In rilievo, Lettere

GIOVANNI BERCHET – IL ROMANTICO – IL PATRIOTA di Gianluigi Chiaserotti

 

 

Cadono il 23 dicembre i duecentoquaranta anni (1783) della nascita del poeta Giovanni Berchet.

Di modesta famiglia originaria della svizzera francese, fu da giovane impiegato nei pubblici uffici.

Ben presto, però, il Nostro si dedicò alla Letteratura e fu allievo del Parini ed amico del Monti e del Foscolo e fu tra i fondatori del periodico romantico “Il Conciliatore”, divenendo molto amico del o Manzoni.

Nel 1820 si iscrisse alla Carboneria, partecipando ai moti del 1821, quindi fu costretto ad un lungo esilio (tra Parigi, il Belgio, l’Olanda e Londra), nel corso del quale strinse amicizia con numerosi letterati francesi e tedeschi.

Giovanni Berchet rientrò in Italia nel 1848, partecipando alle Cinque Giornate di Milano e fece altresì parte del Governo Provvisorio.

Al ritorno degli austriaci riparò in Piemonte, dove fu eletto deputato al Parlamento Subalpino nelle file del partito moderato.

Il Nostro fu certamente un esponente di spicco del gruppo degli intellettuali e scrittori lombardi, i quali, impegnati nello svecchiamento della cultura italiana, si schierarono a favore della nuova letteratura romantica contro il persistere del classicismo ed insieme sposarono gli ideali patriottici risorgimentali.

Nei primi anni della sua attività si indirizzò allo studio delle lettere moderne e, grazie alla sua conoscenza delle altre lingue europee, tradusse parecchie opere del romanticismo europeo, fra cui il poemetto “Il Bardo” del Gray (1807), il romanzo “Il curato di Wakefield” del Goldsmith (1810), e le due ballate del Bürger, “Il cacciatore feroce” ed “Eleonora” (1816).

Nel 1816 il Berchet entrò nel vivo della polemica fra romantici e classicisti con la celeberrima “Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo”, considerata uno dei manifesti del romanticismo italiano; in essa si immagina che Grisostomo (il cui nome significa “bocca d’oro”), invii al figlio in collegio le traduzioni delle due ballate di Bürger, e nella lettera di accompagnamento enunci le tesi centrali della nuova poetica romantica.

Grisostomo-Berchet afferma che la vera natura della poesia è di essere “popolare”, cioè in stretto rapporto con la coscienza del “popolo” (che nel testo si identifica con la classe borghese, più viva e più aperta ai cambiamenti), intimamente connessa alla storia di cui il “popolo” è protagonista. Il popolo si identifica con un ampio strato di pubblico medio, estraneo ai preziosismi dei “parigini” ed all’ignoranza indifferente degli “ottentotti” (i c.d. “incolti”), il solo in grado di sentire e di provare le emozioni che la poesia suscita.

Il poeta, conseguentemente, deve adottare contenuti interessanti ed educativi, ed in un linguaggiosempliceechiaro.

Merito di Giovanni Berchet fu quello di avere delineato un nuovo rapporto fra scrittore e pubblico, di avere richiamato lo scrittore ad un impegno sociale e nazionale con la conseguente adozione di nuovi generi letterari e di  nuove soluzioni linguistiche.

Espressione quindi della nuova poesia furono il componimento in metri diversi, fra il lirico e il narrativo, “I profughi di Parga (1820), io cui il Nostro prese spunto dal tradimento dell’In­ ghilterra nei confronti della città di Parga ceduta ai Turchi; le “Romanze” (1824), fra le quali la più famosa è “Il Trovatore; il poemetto “Fantasie” (1829), il risultato più felice della sua poesia patriottica e risorgimentale, in cui si immagina che un patriota esule sogni tre diversi episodi dell’Età Comunale: il giuramento di Pontida, la battaglia di Legnano e la pace di Costanza, secondo il modello del recupero del Medio Evo che tanta fortuna ebbe nel Romanticismo.

La poesia del Berchet è spesso una poesia di canti guerrieri ed ha la grandiosità semplice di una voce che deve essere udita e compresa da tutti, perché vuol ricercare una stessa fraterna passione nei cuori: anche in quelli sopiti.

Ed ha sempre perciò una cordialità umanissima.

Di già Carducci, nella contrapposizione dei versi del Nostro che invitano all’armi contro l’irto alemanno («mi bisogna balzare in piedi e ruggirli») a quelli tanto più elaborati e poetici del “Marzo 1821” del Manzoni, fece provare codesto sentimento guerriero ardente nei versi del Berchet.

Scrive lo storico della Letteratura Italiana Francesco Flora: «[…] la poesia del Berchet non puo’ essere riposatamente letta: dev’essere animosamente proferita ad alta voce, sicché nel tono vocale formi la sua musica attiva ed eloquente, e trascini gli animi, onde nell’ardore patriottico non tanto avvertano le parole quanto il ritmo attivo, di marcia eroica».

Con i versi del Nostro tuttora captiamo quei caratteri degli esuli, degli eroi, delle eroine, gli inviti all’azione, che suonano come comandi di guerra contro lo straniero.

E tutto ciò è la sostanza epica ed eroica del nostro Risorgimento.

Giovanni Berchet morì a Torino il 23 dicembre 1851, giorno del suo LXVIII compleanno.

 

 

 

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