Otto morti all’ospedale San Giovanni di Roma a causa del Clostridium difficile, un agente patogeno ad altissima velocità di contagio
Batteri killer: il 6-8% dei degenti ha una infezione acquisita in ospedale
“Infatti in ospedale, a causa del largo utilizzo di antibiotici, nel tempo si sono selezionati cloni di batteri resistenti a molti antibiotici, e talora a tutti quelli conosciuti”, afferma il Prof. Nicola Petrosillo, membro SIMIT
Otto morti all’ospedale San Giovanni di Roma: proseguono le indagini della Procura di Roma causati da un presunto batterio killer, il Clostridium difficile, un agente patogeno ad altissima velocità di contagio, specialmente diffuso negli ambienti ospedalieri, che colpisce più facilmente persone anziane e i malati sottoposti a lunghe cure antibiotiche.
Il procuratore aggiunto Leonardo Frisani, che coordina il pool delle colpe professionali, ha aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio colposo. Il magistrato ha delegato gli accertamenti ai carabinieri del Nas, che nei giorni scorsi hanno sequestrato sedici cartelle cliniche. L’indagine della Procura, che al momento non vede iscritto nel registro degli indagati nessuno dei medici o sanitari, si occupa anche del mancato trasferimento dei pazienti colpiti in modo letale dal batterio.
Il Clostridium difficile è un microrganismo anaerobio, cioè un microrganismo che vive in assenza di ossigeno. In natura si trova in forma di spore, che sono forme di resistenza e sopravvivono nell’ambiente, e in forma vegetativa. Le forme vegetative sono i microrganismi che si riproducono attivamente e velocemente e cheproduce le tossine causa della malattia (diarrea, febbre). Le forme vegetative si originano dalle spore in condizioni ottimali di crescita. In genere le spore, presenti nell’ambiente, vengono ingerite e in condizioni particolari si trasformano in forme vegetative. Le condizioni ottimali sono rappresentate principalmente dalla soppressione o modificazione della normale flora microbica intestinale, spesso a causa di una terapia antibiotica prolungata e a largo spettro.
“La sua contagiosità – spiega il Prof. Nicola Petrosillo, Direttore UOC “Infezioni sistemiche e dell’immunodepresso” dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive, nonché membro SIMIT, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali – deriva dal fatto che i microrganismi vengono dispersi nell’ambiente (il paziente presenta diarrea) e, se non vengono rispettate misure igieniche ambientali e personali, tra cui il lavaggio delle mani da parte degli operatori sanitari, esiste la possibilità che possano essere trasferiti da un paziente all’altro. Se il paziente nel quale sono trasmesse ha condizioni predisponenti (antibiotici in corso, presenza di altre malattie, uso di antiacidi, età avanzata, etc…) il ciclo di trasformazione in germi produttori di tossine può verificarsi con le manifestazioni cliniche connesse”.
La cura è rappresentata, laddove possibile, dalla sospensione degli antibiotici che il paziente sta utilizzando se non più necessari, e dall’uso di farmaci antimicrobici ai quali il Clostridium difficile è sensibile. Questi farmaci sono generalmente somministrati per via orale. “Il problema – prosegue il Prof. Petrosillo – è che in persone debilitate e con altre malattie si possono avere recidive. La probabilità di una prima recidiva è del 25% dopo il primo episodio, ed arriva fino al 60% in coloro che hanno avuto una prima recidiva. Questi casi, peraltro molto fastidiosi, vanno curati con antibiotici selettivi nei confronti del Clostridium difficile, insieme alla sospensione di eventuali altre terapie antibiotiche in corso. In alcuni casi però si deve arrivare a ricostituire la flora intestinale, per esempio attraverso il trapianto di feci da donatore”
Le più frequenti infezioni associate alle procedure assistenziali e alle organizzazioni sanitarie sono le infezioni urinarie associate a cateterismo vescicale, seguite dalle infezioni della ferita chirurgica, poi dalle infezioni delle basse vie aeree spesso associate a intubazione meccanica per ventilazione assistita, seguite ancora dalle infezioni del torrente circolatorio associate a cateteri vascolari (spesso centrali). Attraverso queste procedure invasive è possibile introdurre dall’esterno microrganismi ovvero, in alcuni casi, facilitare l’accesso in siti profondi di microrganismi presenti su cute e mucose. “La pericolosità di tutto ciò – aggiunge il Prof. Petrosillo – deriva dalla particolare suscettibilità di alcuni individui, che essendo magari già debilitati e con gravi patologie concomitanti, possono avere decorsi clinici talora infausti a seguito di infezioni intercorrenti, e dalla possibilità che i microrganismi in causa siano resistenti agli antibiotici. Infatti in ospedale, a causa del largo utilizzo di antibiotici, nel tempo si sono selezionati cloni di batteri resistenti a molti antibiotici, e talora a tutti quelli conosciuti. In questo caso debellare queste infezioni è praticamente impossibile. Riguardo la frequenza di infezioni, si calcola che il 6-8 % dei pazienti in ospedale hanno una infezione acquisita in ospedale.”
E conclude: “Non è possibile azzerare le infezioni, ma si deve portare a zero la tolleranza nei confronti di pratiche scorrette, igiene insufficiente e mancato rispetto delle misure di controllo delle infezioni. Le strutture sanitarie devono garantire al paziente la dovuta sicurezza ed igiene, ed all’operatore la possibilità di lavorare con tranquillità facilitandone il lavoro e l’applicazione di tutte le suddette misure”.
Francesco Salvatore Cagnazzo