In rilievo, Storie giuliesi

Giulianova. Storia e leggenda si intrecciano nell’antichissima chiesa di S. Maria a Mare.

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 58.
di Sandro Galantini*
Storia e leggenda si intrecciano nell’antichissima chiesa di S. Maria a Mare. Sorta forse su un tempio romano, certamente costruita utilizzandone alcuni resti, la chiesa possedeva una grande e antica campana bronzea. Risalente al 1342, recava una locuzione molto in uso in quei tempi, riportata tanto sulle campane quanto su edifici pubblici e privati, tratta dalla nona lettura del mattutino dell’ufficio
di Sant’Agata martire, protettrice dei campanari: MENTEM SANCTAM,
SPONTANEAM, HONOREM DEO ET PATRIAE LIBERATIONEM.
Dal resto dell’incisione (FACTA FUI TEMPORE DOMINI SABINI PRAEPOSITI HUIUS ECCLESIAE. MAGISTER NICOLAUS FECIT BONA) sappiamo che era opera di Nicola Aprutino, maestro fonditore e appartenente al Capitolo aprutino cui la chiesa di Castel San Flaviano era soggetta. Sin qui la storia. Ma c’è anche una leggenda, tramandatasi per generazioni e raccolta da Vincenzo Bindi. Pare infatti che durante l’invasione di Maometto II, quindi negli anni settanta del ‘400, alcuni turchi tentarono di rubarla. Tuttavia dopo averla caricata sulla loro nave i pirati non riuscirono a salpare. La campana, infatti, miracolosamente aveva aumentato a dismisura il suo peso da cui la scelta dei musulmani di riportarla al suo posto.
La rottura, anni dopo, della campana avrebbe spinto a fonderla realizzandone due, probabilmente gemelle. Di certo una doveva essere quella stessa che, stimata del peso di mille libbre nel 1858, era apparsa «magna, et proportionata», cioè grande e di bella forma al vescovo Giambattista Visconti nel 1610 durante la sua visita pastorale alla chiesa, già all’epoca chiamata anche SS.ma Annunziata forse per un’immagine del 1572 presente all’interno, sul muro destro.
L’altra campana era stata invece trasportata alla chiesa di S. Rocco, legata all’ospedale della Giulianova rinascimentale e per importanza la seconda della nuova città acquaviviana. Definita ancora nel 1731 «grossa» e di «buonissimo suono», questa campana recava l’iscrizione CHRISTUS VINCIT, CHRISTUS REGNAT,
CHRISTUS IMPERAT, cioè Cristo vince, Cristo regna, Cristo impera. A questa frase, magnifica proclamazione della regalità sociale di Cristo dal XIII secolo sino al crepuscolo del Rinascimento e peraltro ricorrente nelle monete della stirpe franca dei
capetingi, faceva seguito l’indicazione, senza millesimo, del suo autore, il Magister Varinus secondo la trascrizione, su disagevole lettura, datane da Vincenzo Bindi.
Interpretato come Vakinus da Vittorio Savorini, che propendeva di conseguenza per un fonditore straniero, ritengo invece che quel Maestro Varinus sia da identificare con Varino (o Marino) di Marco da Zara, capomastro della fabbrica della cattedrale di Recanati principiata nel 1468 per volere del vescovo Niccolò delle Aste. Se così fosse, la campana sarebbe databile al periodo che precede di poco la fondazione rinascimentale di Giulianova, quindi coerente con la sua rottura si dice avvenuta a qualche anno dalle scorrerie turchesche. Verrebbe altresì ad emergere, attraverso Giulio Antonio Acquaviva magari nelle vesti di committente, il forte legame con Recanati nel nome di San Flaviano, culto comune ai due luoghi e rinvigorito nella città marchigiana nel 1415 grazie al dono di alcune reliquie del Santo bizantino da parte di papa Gregorio XII.
Rimane da dire dell’altra leggenda che riguarda la chiesa di S. Maria a Mare, quella cioè secondo cui erano sepolte all’interno delle sue colonne le sacre spoglie di antichi paladini. La credenza popolare, riflesso dell’epopea carolingia che a Giulianova si era radicata con la storia del gigante Orlando relativa alle muracche (FRAMMENTI –
25), probabilmente aveva la sua origine dalla morte a San Giovanni d’Acri di parecchi militi di Castel San Flaviano, città divenuta uno dei centri di smistamento delle truppe crociate durante il tentativo normanno di espansione ai danni dell’Impero Bizantino e degli stati arabi in Siria e Palestina.
Certo è che il decurionato giuliese, nella seduta del 18 ottobre 1854, in vista dei lavori da effettuare sulla chiesa per adattarla al futuro convento dei Passionisti, respingeva ogni modifica «considerando essere antica tradizione popolare che tra le colonne site all’interno del tempio una ve ne sia consacrata». Per cui i «buoni popolani» erano soliti «orare intorno a ciascuna di esse».
Storico e Giornalista*
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