Editoria. “Gli Internati Militari Italiani. Testimonianze di donne” a cura di Orlando Materassi e Silvia Pascale

Il volume curato da Orlando Materassi e Silvia Pascale raccoglie i lavori di ricerca del Progetto “Gli Internati Militari Italiani: testimonianze di donne, madri, fidanzate, mogli, figlie”, un percorso di studio promosso da ANEI Treviso e finanziato dal Governo Federale della Germania attraverso il Fondo italo-tedesco per il Futuro scelto in stretta collaborazione con il Ministero italiano degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Il libro custodisce alcune figure di donne: Mamma Teresa, Angiolina, Gigliola, Mariuccia, Gemma, gli “Angeli” di Pescantina, Olga e molte altre. La loro voce rivive attraverso lettere, pagine di diario, interviste, ricordi.

Le donne che rimasero a casa aspettando il ritorno degli uomini dal Lager scrissero le loro preoccupazioni, le loro opinioni, l’ansia per il silenzio di fidanzati, mariti, padri e fratelli. Sono scritti e testimonianze che non sono stati ancora studiati, ma che soprattutto non hanno ancora avuto una adeguata riflessione.

La Storia apre così all’universo femminile, spesso taciuto e dimenticato, rinnovando l’interesse per le vicende degli Internati Militari Italiani sotto un’altra ottica.

Il Progetto.

Gli Internati Militari Italiani: testimonianze di donne, madri, fidanzate, mogli, figlie.

 

 

Orlando Materassi & Silvia Pascale

Coordinatore e Responsabile del Progetto

 

 

 

Il Progetto presentato all’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania a Roma nasce come idea nel 2020 quando ci troviamo a studiare e scrivere su due figure di donne: Mamma Teresa e Angiolina. Due donne per noi e per la nostra storia di parenti di deportati importantissime, due donne su cui abbiamo discusso molto e sulle cui scelte abbiamo riflettuto.

Il discorso si è allargato all’universo femminile di quegli anni, anni difficili, di guerra, di dolore e di sofferenza.

Venti lunghi mesi di vita, di guerra, di speranza e di disperazione. Venti mesi dopo i quali l’Italia non fu più la stessa e la vita di chi ne fu protagonista, ma anche delle persone a loro vicine, cambiò: per molti (e soprattutto per molte) fu anche la conferma di poter dire la propria idea, di fare una propria scelta.

All’indomani del conflitto nessuno o quasi si è chiesto qual è stato il ruolo di queste donne, qual è stato il significato della loro attesa, se la loro silenziosa presenza avesse o meno forma di Resistenza.

Nelle nostre famiglie dopo la guerra, non si parlava quasi mai di quel periodo, a tavola (il momento in cui la famiglia si riuniva) non era un argomento di conversazione.

I civili pagarono un tributo altissimo alla guerra, le donne in particolare. Con un nodo alla gola Silvia rivede la camera della nonna, con chiarezza, i pesanti mobili di legno scuro, un quadro che rappresentava un idilliaco paesaggio campestre, un letto troppo grande per le dimensioni della camera con sopra un imponente crocifisso davanti al quale mamma Teresa pregava ogni sera.

Ognuno cercava di sopravvivere come meglio poteva in quell’Italia sprofondata nell’abisso. I bombardamenti, la fame, le malattie e la solitudine hanno accompagnato queste donne, alcune giovanissime, soprattutto dopo l’8 settembre del 1943.

Durante la guerra cercavano di essere informate sugli esiti del conflitto, cercavano di essere aggiornate per avere informazioni sui propri cari. Dopo l’armistizio la ricerca di notizie divenne affannosa e a tratti angosciante. Mamma Teresa leggeva i giornali nonostante avesse solo la terza elementare e Angiolina cercava notizie dai futuri suoceri sapendo bene il significato della morte in guerra avendo perso il fratello Orlando nel gennaio del 1941.

Ecco l’idea di questo lavoro di ricerca nasce proprio sulla spinta di queste due donne, sul valore della loro silenziosa Resistenza e sul significato della loro attesa: mamma Teresa aspetta la fine della guerra per andare sulla tomba del figlio in Germania, Angiolina aspetta il ritorno dopo 44 mesi dell’amore della sua vita.

Un tratto che distingue le famiglie dei deportati (sia sopravvissuti, sia deceduti in Lager) è la trasmissione ai figli o ai nipoti, tramite canali di comunicazione conscia o inconscia, di nozioni ed emozioni che riguardano appunto l’internamento.

Questo filo rosso tra IMI e figli o nipoti è stato rappresentato dalle donne della famiglia in maniera estremamente silenziosa: consiste nel passaggio di testimone, in parte implicito in parte esplicito, delle sofferenze e dei ricordi degli uomini internati.

Prima della guerra le famiglie erano legate le une alle altre da vincoli di appartenenza e identificazione con altre famiglie, con la comunità, con l’ambiente circostante. La deportazione ha infranto questi legami, ha irrimediabilmente lasciato dei vuoti.

Quindi il ruolo delle donne è stato quello di colmare quei vuoti: con la Memoria e il Ricordo per chi non è tornato, con il tentativo di riannodare i fili di esistenze segnate dal trauma per chi è rientrato.

Il carico di emozioni connesse con il passato traumatico di questi uomini le ha portate ad essere il loro unico punto di riferimento, a sopportare e supportare gli uomini con questo gravoso passato di morte, sofferenza e dolore e in alcuni casi anche di rabbia e collera.

È vero che gli IMI al loro ritorno, come tutti i deportati, d’altra parte, non hanno parlato pubblicamente per molto tempo, per decine d’anni. Ma è anche vero che avevano generalmente una donna di riferimento: una moglie, una fidanzata divenuta poi moglie, una madre, una sorella oppure una figlia.

Sono loro che hanno accolto e curato i loro cari, sono loro che hanno custodito i racconti e i ricordi e hanno guidato la famiglia verso il futuro preoccupandosi della continuità della vita. È chiaro ed evidente se guardiamo indietro nel tempo, la diversità del loro ruolo, la distanza che le separa emotivamente dal trauma, ma che in qualche modo assorbono e assimilano come un messaggio da custodire. Sono andate incontro a questi uomini in tutte le circostanze, sono rimaste loro accanto e hanno sempre trovato soluzione al loro trauma.

Si sono caricate sulle spalle l’intera responsabilità, senza avere la possibilità di condividere con alcuno questo peso. L’emozione ha fatto da filtro alla loro Memoria, il ricordo di un senso di ingiustizia, la ferita di una delusione, la tristezza di non poter parlare, ma soprattutto l’amore e la lealtà nonostante tutto.

Dal nostro punto di vista hanno realizzato un’impresa che sembrava un’utopia: hanno unito l’Italia superando i confini dell’appartenenza sociale e territoriale. Hanno combattuto resistendo al pari degli uomini quando ancora la parità era al di là da venire.Sono diventate delle patriote, donne della Resistenza; in una società che affidava alla donna sostanzialmente i ruoli di moglie e di madre.

Ci piace sottolineare quando si parla della piena partecipazione femminile alla vita politica e sociale del nostro Paese, che le basi per l’emancipazione femminile furono senza ombra di dubbio gettate negli anni tra il 1943-1945.

Il fascismo ha fatto pagare alla donna un altissimo prezzo di umiliazione e di sacrificio, la Resistenza ha dato alla donna il senso di quanto poteva contare, il coraggio che poteva esprimere e la sua forza. Non sono soltanto mogli, madri, sorelle e figlie di Internati Militari Italiani: sono le prime a farsi carico della famiglia, sono quelle che cercano cibo per spedirlo nei Lager, sono quelle che a rischio della vita aiutano i soldati chiusi nei vagoni piombati porgendo acqua e pane, sono quelle che protestano anche in piazza per il ritorno degli uomini dai campi di concentramento, e che prima ancora avevano protestato per dire basta alla guerra. E per questo non va dimenticato che i giorni durissimi della guerra sono anche i giorni in cui tutta la tematica dell’emancipazione femminile viene abbozzata nelle sue linee generali: la rivendicazione dei diritti politici, della parità nella scuola e nel lavoro.

 

Le spine del passato portate dietro per quasi tutta una vita, come una valigia che non si ha mai il tempo di posare e di aprire, aprono finestre sul senso dell’attesa.

E da tutte queste riflessioni nasce quindi questo progetto che ha il suo punto, noi amiamo dire, di partenza con questo Convegno e con questi studi. Di partenza perché la conoscenza della Resistenza delle donne degli IMI è appena iniziata.

 

 

Prefazione

Discorso pronunciato al Convegno di Treviso, 17 dicembre 2021

 

 

 

Viktor Elbling

Ambasciatore della Repubblica Federale di Germania a Roma

 

 

Ho accolto con molto piacere l’invito a rivolgere un saluto ai partecipanti di questo convegno.

Negli anni scorsi abbiamo appreso molto sulla tragica storia degli Internati Militari italiani, attraverso la pubblicazione dei loro diari e lo studio dei documenti storici. Fino ad un certo punto è naturale che, quando si parla di storie di guerra e internamento, vengano in mente prima gli uomini, come diretti interessati. Si dimentica però che, in loro assenza, la vita non si ferma, non si congela, va avanti con tutte le sue difficoltà.

L’ANEI di Treviso, con la responsabile del progetto Silvia Pascale, ora si è dedicata a colmare una grande lacuna, quella della prospettiva femminile. Il mondo degli anni Quaranta era molto diverso da quello in cui viviamo oggi. Nella società, le donne comparivano in relazione a figure maschili, prima come “la figlia di”, poi come “la moglie di” e infine “la madre di”.

Possiamo solo immaginare come si sentissero disorientate queste donne, quando persero i punti di riferimento della loro quotidianità. Si trovarono da sole, con famiglie da gestire, decisioni da prendere, e l’ansiosa incertezza su come stessero i loro cari, lontani e imprigionati nei campi tedeschi. Vissero quella pesante situazione, resistendo alle avversità con forza e determinazione, mentre i loro mariti, padri, figli pagavano per aver resistito alle richieste di combattere per i nazisti.

Alcune di loro videro tornare i loro cari, altre ricevettero la tragica notizia della loro morte. “Mamma Teresa” ne parla nel suo diario, pubblicato da Silvia Pascale. Questa donna attraversò l’Europa alla ricerca della tomba del figlio, morto in un campo tedesco e sepolto in un luogo sconosciuto.

Sono storie di donne forti, coraggiose, esempi luminosi di umanità. Ringrazio Silvia Pascale e tutti coloro che hanno contribuito a riportare alla luce queste storie.

 

POSTFAZIONE

TI ASPETTO OGNI GIORNO

 

Ti aspetto e ogni giorno

mi spengo poco per volta

e ho dimenticato il tuo volto.

Mi chiedono se la mia disperazione

sia pari alla tua assenza

no, è qualcosa di più:

è un gesto di morte fissa

che non ti so regalare.

 

Alda Merini

 

Gabriella Persiani

Giornalistanipote dell’IMI Carmine Broccolini

 

Difficile trattenere le lacrime, ancor più difficile frenare i ricordi di quanto di terribile c’è stato, non solo per le famiglie interessate, ma per l’Italia intera, dopo quel NO all’adesione alla Repubblica di Salò pronunciato da 650mila militari italiani dopo l’Armistizio, 50mila di loro non tornarono mai a casa dopo la deportazione nei campi nazisti. Così, nell’eco dell’Attesa e della Riconciliazione, parole-chiave della giornata, si è svolto il 17 dicembre 2021 il Convegno Internazionale “Gli Internati Militari Italiani. Testimonianze di donne, madri, fidanzate, mogli, figlie”, nell’Auditorium dell’IC4Stefanini di Treviso.

 

L’evento, diviso in due parti, la prima, mattutina, dedicata agli studenti e ai docenti dell’Istituto di Treviso e fortemente voluta dal Dirigente Scolastico Doriana Renno, la seconda, pomeridiana, aperta al pubblico e agli addetti ai lavori, si colloca all’interno del Progetto di ANEI (Associazione Nazionale ex Internati nei Lager Nazisti) sezione di Treviso, presentato all’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania a Roma dalla storica e docente Silvia Pascale e da Orlando Materassi, Presidente nazionale ANEI.

 

Il fine è stato accendere, per la prima volta – e, si può dire, finalmente -, i riflettori sulle figure silenziose e dimenticate delle donne degli IMI, in tutto e per tutto da considerare spalla fondamentale della prima Resistenza, quella combattuta senz’armi dai nostri cari deportati dopo l’8 settembre 1943. Un punto di partenza su questa pagina di Storia, resa possibile dalle testimonianze dirette arrivate ai giorni nostri attraverso racconti, lettere, biglietti, diari delle donne degli IMI, le nostre nonne, fonte primaria ed esclusiva degli interventi del Convegno, anticipati dai saluti istituzionali. Particolarmente sentito il videomessaggio iniziale dell’ambasciatore tedesco a Roma Viktor Elbling su questa nuova prospettiva storica tutta femminile.

 

Coinvolgenti, entrando nel merito, le emozioni vissute in mattinata ripercorrendo le vite di nonna Concetta di San Severo (Foggia) e dei suoi due giovanissimi figli Imi, Vincenzo e Paolo Villani, il primo dei quali Milite Ignoto, attraverso l’accorato ritratto della nipote Marina Villani; di Gigliola Buti da Pisa, figlia di Stella e dell’IMI Armando, portata in Aula da Silvia Angelucci e della trevigiana Mariuccia Turchetto, moglie dell’IMI Gian Carlo, presentata da Francesca Piaser.

 

Silvia Pascale, responsabile del progetto, ci ha fatto conoscere le maestose figure di Mamma Teresa da Ferrara, già protagonista de “Il diario di mamma Teresa” per Ciesse Edizioni, e di Lore Wolf, strenua oppositrice del nazismo in Germania, unite nella ricerca di giustizia e verità per la tragedia del non ritorno dal Lager, mentre Orlando Materassi, coordinatore scientifico dello stesso progetto, ha testimoniato di sua madre Angiolina, fidanzata, prima, e moglie, poi, dell’IMI Elio, al quale è dedicato il volume “La Memoria legata al filo rosso”, sempre per Ciesse Edizioni.

Grande la partecipazione degli studenti presenti all’incontro, i quali, a loro volta, hanno riferito dei loro famigliari IMI e hanno preso parte, prestando la loro voce, agli interventi dei relatori con la lettura di brani e poesie.

 

Delle ansie, delle preoccupazioni, della forza solitaria e inimmaginabile di queste novelle Penelopi si è continuato a parlare nel pomeriggio, con i collegamenti online di Harald Grote, Dirigente di BarackeWilhelmine, Marco Eggert del Consolato Onorario Italiano di Brema e dello storico polacco Stefan Marcinkiewicz, docente UniwersytetWarminsko-Mazurski w Olsztynie. In presenza, il Comune di Treviso con l’assessore all’Istruzione Silvia Nizzetto, il Presidente Regionale ANPI della Toscana, Bruno Possenti, il Presidente ANEI Firenze, Mauro Perini e la Presidente Anmig di Castelfranco, Antonella Casadei.

 

L’attenzione si è poi accesa sui diritti delle donne nel Ventennio con Sara De Vido, professoressa associata di Diritto Internazionale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, che si è anche focalizzata, con molto trasporto, sull’attesa di sua nonna, a sua volta moglie di un Imi. Di una donna speciale in questo panorama, Luisa, moglie di un ex fascista finito in un Lager, ha di seguito parlato la storica di Ferrara Antonella Guarnieri, e della figura della veneziana Olga Blumenthal la docente Emilia Peatini. Interventi, questi, che hanno accresciuto con ulteriori esempi di vita l’importante tematica della giornata.

 

Gli intermezzi musicali eseguiti al pianoforte dalla docente Rosaura Di Bernardo hanno arricchito e accompagnato riflessioni ed emozioni nel corso dell’evento.

 

Quest’ottica, tutta femminile, tutta familiare delle vicende degli IMI ci ha permesso di giungere alla comprensione del contesto globale. Le voci, gli esempi, le storie riecheggiati nell’Auditorium Stefanini di Treviso, 78 anni dopo i fatti e riproposti negli Atti, ci impongono di non dimenticare e di valorizzare in ogni nostra azione personale, civica e sociale, la libertà e la democrazia così faticosamente conquistate con la sofferenza e il sangue di questi uomini.