Il Premio Nobel
Mario Capecchi
si racconta
di Lino Manocchia
NEW YORK, 27 Maggio ’10 – Buon giorno professor Capecchi. Parliamo italiano o inglese?
«Preferirei inglese. Che vuole? Sono nato in Italia nel 1937 a Verona e “parlicchio” la lingua madre soltanto quando vado in Italia una volta l’anno, per una breve vacanza e per impartire lezioni all’Università di Bologna, tuttavia quel po’ di italiano che ancora alberga nella mia mente lo insegno a mia figlia Misha, che è un’ottima calciatrice.»
Professore è una tradizione paterna, allora?
«Sì, da giovane ho fatto di tutto» (Il giovane Mario Capecchi giocò al calcio, football, baseball e lotta libera – ndc)..
Iniziò così la nostra intervista esclusiva con l’illustre Premio Nobel all’indomani della premiazione. A distanza di tre anni abbiamo conversato con il simpatico scienziato 72enne, disputato dai congressi e università, variamente conteso dalle belle signore, fedele com’è alla fedelissima Laury. In questa intervista confessa: «Non ho mai studiato biologia all’università. E’ una mate-ria che ho imparato giorno dopo giorno nei laboratori. La mia vita si svolge tutta lì e forse per questo mia moglie dice che lì “morirò”.» E sorride. Dopo aver raggiunto la punta dell’iceberg ricevendo il Premio Nobel 2007 per la Medicina e Fisiologia insieme ai professori Oliver Smithies, americano, e Martin J. Evans, inglese l’altro, il Prof. Capecchi vede allargare gli orizzonti della sua continua ricerca. (nella foto con il re di Svezia)
Professore, possiamo chiedere “cosa bolle nelle provette sperimentali”, e cosa dobbiamo aspettarci?
Il Professore non esita a spiegare ciò che è emerso dalle ricerche genetiche dei roditori: «Abbiamo scoperto che i topolini si comportano come una persona, grazie al controllo delle cellule del sistema. Una scoperta molto profonda ma significativa. Tra qualche giorno le riviste scientifiche specializzate ne pubblicheranno i risultati.»
Questo significa che la vostra magnifica scoperta potrà essere applicata anche all’Uomo?
«Senz’altro. Siamo fortunati ad aver potuto usare i topolini. ma un giorno potremo dire che proprio quelle piccole cavie hanno contribuito a salvare molte vite…»
Ci spiega in che consiste la “scoperta”?
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ABRUZZOpress – N. 192 del 27 maggio ’10 Pag 2
«Sono studi e scoperte sulle modificazioni genetiche delle cellule staminali, in particolare per lo sviluppo del “gene targeting” nelle cellule staminali di embrioni di topi. Una ricerca alquanto complessa a spiegarsi…»
Quanto tempo ha impiegato per il raggiungimento del “successo”?
«Circa 20 anni, insieme a 20 colleghi dei laboratori universitari dello Utah.»
Professore, è vero che le grandi scoperte sono spesso impreviste?
«Senza dubbio, ed è il mistero, la perseveranza che stimolano. La perseveranza è un fattore comune nella storia dei successi. Le avversità possono essere un incentivo ed un bisogno individuale per continuare nell’impresa.»
Qual è il fattore principale, come scienziato, che la sorregge?
«La concentrazione, l’essere esposto a diversità e disciplina ti stimolano e dirigono le ricerche.»
Come reagisce agli eventuali biliosi e gelosi avversari?
«La tecnologia genetica solleva questioni etiche, complesse come quelle che circondano la pace nel mondo, ma per me queste domande sono troppo specifiche.» Lo scienziato si lancia in una riflessione chiara sapendo che con la sua scienza rischia di sconfinare nell’etica fino a guardare molto da vicino l’origine della vita… «Quando si parla di vita umana non possiamo avere un completo controllo…»
Lo stato d’animo del Prof. Capecchi si agita quando gli chiediamo della sua infanzia e quando affiora il ricordo del momento in cui mamma Lucia venne deportata dai nazisti nel campo di concentramento del sud e ritrovò il figlio, in un ospedale, alla fine della guerra. Poetessa provetta, con amore e dedizione scrisse poesie, pubblicate in Germania. Lucia incontrò un gruppo di artisti antifascisti e si arruolò con un gruppo dell’Italia del Nord, dove incontrò un ufficiale dell’aeronautica, Luciano Capecchi, che però non sposò. Per quattro anni il futuro Nobel visse con la madre in uno chalet nelle Alpi italiane.
Che vita conducevate?
«Fu una vita interessante, una vera vita rustica, coltivando grano che vendevamo al mulino. Facevamo anche il vino, ed i ragazzi gioivano a pestare l’uva. Ma erano comunque anni difficili e cruenti che credo mi abbiano segnato. Ma nel 1946 compimmo un magnifico salto, dalle strade italiane ad una zona vicina a Pittsburg, dove mio zio Edward creò un vero e proprio “Comune” di 65 famiglie. Sono stato fortunato a frequentare una scuola “Quaker” (quacchera). Nelle elementari venivamo trattati come studenti delle medie, e a tavola le conversazioni erano “politiche”.»
Dopo aver frequentato un college di Scienze Politiche, cambiò per le Scienze e la Matematica, e nel 1961 si laureò in Fisica e Chimica “cum laude”. Tuttavia confessa: «Non ho mai frequentato una classe di Biologia. Ho imparato questa “materia” nei laboratori, e continuerò ad “imparare” e “scoprire” ancora per molto tempo.»
Professore, lei vive ancora nella famosa abitazione di Salt Lake City nello Utah?
«Si, vivo con la famiglia in una rustica casa a tre piani, incurante della neve che durante l’inverno supera spesso anche i 3 metri. A Salt Lake City, in compagnia di due pappagalli, quattro gatti, due can, due topolini (che cura amabilmente) il cavallo Fraser, ed un “amico” che custodiamo. Che vuole? Mia moglie ama i cavalli e suole ripetere sempre che io morirò nel laboratorio (lo dice con un sorriso). Non prima però di altri 23 anni, poiché ci sono tante cose da scoprire.»
Ma in Italia ci torna spesso?
«Quest’anno a settembre, e a dicembre sarò a Roma, e poi in una Università in Puglia.»
Professore, confessi. La cucina italiana l’ha dimenticata?
«Niente affatto. Primo, perché la cucina italiana è la regina nel mondo, quindi come dimenticare quella pasta al sugo di ragù? Poi, perché io e mia moglie, californiana ma avvezza al cibo italiano, siamo discreti cuochi. Quando incappiamo in qualche intoppo… “tecnico” ricorriamo al libro delle meraviglie.» Se sia un nume della scienza, un profeta della genetica, non sappiamo, né sta a noi dirlo. Quel che invece sappiamo e diciamo è che questa e quella gli devono molto ed il Nobel del 2007 ha solennemente sancito le sue conquiste.
LINO MANOCCHIA