L’impresa che va: nel 2012 bene tutti, tranne artigianato e agricoltura
Incrementi nel commercio, i servizi, le attività ricettive e le costruzioni. Tra le province Pescara e Teramo ok.
PESCARA – Mentre gli artigiani hanno segnato pesantemente il passo, subendo i colpi impietosi della crisi, per tutto il resto del mondo dell’impresa abruzzese il 2012 si è chiuso in modo positivo. Lo certifica uno studio condotto da Aldo Ronci per conto della Cna regionale, su dati messi a disposizione da Infocamere, il sistema informatico delle Camere di commercio italiane. Nel 2012 le iscrizioni delle imprese non artigiane sono state superiori alle cancellazioni: 7.698 contro 6.225, con un incremento di ben 1.473 unità, che è anche il terzo miglior risultato dell’ultimo decennio, appena sotto il 2004 e il 2010. Tutto il contrario, insomma, di quanto accaduto nel comparto della micro-impresa e dell’artigianato, che ha lasciato per strada – sempre l’anno passato – qualcosa come 825 aziende.
La buona performance delle imprese non artigiane si traduce, percentualmente, in un “tasso di natalità alto”: in Abruzzo è del 6,99%, contro il 6,10% della media nazionale. L’ incremento percentuale è stato dell’1,28%, valore pari a una volta e mezzo quello medio italiano (0,84%). «Dal punto di vista territoriale – analizza Ronci – il buon risultato si “spalma” su tutte e quattro le province abruzzesi, con Pescara e Teramo, tuttavia, che crescono più vistosamente: 619 e 549 unità rispettivamente, con tassi di crescita del 2,25% e del 2,02% che sono assai più della media Italia, ferma allo 0,84%. Tutto, mentre L’Aquila e Chieti fanno registrare una crescita più lieve: 179 e 126 unità, con tassi di crescita, invece, inferiori alla media nazionale».
A beneficiare dell’andamento positivo sono stati un po’ tutti i settori e comparti produttivi: variazioni positive sono state registrate in tutte le attività economiche tranne che in agricoltura, accreditata di una pesantissima flessione (-714 unità, con un decremento pauroso di 402 aziende nel Chietino); il più consistente degli incrementi va ai servizi, con 460 unità, seguiti dalle attività ricettive (301), il commercio (210, con Pescara a quota +111), le costruzioni (214), l’industria (170).
Ma quale lettura fornire di questi dati? Ronci, in sostanza, ritiene che alcuni comparti produttivi, non artigiani, si sono trasformati, negli anni, in un enorme “ammortizzatore sociale”, anche se il risultato presenta luci ed ombre. Dice infatti: «Nel 2009 in Abruzzo si sono persi 24mila posti di lavoro e negli anni successivi una parte dei lavoratori rimasti senza lavoro ha deciso di aprire nuove attività, pensando di trovare un’ancora di salvataggio alla disoccupazione. In tutti e tre gli anni dal 2009 al 2012 gli incrementi percentuali delle imprese non artigiane abruzzesi sono state nettamente superiori a quelli delle imprese non artigiane italiane e le scelte si sono dirette verso i settori del commercio, della ristorazione e dei servizi alle imprese. Nonostante questo ammortizzatore i 24mila lavoratori rimasti senza lavoro nel 2009 sono, alla fine del 2012, comunque ancora 10mila».
1/3/2013