Lo schema di decreto legislativo approvato dal governo il 1 dicembre, che introduce la non punibilità “per particolare tenuità del fatto”, in sostanza “depenalizza” numerosi reati, alcuni dei quali destano forte allarme sociale (ad esempio omicidio colposo, truffa, furto, percosse, atti osceni in luogo pubblico), e in particolare “svuota”, togliendo ogni efficacia all’azione penale, tutte le norme che sanzionano l’uccisione e il maltrattamento di animali. Nello schema, infatti, è previsto che se i reati per cui si procede sono puniti con la reclusione fino a cinque anni, e se l’offesa “è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”, il processo potrà chiudersi con l’archiviazione o con la sentenza di assoluzione. “Al massimo – sottolinea l’on. Brambilla – i colpevoli rischieranno di pagare risarcimenti in sede civile. Se questo fosse l’esito finale, saremmo di fronte ad una colossale “amnistia preventiva” sui reati commessi a danno degli animali: i procedimenti per uccisione, abbandono, traffico di cuccioli, combattimenti, sevizie, etc. finirebbero, quasi sempre, nel calderone di quelli da chiudere “per particolare tenuità del fatto”, vanificando all’istante i faticosi progressi della legislazione penale nell’ultimo ventennio”.
“Sia chiaro – prosegue l’ex ministro – il sistema attuale è lungi dall’essere perfetto. Anche senza il decreto legislativo del 1 dicembre, oggi è praticamente impossibile, data l’esiguità delle pene, andare in galera anche per i più gravi tra i reati commessi a danno degli animali. Con il decreto però, se non si porrà rimedio, ci saranno archiviazioni e assoluzioni a raffica e addirittura vedremo gli aguzzini tornare in possesso degli animali sequestrati”.
“Non è neppure vero – aggiunge l’on. Brambilla – quanto lascia credere il ministero della Giustizia, cioè che il decreto non sia applicabile ai reati contro gli animali, perché il provvedimento avrebbe come presupposto “la possibilità che la vittima si opponga all’archiviazione stessa del reato proposta dal pubblico ministero” e quindi non potrebbe riguardare gli animali, non in grado di opporsi. Ma il nostro codice parla di reati “contro il sentimento delle persone verso gli animali”, non “contro gli animali”, ed è assolutamente normale che associazioni animaliste si costituiscano parte civile in processi di questo tipo, con facoltà, quindi, di opporsi all’archiviazione. Insomma, il meccanismo del decreto, ingiusto perché scarica sulle vittime l’onere di “tener vivo” il processo, avrebbe effetto anche sui reati a danno degli animali. Se poi il governo, ora, dice di voler “tener conto” del problema nella formulazione definitiva, bene. Dubito però che l’avrebbe fatto se non ci fossimo mobilitati. E comunque non ci accontentiamo di assicurazioni verbali: daremo battaglia perché i reati a danno degli animali vanno esclusi dall’applicazione del decreto”.
PRINCIPALI REATI A DANNO DEGLI ANIMALI E PENE MASSIME
Uccisione di animali (544 bis): due anni.
Maltrattamento di animali (544 ter): 18 mesi o multa da 5 mila a 30 mila euro.
Organizzazione o promozione di spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali (544 quater): due anni o multa da 3 mila a 15 mila euro .
Promozione, organizzazione o direzione di combattimenti tra animali: tre anni e con la multa da 50 mila a 160 mila euro.
Traffico di animali da compagnia (l.201/2010): un anno e multa da 3 mila a 15 mila euro.
Abbandono di animali (727): arresto fino a un anno o ammenda da 1000 a 10 mila euro.