L’acqua è fonte di vita, la malapolitica la trasforma in causa di devastazione.
Associazioni e movimenti: basta cemento e nuove infrastrutture in aree a rischio,
il futuro è nella corretta gestione del territorio e nell’educazione dei cittadini.
Urgente tenere conto dei cambiamenti climatici.
Appello ai parlamentari:
usare i fondi oggi assegnati a cannoniere, cacciabombardieri F35 e mega-opere.
L’acqua deve essere esclusivamente fonte di vita e non causa di distruzione. La cattiva gestione del territorio da parte di amministratori, funzionari e tecnici asservita alle logiche del profitto del ciclo del cemento e dello sfruttamento selvaggio del territorio è ormai sotto gli occhi di tutti, il re è nudo.
Per associazioni e movimenti (Forum Abruzzese dei Movimenti per l’Acqua, Marelibero.org, WWF, Legambiente, LIPU, Italia Nostra, Ass. I Colori del Territorio, Aria Nostra Scafa, ProNatura, Centro Sociale Zona22, Coordinamento Nazionale Alberi e Paesaggio, Associazione Antimafie Rita
Atria, PeaceLink Abruzzo, Associazione Culturale Peppino Impastato –
sez. Abruzzo, Cobas), non può dirsi civile una Regione che non ha il Piano cave previsto dal 1983, in cui il Piano di Tutela delle Acque (adottato nel 2010) non prende in considerazione i cambiamenti climatici e permette lo sfruttamento idroelettrico incontrollato dei fiumi; che ha approvato centinaia di piccole varianti peggiorative del Piano paesistico; in cui il Comitato V.I.A. e l’Autorità di Bacino (che ora pare essere tornata indietro!) autorizzano progetti di infrastrutture e centri commerciali in aree a rischio (come Megalò 2); dove il Consiglio Regionale approva il Piano casa e la Legge Edilizia, devastanti, con premi di cubatura fino al 50% che si aggiungono alle mostruose previsioni di Piani regolatori già ampiamente sovradimensionati; in cui la Giunta abruzzese adotta poche settimane or sono una variante al Piano del Demanio marittimo che appesantisce ulteriormente il carico di cemento sulle spiagge martoriate dalle mareggiate. Non può dirsi evoluta una società in cui la stragrande maggioranza dei Comuni (unica mosca bianca S. Giovanni teatino), a partire da quelli a forte rischio come Montesilvano e Francavilla, recepisce nel peggiore dei modi il Piano casa e la legge edilizia con strabilianti aumenti di cubatura. Dove il comune di Chieti appoggia il ricorso al TAR sulla decisione del Comitato VIA di bloccare Megalò 3; dove la Caserma dei Vigili del Fuoco di Pescara è tra le prime aree ad essere allagata.
Stiamo parlando del 2013, non del 1960!
Ora basta, siamo stanchi di denunciare e non ottenere cambiamenti radicali.
In Abruzzo una superficie pari a 85.000 campi di calcio (51.800 ettari) è urbanizzata. Dati e numeri ISTAT 2011 elaborati da Legambiente evidenziano lo stato critico dell’uso del suolo in Abruzzo. La media regionale di cementificazione è del 4,74%, con un tasso di crescita del 9% negli ultimi dieci anni, superiore alla Lombardia (8%) e al Veneto (7,3%). La più urbanizzata risulta la provincia di Pescara con il 7% del territorio interessato e un totale di 8.600 ettari; seguono la provincia di Teramo con il 6,10% (11.900 ha), la provincia di Chieti con il 5,88% (15.200 ha); e chiude la provincia dell’Aquila con il 3,08% (15.500 ha). Tra i Comuni capoluogo, maglia nera al Comune di Pescara, con una superficie urbanizzata pari al 77,36%. Il Comune di Chieti è al 26,68%, il Comune di Teramo all’8,82% e il Comune dell’Aquila il 7,99%. Malissimo i comuni costieri: il 35,07% di costa pescarese è urbanizzata, la costa teramana per il 24,29% e la chietina per il 13,40%.
La fascia costiera è fortemente antropizzata per il 63% (e per le aree con spiaggia questa percentuale sale a oltre l’80%). Tra il 1998 e il 2011 abbiamo perso ulteriori 7 km.
Si sa cosa bisogna fare.
CONSUMO DI SUOLO ZERO
La Regione Abruzzo, attraverso una rivisitazione del Piano Paesistico Regionale, della Legge Urbanistica e della famigerata Legge Edilizia (quest’ultima approvata nel settembre 2012 e foriera di una vera e propria colata di cemento sul territorio) deve imporre uno stop completo all’utilizzo di nuovo suolo per infrastrutture e strutture (case, capannoni ecc.) e un azzeramento delle nuove cubature rispetto all’esistente, promuovendo una progressiva riqualificazione dell’esistente aumentanto l’impermeabilità dei suoli oggi coperti.
Esistono vastissime aree già urbanizzate e cementificate in situazione di degrado, abbandono oppure non utilizzate (basti pensare al numero di capannoni industriali abbandonati e al numero di case sfitte).
Da decenni è nota la relazione diretta tra cementificazione del suolo e aumento della frequenza di eventi disastrosi.
I Comuni devono subito approvare varianti di salvaguardia nei PRG per escludere l’occupazione di nuovo suolo (Piani Regolatori a Consumo Zero di suolo). I Comuni (addirittura molti di quelli a massimo rischio come Montesilvano!) che hanno recepito gli enormi premi di cubatura (senza neanche sottoporre a Valutazione Ambientale Strategica l’operazione!) del cosiddetto Piano Casa e dell’incredibile Legge Edilizia regionale appena approvata (che prevede premi di cubatura fino al 50%) devono subito fare marcia indietro, anche perchè aumento di cubature significa aumento di persone a rischio nei momenti drammatici delle alluvioni.
I Comuni devono regolare la tassazione sulle case sfitte e sugli edifici abbandonati per facilitare il loro riutilizzo (o l’abbattimento qualora strutture inutilizzabili per aumentare la permeabilità dei suoli).
BASTA NUOVE STRUTTURE IN AREE A RISCHIO
Sembrerà pazzesco ma ancora oggi vengono approvate infrastrutture dal costo di decine di milioni di euro in aree a rischio. Basti pensare alla vergognosa situazione della Teramo-mare che crolla alle prime piogge nel tratto appena realizzato.
I “famosi” nuovi ponti sul Saline a Montesilvano e Città S. Angelo comportano la realizzazione di una nuova rete viaria che è parzialmente in aree a rischio di esondazione.
L’ANAS sta strenuamente portando avanti il progetto di realizzazione della variante alla Statale 17 in piena zona di esondazione del fiume Aterno. Attualmente gli elaborati sono all’esame del comitato VIA (si veda qui sotto una delle proposte avanzata dall’ANAS, riportata sulle mappe di rischio del Piano regionale sul rischio alluvioni).
Tutto ciò è possibile perchè nella normativa del Piano Stralcio rischio Alluvioni basta un’autocertificazione dell’ente proponente sull’impossibilità di delocalizzare l’opera ed il gioco è fatto per realizzare l’opera anche nella aree R4 di massimo rischio!
Bisogna quindi bloccare ogni nuova opera infrastrutturale in aree a rischio senza possibilità di deroghe.
LA QUESTIONE MEGALO’
In questi giorni il dibattito sul centro commerciale Megalò a Chieti scalo è stato, in qualche caso, fuorviante. Intanto bisogna sottolineare che Megalò 1, il centro già realizzato, non è stato sottoposto a Valutazione di Impatto Ambientale, nonostante fosse obbligatoria già nel 2001.
Il problema dal punto di vista del rischio idraulico non è solo la fine che può fare Megalò, ma il fatto che questa struttura ha sottratto spazi al fiume Pescara proprio con quell’argine posto a sua protezione. L’acqua che oggi è costretta a scorrere verso valle (quindi verso Pescara!) doveva sfogarsi proprio nell’area oggi coperta dal centro commerciale. C’è stato un vero e proprio trasferimento del rischio verso i cittadini che abitano a valle.
Un centro commerciale con un argine di 11 metri si può evacuare, una città a valle no!
Questa è la lettura da dare alla situazione di Megalò da un punto di vista del rischio.
Pertanto è necessario:
–annullare decisioni scandalose come la pronuncia positiva del Comitato VIA su Megalò 2 nonché il permesso a costruire rilasciato dal Comune di Chieti ad Ottobre 2013;
–che il Comune di Chieti ritiri ogni appoggio al ricorso al TAR presentato dai proprietari delle aree (società AKKA) dove si vuole costruire il cosiddetto Megalò 3, che è stato bocciato dal Comuitato VIA dopo un’estenuante lotta delle associazioni e del consigliere Maurizio Acerbo;
–adoperarsi per mitigare e compensare l’aumento di rischio per le aree a valle derivante dall’occupazione delle aree da parte di Megalò 1. Non vorremmo che prendano piede proposte per peggiorare ulteriormente la situazione a valle realizzando ulteriori argini per difendere il centro commerciale.
–che i comuni a valle che subiscono il rischio di Megalò e di tutte le sue varianti, a partire dal comune di Pescara, si adoperino per bloccare ogni eventuale espansione, opponendosi al ricorso al TAR presentato dai proponenti di Megalo 3 e per evitare che si realizzi il Megalò2, riconquistando nuove aree per far sfogare il Pescara.
I CAMBIAMENTI CLIMATICI: CON L’AUMENTO DEGLI EVENTI ESTREMI DEVE CAMBIARE LA PIANIFICAZIONE
Tutti i Piani regionali, provinciali e comunali in Abruzzo sono stati ideati e redatti senza tenere in minimo conto la questione dei cambiamenti climatici, nonostante precise indicazioni provenienti da più di un decennio dall’ONU e dalla Commissione Europea. Queste istituzioni invitavano (e in alcuni casi obbligavano) gli Stati a dotarsi di una strategia di mitigazione e adattamento agli effetti dei Cambiamenti climatici
Infatti, sin dal 2001 l’Intergovernmental Panel on Climate Change divulgava il terzo rapporto sui cambiamenti climatici redigendo una versione semplificata per i “policymaker” (i decisori, come politici e tecnici) in cui tutto quanto sta accadendo al ciclo idrico era ampiamente previsto (in particolare i risultati del secondo gruppo ddi lavoro, dal titolo “Climate Change 2001 – Working Group II: Impacts, Adaptation and Vulnerability” (http://www.grida.no/publications/other/ipcc_tar/).
Nonostante i numerosi richiami scritti e gli interventi pubblici da parte delle associazioni ambientaliste il principale responsabile tecnico in materia di acque e opere pubbliche della Regione Abruzzo, l’Ing. Caputi, e, in generale, tutti gli organismi politici e le strutture tecniche della Regione Abruzzo e degli enti locali, sono risultati refrattari a questi richiami.
I cambiamenti climatici già osservati, secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC (2013).
Sono stati così partoriti Piani stralcio del rischio alluvioni e frane che non tengono in alcuna considerazione i cambiamenti nel regime idrologico delle acque ormai evidenti a tutti e ben studiati a livello nazionale ed europeo. Le mappe che sono disponibili sono basate su modelli ormai obsoleti e su dati di precipitazioni e portate dei fiumi risalenti spesso agli inizi del novecento! Si consideri che le mappe del rischio alluvione classificano le aree a rischio tenendo in considerazione le portate delle piene con tempo di ritorno di 200 anni calcolate, appunto, con dati ormai del tutto inattendibili. Sia la frequenza degli eventi climatici estremi sia i picchi di portata sono ormai stravolti rispetto al passato ed è necessario aggiornare con urgenza le cartografie e la classificazione delle aree che sono alla base di qualsiasi valutazione di opere pubbliche e private.
La proiezione della frequenza degli eventi estremi di precipitazione inserito nell’ultimo rapporto dell’IPCC.
Una prima modifica può essere introdotta velocemente, prima di aggiornare in maniera più approfondita con dati relativi all’attuale regime di precipitazione modificato dai cambiamenti climatici e delle relative proiezioni per i prossimi decenni già disponibili, prendendo in considerazione per l’analisi della compatibilità idraulica delle varie opere il livello di piena con ritorno di 500-1000 anni – le più intense – e non quello di 200 anni.
Inoltre bisogna assolutamente provvedere a realizzare mappe del rischio per i bacini minori (come quelli della costa teramana, dal Cerrano al Calvano al Borsacchio) che sono fonte di grande preoccupazione in quanto in quei casi le piene avvengono molto rapidamente ed è difficile poter dare un preavviso ai cittadini.
E’ ancora più criticabile il fatto che il Piano di Tutela delle Acque, adottato nel 2010 dall’attuale Giunta Regionale, non abbia tenuto in alcuna considerazione i cambiamenti climatici. Addirittura, nell’unico incontro pubblico realizzato dalla Regione Abruzzo, il coordinatore scientifico Prof. Celico, alle rimostranze dei numerosi ambientalisti presenti che richiamavano le strategie comunitarie in materia di adattamento, ha messo in dubbio l’esistenza stessa dei cambiamenti climatici!
Il Piano, che disciplina tutti gli usi dell’acqua, dall’agricoltura all’idropotabile (calcolando anche il Deflusso Minimo Vitale per i fiumi), è quindi del tutto inservibile per una società che corre forti rischi a causa dei cambiamenti climatici. Bisogna quindi modificarlo profondamente tenendo conto degli indirizzi contenuti nel documento “Managing the Risks of Extreme Events and Disasters to Advance Climate Change Adaptation” pubblicato nel 2012 dall’IPCC (è disponibile sul sito dell’IPCC, ed è stata redatta anche una versione ridotta per i policymaker).
LE COSTE SONO A FORTE RISCHIO, LA GIUNTA REGIONALE VUOLE AGGRAVARE I RISCHI
La Giunta Regionale Chiodi ha appena varato una modifica al Piano del Demanio marittimo volto ad appesantire ulteriormente l’infrastrutturazione e la cementificazione delle spiagge, oggi devastate da mareggiate divenute frequentissime.
Con i cambiamenti climatici questi fenomeni, causati anche da sconsiderati interventi sui fiumi che hanno completamente alterato il regime di trasporto solido dei sedimenti da parte dei corsi d’acqua, con dighe, cave ecc,, saranno sempre più acuti e frequenti. Ciò anche a causa dell’innalzamento del livello del mare avvenuto negli ultimi decenni, anche senza considerare l’ulteriore e più severo innalzamento previsto per i prossimi anni.
La proiezione dell’innalzamento del livello medio marino secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC a seconda dei diversi scenari di emissioni.
Il Piano del Demanio deve assolutamente puntare a ridurre le strutture sulle spiagge, aumentando le aree con dune, ormai ridotte a pochissimi tratti delle costa.
EDUCAZIONE DEI CITTADINI
La gran parte dei Comuni abruzzesi ha redatto Piani di Emergenza di Protezione Civile. Questi documenti restano solo mere indicazioni e non si trasformano in comportamenti virtuosi se non vengono illustrati alla popolazione in maniera capillare e con esercitazione periodiche. Dovrebbero essere istituiti sportelli per i cittadini desiderosi di essere informati sui rischi delle aree dove vivono, anche per lavoro e sui comportamenti da attuare in caso di rischio. Newsletter, opuscoli ecc. dovrebbero essere diffusi tra la popolazione. Le scuole dovrebbero essere assolutamente coinvolte (basti pensare al progetto Sicuri per Natura promosso dal WWF nelle scuole abruzzesi).
Purtroppo una parte dei decessi collegati agli episodi di maltempo sarebbe in parte evitabile con un’accurata educazione dei cittadini che devono saper come comportarsi in situazioni estreme evitando il panico.
FRANE, IDROLOGIA ED AGRICOLTURA
E’ fondamentale introdurre pratiche agricole corrette ai fini della prevenzione e mitigazione dei rischi idrogeologici. Un terreno arato in una certa direzione piuttosto che in un’altra porta a risultati completamente diversi per quanto riguarda la velocità di ruscellamento, l’erosione del suolo e la possibilità di scatenare colate di fango o, peggio, frane. Il taglio boschivo se condotto in situazioni particolari di pendenza e di suolo può esacerbare i rischi di dissesto. La Commissione Europea chiede alle regioni di introdurre nel nuovo Piano di Sviluppo Rurale 2014-2020 specifiche misure (con relativi finanziamenti e contributi per gli agricolori virtuosi) per cambiare, se necessario, pratiche agricole non corrette.
Le aree agricole lungo i fiumi sono perfette e naturali aree di esondazione dove i fiumi possono “sfogarsi” abbassando così le portate che arrivano a valle e dando più tempo per organizzare evacuazioni e attività di prevenzione. Non bisogna per forza realizzare opere immense di escavo per realizzare aree di laminazione; in molti casi basta modificare gli argini attuali (è il caso delle aree a monte di Popoli) che stringono i fiumi per lasciarli esondare in maniera controllata verso campi assoggettati al vincolo di pertinanza idraulica.
NO A NUOVE OPERE E F35. FONDI PER LA MANUTEZIONE STRAORDINARIA DI PONTI, STRADE, BONIFICA DELLE DISCARICHE DI BUSSI E PER LA DELOCALIZZAZIONE DELLE STRUTTURE A RISCHIO
Le risorse per riqualificare e rinaturalizzare il nostro territorio ferito esistono. Solo che sono usate per altri scopi! Basti pensare agli F35 oppure alle cosiddette grandi opere. In Abruzzo si vuole puntare sull’ennesima grande strada, la Pedemontana, che costa oltre 500 milioni di euro di previsione, quando l’ANAS non ha i soldi per fare le manutenzioni ordinarie delle strade esistenti!
Lo studio di Abruzzo Engineering del 2004 sulle infrastrutture a rischio rilevava che alcune centinaia di ponti in Abruzzo avevano urgente bisogno di manutenzione straordinaria, soprattutto a causa di frane e dissesti incombenti. Ognuno aveva una scheda specifica. Cosa è stato fatto finora? In realtà quella situazione è anche peggiorata perchè con le cosiddette “bombe d’acqua” le luci di molti ponti non riescono a far defluire portate non previste al momento della costruzione.
Chiediamo ai parlamentari abruzzesi di attivarsi già dalla legge di Stabilità, per togliere fondi ad opere inutili, cacciabombardieri e cannoniere per dirottarli sulla manutenzione straordinaria del territorio, che non deve basarsi su ulteriori colate di cemento ma su interventi di ingegneria naturalistica, delocalizzazione di infrastrutture e immobili a rischio, sulla bonifica delle megadiscariche (come Bussi) e delle microdiscariche lungo i fiumi prima che vengano travolte dalle acque e alla rinaturalizzazione del territorio.