Venerdì 31 ottobre,alle ore 19, presso la sede de “Lu Ramajette”, a Chieti, si è svolto il Laboratorio che è stata anche una un’occasione per parlare di questa festa nella versione tradizionale e non consumistica di Halloween.
Un’iscritta all’Associazione “Lu Ramajette”, ha iniziato la lezione per insegnare a fare i “Dolci dei Morti”, un cibo devozionale della festività di Ognissanti.
Alcuni volontari hanno indossato la” parannanza”, (grembiule da cucina) e con il mattarello, hanno iniziato a preparare i “dolci dei morti”, poi infornati.
Preparare questi dolci che contengono ingredienti semplici, come farina, uova, zucchero, mandorle, lievito è un’usanza diffusa in molte località della penisola.
I dolci dei morti più popolari sono, le fave dei morti, le ossa dei morti e la pizza di magro.
Le “fave dei morti“, di forma ovoidale e schiacciata, cosparsi di zucchero a velo, hanno l’aspetto di un amaretto, ma presentano una consistenza maggiore.
Le fave, come descrivono le tradizioni, sono un espediente per mettere in diretto contatto il mondo dei morti e quello dei vivi, sono considerate anche un rifugio delle anime dei morti.
Ciò è spiegabile dal colore del fiore di questa pianta, bianco con macchie di nero, colore assai raro tra i vegetali.
Le “ossa di morto” sono biscotti di consistenza dura, realizzati sempre con gli stessi ingredienti. Hanno la forma allungata che assomiglia al dito di una persona.
La “pizza di magro” realizzata con la farina lievitata e impastata con peperoni arrosto ed alici sotto sale.
Mentre questi dolci dei morti cuocevano nel forno, il professor Francesco Stoppa ha fornito notizie su questa ricorrenza. Si racconta che le anime dei cari estinti si ripresentassero nelle loro case, alle prime ore del primo novembre, abbandonando temporaneamente l’oltretomba. Per offrire loro ristoro e per rendere omaggio durante queste visite, i parenti apparecchiavano la tavola dei morti con pasta all’uovo – coscia di pollo – zucca – vino e gassosa. E’ come se i defunti dovessero accomodarsi in compagnia dei loro parenti ancora in vita. Infatti, gli anziani, si svegliavano nelle prime ore della notte e consumavano questo cibo.
Questa riflessione serve per recuperare gli usi e costumi.
Un riferimento alla festa di Halloween, (tradotto significa la notte prima di Ognissanti), è doveroso. È una festività anglosassone ora diffusa in tutto il mondo. Questa festa si celebra la notte del 31 ottobre, ma ormai ha assunto un carattere consumistico, con un oscuramento progressivo dei significati originari. Caratteristica della festa è la simbologia legata al mondo della morte e dell’occulto. E’ tradizione scavare e intagliare le zucche e porvi poi una candela all’interno per utilizzarle come lanterne, così si ricordano le anime trattenute nel Purgatorio.
In Abruzzo, la vigilia di Ognissanti, è legata alla tradizione della settimana di devozioni e riti collegati al culto dei morti. La zucca tradizionale, molto dura, (checocce priatorije), facile da intagliare, serve per realizzare il simbolo di questa festa.
In questo giorno i bambini, vestiti con mantello, cappello e canini da vampiro, girano di casa in casa recitando la formula ricattatoria del…” dolcetto o scherzetto”?… chiedendo dolciumi o caramelle o qualche spicciolo.
La parola “scherzetto”, in’inglese “trick”, è una specie di minaccia al padrone di casa che potrebbe avere danni anche alla sua proprietà se non viene dato alcun dolcetto (“treat”).
“Trick or treat” (dolcetto o scherzetto) in realtà significa anche “sacrificio o maledizione”.
Intanto, iniziate le prime “sfornature”, un profumo invade il locale e i presenti iniziano a mangiare le ossa e le fave. Per questi biscotti asciutti e duri, è obbligatorio bere un buon vino rosso Montepulciano.
La pizza di magro, invece, verrà tagliata durante il percorso notturno del primo novembre, ”L’alme de le Murte”.
Per tornare fra i vivi, i soci del “Lu Ramajette”, hanno offerto le linguine ai frutti di mare, ottima la cottura, conditi con sugo e pesce e guarniti con arte.
La bontà di queste linguine è stato dimostrato dall’improvviso silenzio che si è instaurato appena abbiamo ricevuto i piatti e si notava con quanta cura e impegno si avvolgevano nella forchetta.
Non potevano mancare le cantate, selezionate da un repertorio non facile, di coro polivocale.
Nel coro polivocale domina una voce solista con tonalità molto alta. L’accompagnamento viene fatto dai presenti ed anche se nonsi conoscono le parole, ognuno entra come vuole, l’importanteè produrre un unico accordo che se riesce, sembra un coro di professionisti.
Erano canti che venivano eseguiti nella campagna, durante le varie raccolte e servivano anche come collegamento con gli altri gruppi di lavoratori.
Purtroppo l‘assenza dei giovani è preoccupante. Fare i paragoni con altre nazioni, rattrista, quindi bisogna pensare come farli partecipare a queste tradizioni.
Le foto sul link
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Luciano Pellegrini agnpell@libero.it
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