, nella parabola della vita, la meta è sempre la stessa e quindi scontata. Quindi eravamo in partenza. Non avendo un posto preciso dove andare, decidemmo con mia moglie di puntare verso Pescara e fermarci lì per il pranzo, dopo avremmo deciso. Ci fermammo a mangiare da Spizzico, il più bel ristorante di pesce di Pescara in quell’epoca. Ragazzi che pranzo! Non mi ricordo cosa mangiammo, ma ricordo che il vino era buonissimo. All’uscita del ristorante prendemmo insieme una decisione: torniamo indietro a Roseto e facciamo una sorpresa ai miei genitori che non se l’aspettano, passiamo con loro il capodanno o il primo dell’anno, non ricordo, e poi domani ripartiamo definitivamente. Tenete conto che io già vivevo a Milano ed i miei non mi vedevano mai. Così ripartimmo destinazione Roseto.
Lo scarico del gta ha un diametro maggiore di quello delle normali alfa ed il suo rombo cupo e piacevole cullava il viaggio. Il legno del volante hellebore sotto le dita mi dava una piacevole sensazione , assaporavo le pochissime semicurve della statale 16 con rilassato piacere dovuto probabilmente all’ebbrezza, spingendo dolcemente il piede sull’acceleratore in uscita curva, vabbè, vi sto creando la giusta atmosfera. L’autobloccante appena montato e tarato al 48% dava la giusta trazione. Affrontai le curve di Pineto, cosiddette “Colaprico” , con crescente soddisfazione. Sinistra, rettilineo, una destra a chiudere. Stavo viaggiando a ritroso lungo il percorso della mille miglia e lo stavo facendo con la mia macchina da corsa! All’ingresso del lunghissimo rettilineo che va dal fiume Tordino, nei pressi di Giulianova, fino alla fine di Roseto, provenendo da Pescara, c’è una curva sinistra veloce, credo da terza. Questa è l’ultima curva che mi resta prima di imboccare il rettilineo, attraversare il paese e fermarmi di nuovo davanti alla casa paterna. Decido di godermela e all’ingresso schiaccio tutto il gas. Non so a che velocità andassi, gli enormi pini con le strisce bianche che delimitano l’adriatica scorrevano velocissimi sulla mia destra, e la macchina mi parte via di culo! Non ero preparato, non me lo aspettavo e faccio immediatamente la manovra del demente, tolgo il gas e controsterzo a destra, innescando così un testacoda ad alta velocità. Da quel momento i miei ricordi si fanno confusi e a flaches : ad un certo punto gli alberi arrivano da dietro e non più da davanti, giro ancora. Ora vedo arrivarmi contro una pietra miliare che era dal lato sinistro della strada, do un disperato colpo di sterzo a destra, la schivo e riattraverso la strada, ma frontalmente arriva un pino con la sua striscia bianca ad altezza occhi. Ho già il pedale del freno schiacciato a fondo, non posso fare altro. Non ricordo nessun rumore, stridio di gomme, nulla, neanche il rumore dell’impatto. Nell’attimo che lo colpisco sento un forte dolore al naso, e vedo con la coda dell’occhio mia moglie catapultata dal sedile, che colpisce il vetro con la testa, ovviamente non esistevano le cinture. Siamo finalmente fermi. L’hellebore accartocciato in avanti, non mi sanguina neanche il naso che ha picchiato sul volante. Guardo fuori: sulla sinistra in senso opposto c’è un camion fermo con altre macchine dietro. Devono avermi visto piroettare da lontano e si sono fermati. Non ricordo la sequenza dopo. Qualcuno apre la porta dal lato moglie e la porta via. Io scendo e, questo me lo ricordo, vado a vedere davanti, il pino ha scardinato il muso entrandogli dentro, vedo lo spinterogeno! Il pino non l’ha toccato. “ meno male” penso, “costa un botto” questo è indelebile. Ricordo in quel drammatico frangente di aver pensato al costo dello spinterogeno. Uno mi dice in dialetto” Albè, chi fatt?!” Non so rispondere, che ho fatto? Il deficiente! Poi qualcuno che mi conosce, a Roseto tutti mi conoscono, mi porta a casa. Non aspetto polizia o ambulanze, non ricordo nulla né di quel giorno né di quelli seguenti. Solo il mio arrivo a casa. Sono davanti al portone, suono il campanello. Dopo un po’ appare mia madre, mi vede, sorride, guarda fuori” ma dov’è Raffaella?” Chi mi ha accompagnato le dice “ signò’ c’ha stat’ ’n’incidend”. Mi ricordo mia madre accasciata su una panca dell’androne della vecchia casa che ho tanto amato.
Lella non aveva riportato ferite gravi, una piccola commozione cerebrale e tanti vetri estratti dalla fronte. Restammo lì per circa 15 giorni, mi pare. Ricordo le frequenti visite del medico di famiglia a mia moglie. Poi tornammo a Milano. Non ricordo chi e come si occupò della macchina, so che anche lei fu riportata a Milano, Certamente se ne occupò mio padre. Non ricordo rampogne da parte sua, o le ho probabilmente cancellate, rimosse. Tornammo a Milano, in quel grande appartamento completamente vuoto tranne, ricordo, un letto per dormire e la bella cucina. E tornammo al lavoro al Portello, anche Raffaella lavorava lì, in Alfa Romeo, lì dove aveva avuto la disgrazia di conoscermi. La mia gta non c’era più, o perlomeno era semidistrutta, il fatto che fosse di alluminio, probabilmente ci aveva salvato la vita nell’ammortizzare l’impatto. MA!!!!!! Ma qualche cosa era rimasta! La busta! Già, quella per arredare l’appartamento. Ora, voi immaginerete cosa mi frullasse in testa, ma provate un po’ a pensare, cosa vi direbbe vostra moglie se le chiedeste di vendere tutti i mobili, ma tutti tutti, comprese le sedie, tranne quelle della cucina per aggiustare la macchina, e neanche quella di famiglia, ma quella da corsa? . Bè, invece mia moglie capì, e nonostante avessi cercato di ucciderla il primo giorno di matrimonio, acconsentì che i soldi di quella busta finissero alla carrozzeria Marazzi di Caronno Pertusella. In questa carrozzeria, che collaborava con l’Autodelta, facevano i miracoli! Ti ricostruivano un gta, da metà macchina in avanti, ma non solo, rinforzavano anche la scocca nei punti critici, credo sempre su specifiche Autodelta. Avevano dei battilastra che piegavano e costruivano particolari in alluminio, che allora non c’era la vetroresina, che erano delle vere opere d’arte. Costo dell’operazione? Un milione e seicentomila lire. Avanzavano giusto centomila lire per un sedile in alluminio battuto a mano su misura, peso un kilo. Chi era più felice di me? Non mia moglie, poverina, che si aggirava in una squallida casa vuota, ma con una bella cucina e relative sedie!
Intanto che in carrozzeria mi ricostruivano la macchina, mio padre e mia madre decisero di venirci a trovare. Io avevo detto loro che stavo cercando di trovare qualcuno per sistemare la macchina, ma non avevo accennato ai soldi della busta, così, quando loro entrarono in casa, feci loro togliere giacche e cappotti in ingresso e li feci accomodare in cucina. Chiacchierammo per un po, e poi mio padre si alzò, dicendo che le sedie della cucina erano scomode, “perché non andiamo di là?” Di là, c’era una bella sala vuota, dove io avevo messo, qua e là…….delle cassette da frutta, ma di quelle belle robuste eh, diciamo per gli amici?! Donnandonio entrò, io rimasi dietro. Quello che disse fu : “ mbè!!?? “Ecco… è che sto ricostruendo la gta e per adesso….” Che je dicevo che non guadagnavo manco centomila lire al mese? Lui e mamma dormirono in albergo e il giorno dopo ripartirono. Passarono credo due settimane, e una sera torno a casa, mia moglie era tornata prima di me, apro la porta e dall’ingresso vedo l’interno del salone, spostato a sinistra. Il salone era completamente arredato, divani poltrone buffet e controbuffet, come si usava da noi. Chiusi la porta, entrai in sala, mi guardai attorno….bè, oddio, non erano proprio di mio gusto….ma mia moglie era felice e alla fine lo ero anch’io. Donnantonio aveva mandato, a mia insaputa, ma con la complicità di mia moglie, un camion da Roseto con su i mobili. “ ma che s’ po stà assettat’ ngim’a’na cascett’?!” Non uso il dialetto stretto, perché papà non lo parlava. Negli anni, tutti i piloti che hanno guidato la mia macchina, mi dicevano che questa gta era speciale, era eccezionalmente guidabile da paragonare alle migliori ufficiali. Dove si evince che non tutti i mali vengono per nuocere….se non muori.
*Alberto Ponno, pilota e artista