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Teramo. Lavoro all’estero e riconoscimento economico: il Tar dà ragione ad un professore e condanna l’università. Sentenza apripista in Italia

 

E’ una sentenza apripista quella emessa nei giorni scorsi dal Tar della Lombardia (sezione staccata di Brescia) chiamato ad esprimersi sul trattamento economico di un professore universitario rientrato a lavorare in Italia dopo una lunga esperienza professionale all’estero.
Il Tribunale amministrativo, per la prima volta nel nostro Paese, ha sancito il principio – già stabilito a livello europeo – del riconoscimento dell’inquadramento nella classe stipendiale corrispondente al servizio prestato in uno qualsiasi dei Paesi dell’Unione Europa.
Il ricorso è stato presentato dall’avvocato Lorenzo De Gregoriis, del Foro di Teramo.
Il docente, per anni “Associate professor” presso l’Università del Lussemburgo, nel 2022 ha partecipato ad un concorso indetto dall’Università degli Studi di Bergamo per il ruolo di professore universitario di II fascia per il Dipartimento di Scienze Aziendali relativo al settore “Metodi matematici dell’economia e delle scienze attuariali e finanziarie”.
Ottenuto il posto, l’Università di Bergamo con decreto rettorale ha proceduto a determinare il trattamento economico del nuovo docente mediante l’inquadramento quale “Professore Associato Legge 240/2010 – t.pieno – classe 0”.
Da qui il ricorso al Tar per chiedere l’annullamento del decreto e la condanna dell’Ateneo all’inquadramento nella classe stipendiale corrispondente al servizio prestato presso l’Università del Lussemburgo con la medesima qualifica di professore associato.
Uno dei motivi che l’avvocato De Gregoriis ha inserito nel ricorso, e pienamente accolto dal Tar, riguarda il contrasto fra l’atto posto in essere dall’Ateneo e il principio di libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione Europa. Principio, questo, più che consolidato anche tramite le interpretazioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e volto ad eliminare qualsiasi discrimazione, anche economica, fra i cittadini degli Stati membri.
Il Tar nel motivare la propria decisione richiama norme e sentenze comunitarie e in un passaggio della sentenza spiega come il mancato riconoscimento, ai fini dell’inquadramento retributivo, dell’attività svolta dal ricorrente all’estero si ponga «in contrasto con la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione Europea assicurata dall’art. 45, § 1, T.F.U.E. Ed invero, da un lato, tale mancato riconoscimento può rappresentare un ostacolo all’esercizio del diritto alla libera circolazione da parte del lavoratore, che verrebbe dissuaso ad abbandonare il proprio Stato di origine per svolgere la medesima attività lavorativa in un diverso Stato membro, qualora al suo rientro riceva un trattamento meno favorevole rispetto a chi abbia svolto tutta la sua carriera nel proprio Stato di origine».
Per l’avvocato De Gregoriis «la sentenza rappresenta un punto di svolta epocale per l’ordinamento italiano in quanto riconosce, per la prima volta nel nostro Stato, che l’esperienza professionale maturata dai professori universitari all’estero deve essere riconosciuta ai fini del corrispondente inquadramento retributivo. Fino ad oggi, invece, i professori che desideravano far ritorno in Italia, magari vincendo un concorso indetto a livello nazionale, si vedevano cancellare completamente tutti gli anni di servizio maturati all’estero, finendo per essere assunti – in buona sostanza – come degli ‘entry level’, ossia senza riconoscimento alcuno dell’anzianità di servizio», conclude il legale.

 

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