LA SECONDA GUERRA MONDIALE A FIUME E DINTORNI (PARTE I) di Marino Micich
Rivista FIUME n. 40 , ii sem. 2019 saggio M. Micich prima parte 1 (PDF da scaricare)
LA SECONDA GUERRA MONDIALE A FIUME
E DINTORNI (PARTE I)
PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE PUBBLICHIAMO LA PRIMA PUNTATA DEDICATA ALLE VICENDE DEL CONFINE ORIENTALE DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE.
La situazione politica e militare a Fiume dal 25 luglio 1943 al gennaio
1944, con riferimenti alla situazione in Istria e alla prima fase delle foibe1
MARINO MICICH
Sommario: Premessa. – 1. La situazione a Fiume dall’arresto di Mussolini ai primi
di settembre 1943. – 2. Conseguenze dell’8 settembre 1943 in Istria: l’azione armata
del MPLJ, le foibe e l’Operazione militare germanica Wolkenbruch (Nubifragio). –
3. L’8 settembre 1943 a Fiume: emergenza e difesa della città dall’invasione partigiana jugoslava.
Premessa
Il presente saggio nasce diversi anni dopo le ricerche, condotte dalla
Società di Studi Fiumani in accordo con l’Istituto Croato per la Storia di
Zagabria, sulle perdite umane italiane a Fiume e dintorni durante il secondo conflitto mondiale e nei due anni successivi alla sua conclusione.
Tale studio, iniziato nel 1998, fu condotto dall’allora presidente della Società di Studi Fiumani Amleto Ballarini assieme al ricercatore croato Mihael Sobolevski per l’Istituto croato per la storia e fu pubblicato nel 2002
in una edizione bilingue, italiano e croato, col titolo Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1947)2. Il volume, stampato dal nostro
Ministero per i beni culturali in accordo con l’Istituto croato per la storia,
fu presentato a Zagabria, Roma, Fiume e, successivamente, a Trieste, Genova, Udine e Bologna. Collaborai in quell’epoca alla ricerca, esaminando
e traducendo una serie di documenti archivistici dal croato all’italiano e
sopraintesi ai lavori di traduzione dal croato all’italiano. Qualche anno fa,
la rilettura dei profili storici introduttivi di Amleto Ballarini e di Mihael
Sobolevski presenti nell’opera, oltre ad essere una fonte basilare di questo
saggio, mi ha stimolato a intraprendere ulteriori ricerche su quel tormentato periodo a Fiume, in cui gli eventi bellici si intrecciarono con complesse
vicende politiche. L’arco di tempo preso in considerazione parte sostanzialmente dal luglio 1943, quando le sorti del conflitto iniziarono ad ag1 I fatti dal gennaio 1944 al maggio1945 saranno trattati nella seconda parte di questo lavoro
(Fiume in guerra, dal gennaio 1944 al maggio 1945) che uscirà in uno dei prossimi numeri
della rivista.
2 Società di Studi Fiumani Roma, Istituto Croato per la Storia Zagabria, Amleto Ballarini -Mihael Sobolevski, Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1947), Ministero per
i beni culturali, Direzione Generale per gli Archivi, Roma 2002.
gravarsi irrimediabilmente per l’Italia, e si conclude nell’autunno del 1945.
Fiume, sottoposta all’occupazione militare jugoslava dal 3 maggio 1945,
conobbe i rigori di una politica di regime che provocò l’esodo in massa di
circa l’88% della popolazione e l’uccisione, per quanto concerne l’etnia italiana, di oltre 650 persone. Un destino analogo toccò ai vari centri istriani
e alla città dalmata di Zara.
Il saggio si presenta composto di due parti. La prima, che viene pubblicata in questo e nel prossimo numero, comprende il periodo che va dal luglio
1943 al gennaio 1944; la seconda, che inizia dal febbraio 1944 e termina nell’autunno 1945, verrà pubblicata nei prossimi numeri della rivista. Ricordo
solo questo antefatto storico al lettore: il conflitto bellico in Jugoslavia
scoppiò il 6 aprile 1941, quando le armate italiane e tedesche, assieme a contingenti ungheresi e bulgari, invasero il regno jugoslavo, che già il 17 aprile
di quell’anno capitolò3.
1. La situazione a Fiume dall’arresto di Mussolini ai primi di settembre 1943
Le sorti del secondo conflitto mondiale sin dai primi mesi del 1943 iniziarono a diventare sempre più sfavorevoli per gli eserciti tedeschi e quelli
italiani loro alleati. Il 31 gennaio 1943 avvenne la resa tedesca a Stalingrado;
nel maggio le truppe italiane e germaniche si ritirarono dalla Libia e dalla
Tunisia e il 10 luglio gli angloamericani sbarcarono in Sicilia. Era il preludio
della disfatta italiana e del regime fascista. Difatti, in seguito all’impossibilità
di difendere la Sicilia, il 25 luglio 1943, dopo una seduta straordinaria del
Gran Consiglio del Fascismo fu deciso l’arresto di Mussolini. L’accaduto, di
eccezionale gravità, non mancò di produrre gradualmente i suoi effetti drammatici anche in Venezia Giulia e nei territori dell’Adriatico orientale sottoposti al controllo italiano.
Il 26 luglio il generale Pietro Badoglio fu nominato ufficialmente nuovo
Capo del governo. A Fiume il 28 luglio si attivò un Comitato politico cittadino
per opera di Don Polano e di Antonio Luksich-Jamini, composto da elementi
democratici e antifascisti; questo organismo però non ottenne una considerevole adesione tra i fiumani e fu visto con molta diffidenza dai comunisti
croati di Sussak e dei dintorni in quanto, pur chiedendo pace e libertà, man28 Marino Micich
3 Per un quadro più completo di questo periodo cfr. Elena Aga Rossi e Maria Teresa Giusti, Una
guerra a parte. I militari italiani nei Balcani 1940-1945, Bologna 2017, Il Mulino; James H. Burgwyn, L’Impero sull’Adriatico. Mussolini e la conquista della Jugoslavia 1941-1943, Gorizia 2006,
Leg.; Gino Bambara, Jugoslavia settebandiere, guerra senza retrovie nella Jugoslavia occupata
1941-1943, Brescia 1988, Vannini editrice.
teneva la propria fedeltà allo Stato italiano. Il 3 agosto si formò, grazie al suddetto Comitato, una modesta concentrazione di persone che si mosse lungo
alcune vie del capoluogo quarnerino chiedendo la liberazione dei detenuti
politici e poi si sciolse senza che avvenissero particolari incidenti. A conferma
di tale fatto esiste una testimonianza del vice-commissario di Pubblica Sicurezza di Fiume Mario Battilomo, secondo la quale in città si radunarono alcuni capannelli di persone che commentavano qua e là animatamente gli ultimi fatti politici, ma non ci furono palesi manifestazioni di giubilo o altro
per la caduta di Mussolini4.
I fiumani, come il resto degli italiani, attendevano l’evolversi della situazione nei vari teatri di guerra più importanti. Bisogna rilevare che, secondo
alcune fonti di attivisti del Movimento Popolare di Liberazione Jugoslavo
(MPLJ), il 26 luglio ci fu invece un’altra dimostrazione di circa 200-300 persone che si recarono prima al consolato tedesco per poi sostare davanti al
carcere in via Roma, provocando una reazione violenta da parte dell’esercito.
Ci furono diversi feriti, ma lo scopo degli agitatori comunisti di far liberare i
detenuti politici fallì. Un altro focolaio di malcontento ci fu in quel periodo
nel silurificio “Whitehead”, dove venne bloccato un tentativo di dimostrazione di un gruppo di operai da parte del nuovo capo della polizia Senise.
Come riportato da Luciano Giuricin nelle file del MPLJ risultava impegnato
a Fiume solo un esiguo numero di militanti, mentre la massa operaia e antifascista se ne stava in disparte; anche perchè la maggior parte degli operai si
riteneva italiana e alcuni programmi sull’appartenenza politica della città tipici degli attivisti jugoslavi non erano ben recepiti5. In ogni caso le fonti a disposizione sull’effettivo svolgimento degli avvenimenti in quei giorni sono
ancora parziali e poco chiare su molti aspetti.
L’ordine pubblico rimase di fatto saldamente in mano alle autorità di
polizia italiane e fu ribadito il divieto di ricostituire i partiti. Nella popolazione regnava un clima di generale apprensione e incertezza, ma niente di
più. Da parte comunista la possibilità di contrastare definitivamente a
Fiume il decaduto regime fascista o addirittura subentrargli era praticamente nulla, dato che nello scacchiere balcanico la presenza militare e poliziesca germanica era ancora molto forte. Tuttavia il Partito fascista, anche
a Fiume come nel resto d’Italia, aveva subito un sensibile ridimensionamento. La Federazione del Fascio fiumano era in mano al bergamasco
Gino Gallarini, subentrato già il 1 aprile 1943 a Genunzio Servidori. SulLa seconda guerra mondiale a Fiume e dintorni 29
4 Una copia del diario di Mario Battilomo è conservata presso l’Archivio Museo storico di Fiume
a Roma (AMSFR).
5 Per gli avvenimenti politici a Fiume nel luglio 1943 cfr. Mario Dassovich, Proiettili in canna,
Trieste 1995, Lint, pp. 49-53; Luciano Giuricin, Il settembre 1943 in Istria e a Fiume, in Quaderni,
Centro Ricerche Storiche di Rovigno, Vol. XI, Trieste-Rovigno 1997, pp. 11-19.
l’operato di Gallarini a Fiume in quei frangenti si conosce poco o niente,
di lui si sa che nel corso del 1944 fu impegnato nelle file della Repubblica
Sociale Italiana (RSI) a Bergamo. In sostanza, dal 26 luglio 1943 in poi il
potere nel territorio fiumano-quarnerino in linea con l’ordinanza Badoglio
era in mano ai militari, compreso l’ordine pubblico. Il generale Giovanni
Moramarco, comandante della piazza di Fiume, informò la Regia Prefettura fiumana di aver avocato a sé tutte le prerogative inerenti l’ordine pubblico sul territorio, come da ordini ricevuti dal generale Alberto Ferrero,
comandante del 23° Corpo d’Armata con sede a Trieste. Il 7 agosto 1943 il
generale Moramarco fu sostituito dal generale Michele Rolla, mentre il 21
agosto il prefetto Agostino Podestà venne sostituito da Pietro Chiarotti ritenuto un fascista più moderato.
In questo periodo di profonda crisi nello schieramento italiano si fecero sentire le mire del duce croato, Ante Pavelić, che rivendicava, dopo
quello che considerava un tradimento dell’Italia, Zara e tutta la parte di
Dalmazia annessa da Mussolini dopo la resa della Jugoslavia monarchica
nell’aprile 1941, Fiume, Sussak, le isole quarnerine e l’Istria orientale6. Lo
Stato indipendente croato in mano agli ustascia, proclamato a Zagabria il
10 aprile 1941, era stato voluto da Mussolini e Hitler, e il suo esercito, nonostante avesse scarsa incisività, continuava a combattere a fianco dei tedeschi, stranamente in quei frangenti Pavelić, a differenza di Tito, non pretendeva l’Istria occidentale.
Si giunse, dopo una serie di altre sconfitte delle armi italiane, alla dichiarazione di resa incondizionata italiana dell’8 settembre 1943. Alle prime
luci dell’alba il re Vittorio Emanuele III e la famiglia reale abbandonavano
Roma con al seguito il generale Badoglio e un centinaio di alti ufficiali, per
giungere ad Ortona e quindi salpare alla volta di Brindisi, dove il 10 di settembre si costituì il Regno del Sud sotto la protezione degli angloamericani.
Di conseguenza a Fiume, come nel resto d’Italia, la situazione politico-militare mutò radicalmente. Il pericolo per i cittadini fiumani era ormai imminente, in quanto i partigiani jugoslavi, schierati negli immediati dintorni della
città, si apprestavano ad occupare Sussak7
. La mancanza di direttive da Roma
e l’atteggiamento ambiguo di molti alti ufficiali gettarono nel caos le truppe italiane sparse in mezza Europa. In Jugoslavia ai primi di settembre del 1943 si
calcolava la presenza di non meno di 350.000-400.000 soldati italiani8
. Nel
30 Marino Micich
6 Nataša Kisić Kolanović, Ndh I Italija, Zagabria 2001, Ljevak, pp. 382-383. 7 L’armistizio fu in realtà firmato qualche giorno prima, il 3 settembre 1943 a Cassibile (provincia di Siracusa) dai generali Giuseppe Castellano, per l’Italia, e Walter Bedell Smith per gli
Alleati.
8 Velimir Ivetić, Kapitulacija Italije i razoružavanje italijanskih oružanih snaga u Jugoslaviji 1943,
in Vojnoistorijskih Glasnik,, n.1, 1984, p. 379.
primo pomeriggio dell’8 settembre a Cirquenizza, località del litorale croato
vicino a Segna, il generale Antonio Scuero, comandante del V Corpo d’Armata, iniziò a trattare con i partigiani jugoslavi l’evacuazione dei suoi soldati
dalla linea San Giacomo (Sveti Jakov), Mrkopalj, Ravna Gora, Vrbovsko, Severin sulla Cupa, per attestarsi il più possibile lungo la linea di confine tra
Italia e Jugoslavia sancita dal Trattato di Rapallo nel 1920. Per meglio delineare il quadro generale degli avvenimenti nell’Adriatico nord orientale sui
fatti fiumani successivi tornerò ad occuparmi dopo alcuni riferimenti sulla
situazione drammatica in Istria.
2. Conseguenze dell’8 settembre 1943 in Istria: l’azione armata del MPLJ,
le foibe e l’Operazione militare germanica “Wolkenbruch” (Nubifragio)
In Istria sin dai primi giorni di agosto si erano costituiti una serie di Comitati Popolari di Liberazione, circa 140 nei villaggi e ben 16 comunali coordinati dal CPL regionale provvisorio.
A partire dal 9 settembre 1943, nella vicina Istria i partigiani jugoslavi,
affiancati da militanti comunisti italiani, approfittarono dell’improvviso
vuoto politico e militare per scatenare una reazione armata, con lo scopo
di ribaltare gli equilibri politici e sociali in Istria e nel Quarnero in favore
del MPLJ. Più a sud, a Zara, il 9 settembre le unità germaniche presero
possesso della città, dove si trovavano circa 10.000 soldati italiani rimasti
senza ordini e rimasti praticamente allo sbando. Ai croati di Pavelić, che
reclamavano la città dalmata, il generale Glaise von Horstenau oppose un
netto rifiuto considerando Zara ancora una città italiana. A Pola, invece,
le navi della Regia marina italiana iniziarono ad abbandonare la città gettando la popolazione nello sconforto più completo. Il 12 settembre ci furono i primi infoibamenti comandati dai commissari politici della polizia
segreta di Tito, l’OZNA (Odjel za zaštitu naroda – Sezione della Difesa del
Popolo) a Vines, poi a Lupogliano e a Villa Bassotti. Tra il 4 e 5 ottobre avvenne l’infoibamento di Norma Cossetto insieme ad altri prigionieri italiani
nei dintorni di Antignana.
Già il 13 settembre, a Pisino, il Comitato popolare di liberazione della
Croazia, formato da elementi slavi e italiani, proclamò l’annessione dell’Istria
alla “madre Croazia” inserita nella nuova Jugoslavia Popolare9. Da questo
momento in poi iniziarono ad aumentare nei dintorni di molte località
La seconda guerra mondiale a Fiume e dintorni 31
9 I maggiori esponenti in quei giorni del Comitato popolare di liberazione istriano erano lo sloveno Viktor Dobrila e i croati Ivan Motika, Silvo Milčenić-Lovro e Franjo Segulin.
istriane le efferate uccisioni di italiani nelle foibe10. Lo storico croato di
origini macedoni Darko Đukovski, riguardo ai fatti istriani, sottolinea la
mancanza di organizzazione dei partigiani comunisti jugoslavi, che stentavano a prendere saldamente la guida della rivolta anti-italiana e nello
stesso tempo decidevano in maniera drastica e spietata la sorte dei prigionieri. Come riportato anche dallo storico polese Gaetano La Perna, il movimento armato partigiano jugoslavo poté svilupparsi in Istria in ritardo e
in tempi stretti, così da risultare molto vulnerabile al primo attacco concentrico dei tedeschi:
Nel fiumano e in Istria, infatti, fino all’estate del 1943 non ci furono le
condizioni per la nascita e per la sopravvivenza di nuclei armati, inseriti
in un movimento organizzato, che potessero svolgere azioni di guerriglia, sia pur limitate […]. Solo dopo il 25 luglio, ma soprattutto dopo l’8
settembre, la situazione generale mutò radicalmente […]. Stando alla
versione ufficiale, fornita dalla storiografia di regime e diffusa dalla propaganda slava, la lotta armata nella penisola istriana sarebbe iniziata fin
dal 1941-1942. Questa affermazione, mai storicamente provata, è stata
recepita acriticamente dagli autori italiani che hanno contribuito a diffonderla e ad avvalorarla.11
In effetti, tra il 1941 e il 1942 non si registrano in Istria azioni partigiane di particolare importanza per lo scarso radicamento su quel territorio del MPLJ. Del resto, non poteva essere diversamente in quanto il movimento di Tito in quel periodo stentava ad imporsi sul piano militare e
32 Marino Micich
10 Cfr. sul tema delle foibe: Guido Rumici, Infoibati (1943-45), Milano 2002, Mursia; Gianni
Oliva, Foibe, Milano 2002, Mondatori; Raoul Pupo e Roberto Spazzali, Foibe, Milano 2003,
Bruno Mondadori; Elio Apih, Le foibe giuliane, Gorizia 2010, Leg; Vincenzo M. De Luca, Foibe.
Una tragedia annunciata, Roma 2012, Settimo Sigillo; Giuseppina Mellace, Una grande tragedia
dimenticata. La vera storia delle foibe, Roma 2014, Newton Compton; Giovanni Stelli, “Le foibe
in Venezia Giulia e Dalmazia un caso di epurazione preventiva”, in A. Ballarini et al., Venezia
Giulia Fiume Dalmazia, Le foibe, l’esodo, la memoria, Roma 2015, Associazione per la cultura
fiumana istriana dalmata nel Lazio. Rimasero vittime della giustizia sommaria partigiana nel
settembre 1943 circa 500 italiani, secondo fonti italiane, e solo 350 secondo lo studioso croato
Antun Giron, Zapadna Hrvatska u Drugom Svjetskom ratu, Rijeka-Fiume 2004, Adamić, p. 207.
Vedi anche R. Pupo, Il lungo esodo – Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Milano 2005, Rizzoli,
p. 75: “Il quadro che si offre all’analisi storica è dunque decisamente articolato, perché nei fatti
dell’autunno del 1943 sembrano intrecciarsi più logiche: giustizialismo sommario e tumultuoso,
parossismo nazionalista, rivalse sociali e faide paesane, oltre a un disegno di sradicamento del
potere italiano – attraverso la decimazione della classe dirigente – come precondizione per spianare la via a un contropotere partigiano slavo che si presentasse in primo luogo come vendicatore dei torti individuali e storici subiti dai croati dell’Istria.”
11 Gaetano La Perna, Pola-Istria-Fiume 1943-1945. La lenta agonia di un lembo d’Italia, Milano
1993, Mursia, p. 151.
organizzativo in altre zone, tanto che solo il 5 novembre 1942 riuscì ufficialmente a costituirsi a Bihać (Bosnia occidentale) un esercito unitario
che prese il nome di Esercito popolare di liberazione dei distaccamenti
partigiani della Jugoslavia (EPLJ). Il 26 novembre fu poi costituito il Consiglio Antifascista di Liberazione Popolare della Jugoslavia (AVNOJ), organo di csordinamento fondamentale per ogni decisione futura. Infine, solo
ai primi di dicembre 1942 la Gran Bretagna riconosceva al MPLJ il ruolo
di alleato nella lotta contro l’Asse, mantenendo però anche il riconoscimento del governo monarchico jugoslavo in esilio a Londra, che in Ivan
Šubašić aveva l’uomo di riferimento. La composizione iniziale dell’AVNOJ
dava l’impressione che il MPLJ non fosse solo uno strumento di rivoluzione
sociale, ma l’espressione di vaste aspirazioni popolari e perfino di principi
democratici.
Infatti il Consiglio, sotto la presidenza di Ivan Ribar, l’ex presidente dell’Assemblea Costituente jugoslava, pubblicò un documento che confermava
la sua intenzione di continuare la lotta armata contro l’Asse e con tutti i
mezzi disponibili, riconosceva i diritti nazionali dei serbi, dei croati, degli
sloveni e dei macedoni e garantiva “l’inviolabilità della proprietà privata
[…] e si impegnava a fare in modo che “tutte le più importanti questioni
della vita sociale e dell’organizzazione dello stato fossero risolte dal popolo
stesso attraverso rappresentanti che sarebbero stati effettivamente eletti
dal popolo dopo la guerra”.12
Mantenere un equilibrio tra le parti politiche e le varie etnie, promettere libere elezioni a guerra finita da parte di Tito era una scelta tattica, per avere l’appoggio da parte britannica, la quale proteggeva il re
serbo a Londa. A guerra finita il vero volto autoritario e antidemocratico
della componente comunista non tardò ad imporsi con i soprusi e la violenza nei confronti degli altri partiti, che avevano pur contribuito alla
lotta contro il nazismo e il fascismo.13
Con riferimento alle eliminazioni nelle foibe, Đukovski a sua volta, utilizza una interessante testimonianza diretta per descrivere l’azione frettolosa e arbitraria svolta dalle autorità partigiane in quei frangenti. Si tratta
della testimonianza di Anton Gregorović, giudice istruttore presso il coLa seconda guerra mondiale a Fiume e dintorni 33
12 H.C. Darby, R.W. Seton Watson, P. Auty, R.G.D. Laffan, S. Clissold, Storia della Jugoslavia,
Torino 1969, Einaudi, p. 247.
13 Ricordo che con l’accordo di Lissa del 16 giugno 1944, fra Tito e Šubašić, il governo in
esilio di re Pietro II di Jugoslavia – rappresentato dal primo ministro Ivan Šubašić – riconobbe come esercito regolare del paese l’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia comandato da Josip Broz Tito, in cambio di un impegno di quest’ultimo ad aderire a un governo di coalizione a guerra finita.
mando delle unità partigiane di Pisino, arrestato dai tedeschi il 15 ottobre
a Pola. Gregorović rivelò alla Gestapo come si erano svolti i processi e le
procedure di eliminazione adottate nei confronti dei prigionieri. Vi era
molta confusione nell’azione del MPLJ, amplificata da decisioni arbitrarie
prese da alcuni esponenti comunisti croati, che si ispiravano al modello
bolscevico della violenza rivoluzionaria. Una buona parte delle persone catturate furono, secondo Gregorović, rinchiuse nel castello di Pisino per essere processate, ma per ragioni ancora non chiare il risultato fu che la maggior parte dei prigionieri venne eliminata nelle foibe o tramite fucilazione
presso alcune cave di bauxite presenti in quella zona. Đukovski sostiene
che la decisione degli arresti era stata presa dai vertici del MPLJ e non era
certo stata arbitraria:
Gli arresti non furono eseguiti arbitrariamente dai comandi partigiani
locali oppure per iniziativa dei singoli, bensì secondo le decisioni degli
organi centrali del Mpl dell’Istria, per quanto non vadano escluse delle
eccezioni.14
Da una relazione di un dirigente comunista croato di Sussak, Zvonko
Babić-Žulje, riportata dallo storico croato Antun Giron nel 1983, si evince
che la lotta contro i “nemici del popolo” era stata condotta in modo ineguale: in molte località l’azione di repressione partigiana era stata blanda
e insufficiente, mentre in altre era stata radicale. Nelle località di Gimino
e di Parenzo (zone sottoposte al comando di Ivan Motika) Babić-Žulje sottolineava che la popolazione, alla fine di ottobre del 1943, dopo l’efficace
intervento armato tedesco, era molto impaurita e non aveva fiducia nelle
possibilità di vittoria del movimento partigiano. Babić-Žulje annotò, in
quel periodo, la perdita di oltre 2.500 persone di etnia slava in Istria, morte
sotto i bombardamenti o uccise durante le azioni di rappresaglia tedesche,
precisando inoltre che, durante l’insurrezione armata, non furono creati
dai partigiani campi di concentramento per prigionieri e che i “nemici del
popolo” erano stati puniti con la morte15.
Da queste dichiarazioni di fonte partigiana si può evincere che la lotta
in Istria contro gli italiani, considerando tutti i limiti del caso, fu sostanzialmente capeggiata da partigiani comunisti del MPLJ, affiancati da un
modesto numero di altri elementi insorti. Per tali presenze si è parlato di
una rivolta in stile jaquerie, ma l’atteggiamento spontaneo e insurrezionale
34 Marino Micich
14 Darko Đukovski, “Le foibe istriane 1943”, in Jože Pirjevec, Foibe. Una storia d’Italia, Torino
2009, Einaudi, pp. 238-240.
15 A. Giron, Izviještaj Zvonka Babića-Žulje o prilikama u Istri krajem Listopada 1943. Godine, in
Vjesnik historijskih arhiva u Rijeci i Pazinu, vol. XXVI, 1983, pp. 159-164.
da parte delle popolazioni slave contro le istituzioni e i rappresentanti del
governo italiano è da escludere, nonostante ciò venga asserito dalla maggior parte degli storici jugoslavi di allora e da alcuni studiosi italiani che
si sono acriticamente basati su tali ricostruzioni. A questo riguardo risulta,
a mio avviso, sempre valida l’analisi di La Perna:
Riferendosi agli eventi che nella provincia dell’Istria accaddero subito
dopo la proclamazione dell’armistizio, tutte le fonti slave, riportando
quella che è la versione storica ufficiale data dal regime e unanimemente
accolta, sostengono che l’occupazione partigiana si sviluppò nel corso
di una situazione insurrezionale che vide la partecipazione spontanea e
generale di tutta la popolazione. Tale versione dei fatti la si può trovare
altresì in molti autori italiani che da quelle fonti l’hanno desunta, accettandola acriticamente e senza riserve. Alla luce di un’attenta analisi e di
una puntuale valutazione delle vicende storiche di quei giorni, non si
può di certo condividere un tale modo di interpretare gli eventi, apparendo per lo meno improprio definire “insurrezione” quanto avvenne in
Istria dopo l’8 settembre 1943.16
Ci fu, in realtà, quasi sempre una «regia» dall’alto dei vertici del MPLJ
in ogni fase della lotta, ma che tale coordinamento abbia sempre funzionato
bene, rispondendo cioè alle attese dei dirigenti comunisti, è un altro discorso.
Franco Cecotti sembra più propenso a riconoscere un clima insurrezionale
spontaneo diffuso, senza però escludere una presenza, seppur poco efficace,
del MPLJ sin dalle prime fasi della rivolta:
L’insurrezione istriana del 1943 fu caotica e confusa, con diversi centri di
iniziativa e scarsa coordinazione, tanto che alcune località sono ricordate
per le numerose vittime, mentre in altre aree le vittime furono limitate o
nessuna; se l’immagine di un’insurrezione in gran parte improvvisata e favorita dalle circostanze è sicuramente fondata, altrettanto indubbia è la
presenza di un progetto politico diretto dal MPLJ, come si desume dal proclama, diffuso a Pisino il 13 settembre, con cui si dichiarava l’annessione
dell’Istria alla madrepatria croata.17
Per quanto riguarda la guida della rivolta contro le autorità fasciste
in Istria e le responsabilità degli infoibamenti sono molto interessanti e
appropriate le valutazioni dello storico triestino Elio Apih, il quale ricorda
che lo stesso capo partigiano Ljubo Drndić si era recato sin dal 1941 in
La seconda guerra mondiale a Fiume e dintorni 35
16 G. La Perna, Op. cit., p. 165. 17 F. Ceccotti in Il Giorno del Ricordo – La tragedia delle foibe, a cura di Pierluigi Pallante, Roma
2007, Editori Riuniti, p. 179.
Istria, insieme ad altri esponenti del MPLJ, per guidare il processo di insurrezione contro gli italiani. Apih conferma che le decisioni più importanti, riguardanti il destino dei prigionieri, venivano prese sempre dai dirigenti del Partito comunista jugoslavo. La costante presenza in Istria di
elementi comunisti organizzati, come già ricordato in precedenza, conduce alla considerazione che ogni atto di rivolta sia partito da nuclei strutturati e che le prime eliminazioni in massa di «nemici del popolo» vadano
attribuite ai Comitati popolari del MPLJ e non a un giustizialismo improvvisato, frutto di una sommossa popolare. Apih a questo riguardo si
esprime così:
[…] ne parla anche Ljubo Drndić, con qualche precisazione in merito
alla legittimità di quelle liquidazioni: “Quale organismo del Potere popolare rivoluzionario, il Comitato Popolare di Liberazione di Rovigno
diramò l’ordinanza per l’arresto dei più incalliti fascisti […]. Nel carcere
locale vennero subito interrogati, quindi inviati a Pisino, dove, insieme
con altri fascisti italiani e croati, furono processati dal Tribunale del popolo prima dell’arrivo dei nazisti. Così i comunisti e antifascisti croati e
italiani dell’Istria, per mezzo dei legittimi organi del Potere popolare rivoluzionario e del Tribunale militare, processarono i criminali fascisti
croati e italiani insieme. E questo smentisce decisamente – anche se ci
furono degli eccessi che era quasi impossibile evitare in quella situazione
– le falsificazioni costruite in seguito con una campagna tendenziosa e
isterica sulle pretese vendette della popolazione croata dell’Istria su
quella italiana.”18
In contrasto con la tesi dell’insurrezione popolare, caratterizzata da
azioni spontanee, può intendersi anche il parere dello storico croato Antun
Giron, il quale afferma che gli arresti e i successivi infoibamenti non avvenivano in maniera «spontanea» o come semplice frutto di decisioni prese da
singoli individui indignati contro il potere fascista, bensì erano atti eseguiti
sulla base di decisioni prese verosimilmente dal Comando militare istriano
del MPLJ:
36 Marino Micich
18 E. Apih, Op. cit., p. 41. V. anche G. Stelli, Op. cit., pp. 18-24, 21: “Per comprendere fino a che
punto qualsiasi forma di «spontaneismo» fosse temuta e decisamente scoraggiata dai comunisti
jugoslavi – coerentemente, del resto, alla concezione leninista del partito come reparto d’avanguardia a cui spetta la direzione delle masse – è utile leggere la circolare organizzativa emanata
il 29 agosto 1944 dalla Sezione italiana del Comitato circondariale per il litorale del PCC [Partito
Comunista Croato]: vengono date disposizioni puntuali per l’accensione di falò propagandistici
e perfino per le scritte murali, che dovevano essere scelte unicamente da un elenco allegato di
32 scritte e realizzate usando una «tinta buona e resistente» e «con un certo garbo». In realtà
in tutte e tre le fasi – nel 1943, nel 1944 e nel 1945 – la repressione fu condotta nel complesso
in modo pianificato e organizzato”.
La seconda guerra mondiale a Fiume e dintorni 37
Intendenza civile per i territori annessi del Fiumano e della Kupa istituita
nell’aprile del 1941 dopo la resa della Jugoslavia
Gli arresti che venivano eseguiti non erano decisi autonomamente dai comandi partigiani locali oppure da singoli elementi, bensì erano azioni attuate
sulla base di decisioni degli organi territoriali del Comitato popolare di Liberazione dell’Istria e più verosimilmente del Comando territoriale istriano […
]. Il maggior numero degli arrestati fu ucciso e gettato nelle foibe.19
In base a quanto riportato da Giron si può chiaramente evincere che esistesse, ben prima della proclamata resa italiana, un’organizzazione comunista jugoslava in Istria che aveva stilato elenchi di persone e studiato con
precisione anche le modalità di attuazione dei metodi punitivi. La decisione
di eliminare mediante fucilazione o «infoibamento» i prigionieri era chiaramente una prerogativa dei «Tribunali popolari» in mano ai comunisti. Tuttavia, nella realtà dei fatti le eliminazioni iniziarono ad avvenire in maniera
frettolosa e di massa, senza adeguati processi, per via dell’incalzare minaccioso delle forze militari germaniche, e anche in maniera preventiva, onde
evitare future azioni giudiziarie nel caso il territorio istriano fosse tornato,
dopo la guerra, sotto giurisdizione italiana.
L’intervento armato tedesco fu reso ufficialmente operativo il 10 settembre
1943, quando a Berlino fu avviata la costituzione della nuova zona di operazioni
militari nel Litorale Adriatico, per limitare i danni provocati dal crollo politico
e militare italiano, i cui effetti sul territorio istriano si stavano drammaticamente
verificando. Da parte fascista si stava intanto pensando alla riorganizzazione
armata e istituzionale che si sarebbe presto concretizzata, dopo la liberazione
di Mussolini avvenuta il 12 settembre, con l’idea di formare la Repubblica Sociale Italiana (RSI), che iniziò ufficialmente a operare il 23 settembre20.
Nel settore balcanico decine di migliaia di soldati italiani, rimasti senza
ordini, minacciati dai tedeschi e soprattutto accerchiati dai reparti partigiani
jugoslavi, abbandonarono le armi cercando di raggiungere la penisola italiana. Il clima generale di disorientamento travolse ogni settore dell’esercito
regio italiano. Tra il 9 e il 10 di settembre i tedeschi erano già entrati a Trieste
e l’11 settembre a Gorizia; fra il 15 e 16 settembre erano ormai padroni dei
centri istriani costieri più importanti, dai quali si sarebbero mossi verso la
fine di settembre per attaccare i reparti dei partigiani attestati nei boschi e
nelle zone montuose dell’Istria.
Il Feldmaresciallo Erwin Rommel, per debellare definitivamente la presenza partigiana nel Litorale Adriatico, aveva varato l’operazione denominata
38 Marino Micich
19 A. Giron, Zapadna Hrvatska … cit., p. 206: “Provedena uhićenja nisu, dakle, bila iz samovolje
lokalnih partizanskih komanda ili pak pojedinaca, već su ona bila izvršena na temelju odluke
središnjih organa NOP-a Istre, najvjerojatnije Komande Istarskog podrućje […] Najveći je broj
uhičenih bio pogubljen i baćen u fojbi” 20 Per una storia completa della Repubblica di Salò cfr. Frederick William Deakin, Storia della
repubblica di Salò, I e II vol., Torino 1963, Einaudi.
“Wolkenbruch”, che scattò nella notte del 1° ottobre. L’azione militare fu sostenuta principalmente dal corpo corazzato SS Panzerarmee, comandato dal
generale Paul Hausser, costituito in gran parte da reparti appartenenti alla
divisione SS Prinz Eugen. All’offensiva armata germanica parteciparono
anche i primi nuclei armati della RSI. Intorno alla metà di ottobre le truppe
tedesche riuscirono a debellare con determinazione le milizie partigiane dei
comunisti jugoslavi, alle quali si erano aggregati alcuni sparuti gruppi di combattenti antifascisti italiani21. Molto alto fu il prezzo pagato in quel breve periodo dalle popolazioni civili slavo-istriane, rimaste vittime delle dure rappresaglie tedesche. Sull’Istria si era abbattuto un uragano di fuoco e fiamme
che aveva seminato distruzione e lutti ovunque. In base ad autorevoli fonti
jugoslave, dal settembre 1943 ai primi di maggio del 1945 l’esercito tedesco
e le forze collaborazioniste causarono in Istria e nel fiumano un totale di circa
3.000-3.500 morti fra i partigiani e i civili, mentre almeno 2.500 furono coloro
che subirono la deportazione22.
Lo storico Guido Rumici, in relazione alle perdite umane da parte slava avvenute durante l’operazione “Wolckenbruch”, propone una cifra di circa 2.500
individui, soprattutto civili, mentre fonti tedesche parlano di oltre 4.000 uccisi23.
Secondo un bollettino dell’Oberkommando tedesco, pubblicato da Stefano Di
Giusto nel suo libro, ci sarebbero state circa 3.200 perdite partigiane per il periodo che va dal 25 settembre al 5 ottobre 1943. Si tratta, però, di un dato sempre
provvisorio e che riguarda non solo l’Istria ma anche il territorio goriziano24.
Per quanto riguarda la parte italiana le cifre delle vittime più o meno combaciano sia nelle fonti storiografiche italiane che in quelle tedesche e croate. Le
violenze e le uccisioni, perpetrate dai partigiani jugoslavi affiancati in alcuni
casi da elementi comunisti italiani, avevano diffuso un clima di terrore e di disperazione25. Galliano Fogar così descrive le vittime ritrovate nelle foibe:
La seconda guerra mondiale a Fiume e dintorni 39
21 G. La Perna, Op. cit., pp. 198-205. 22 I dati pubblicati in Enciklopedija Jugoslavije, L.Z. FNRJ, Zagabria 1960, vol. IV, sono stati ultimamente ripresi da J. Pirjevec, Op. cit., p. 73; Babic-Zulje, come riportato a pag. 40 di questo
saggio parla di circa 2.500 perdite da parte jugoslava.
23 G. Rumici, Op. cit., p. 150. 24 Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Künstenland, Udine 2005, Istituto friulano
per la storia del movimento di liberazione, pp. 102-103. 25 G. La Perna, Op. cit., pp. 206-237. In base a quanto riportato da La Perna, con i tedeschi avevano combattuto sin dall’inizio anche alcuni reparti italiani, anche se male organizzati e per
certi versi disorientati, almeno fino a quando non si costituì ufficialmente il 23 settembre 1943
la Repubblica Sociale Italiana con a capo Mussolini. Dopo i drammatici scontri del settembre
1943, i reparti della Guardia nazionale repubblicana e della Milizia fascista si riorganizzarono
compiendo fino alla fine della guerra molti atti di valore, ma anche spietate rappresaglie nei
confronti di militari e civili slavi. Successivamente i combattenti della Guardia nazionale furono
irreggimentati in qualità di Milizia di difesa territoriale dai tedeschi, che volevano ridimensionare il ruolo della RSI in tutta la Venezia Giulia. Non era un mistero che i tedeschi avrebbero
potuto, prima o poi, annettere al Reich l’intera zona del Litorale Adriatico.
Gli unici morti “segreti” sono quelli delle “foibe”, ma l’opera faticosa e paziente di una squadra di vigili del fuoco di Pola riesce a riportarne alla luce
una parte, viluppi molli e sformati di corpi pieni di lacerazioni, uomini e
donne anziani e giovani di tutte le generazioni e condizioni sociali, dal gerarca fascista e squadrista, al maestro, al messo comunale, al postino, al
commerciante, all’operaio, alla casalinga.26
Ad ogni modo, l’arrivo in forze dei tedeschi garantì agli italiani una
maggiore protezione e tranquillità. In questo periodo le perdite umane tra
gli italiani furono, secondo fonti italiane attendibili, almeno 50027. Per
quanto riguarda il numero degli uccisi di nazionalità italiana esiste una
cifra precisa in un rapporto del segretario del Partito fascista repubblicano
Luigi Bilucaglia, datato 19 gennaio 1944, in cui si afferma che i partigiani
avevano liquidato 381 persone, di cui sicuramente 349 istriani in maggioranza di etnia italiana28. Tale cifra tuttavia è discutibile ed è a mio avviso
piuttosto riduttiva, perché da un’analisi delle località da dove provenivano
o in cui furono ritrovate le vittime indicate nell’elenco di Bilucaglia non
sembrano esserci quelle del territorio di Albona e delle cittadine di Abbazia
e di Laurana.
Ercole Miani, partigiano repubblicano e membro autorevole del Comitato di Liberazione Nazionale Giuliano (CLNG), denunciò più volte il cattivo
operato dei partigiani di Tito per i saccheggi e le atrocità compiute soprattutto contro gli italiani. Molti furono i casi in cui vennero colpite persone innocenti29. L’azione politica dei vari Comitati di Liberazione Nazionale (CLN)
fu di norma controllata anche da parte degli angloamericani, che temevano
la deriva politica a fine guerra della forte componente comunista in essi presente e cercavano di limitarne l’operatività in campo militare. Questa situazione di svantaggio dei CLN italiani alla frontiera viene anche ricordata dal
senatore comunista, di origini istriane, Paolo Sema:
I Comitati di Liberazione si costituiscono localmente (province e comuni)
e operano sulla linea tracciata dal Centro di Roma e da quello di Milano.
Questi comitati spesso non avranno vita facile. Gli Alleati, soprattutto la
Gran Bretagna di Churchill, non li aiutano troppo, così come non aiute40 Marino Micich
26 Galliano Fogar, Sotto l’occupazione nazista nelle provincie orientali, Udine 1961, Del Bianco,
pp. 66-67.
27 R. Pupo e R. Spazzali, Op. cit., p. 26: ”Per quanto riguarda gli eccidi perpetrati in Istria nel
settembre-ottobre 1943, sappiamo che nel corso di 31 esplorazioni ufficiali in cavità naturali e
artificiali, vennero recuperate 217 salme (116 civili e 18 militari accertati) ma il numero degli
scomparsi fu certo superiore, e alcune fonti lo indicano in 500 persone”.
28 A. Giron, Zapadna Hrvatska … cit., p. 207. 29 Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione del Friuli-Venezia Giulia, Archivio, Fondo Venezia Giulia, b.v, doc. n. 347.
ranno con i lanci di paracadute i partigiani garibaldini, il cui rifornimento è quasi irrisorio se paragonato ai materiali di ogni genere, armi,
munizioni, esplosivi, equipaggiamento, ecc. forniti alla Resistenza francese o jugoslava30.
Era quindi evidente quanto fosse difficile per i partigiani italiani della
Venezia Giulia, impegnati nella lotta antifascista, difendere efficacemente
allo stesso tempo anche le istanze di carattere nazionale, perché i condizionamenti esterni, più di quelli interni, erano troppo pesanti. Per la maggior
parte dei partigiani italiani di fede comunista dell’Istria e di Fiume la lotta
contro il nazismo e il fascismo era ideologicamente collegata ai principi dell’internazionalismo comunista, secondo i quali la questione territoriale e nazionale risultava essere di secondaria importanza; così non era per gli attivisti
del MPLJ, che miravano non solo al raggiungimento degli obiettivi rivoluzionari ma anche all’espansione territoriale del nuovo Stato jugoslavo ai danni
dell’Italia. Il MPLJ già dal novembre 1942 aveva iniziato a presentarsi nei vari
territori come espressione di un patriottismo a larga base popolare e non come
uno strumento esclusivo della rivoluzione comunista. Tale impostazione tattica
portò nuovi, seppur graduali, consensi a Tito e al suo gruppo dirigente.
3. L’8 settembre 1943 a Fiume: emergenza e difesa della città dall’invasione partigiana jugoslava
A Fiume, l’8 settembre 1943 non si verificò quel pericoloso vuoto di potere che si venne a creare in quasi tutta l’Istria, ad eccezione di Pola. Quest’ultima, in effetti, non cadde in mano partigiana, nonostante il 9 settembre
le navi della marina italiana avessero abbandonato la città lasciando per
giunta a terra diverse migliaia di soldati italiani sbandati, che cercavano di
imbarcarsi per la penisola. Il motivo principale che impedì ai partigiani jugoslavi di entrare a Pola fu la presenza di circa 350 marinai tedeschi presenti
nella caserma di Scoglio Olivi, che si erano preparati a resistere contro un
eventuale attacco. L’11 settembre le prime unità tedesche della 71° divisione
fanteria si erano già saldamente attestate nel centro cittadino e negli immediati dintorni. Tutti i militari italiani con i loro comandanti furono inviati
nei campi di concentramento in Germania. A Zara, come già ricordato in
precedenza, occupata il 9 settembre 1943 da truppe tedesche, fu invece impedita l’entrata in città a reparti di ustascia croati. Sorse il 17 settembre, su
iniziativa italiana e dietro benestare tedesco, la compagnia di studenti uniLa seconda guerra mondiale a Fiume e dintorni 41
30 Paolo Sema, Siamo rimasti soli – I comunisti del PCI nell’Istria occidentale dal 1943 al 1946,
Gorizia 2004, Leg, p. 21.
versitari “Antonio Vukassina” fondata da Enzo Drago. Tale compagnia contrastò più volte ogni tentativo croato di entrare in città con propri reparti armata e di conseguenza le autorità tedesche comunicarono al governo di Pavelić che Zara rimaneva sotto controllo germanico con un prefetto italiano,
Vincenzo Serrentino31.
Ormai si temeva il peggio anche a Fiume. L’annuncio di Badoglio, tuttavia, non aveva sorpreso completamente l’autorità militare presente in città.
Il territorio circostante di Fiume e del litorale croato, come già accennato in
precedenza, era sotto il Comando del generale Antonio Scuero, comandante
del V Corpo d’Armata con sede a Cirquenizza, mentre al generale Michele
Rolla, comandante del V Raggruppamento Guardie alla Frontiera, spettava
la responsabilità della difesa del porto e della piazza di Fiume-Sussak.
Il generale Rolla, già qualche giorno prima dell’annuncio della resa
italiana, il 5 settembre, dopo aver ricevuto ordini dallo Stato Maggiore
dell’esercito, aveva impartito disposizioni per presidiare i punti nevralgici
della città assieme a tutti gli edifici più importanti, i ponti sull’Eneo e i
consolati di Germania e di Croazia; fu ordinato anche il fermo preventivo
di esponenti del governo croato dello Stato Indipendente di Croazia, che
si trovavano a Fiume insieme ad alti ufficiali tedeschi. Gli ustascia vennero
di conseguenza mandati, insieme agli addetti militari tedeschi presso la II
Armata italiana, a Lussinpiccolo, dove si trovava il generale Mario Robotti
il quale, come vedremo in seguito, aveva lasciato al generale Gastone Gambara le consegne a Fiume. L’11 settembre la II Armata venne sciolta e, per
non creare ulteriori complicazioni, ai fermati croati e tedeschi fu permesso
il ritorno a Fiume32.
Ad insospettire i generali italiani sulle intenzioni croate e quindi a deciderne l’arresto di esponenti ustascia presenti a Fiume erano state le dichiarazioni annesioniste di Ante Pavelić.
In quei giorni, prima dell’arrivo di Gambara, il generale Rolla aveva probabilmente in mente di promuovere un attacco contro i tedeschi, come si desume dalla “Memoria n. 44”, che prevedeva un’azione contro le divisioni tedesche da parte della 2a e dell’8a armata italiana, ambedue dislocate nel
territorio fiumano-quarnerino e nel Friuli33. La 71a Divisione di fanteria ger42 Marino Micich
31 Luciano Monzali, Gli italiani di Dalmazia e le relazioni italo-jugoslave nel Novecento, Venezia
2015, Marsilio, pp. 418 sg.
32 Si trova conferma di questi fatti, finora poco noti, nei promemoria di Oskar Turina (segretario
e capo dell’amministrazione civile dello Stato croato indipendente filonazista) pubblicati in
Antun Giron e Petar Strčić, Poglavnikom Vojnom Uredu, Fiume-Rijeka 1993, Povjesno Društvo
Rijeka, p. 33.
33 V.M. De Luca, Op. cit., p. 99: “La Memoria 44 ovverosia una serie di direttive strategiche che
il Comando Supremo delle forze militari italiane emanò nelle note del 2 settembre 1943 a tutti
i comandi di grandi unità”.
La seconda guerra mondiale a Fiume e dintorni 43
Volantino emesso dal generale Gambara (settembre 1943)
manica in marcia verso la Venezia Giulia doveva essere in qualche modo fronteggiata, quanto meno ostacolata nella sua minacciosa avanzata in territorio
italiano; di questa opinione erano i vertici militari italiani fedeli al re Vittorio
Emanuele. Infatti il 9 e 10 settembre alcuni reparti della 71a Divisione germanica si scontrarono, avendo la meglio, nelle vicinanze di Gorizia contro
un battaglione dell’82° reggimento di fanteria della Divisione “Torino” comandata dal generale Bruno Malaguti. Contro i tedeschi in quell’occasione
si schierarono anche alcuni settori della Guardia di frontiera e una Brigata
Proletaria formata da operai monfalconesi e da partigiani sloveni. Invece, per
riprendere il controllo su Gorizia, dove imperversavano dal 9 settembre alcune bande partigiane, i tedeschi trovarono l’appoggio dell’88a compagnia
controcarro dell’8° Alpini, comandata dal capitano Giovanni Vittorio, riequipaggiata e inviata poi a metà ottobre 1943 negli immediati dintorni di
Fiume34. Come vediamo l’atteggiamento dei militari italiani verso i tedeschi
era ancora incerto.
Mentre in Istria era in corso l’azione armata partigiana, a Fiume le
truppe italiane si preparavano ad affrontare l’imminente tentativo di occupazione da parte di raggruppamenti armati di partigiani slavi provenienti
dalla vicina Sussak. L’ispettore generale di Pubblica Sicurezza Vercelli riportò
il 9 settembre 1943, nella sua ordinanza di servizio, alcune utili informazioni
sulla situazione in città:
È da tener presente, in ogni contingenza, che la direzione dell’ordine pubblico
è affidata all’Autorità Militare e precisamente al Generale Rolla […] La
Squadra Politica dalle ore in poi terrà un agente in ciascuno dei posti appresso indicati: 1) Consolato Germanico ed attigua Casa Germanica; 2) Consolato Croato; 3) Piazza Dante; 4) Piazza Regina Elena con l’obbligo di segnalare immediatamente ogni movimento o indizio sospetto. Tali servizi
saranno controllati dal Commissario Agg. dott. Palatucci […] Al fine di evitare
ogni possibilità di equivoci, ripeto che la direzione dei servizi d’ordine pubblico è affidata all’Autorità Militare e pertanto i funzionari ed agenti si manterranno in qualsiasi occasione in stretto contatto con le predette autorità,
salvo naturalmente casi di inevitabile e immediata necessità. È ovvio rammentare che il grave momento che attraversa la Patria nostra e la delicatissima situazione di questa Provincia, esposta ad immediati pericolosi attacchi
di sorpresa, richiede che tutti i funzionari impiegati ed agenti facciano il loro
dovere con la massima abnegazione e ogni avvedutezza.35
44 Marino Micich
34 Fulvio Rocco, Raoul Sperber: gli alpini a Fiume e la Resistenza, in Fiume. Rivista studi adriatici,
n. 17, gennaio-giugno 2008, pp. 43-46.
35 Archivio statale di Fiume-Rijeka (ASFR), Fondo Riječka Prefektura, sv. 17. Notizie tratte dall’ordinanza di servizio, datata 9 settembre 1943, dell’Ispettore generale di Pubblica Sicurezza
reggente dott. Pietro Vercelli.
Dal rapporto di Vercelli appare chiaro che la situazione politico-militare
era in mano all’esercito italiano. Inoltre, a favore degli italiani, va considerato
il fatto che il numero di soldati sbandati ancora armati giunti a Fiume, tra il
9 e il 14 settembre 1943, era piuttosto alto ed essi, in caso di uno sfondamento
partigiano slavo da Sussak, avrebbero potuto ricoprire un ruolo di estrema
difesa da non sottovalutare36. Il 9 settembre Rolla, con l’ausilio dei carabinieri, affrontò con decisione una manifestazione interna del “Fronte unico
antifascista”, organizzata soprattutto da elementi comunisti italiani e slavi
per perorare la liberazione dalle carceri dei detenuti politici37. Secondo la ricostruzione di Ermanno Solieri detto Marino ci furono quattro feriti e un
morto tra i dimostranti. Solieri, agli inizi del 1943 era stato inviato dalla Federazione giuliana del Partito Comunista Italiano (PCI) di Trieste per dirigere
l’organizzazione comunista fiumana e cercare di stabilire una cooperazione
con i comunisti croati e sloveni:
9 settembre […] Alle 20 sono in Piazza Dante. Cominciano ad affluire gli
organizzati. Alle 20.30 precise si forma il corteo al grido: Fuori i tedeschi,
vogliamo liberi i detenuti politici! La manifestazione riesce bene. Sotto il
Consolato tedesco e davanti al carcere (del quale vanno a pezzi le finestre
ed il portone sfondato). Interviene la polizia che carica, spara, lancia alcune
bombe: quattro feriti – un morto!38
A conferma dei fatti di via Roma riportati da Solieri vi sono alcune
notizie riprese da Mario Dassovich39 e altre riscontrabili in un articolo della
“Vedetta d’Italia” dell’11 settembre:
ALTRE PERSONE FERITE – in una serie di incidenti nelle adiacenze di
via Roma – In una serie di incidenti verificatisi iersera e causati da elementi
irresponsabili nei pressi di via Roma, sono rimaste ferite le seguenti persone: Marcellino Roncan […] Guido Caro […] Giovanni Buicich il quale è
stato ferito gravemente al cuore.
Sempre il 9 settembre, una guarnigione di soldati italiani fu schierata
lungo la vecchia frontiera tra Fiume e Sussak, per impedire eventuali ingressi a Fiume da parte dei partigiani jugoslavi. Quel 9 settembre, mentre
La seconda guerra mondiale a Fiume e dintorni 45
36 G. La Perna, Op. cit., p. 61. Secondo una fonte croata almeno 14.000 soldati italiani, spogliati
di tutto dai partigiani, varcarono l’Eneo, da Sussak a Fiume, dal 10 al 13 settembre 1943: A.
Giron, Ustaše o Rijeci i Sušaku, Dometi 9/10/11, Fiume-Rijeka 1978, Izdavački centar, p. 46. 37 Giacomo Scotti, Juriš Juriš! All’attacco!, Milano 1984, Mursia, pp. 20-22. 38 Lucifero Martini, I protagonisti raccontano, Pola 1983, Centro Ricerche Storiche di Rovigno,
p. 284; L. Giuricin, Op. cit., p. 38 39 M. Dassovich, Op. cit., pp. 58 sg.
il generale Rolla era impegnato nelle operazioni difensive, arrivò in città,
su incarico del Capo di Stato Maggiore Mario Roatta, il generale Gastone
Gambara (il quale aveva tenuto fino a poco tempo prima il comando dell’XI
Corpo d’Armata di stanza a Lubiana), che istituì immediatamente un Comando militare per affrontare la grave situazione. Gambara si recò poi a
Sussak per incontrare il generale Mario Robotti, comandante della II armata, il quale, sentendosi ormai esautorato, gli cedette il comando. La situazione politica e militare era incandescente. I partigiani presero possesso
di Sussak sin dal pomeriggio del 10 settembre e non c’era da perdere tempo
nell’organizzare la difesa lungo l’Eneo.
Nella giornata del 10 settembre a difesa di Fiume furono immediatamente schierati il Reggimento Cavalleggeri di Saluzzo ripiegato da Porto Re
(unico reparto in tutta la II Armata ad essere riuscito a giungere a Fiume in
perfetto ordine e bene armato), qualche centinaio di Camicie Nere del 61°
battaglione della disciolta Milizia di Sicurezza Nazionale (MVSN), un battaglione della Milizia confinaria e nuclei di finanzieri, di carabinieri e di poliziotti della questura locale, in tutto poco più di un migliaio di uomini40. La
risolutezza di Gambara, in effetti, giovò anche alla popolazione italiana di
Fiume, che versava in grande pericolo, considerando quanto stava avvenendo
nella vicina Istria. Il generale Robotti, dopo aver fatto in fretta e furia le dovute consegne a Gambara, la sera del 10 settembre era giunto a Lussinpiccolo
a bordo del panfilo “Daino”.
L’11 settembre Gambara, dopo aver considerato le gravissime difficoltà in cui versavano le truppe italiane e l’ormai avvenuta occupazione di
Sussak da parte dei partigiani jugoslavi, comunicava a Robotti di aver concesso, stabilendo delle precise condizioni, ad alcuni reparti tedeschi di entrare a Fiume. Il generale Robotti, ormai in procinto di sbarcare a Venezia
ed incline alle suggestioni di Badoglio, rimase del tutto indifferente ai messaggi di Gambara. Il problema di Robotti, in quel momento, era di salvare
se stesso e i suoi ufficiali ma, sbarcato nella città lagunare, cadde in mano
ai tedeschi, che lo fermarono per il sospetto di tradimento. Il 12 settembre
fu ufficialmente arrestato e dopo qualche giorno venne inviato in un campo
di prigionia in Germania.
Nello sbandamento più totale in cui versava l’Italia intera, la prontezza
e l’abilità decisionale di Gambara risparmiarono a Fiume l’ondata di violenze
che interessò per oltre un mese e mezzo l’Istria. Tra il 10 e il 12 settembre un
reparto di carabinieri, comandanti di reparti e funzionari statali abbandonarono Fiume con alcuni aerei, indebolendo ulteriormente la presenza italiana.
46 Marino Micich
40 A. Ballarini e M. Sobolevsky, Op. cit., p. 60.
Con l’ausilio dei soldati più fidati, Gambara fece imbarcare su un motopeschereccio diretto in Italia la riserva aurea della Banca d’Italia e successivamente ordinò di far risistemare alcuni campi di concentramento attorno a
Mattuglie, per accogliere temporaneamente la massa di soldati italiani sbandati e giunti a Fiume dalla Croazia. La presenza italiana continuava a diminuire. A lasciare la città c’erano alcune personalità fiumane di spicco tra cui
Edoardo Susmel, fino a quel momento ai vertici della Provincia del Carnaro.
La motonave “Leopardi” salpò l’11 settembre dal porto di Fiume per Venezia
con circa 1.500 persone tra ufficiali, marinai, soldati e civili, seguita da altri
piroscafi più piccoli. Il 12 settembre i tedeschi avevano iniziato la loro avanzata verso Fiume, ma incontrarono da parte jugoslava forti resistenze tra Villa
del Nevoso e la zona circostante, dove furono costretti a ingaggiare duri combattimenti.
Il 12 settembre 1943, da parte di alcuni notabili fiumani tra cui il senatore Icilio Bacci, Oscar Sperber, Giovanni Perini e altri, giunse a Gambara la richiesta, a mezzo lettera, di riunirsi in un Consiglio popolare permanente, che avrebbe collaborato con le autorità militari e civili italiane
fino all’ultima possibilità di salvezza41. Tale richiesta non fu accolta da
Gambara in quanto il 14 settembre entrarono a Fiume le prime truppe tedesche (con alcuni mezzi corazzati e almeno 600 soldati bene armati) e il
giorno dopo si insediò ad Abbazia il comando tedesco della 71a Divisione
di fanteria meccanizzata comandata dal Generalmajor Wilhelm Raapke.
Era ormai chiaro che non si poteva più pensare di imbastire a Fiume alcuna opzione politica o militare senza l’assenso dei tedeschi. Il 15 settembre a suggellare l’intervento germanico giunse in città il Comandante
del 194° Reggimento Granatieri corazzato Lothar Völker, che si sistemò
negli uffici del Silurificio “Whitehead”.
Il colonnello Völker, di aspetto volitivo e dal fare energico, convocò
nella nuova sede per primo il generale Gambara e, congratulandosi con lui
per l’efficacia della sua azione, gli chiese di continuare a collaborare miliLa seconda guerra mondiale a Fiume e dintorni 47
41 Mladen Plovanić, Liburnisti i autonomaši 1943-1944, Dometi, 3-4-5, Rijeka-Fiume, 1980,
p. 59. Plovanić pubblica anche il testo della lettera di Bacci e degli altri notabili tradotto
in croato, che riporto parzialmente in traduzione italiana: “Eccellenza, in questo momento
d’incredibile dolore per la sorte della Patria, invasa e dilaniata dagli stranieri […] la città
di Fiume, l’ultima figlia annessa all’Italia, ma la prima per amore della lingua, dei popoli e
della cultura latina, chiede – dalle bocche dei nostri concittadini – l’onore di tenere alti il
nome e nel cuore la fede della nostra patria. I cittadini firmatari, nel XXIV anniversario
dell’entrata di Gabriele D’Annunzio a Fiume, coscienti del doloroso presente e dell’oscuro
futuro […] chiedono l’onore di riunirsi in Consiglio Popolare permanente, per collaborare
con le autorità civili e militari italiane sino all’ultima possibilità di salvezza. Fiume 12 settembre 1943”.
tarmente. Non avendo altra scelta, Gambara accettò, fino a nuovi ordini,
di rimanere sul posto con le esigue truppe a sua disposizione. Sempre il
15 settembre si costituì un nuovo Comitato cittadino fiumano, composto
da elementi fedeli all’indirizzo fascista: Gino Sirola, Bruno Puhar, Ettore
Rippa, Annone Erbisti, Mario Rora, Adelchi Di Pasquale, Gian Proda e
Lino Poli. Il nuovo Comitato invitò la cittadinanza all’esposizione del tricolore, per far comprendere che i fiumani erano fermamente italiani e fedeli all’alleanza con i tedeschi. L’arrivo dell’esercito tedesco aveva ridato
forza e fiducia ai fascisti fiumani e nel contempo aveva rassicurato la maggior parte della popolazione, che reputava la presenza germanica il male
minore, come racconta l’esule fiumano Bruno Tardivelli:
Stava avanzando da Trieste una colonna celere tedesca. A noi sembrava il
male minore, ci salvava dall’irruzione delle bande slave di partigiani che
ambivano ad entrare in città e che in quel momento temevano la reazione
delle truppe comandate dal generale Gambara arroccate sulle munite difese del colle di santa Caterina.42
Con i tedeschi a Fiume si pose drammaticamente un altro dilemma alle
truppe italiane presenti in città: bisognava decidere da che parte stare. Il 14
settembre erano giunti a Fiume circa 5.500 uomini della Divisione “Murge”
al comando del generale Edoardo Quarra Sito. La Divisione “Murge” proveniva da Segna ed era riuscita non senza difficoltà a raggiungere Fiume; pur
avendo dovuto cedere una parte dell’armamento ai partigiani slavi, era ancora
efficiente. In quei giorni affluirono attraversando Sussak, dopo accordi presi
con i partigiani, altri ventimila soldati italiani sbandati e appartenenti ad altre
divisioni. Ci fu in questo caso, durante la ritirata, la quasi totale cessione delle
armi da parte italiana ai partigiani.
Essendoci stati casi in cui soldati e ufficiali italiani avevano preso le armi
contro i tedeschi, l’arrivo di altri militari italiani non era ben visto dai tedeschi, i quali chiesero a Gambara di disarmarli e quindi di annunciare la deportazione in Germania a coloro che non avessero voluto collaborare con le
forze armate tedesche. Certamente lo schierarsi automaticamente con gli jugoslavi non appariva la scelta migliore da fare per i nostri soldati e quindi la
confusione regnava sovrana. I tedeschi, inflessibili nella loro azione, riuscirono ad avere tra il 14 e il 16 settembre il sopravvento a Sussak. Così racconta
l’attacco tedesco a Sussak un testimone:
48 Marino Micich
42 Resoconto di Bruno Tardivelli, esule fiumano, apparso su L’Arena di Pola, n. 3, 24.3.2011, p. 6.
Il giorno 14 settembre i partigiani slavi fecero saltare i ponti che collegavano Sussak e Fiume. Avevano riconquistato il territorio. Non si era ancora
spenta l’eco di quelle esplosioni che aerei Stukas con l’emblema tedesco,
in picchiata, bombardarono Sussak, lanciando una pioggia di bombe […]
Io li ho visti di persona dal comando […] Alle ore 16, una colonna di truppe
tedesche di circa 700 uomini, a bordo di mezzi corazzati leggeri, giunse
improvvisa a Fiume, occupando i punti strategici.43
Ristabilito il controllo militare, il colonnello Völker accreditò sia a Fiume
sia a Sussak i rappresentanti croati di Pavelić, facendo costituire un comando
ustascia croato con a capo il tenente colonnello Hinko Resch ed emanò il 18
settembre 1943 una ordinanza molto importante, con la quale intimava in
maniera perentoria ai militari italiani di presentarsi nelle caserme “Savoia”
(per coloro che collaboravano) e “Armando Diaz” (per coloro che non collaboravano)44. Il giorno prima, secondo altre fonti il 18 settembre stesso, Gambara lasciò Fiume sotto scorta tedesca per recarsi a Trieste, dove rifiutò la
deportazione in Germania e accettò di collaborare. Poco tempo dopo Gambara ribadì la fedeltà a Mussolini, assumendo la carica di Capo di Stato Maggiore dell’esercito della RSI.
Anni dopo la fine della guerra Gambara scrisse una sua memoria all’esule fiumano Piero Barbali dove, tra le altre cose, ricordava le seguenti decisioni prese a Fiume:
A Lei – egregio signor Barbali – figlio di quella terra che profondamente
amo – a Lei, che per intero ha compiuto il proprio dovere di soldato e d’italiano – ma per Lei solo – aggiungerò queste poche parole:
Una volta rimasto a Fiume, senza ordini di sorta ed che presi [sic!]:
– con la città in preda al caos, ad opera di elementi slavi incitanti la popolazione alla ribellione ed al saccheggio;
– con le orde di Tito, che fortemente premevano alla periferia e che imbaldanzite per gli ordini alleati di far comune con i nostri contro i tedeschi,
approfittavano della situazione per farsi consegnare dalle nostre truppe
armi e munizioni, per poi braccarle e infoibarle;
– con una delegazione inviata dal Comando del C.A. tedesco che già aveva
occupato Trieste e Pola, che pretendeva la consegna della Città e l’immediato disarmo dei nostri, sotto minaccia di gravi rappresaglie.
Provvidi:
1) a ristabilire con ferma mano l’ordine più assoluto in città;
La seconda guerra mondiale a Fiume e dintorni 49
43 Giorgio Fossati, Storie d’amore dentro la guerra 1941-1945, Ospoo 2012, Circolo culturale Menocchio, Quaderni del Menocchio, pp. 121 sg.
44 Il manifesto originale riportante il testo completo dell’ordinanza di Völker è esposto nella
mostra permanente dell’AMSFR.
2) a rintuzzare le velleità titine di occupare Fiume con tanto di piombo;
3) a raccogliere, riordinare e sistemare in appositi campi di concentramento in Mattuglie le molte migliaia di sbandati che erano affluiti a Fiume;
4) a far imbarcare ed inviare in Italia, sull’ultimo motopeschereccio rimasto in porto, la riserva aurea della Banca d’Italia;
5) a contrapporre e far accettare dal Comando tedesco non potendo a
questo oppormi con le armi:
a) che fosse lasciata libera scelta ai nostri il rimanere e continuare la guerra
con loro od il tornare alle proprie case. Quelli che fossero rimasti con loro,
avrebbero dovuto essere posti sotto il comando di ufficiali italiani, agli altri
(dopo essere stati disarmati da ufficiali nostri) doveva essere garantito e
facilitato il rientro in patria;
b) che a tutti gli ufficiali, indistintamente, fosse lasciata la propria arma;
c) che in Fiume continuasse a sventolare la bandiera italiana.
Per contro, io mi impegnavo e garantivo di difendere Fiume da qualsiasi
attacco di Tito – sino all’arrivo delle truppe tedesche.45
Al “Raggruppamento militare Gambara” subentrò solo per pochi giorni
il Comando Truppe Italiane in Fiume, sotto la guida del generale Quarra, il
quale, per aver più volte criticato l’atteggiamento tedesco nei confronti dei
soldati italiani, fu sollevato dall’incarico il 21 settembre da Völker.
Völker, però, favorì nel contempo il formarsi di una nuova milizia armata
fascista a Fiume per avere un maggiore controllo sulla città. Ovviamente gli
alti comandi tedeschi, considerando la possibilità che il Regno del Sud costituito a Brindisi, passasse in tempi brevi anche militarmente con gli alleati
angloamericani, non si fidavano minimamente dei generali dell’esercito italiano, rimuovendoli e deportandoli in Germania.
La stessa sorte spettò alla maggior parte dei soldati italiani che si trovavano a Fiume e che rifiutarono di prendere le armi, essi furono inviati a
Trieste, per essere successivamente mandati nei campi di prigionia in Germania. Solo una piccola parte del reggimento “Cavalleggeri di Saluzzo”
scelse di combattere con i tedeschi, poichè il grosso della truppa decise alla
fine di prendere la dura e incerta via dell’internamento nei campi di concentramento in Germania e Polonia. Tra il 19 e il 20 settembre partirono
da Fiume due scaglioni di soldati non collaboranti, per un totale di almeno
12.200 uomini46. A conti fatti, la maggior parte dei soldati italiani affluiti
a Fiume scelse la via dell’internamento in Germania, altri decisero di com50 Marino Micich
45 La lettera di Gambara a Barbali (fotocopia) in AMSFR, Fondo Esodo, arm. 4, fasc. Gastone
Gambara, sc. 20.
46 G. La Perna, Op. cit., p. 64. Per la decisione presa dai soldati del reggimento “Cavalleggeri di
Saluzzo” vedi “Supplemento all’ordine del giorno del 25 settembre 1943” a firma del col. G.
Curreno, in AMSFR, arm. 4, sc. 20, fasc. Gastone Gambara.
battere con i tedeschi, tanti altri riuscirono fortunosamente a raggiungere
la penisola italiana47.
La nuova situazione creatasi a Fiume fu formalizzata il 21 settembre,
quando furono convocati dal colonnello Völker al teatro cittadino “La Fenice”
gli ufficiali di tutte le armi presenti in città. In quella sede il comandante tedesco, alla presenza del senatore Riccardo Gigante, chiarì e confermò i nuovi
provvedimenti, tra cui quelli riguardanti i militari italiani posti di fronte a
scelte drastiche tra collaborazione o internamento nei lager tedeschi48. Alla
fine circa 6.000 tra militari, carabinieri, questurini e finanzieri aderirono alle
forze germaniche.
Sempre il 21 settembre fu diffusa l’ordinanza che destituiva il prefetto
Pietro Chiarotti e nominava il senatore Gigante quale Commissario straordinario del Carnaro, facente funzioni di prefetto. Ma tale segno di fiducia nei
confronti degli italiani di Fiume si protrasse per poco tempo, in quanto, come
vedremo, tale carica durò fino alla fine di ottobre.
Sul versante jugoslavo, intorno alla metà di settembre in Istria le operazioni
militari dei partigiani, che erano organizzati nella prima brigata Vladimir
Gortan, il cui comando fu posto a Gimino, si intensificarono. Quel primo comando partigiano, che aveva a capo lo sloveno istriano Viktor Dobrila e il croato
Ivan Motika con commissario politico Silvo-Lovro Milcenić, non ebbe lunga durata, perché fu sostituito già il 19 settembre dal Comando della 13ª divisione
con a capo Savo Vukelić e il commissario politico Joza Skočilić.
Il 20 settembre 1943 il Consiglio Territoriale Antifascista di Liberazione
Popolare della Croazia (Zavnoh) emise unilateralmente il decreto di unificazione dell’Istria, di Fiume, di Zara e di tutti i territori in mano tedesca e italiana alla Croazia e, attraverso di essa, alla Jugoslavia. A quella riunione non
parteciparono, però, i rappresentanti italiani di Buie, Pola e Rovigno. Qualche
giorno prima, il 16 settembre, il Fronte di liberazione sloveno aveva preso
un’analoga decisione per quanto concerneva l’Istria slovena (zona di Pirano).
Il 26 settembre, a Pisino, il neocostituito Comitato Popolare di Liberazione
provvisorio per l’Istria ribadì la volontà, espressa già il 13 settembre, di annessione dell’Istria alla Croazia e quindi alla Jugoslavia. Naturalmente l’obiettivo si sarebbe realizzato solo in caso di vittoria del MPLJ sulle armi naziste.
Nel castello di Pisino fu posta la sede della Commissione che avrebbe interrogato le persone catturate dai partigiani49.
La seconda guerra mondiale a Fiume e dintorni 51
47 Ringrazio per le informazioni sulla Divisione “Murge” a Fiume lo storico Gino Bambara, per la
documentazione che mi ha fatto pervenire tra cui la cronistoria del generale Eduardo Sito Quarra.
48 Cfr. “Il Senatore Gigante Commissario straordinario del Carnaro. Fraternità d’armi italotedesca in un’austera adunata al Fenice”, in La Vedetta d’Italia, Fiume, 22 settembre 1944;
Amleto Ballarini, Quell’uomo dal fegato secco. Riccardo Gigante senatore fiumano, Roma
2003, Società di Studi Fiumani, pp.124-126. 49 A. Giron, Zapadna Hrvatska … cit., pp. 202-204.
Nelle due risoluzioni si parlava di popolazione istriana con riferimento all’etnia croata e slovena, mentre per gli italiani, che venivano già considerati una
minoranza, era prevista un’ampia autonomia e si garantivano le libertà di
lingua, di stampa, di istruzione, ecc. (quindi solo i diritti culturali). Fu posto all’ordine del giorno anche il “trasferimento” degli italiani giunti dopo il 1918 in
Istria, in pratica furono già allora, stabilite le premesse per la cacciata dei cosiddetti regnicoli a guerra finita. Riguardo a tale cacciata, presa in considerazione dal Consiglio territoriale antifascista istriano, ho riscontrato in una fonte
croata che una analoga disposizione fu emanata anche a Lussino contro 370
italiani giunti nell’isola dopo la prima guerra mondiale. Sono dati importanti,
a mio avviso, di cui tenere conto quando si considera l’ipotesi della pulizia etnica
attuata dagli jugoslavi nei confronti della popolazione italiana dopo la seconda
guerra mondiale in Venezia Giulia50.
A Sussak, come ricordato in precedenza, i partigiani jugoslavi appartenenti alla terza brigata della 13ª divisione avevano preso il controllo della
città tra il 9 e il 10 settembre con l’appoggio di una parte della popolazione;
in seguito a un fulmineo attacco germanico, partito di sorpresa il 15 settembre da Fiume, più precisamente dal settore del porto Baross, i partigiani
dovettero, tra il 16 e il 17 settembre, subito ripiegare nei dintorni della città
per le ingenti perdite subite. L’attacco tedesco, sferrato via terra a Sussak alle
prime luci dell’alba contro le postazioni dei partigiani, era stato preceduto
da un fitto bombardamento aereo il 14 settembre, che aveva scaricato sulla
città almeno un centinaio di bombe.
Dal canto loro i partigiani avevano fatto saltare il ponte principale sull’Eneo, pensando che i tedeschi avrebbero iniziato l’offensiva in quel punto;
evidentemente erano stati male informati51. I pochi giorni di predominio partigiano a Sussak avevano lasciato visibili ferite; furono commesse atrocità di
ogni genere, di cui si trovano tracce nei racconti dei testimoni. Un milite italiano così descrisse quei momenti:
Nelle strade di Sussak vi erano diversi uomini massacrati: due cadaveri
giacevano sulle scale che menavano all’ufficio postale: avevano il cuore
strappato, si disse trattarsi di nostri informatori […] Sulle lance che recingevano l’Hotel Continental era infisso, supino, il cadavere nudo di una
donna dalla lunga chioma platinata. Seni e lingua erano mozzati. Pare si
trattasse della fidanzata di un nostro tenente di artiglieria.52
Secondo fonti croate, all’arrivo delle truppe tedesche almeno 4.000 cittadini di Sussak si erano dati alla macchia insieme ai partigiani.
52 Marino Micich
50 Ibid., p. 191 51 Ibid., p. 163. 52 Lettera di Giuseppe Cipriani ad Amleto Ballarini, in AMSFR, armadio 4, sc. 47.
Tornando ai fatti accaduti subito dopo l’8 settembre a Fiume, un primo
esempio di reazione armata contro le forze naziste ci fu il 10 settembre 1943,
quando si formò un gruppo di circa 120 combattenti, denominato 3° battaglione “Fiume-Castua”, composto per una buona metà da civili ed ex militari
italiani, questi ultimi provenienti dal presidio militare di Abbazia. Il battaglione, inquadrato nelle forze partigiane jugoslave, entrò in azione contro alcune deboli unità tedesche disturbando le vie di comunicazione della zona
con brevi azioni di guerriglia, ma al primo serio scontro armato, avvenuto
verso i primi giorni di ottobre, subì gravi perdite e fu sciolto.
Un’altra unità combattente, composta quasi interamente da ex militari italiani, si formò il 13 settembre a Sussak. Si trattava di un reparto di circa 200-
250 uomini, comandato dal capitano Pietro Landoni, che dopo aver preso contatto con i partigiani jugoslavi decise di combattere contro i tedeschi. Nacque
così il battaglione di volontari italiani “Giuseppe Garibaldi”, sottoposto al controllo di un commissario politico croato di Sussak, il comunista Milan Novosel
e che entrò a far parte del distaccamento partigiano “Castua-Sussak”. Dopo
aspri e sanguinosi combattimenti contro le preponderanti forze germaniche, i
pochi superstiti del battaglione del capitano Landoni rientrarono in Italia, probabilmente pensando che non valesse più la pena di combattere con i partigiani
jugoslavi, i quali oltre ad abbattere il fascismo avevano il dichiarato scopo di
annettere i territori italiani di tutta la Venezia Giulia alla Jugoslavia53.
Oltre a questi due casi di insorgenza armata contro i tedeschi ce ne fu
un altro; si trattava del battaglione fiumano di Viskovo formatosi il 19 settembre, che inizialmente doveva essere l’emanazione armata del Comitato
cittadino fiumano. Esso fu subito monopolizzato da alcuni elementi del PCI
e soprattutto del Pc croato; tra essi figuravano Ermanno Solieri, Ruža Bukvić
Ranka, Luciano Kruljac, Andrea Petrich, Giovanni Cucera, Alberto Labus,
Augusto Ferri e Miro Gudac Bura. Il comandante del battaglione fiumano
era il croato Mirko Čurbeg, mentre la guida politica fu affidata all’italiano
Giacomo Rebez, sostituito poco tempo dopo con Bruno Vlah. Negli scontri
contro i tedeschi il battaglione subì forti perdite e si sciolse immediatamente.
Alcuni confluirono in altri reparti del MPLJ in fuga verso il Gorski Kotar, altri
furono arrestati dai tedeschi e reclusi nella caserma “Armando Diaz”, altri
ancora invece pensarono di tornare clandestinamente a Fiume54.
Il 16 settembre 1943 alcuni membri comunisti del Comitato fiumano erano
già passati a Sussak e si erano posti alle dipendenze del Partito Comunista Jugoslavo (Pcj), indebolendo il Fronte di azione nazionale (la cosiddetta ConcenLa seconda guerra mondiale a Fiume e dintorni 53
53 G. La Perna, Op. cit., pp. 292-296. 54 Mario Pacor, Confine orientale: questione nazionale e resistenza nel Friuli-Venezia Giulia, Milano 1964, Feltrinelli, pp. 192 sg.; altresì interessante riguardo a questi scontri la versione di
un partigiano italiano, Lanfranco Ugolini: AMSFR, Archivio generale, fasc. Lanfranco Ugolini.
trazione antifascista) costituitosi qualche giorno prima a Fiume ad opera di correnti politiche cittadine orientate in senso italiano. A Fiume rimasero, ad ogni
modo, Giovanni Cucera detto Pino, Alberto Labus e Miro Gudac detto Bura55.
La possibilità di organizzare in città un’efficace resistenza antitedesca, anche
con l’apporto dei comunisti, in quei giorni risultò vana, poiché come si è visto i
tedeschi sin dal 14 settembre, appoggiati dai fascisti fiumani, controllavano saldamente la città e il 16 settembre erano padroni di Sussak.
Fece seguito, tra il 23 e il 24 settembre, solo un piccolo scontro diretto
tra due squadre di partigiani appartenenti al secondo distaccamento CastuaSussak (una delle quali era composta da italiani fiumani comunisti) e un reparto di militi fascisti appartenente alla 61ª legione Camicie Nere “Carnaro”,
che presidiava la centrale elettrica e la stazione ferroviaria di Mattuglie. Lo
scontro fu favorevole ai partigiani, che uccisero alcuni soldati della guarnigione e fecero otto prigionieri. L’evento, tuttavia, rimase un fatto assai marginale e ininfluente nel contesto generale della battaglia per la conquista di
Fiume, che sarebbe durata lunghi mesi e con fasi alterne.
(continua)
55 A. Giron, Zapadna Hrvastka … cit., p. 209.