Cultura & Società

APPRODA AL LICEO CLASSICO DI CHIETI LA MOSTRA FOTO-DOCUMENTARIA “I FIORI DEL MALE. DONNE IN MANICOMIO NEL REGIME FASCISTA”

 

Teramo, 31 gennaio 2017 ‒ Dopo Teramo, Roma e Bolzano sarà esposta a Chieti la mostra I fiori del male. Donne in manicomio nel regime fascista realizzata dalla Fondazione Università degli Studi di Teramo e curata dalla ricercatrice dell’Ateneo di Teramo Annacarla Valeriano e dallo storico Costantino Di Sante.

La mostra, promossa dall’associazione Chieti Nuova 3, si terrà nella sede del Liceo Classico “G.B. Vico” e sarà aperta al pubblico dal 2 al 19 febbraio nei seguenti orari: da martedì a domenica dalle ore 10.30 alle 12.30 e da martedì a venerdì anche dalle ore 17.00 alle 19.00. È possibile prenotare visite guidate per studenti ai numeri 347 4521937 e 338 1734161.

La mostra foto-documentaria sarà inaugurata alla presenza dei curatori il 2 febbraio alle ore 17.30. Interverranno il preside del Liceo Classico “G.B. Vico” Paola Di Renzo, il direttore dell’Archivio di stato di Chieti Antonello De Berardinis e gli studenti del Liceo Classico.

L’idea di realizzare una mostra sulle donne ricoverate in manicomio durante il periodo fascista è nata dalla volontà di restituire voce e umanità alle tante recluse che furono estromesse e marginalizzate dalla società dell’epoca.

«Figlie, madri, mogli, spose, amanti: donne vissute durante il Ventennio. Ai volti delle ricoverate – si legge in una nota di presentazione ‒ sono affiancati diari, lettere, relazioni mediche che raccontano la femminilità a partire dalla descrizione di corpi inceppati e restituiscono l’insieme di pregiudizi che hanno alimentato storicamente la devianza femminile».

«Ci è sembrato importante ‒ spiegano i curatori della mostra ‒ raccontare le storie di queste donne a partire dai loro volti, dalle loro espressioni, dai loro sguardi in cui sembrano quasi annullarsi le smemoratezze e le rimozioni che le hanno relegate in una dimensione di silenzio e oblio. Alle immagini sono state affiancate le parole: quelle dei medici, che ne rappresentarono anomalie ed esuberanze, ma anche le parole lasciate dalle stesse protagoniste dell’esperienza di internamento nelle lettere che scrissero a casa e che, censurate, sono rimaste nelle cartelle cliniche».

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