In rilievo, Lettere

GIULIANOVA. CARLO DI MARCO: ASTENSIONE ELETTORALE E DEGENERAZIONE DEI PARTITI

Le cifre contano sempre, ma bisognerebbe leggerle tutte, non solo quelle che fanno comodo. Alle elezioni e Referendum del 12 giugno scorso, i numeri farebbero riflettere anche chi non sa contare. Ma andiamo per ordine.

Vero che il voto amministrativo comunale ha riguardato solo un migliaio scarso di comuni (il Italia ce ne sono oltre ottomila), ma la percentuale dei voti validamente espressi, rispetto agli anni precedenti si è abbassata di oltre sei punti, passando da circa il 60% a poco più del 54. Mettendo da parte per un momento i risultati che per questa classe politica e per i mass media più contano (tizio avrebbe vinto, caio avrebbe perso ecc..) si direbbe che per l’elezione dei consigli comunali e dei sindaci abbia espresso validamente il suo voto solo la metà degli aventi diritto. Da ciò discende che chi dice di aver raggiunto una certa percentuale non può che dividerla per due per poter avere quella reale. Ad esempio, a Verona, in cui il dato sull’affluenza ha fatto registrare un abbassamento di tre punti rispetto alla precedente elezione arrivando al 55,08%, una volta tolta una ulteriore percentuale di schede nulle e bianche, si arriva al 52% di voti validamente espressi. Ciò significa che il candidato di Centrosinistra Tommasi ha conquistato il 39,8% dei voti validi. Cioè della metà degli aventi diritto al voto. In altri termini, Tommasi ha ottenuto la fiducia di circa il 19% dell’elettorato veronese. Altri esempi si potrebbero portare, ma l’andamento raffigurato è abbastanza simile in tutto lo scenario dei quasi mille comuni in cui si è votato. Inoltre, in Italia non si vota mai contemporaneamente in tutti i comuni (e da decenni, ormai) si assiste in modo spicciolato al calo inesorabile delle percentuali relative ai voti validi su cui si calcolano i risultati. Cosa si può trarre da queste valutazioni? Una verità inoppugnabile: le amministrazioni locali in Italia, sono governate da minoranze partitiche, spesso molto esigue, che rappresentano gli interessi di piccole porzioni di popolazioni comunali.

Un altro dato davvero preoccupante è rappresentato dal mancato raggiungimento del quorum strutturale per la validità dei cinque referendum abrogativi. Si è recato alle urne poco più del 20% degli aventi diritto facendo registrare la più bassa affluenza per lo svolgimento di un referendum abrogativo nella storia della Repubblica. In questo caso, la miopia (anche l’ignoranza) cronica di qualcuno ha fatto dichiarare che lo strumento referendario è invecchiato e che bisogna abbassare il quorum. Come quella volta che in Emilia-Romagna andò a votare circa il 40% degli eventi diritto, quegli stessi “non vedenti” affermarono che bisogna abolire le regioni. È la solita storia dell’acqua sporca e del bambino: è l’acqua sporca che bisogna buttare non il bambino. Non v’è chi non veda, in altri termini, che i quesiti referendari erano stati artatamente costruiti con obiettivi diversi da quelli dichiarati ai cittadini. I partiti promotori, infatti, non puntavano veramente alla riforma organica del sistema giudiziario (che è in discussione in Parlamento), bensì all’isolamento del Pubblico Ministero dal corpo unitario della Magistratura. Essi propugnano, peraltro, la libertà per delinquenti incalliti che governano o hanno governato questo Paese. Come se l’articolo 54 della Costituzione fosse solo aria fritta e i cittadini elettori dovessero farsi carico di una funzione legislativa positiva che spetta solo al Parlamento. Come si fa a dire che il Referendum non funziona e bisogna abbassare il quorum? È che i cittadini non sono scemi e non seguono le turbe mentali di quei capi di esigue minoranze che vorrebbero decidere per tutti.

Ultima notazione che riguarda il 12 giugno è il voto politico francese, indubbiamente, ci sono novità importanti negli schieramenti politici e nelle future alleanze, ma anche qui non entriamo affatto nella disquisizione chi ha vinto/chi ha perso. Diciamo semplicemente che in Italia si risentirà moltissimo del fatto che il grado di astensionismo calcolato sull’affluenza alle urne, in Francia è stato del 54%. Cioè, si è recato alle urne il 46% del corpo elettorale, ma se si aggiungono le percentuali dei voti nulli e delle schede bianche, possiamo dire con un margine minimo di errore che i voti validi su cui si sono calcolati vincitori e vinti, si sono attestati all’incirca sul 43-44%. Ci chiediamo: chi ha la spudoratezza di gioire? Tutti gli schieramenti hanno conquistato percentuali che bisognerà dividere per più della metà, per cui Macron avrà ottenuto consensi per meno della metà del 25,75% sull’intero corpo elettorale; idem per Le Pen che si attesta sul 23,15% dei voti validi e per Mélenchon che si trova al 21,95%. La realtà è che oggi i partiti politici, nei sistemi politici occidentali, rappresentano minoranze di elettori. In quasi tutta la storia della Repubblica, fatta eccezione per i primi tre decenni (o poco più) in cui si sono conquistate ampie attuazioni costituzionali, sono stati i principali responsabili di quella divaricazione fra politica e società civile che ormai ha raggiunto percentuali impressionanti.

Che fare? Se i partiti non trovano il coraggio e la forza di rinnovarsi c’è poco da fare: assisteremo al tracollo della democrazia costituzionale, già iniziata con ripetute leggi elettorali liberticide e incostituzionali approvate da questi partiti. Proprio questi che si ripresentano con gli stessi metodi e l’autoreferenzialità di sempre, con la pretesa che gli elettori li votino.

Orbene, ci sarebbe qualcosa da fare, ma sappiamo che è talmente difficile che forse nessuno lo farà. Cari partiti, date segnali di discontinuità veri: alle prossime elezioni (comunali, regionali, politiche) lasciate che programmi e candidati non siano più decisi dai capibastone e dalle oligarchie di partito come quasi sempre avviene. Promuovete assemblee di cittadini che si mettano a discutere e definiscano in fasi successive, programmi idonei alle realtà territoriali e abbiano la possibilità di indicare anche possibili candidati. Non parliamo di cose campate in aria: sono cose che si fanno in quei comuni dove i partiti hanno veramente deciso questo capovolgimento della piramide dei poteri. Non sulla luna, ma qui. A Grottammare, Padova, Modena, Torino ed altre città dove la democrazia partecipativa è spesso pratica comune e costante, i partiti che attuano questi metodi non vengono da Marte: sono gli stessi partiti che abbiamo qui, ma che hanno avuto la forza e la voglia di rinnovarsi. Ecco perché a Grottammare una stessa coalizione di partiti vince ampiamente da quasi trent’anni. È questa la via del rinnovamento, non ve ne sono altre per fare in modo che i partiti tornino ad essere strumenti del popolo (come vuole l’art. 49 Cost.) e non continuino a ritenere i cittadini, al contrario, strumenti funzionali della loro autoreferenzialità.

Carlo Di Marco

Emerito di Diritto Pubblico UniTe

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