Ovindoli (L’Aquila),1375 metri sopra il livello del mare. Situato nell’Altopiano delle Rocche, è una delle mete turistiche più apprezzate della regione Abruzzo, grazie al comprensorio sciistico del Monte Magnola, uno dei più frequentati del centro e del sud Italia.
Secondo alcuni il nome deriverebbe da “ovis”, per via dell’attività pastorale che su questo altopiano, si è sempre svolta sin dai tempi de marsi: le telecamere Rai con Sem Cipriani si sono spinte fin qui insieme allo scrittore Peppe Millanta per una nuova puntata della rubrica a cura di Paolo Pacitti,“Quota Mille”.
“Ovindoli – racconta Millanta – ha un importante passato storico. Proprio nel palazzo che gli abitanti chiamano di Re Zappone, Ovindoli ha incrociato il proprio destino con la Grande Storia: secondo la leggenda, infatti, nel 1268 vi sostò Carlo d’Angiò, la notte prima di scendere con le sue truppe verso i Piani Palentini per scontrarsi contro Corradino di Svevia nella celebre battaglia di Tagliacozzo. L’evento colpì così tanto l’immaginario del tempo, da essere cantata da Dante nella sua Divina Commedia”.
Altra meraviglia di Ovindoli è il “casale delle Rocche” costruito nel 1939 dai Torlonia, è in una posizione nascosta e isolata dal resto del paese: “e proprio per la sua posizione strategica fu utilizzato come avamposto della Luftwaffe dai tedeschi che lo ribattezzarono “il nido dell’aquila”, da qui infatti si domina interamente la piana del Fucino, ben protetti dagli alberi secolari. In paese – prosegue Peppe Millanta – circola una leggenda: sembra che ci sia una stanza, dove è possibile ascoltare tutti i discorsi pronunciati in ogni altro luogo della struttura: la chiamano la stanza dell’impiccato, ed è situata nella torretta più alta”.
A San Potito, frazione di Ovindoli, giace una villa imperiale di epoca romana, risalente con ogni probabilità al I secolo d.C., al tempo dell’incredibile impresa del prosciugamento del sottostante Lago Fucino da parte di Claudio: fu scoperta negli anni ’80, e si stima abbia dimensioni notevoli, tanto da comprendere al suo interno le terme, un anfiteatro e persino un piccolo teatro.
Come spiega Millanta: “La tradizione l’attribuisce a Lucio Vero, l’Imperatore dimenticato. Era infatti il fratello minore del ben più famoso imperatore Marco Aurelio, con cui spartì il ruolo di co-imperatore, un evento senza precedenti fino ad allora nell’Impero. Lucio Vero è famoso soprattutto per la vittoriosa campagna militare attuata contro i Parti, in Mesopotamia, da cui tornò carico di onori e di ricchezze.
Quella spedizione, però, nascondeva una tragedia inaspettata: la “peste antonina”, che le legioni guidate da Lucio Vero contrassero in Oriente e diffusero nell’Impero al loro ritorno. Si trattò di un disastro immane, che decimò la popolazione e imperversò per oltre 30 anni in tutta Europa.
Secondo la leggenda Lucio Vero, subito dopo quella campagna, si ritirò proprio a San Potito, nella sua villa, per rimediare a un “mal d’occhio” contratto in battaglia e proprio durante quel soggiorno gli furono condotti davanti in catene il martire Simplicio e i suoi due figli, Costanzo e Vittoriano, che stavano creando scompiglio a Roma per i loro miracoli. Di fronte al loro rifiuto di rinnegare Dio e di adorare gli idoli pagani, Lucio Vero decise di farli decapitare, ma non appena le loro teste toccarono terra, vennero fuori dal terreno tre zampilli di acqua purissima, mentre la terra prese a tremare”.
E le reliquie dei tre santi sono oggi conservate nella vicina Celano, dove sono i Santi Patroni.
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