Roma, 7 luglio – Sviluppare una percezione multiculturale sui disturbi dello spettro autistico significa mettere a confronto le diverse prospettive interculturali presenti nel mondo, relative alla terapia e alla diagnosi di questa sindrome. L’obiettivo è di Patrizia Bonaventura, professoressa di Patologia del Linguaggio alla Monmouth University (New Jersey), nonché esperta di fonetica, scienze della parola e metodi di ricerca sui disturbi del linguaggio, promuovendo a maggio un simposio internazionale su ‘La percezione nell’autismo attraverso le differenti culture. Prospettive sulla patologia del linguaggio e sugli approcci educativi’. La docente ha coinvolto dall’Italia l’équipe di esperti dell’Istituto di Ortofonologia di Roma (IdO).
L’evento è stato organizzato in collaborazione con il dipartimento di Pedagogia dalla School of Education’s Speech-Language Pathology Program (Facolta’ di Pedagogia), l’Insitute of Global Understanding, l’Office of Global Initiatives e il Center for Excellence in Teaching and Learning della Monmouth University.
“La sindrome autistica colpisce negli Stati Uniti 1 individuo su 68 (statistiche del Centers for Disease Control and Prevention) ed è uno dei disturbi che hanno una maggiore incidenza nel mondo, con una diagnosi che si sta diffondendo sempre di più. La causa dell’autismo non è nota e le terapie non hanno effetti risolutivi- continua Bonaventura- occorre quindi incentivare una collaborazione scientifica internazionale che integri le differenti culture per comprendere meglio l’andatura del disturbo nel mondo”.
Ad ogni cultura corrisponde quindi una precisa interpretazione. “Ad esempio- spiega la professoressa della Monmouth University- in quella indiana vengono accentuati i disturbi comportamentali; negli Usa e in Italia si dà invece risalto ai problemi legati ai ritardi, alle difficoltà nel linguaggio e nell’interazione sociale. Insomma, a diverse visioni ‘culturali’ dell’autismo corrispondono anche terapie basate su principi differenti”. La terapia che Bonaventura vuole portare negli Usa è quella proposto dall’IdO: “Il progetto Tartaruga – un approccio intensivo, integrato ed evolutivo per coinvolgere nella terapia la triade bambino con autismo, famiglia e scuola. Un approccio alla sindrome che non tralascia aspetti psicomotori, difficoltà nella comunicazione cognitiva ed emotiva, unito anche a terapie logopediche per aiutare il bambino a sviluppare le intenzioni comunicative. Una terapia a tutto tondo ed estremamente interessante- continua la professoressa- che si differenzia da un approccio prettamente comportamentale”.
L’insegnante della Monmouth ha voluto “portare negli Stati Uniti questa prospettiva attenta alle relazioni affettive”. Lo ha fatto invitando Magda Di Renzo, responsabile del servizio Terapie dell’IdO, e Lidia Racinaro, psicoterapeuta dell’età evolutiva dell’IdO, a tenere un simposio nella sua università sugli aspetti multiculturali della percezione dell’autismo.
“Le terapeute hanno mostrato non solo i risultati ottenuti negli anni con il progetto Tartaruga, ma anche i nuovi test di assestment: il Test sul contagio emotivo (Tce), il primo e più rapido strumento di rilevazione dei precursori dell’empatia creato dall’IdO, già testato su 300 bambini con disturbo dello spettro autistico negli ultimi tre anni; e il Test sugli stati mentali, sempre dell’IdO: una rielaborazione del test di Meltzof per comprendere l’intenzione dell’altro e la sua applicazione nei bambini con autismo”.
Insieme a loro ha preso la parola Stacey Lauderdale, professoressa di Educazione speciale nella Monmouth University, sui molteplici aspetti che intervengono nel trattamento e nella valutazione dei bambini statunitensi. “Lei si occupa dell’impatto dell’autismo sulle situazioni familiari e nella scuola. Da questo confronto è emersa una nuova comprensione del disturbo basata su una interazione interculturale- chiosa Bonaventura- che spero e credo porterà ad una evoluzione e al miglioramento delle esistenti terapie e degli strumenti di diagnosi”.
La professoressa di Patologia del Linguaggio si è trasferita negli Stati Uniti per specializzarsi in Fonetica sperimentale e Speech science: “Un insegnamento sempre richiesto in Italia per la laurea in Logopedia, ma che non viene insegnato separatamente”. La studiosa analizza “la generazione del linguaggio dal punto di vista cognitivo, linguistico, biomeccanico e fonetico, osservando la produzione del linguaggio, dei movimenti della lingua, dell’apparato locale e fonatorio. Osservo anche la percezione uditiva, del processamento e dell’elaborazione del linguaggio da parte del cervello”. I vari aspetti della generazione del linguaggio a livello epistemologico, somatico, sintattico, lessicale e dell’integrazione delle componenti emotive nell’espressione del linguaggio, hanno spinto l’attenzione di Bonaventura “sui disturbi comunicativi nell’autismo. In quest’ambito- conclude- ho implementato con gli esperti dell’IdO di Roma un nuovo studio sull’interpretazione dell’integrazione delle emozioni nell’espressione d ell’intonazione del parlato sia in soggetti normodotati che in quelli con disturbi patologici del linguaggio e della comunicazione. In particolare, con i pazienti affetti da aprassia, disprassia della parola e soggetti autistici adulti e bambini”.
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