New York. Follia pura abolire il Columbus Day

La giunta comunale di Los Angeles ha deciso di abolire il Columbus day.

Perche’? Forse perche’ e’ la decisione di un gruppo,di una organizzazione anarchica. Ma ci credo poco.
Quando hanno chiesto,,soprattutto gli  italiani che vivono in California,,il motivo di questo gesto la risposta e’ stata : Cristoforo Colombo era un razzista che ha ucciso milioni di indigeni, definiti indiani perche’il navigatore genovese aveva  creduto di essere approdato nelle Indie. Certo e’ che non resteranno con  le mani in mano il 9  ottobre.

benny a casa di franco manocchia

Forse
tenteranno di commemorare Colombo in ogni modo,anche se – a questo  punto – si puo’ immaginare che il comune di Los Angeles non concedera’ permessi agli italiani. Potrebbe scapparci una piccola rivoluzione…
 A New York,intanto, il sindaco De Blasio, ha dichiarato che chiedera’ di coprire la statua di
Colombo,convinto anche lui,che il navigatore italiano faceva parte di un gruppo di razzisti decisi a eliminare i  natives.
Non e’; comprensibile questo atteggiamento.Qualcuno parla di una “posizione..angloamericana”,in somma di gente che non ha mai digerito il fatto che fu un italiano a scoprire l’America e un italiano a  darle il nome: Amerigo Vespucci .
Una frase rimbalza nella mente:perche’ tutto questo non e’ successo negli otto anni di Obama?’La risposta potrebbe essere ovvia. Ma e’ meglio lasciar perdere.La politica,sapete…



Argostoli (Grecia). Presentato in anteprima “PRIGIONIERO DEL BLU”, di FRANCESCO FAGNANI

23.08.2017 ARGOSTOLI, CEFALONIA, GRECIA

La Copertina del libro

IN ATTESA DELLA PRESENTAZIONE UFFICIALE, PREVISTA A L’AQUILA PRESSO LA CASERMA “PASQUALI” IL 15 SETTEMBRE 2017, ANTEPRIMA AD ARGOSTOLI PRESSO IL MUSEO DELLA “ACQUI” DEL LIBRO “PRIGIONIERO DEL BLU”, DI FRANCESCO FAGNANI, BASATO SULLE VICENDE DI GIOVANNI CAPANNA, REDUCE DI CEFALONIA

Foto Archivio. L’ultima apparizione pubblica di Giovanni Capanna a Mosciano Sant’Angelo (TE)

L’associazione De Historia, rappresentata dal presidente Nicoletta Proietti, in collaborazione con l’associazione Italo-Greca Mediterraneo, rappresentata dalla dottoressa Clotilde Perrotta, in un suggestivo incontro presso il memorial “Acqui” a Argostoli, hanno patrocinato l’anteprima del volume “Prigioniero del Blu”, dalle memorie di Giovanni Capanna di Arischia (AQ), sopravvissuto della Divisione Acqui a Cefalonia nel 1943. Capanna, allora ventenne, si trovò coinvolto nella drammatica spirale dei fatti avvenuti sull’isola greca.

Gli autografi firmati dall’autore del libro

Il volume, oltre a raccogliere la preziosa e per certi versi unica testimonianza di Capanna, la integra ad una serie di ricerche iniziate fin dal 2004 a Cefalonia da Francesco Fagnani, alla terza opera come scrittore ed alla prima come autore puro. Presenti all’incontro i signori Kalafatis, Maria e Adoni, discendenti della famiglia greca che, mettendo a repentaglio la propria vita, salvò Capanna nel settembre del 1943 dalla furia tedesca. “Allora come oggi, ripensando a quegli istanti orribili, non trovo altro termine che definire indecifrabile l’estrema naturalezza con la quale i tedeschi erano capaci di passare da spietati boia a distaccati e professionali soldati nel volgere di pochi istanti.”

Un giovane Capanna alla guida del suo camion a Cefalonia

La presentazione ufficiale, alla presenza delle massime autorità politiche e militari, delle associazioni d’arma e delle associazioni civiche, nonché del mondo della scuola, si svolgerà a L’Aquila il 15 settembre 2017, data di avvio degli scontri sull’isola greca nel 1943, a partire dalle ore 17. Tutte le info sulla pagina Facebook De Historia, info@dehistoria.org.


ARTICOLO del 19 MARZO 2016 su giulianovanews.it

Scompare l’ultimo reduce teramano dei fatti di Cefalonia

Già poliziotto e autista del Prefetto di Teramo negli anni ‘70

 

Teramo. Nel tardo pomeriggio di oggi, 19 marzo, presso la casa di riposo De Benedictis di Teramo, è scomparso all’età di 92anni il reduce Giovanni Capanna, l’ultimo militare della provincia di Teramo testimone vivente degli atroci fatti di Cefalonia in Grecia nel 1943. Lascia la moglie Maria Giuseppina Cacchio, il figlio Enrico e il cognato Carlo Cacchio. I funerali si terranno lunedì mattina alle ore 10,30 nella chiesa di San Berardo a Teramo.

Giovanni Capanna 1923

Giovanni Capanna 1923

Nato ad Arischia (frazione de L’Aquila) il 1 agosto 1923, partito alla volta della Grecia come autiere in forza al 17° fanteria addestramento volontari “Aqui”, nel 1941 parte per il fronte greco-albanese per combattere a Himara, Vunci e Val Shushiza. Nel 1942, al termine della prima fase del conflitto, viene trasferito sull’isola greca di Cefalonia dove viene catturato dai tedeschi dopo la resa dell’8 settembre 1943 e coinvolto nei famosi e tragici fatti di Cefalonia. In particolar modo ebbe l’ingrato compito di fare la spola, insieme ad altri suoi colleghi autieri, tra i campi temporanei di prigionia e le fosse comuni dove furono trucidati i soldati italiani. Grazie all’aiuto dei partigiani greci riuscì ad evadere ed unirsi alle bande locali per cacciare l’invasore tedesco. Successivamente alla fine della guerra rientrò in patria con mezzi di fortuna, arruolatosi in Polizia, prestò servizio presso vari distaccamenti in alcune località d’Italia, fino ad andare in pensione a Teramo come autista personale del Prefetto di Teramo negli anni ’70, dove peraltro decise di vivere con la sua famiglia.

Giovanni, il 25 aprile del 2007, fu inviato ufficialmente come uno degli ultimi reduci viventi a Cefalonia con l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, primo festeggiamento fuori dai confini nazionali, ed anche nel 2012 partecipò ricevendo alcune medaglie e diplomi ministeriali. Dal 2011, insieme al Comitato “Per non dimenticare – Cefalonia 1943”, costituito per ricordare i militari italiani morti a Cefalonia nel settembre del 1943, partecipava agli incontri culturali con le scolaresche del teramano, in particolar modo a Giulianova, Mosciano Sant’Angelo, Roseto degli Abruzzi ed altri plessi della provincia.

In totale furono 6 i militari teramani morti nella carneficina sotto il fuoco degli ex alleati tedeschi: Giovanni Calvarese, Carabiniere del 7° battaglione, nato a Giulianova il 2 giugno 1920 e fucilato il 23 settembre 1943; Luigi Di Filippo, Carabiniere della sezione mista, nato a Mosciano l’11 settembre 1911 e fucilato il 14 settembre 1943; Antonio Piozzi, Sottotenente del 17° fanteria Aqui, nato a Nereto il 10 gennaio 1920 e fucilato il 24 settembre 1943; Emidio D’Angelo, 33° artiglieria, nato a Sant’Egidio alla Vibrata il 26 novembre 1922 e dichiarato disperso il 23 settembre 1943; Silvio Martella,  tenente del 33° artiglieria, nato a Silvi il 26 agosto 1915 e fucilato il 22 settembre 1943; Marco Ciarroni, 33° artiglieria, nato a Teramo il 10 agosto 1916 e dichiarato disperso il 22 settembre 1943.

 

Per il Comitato “Per non dimenticare – Cefalonia 1943”

Walter De Berardinis

 




Abruzzo. NEL GIARDINO DELLE CLARISSE DI CITTA’ SANT’ANGELO INSIGNITI I NUOVI “AMBASCIATORI D’ABRUZZO NEL MONDO”

10 agosto 2017

 

 

Premiati Luigi Savina, Antonio J.C. Di Monte, Gianfranco Mazzoni, Franco Ricci, Roberto Fatigati

 

di Goffredo Palmerini

Le foto, liberamente a disposizione, sono dell’Ufficio stampa del Consiglio Regionale.

 

CITTA’ SANT’ANGELO (Pescara) – Si avvicina il tramonto quando in un assolato sabato d’agosto salgo a Città Sant’Angelo, magnifico centro a qualche chilometro da Pescara. E’ uno dei Borghi più belli d’Italia, lassù in collina, disteso con le sue belle case di mattoni rossi sopra un crinale, contornato di campi imperlati da nodose piante d’ulivo e fecondi vigneti, che donano olio e vini di riconosciuta eccellenza. Terra d’antica presenza dei Vestini, popolo italico insediato di qua e di là della catena del Gran Sasso, Angulum secondo un’antica citazione di Plinio il Vecchio, Città Sant’Angelo è oggi una bella cittadina di oltre 15mila abitanti che ha attraversato secoli di storia, lasciando tracce significative ed interessanti. Ne fa mostra la bella Chiesa di San Michele Arcangelo, la cui origine è anteriore all’anno Mille, poi ricostruita nel Trecento. Magnifica facciata e uno svettante campanile, mentre all’interno resti alto-medioevali impreziosiscono il tempio. Numerose e belle chiese (S. Chiara, S. Bernardo, S. Francesco, S. Agostino, S. Liberatore, ed altre minori) risplendono nella stupenda architettura del Borgo, contornato da magnificenti mura urbiche dotate di quattro Porte. Ho una mezz’ora per apprezzare la straordinaria vista che si gode dal Borgo, una terrazza che affaccia da un lato sul mare in lontananza e dall’altro verso i colli che arrancano verso le propaggini della Bella Addormentata, così come appare da questo verso la catena del Gran Sasso. La gente cerca la frescura, seduta all’ombra lungo il lastricato Corso centrale disposto longitudinalmente alla città, dove confluiscono suggestivi e stretti vicoli laterali. Bello ed appropriato è l’arredo urbano. Un matrimonio è stato appena celebrato. Gli sposi sorridenti e gli invitati vocianti sostano davanti la scalinata della stupenda Collegiata di San Michele Arcangelo, con il magnifico portale e il portico ad archi.

 

E’ quasi l’ora di recarci al Giardino delle Clarisse. Lì il Consiglio Regionale d’Abruzzo, in collaborazione con la Municipalità di Città Sant’Angelo, ha scelto di celebrare l’edizione 2017 della cerimonia per il conferimento dell’onorificenza di “Ambasciatore d’Abruzzo nel mondo”. Ogni anno l’evento si tiene il 5 agosto, dichiarata “Giornata degli Abruzzesi nel mondo”, come dispone la legge regionale istitutiva. Nel corso della Giornata, organizzata dalla Presidenza del Consiglio Regionale d’Abruzzo, viene conferita annualmente l’onorificenza di “Ambasciatore d’Abruzzo nel mondo” a quelle personalità d’origine abruzzese che, per meriti accademici, culturali, politici, sociali, professionali, si siano positivamente distinte all’estero, o nelle Regioni italiane diverse dall’Abruzzo, dove sono emigrate in passato o dove attualmente vivono stabilmente. Il Giardino delle Clarisse è un ampio spiazzo incastonato su tre lati tra il dismesso monastero, la Chiesa di Santa Chiara e le case del Borgo, l’altro lato è aperto, un’alta balconata sui quartieri bassi della cittadina e sul paesaggio che dalla costa marina gradualmente sale verso i contrafforti dei monti. Sono quasi le 7 di sera, l’ora d’inizio della cerimonia. Arrivano il Procuratore Generale per l’Abruzzo, Pietro Mennini, numerose autorità militari e civili, gli ospiti, gli insigniti dell’onorificenza con le loro famiglie. Il Presidente del Consiglio Regionale, Giuseppe Di Pangrazio, accoglie e saluta le autorità e gli ospiti. Con lui il Vicepresidente del Consiglio Regionale Paolo Gatti, il Sottosegretario alla Presidenza Mario Mazzocca, i Consiglieri regionali Giorgio D’Ignazio, Lorenzo Berardinetti e Luciano Monticelli. Il Capo Segreteria del Presidente, Gino Milano, con i collaboratori, definisce con cura i preparativi per l’inizio della serata.

 

Alle 19 in punto la cerimonia prende avvio. Gino Milano, che coordina con garbo e perizia, ne chiarisce i contorni con notazioni intense e puntuali. “Ci ritroviamo a vivere insieme – dice tra l’altro il dr. Milano – un evento istituzionale regionale, cercando tutti di ritrovare nella storia delle popolazioni d’Abruzzo porzioni di umanità uscite dalle loro terre d’origine e disperse su altre terre del pianeta. Lo facciamo con sentimenti di amicizia, di nostalgia, di solidarietà, ricordando le caratteristiche di abruzzesità che abitano il cuore di ciascuno di noi. Se in passato ogni cultura modellava l’identità di una collettività, in genere radicata in un territorio più o meno ampio, oggi le culture si intrecciano ed entrano, sovente, in conflitto in tutti i luoghi del mondo. Ogni comunità è ormai segnata al suo interno da varie forme di diversità culturale e persino le singole persone diventano portatrici di sintesi uniche e originali di una pluralità di appartenenze. Se ci soffermiamo a riflettere sul nostro Vecchio Continente, ad esempio, appare evidente la necessità di costruire nuove visioni di un’Europa che sembra mostrare segni di spegnimento, anche demograficamente, ma soprattutto nei suoi contenuti di valore e di principio che segnarono 60 anni fa la profondità dei Trattati di Roma. Assistiamo ad una faticosa transizione fra un mondo antico e un mondo nuovo, dove altre identità ed esigenze sono in movimento alla scoperta di un futuro tutto da disegnare. Oggi, nel momento in cui tutte le culture e tutte le persone del mondo si trovano in connessione e in interdipendenza reciproca, le differenze appaiono come ineliminabili, nella loro fecondità, ma anche nella loro criticità. E’ in questo contesto che si evidenzia la lungimiranza della legge regionale n. 4 del 21 febbraio 2011 che ha voluto dichiarare il 5 agosto “Giornata degli Abruzzesi nel mondo”, a ricordo annuale dell’emigrazione regionale e al fine di rafforzare l’identità degli abruzzesi nel mondo e rinsaldare i rapporti con la terra di origine. Il Consiglio regionale dal 2014 ha inteso radicare sui territori della Regione la ricorrenza dell’evento. Per questa edizione 2017 ha scelto la provincia di Pescara e il prestigioso Giardino delle Clarisse in Città Sant’Angelo, per lo svolgimento della cerimonia. In tal senso il Presidente Di Pangrazio completa, quest’anno, il programma itinerante nelle singole province d’Abruzzo, dopo Sulmona (2014), Civitella del Tronto (2015) e Fossacesia (2016)”.

 

Assente il sindaco di Città Sant’Angelo Gabriele Florindi, colpito da un lutto familiare, è la Consigliera comunale Patrizia Longoverde, delegata alle Politiche Sociali, a portare il saluto della Municipalità. Il Presidente del Consiglio Regionale Giuseppe Di Pangrazio apre quindi la manifestazione. Prima di tutto rivolge un pensiero d’affetto e di solidarietà per il sindaco Florindi, in lutto per la morte del padre, ringraziandolo per la disponibilità e la collaborazione nell’accogliere l’evento. Saluta e ringrazia le autorità, per l’onore che rendono all’evento istituzionale con la loro presenza. Si dà poi avvio formale alla cerimonia con l’esecuzione dell’inno nazionale. “La Regione Abruzzo – sottolinea il Presidente Di Pangrazio – celebra oggi la Giornata annuale degli Abruzzesi nel mondo, ripensando le migrazioni di uomini, donne, intere famiglie che hanno portato lontano dalle loro terre d’origine le sensibilità, le voci e le speranze dei paesi d’Abruzzo, inserendosi in contesti di vita di altre popolazioni d’Italia e del mondo, tra nuove e diverse realtà culturali e sociali. Abruzzesi rimasti sempre in relazione con i luoghi e le comunità di provenienza! Senza cedere al sentimentalismo, mi sento di poter dire che stasera le migliaia e migliaia di volti e di nomi dell’emigrazione abruzzese sono tutte simbolicamente accomunate e rappresentate dagli autorevoli personaggi che quest’anno vengono insigniti del titolo di Ambasciatore d’Abruzzo. Ma prima di inoltrarci nella centralità dell’evento, che è esercizio permanente della memoria e della storia di generazioni di abruzzesi passate ed attuali, desidero, come ogni volta, ricordare un’altra data così prossima a quella di oggi, dal sapore amaro e tristemente nefasto: quell’8 agosto del 1956, quando si consumò la tragedia di Marcinelle, in Belgio, che ha assunto la valenza simbolica di annoverare e ricordare tutti gli abruzzesi incorsi in tragedie personali, familiari e collettive, a motivo della loro condizione di migranti. Vi invito, dunque, ad osservare un momento di silenzio, per non dimenticare quella miniera lontana che inghiottì la vita di tante persone sottoposte ad un duro lavoro, tra le quali 60 migranti dall’Abruzzo”.

 

Un minuto di silenzio e d’intensa commozione fa memoria della tragedia di 61 anni fa nella miniera di Bois du Cazier, in quella terribile mattina quando scoppiò l’inferno e vi perirono 262 minatori, 136 erano italiani e tra essi ben 60 abruzzesi. “L’evento istituzionale di oggi – riprende il Presidente Di Pangrazio – ha anche lo scopo di evidenziare alcune caratteristiche peculiari della terra d’Abruzzo, espresse da testimoni speciali e dai risultati prestigiosi conseguiti nella loro vita. Con gli Ambasciatori d’Abruzzo che stasera verranno insigniti con tale titolo – unitamente a quanti sono stati riconosciuti negli anni scorsi – si vuole raccogliere e custodire un patrimonio regionale immenso. Sostenere e alimentare, in primis, il rapporto indissolubile degli abruzzesi in altri Paesi del mondo o in altre regioni italiane; promuovere la cultura e le tradizioni dell’Abruzzo, contribuendo a progetti formativi che valorizzino tutte le generazioni, particolarmente quelle più giovani che sembrano dover rivivere emergenze migratorie aggiuntive a quelle passate, con la richiesta di altrettanto impegno e sacrificio, ma anche con la possibilità di rinnovare risultati e traguardi. Anche l’Europa – aggiunge Di Pangrazio – sembra mostrare affanno alla sua unione di popoli e ordinamenti diversi, rialzando muri e distanze, anziché ponti percorribili da tutti quei giovani che sognano un futuro sostenibile, e si mettono in gioco per costruirlo. E il nostro pensiero va alla giovane Fabrizia Di Lorenzo stroncata a Berlino il 19 dicembre 2016, mentre cercava un oggetto affettuoso da riportare alla sua famiglia di Sulmona per il Natale. […] Mai come oggi la mobilità umana ha raggiunto dimensioni travolgenti: interi continenti in movimento, decine di milioni di esseri umani in permanente ricerca di soluzioni ai propri problemi di sicurezza fisica, di spazi di libertà, di opportunità lavorative, ma anche di potersi sottrarre alle condizioni oggettive derivanti da conflitti, povertà strutturali, disastri ambientali. Rancori, sospetti, intolleranze e violenze sembrano segnare società che nel passato si sono evolute creando spazi di accoglienza ad altre migrazioni: penso, in questo momento, alla delicata situazione che vive il Venezuela, nazione che ha visto approdare almeno due generazioni di abruzzesi, numerosi e determinati, dove i giovani si trovano obbligati a dimostrare giorno per giorno di essere degni del Paese in cui i loro padri furono accolti.”

Insigniti e Autorità

“Alle comunità abruzzesi venezuelane – annota ancora Di Pangrazio – a quanti si prodigano nel sostenere relazioni e donare aiuto, alle associazioni che fanno unione intorno a loro, giunga il nostro affetto e la nostra gratitudine. Il messaggio che si vuole attribuire a questo riconoscimento che ogni anno la Presidenza del Consiglio

Regionale consegna a personaggi che hanno radici abruzzesi, rilancia il valore della solidarietà e della fraternità; il senso di appartenenza ad una comunità civile che intende condividere il destino unico tra chi vive in Abruzzo e chi vive fuori dei suoi confini; la capacità di cittadini abruzzesi di sentirsi ed essere Cittadini del mondo. Le Istituzioni regionali e locali sono chiamate a riconoscere come le migrazioni si intrecciano indissolubilmente con le politiche riguardanti la demografia e le conseguenze delle trasformazioni climatiche, l’economia, il mercato del lavoro, la ricerca scientifica, i modelli di società e i rapporti internazionali. I fenomeni migratori sono connaturati all’uomo e al suo divenire storico: non sono un’emergenza, bensì una realtà strutturale, ormai evidente in tutto il mondo globalizzato. Dobbiamo sostenere le identità locali e regionali, senza però trascurare la dignità dei migranti in movimento, anche di quelli che vengono da noi. Oggi sembra abitare in tutti un accresciuto senso di confusione identitaria, un deficit di capacità di confronto con chi è “altro”, “diverso”. Occorre aprire nuovi orizzonti e scrivere un altro capitolo di storia, pacificante e solidale, impegnativo per la sicurezza e il benessere di tutti. E’ una “concreta utopia” da rendere possibile. E l’incontro di stasera, tra tutti noi appartenenti alla comunità dell’Abruzzo, vuole essere, appunto, momento di gioia e di verità. Esso mostra che il sogno di molti, in questi abruzzesi illustri, è diventato realtà. Questo è il senso della cerimonia istituzionale che invito tutti a voler condividere”, conclude il Presidente di Pangrazio.

 

Lo speaker chiama quindi sul palco, nell’ordine, le Personalità insignite del riconoscimento di “Ambasciatore d’Abruzzo nel mondo”. Il primo a ricevere l’artistica Targa di bronzo con l’effigie del Guerriero di Capestrano, dalle mani del Presidente Di Pangrazio, è Luigi Savina, Vice Capo vicario della Polizia di Stato. Nato a Chieti il 16 maggio 1954, è Prefetto proveniente dai ruoli dei funzionari della Polizia di Stato. Laureato in Giurisprudenza, entra in Polizia nel settembre 1980. Dal 1991 al 1993 è capo della Squadra Mobile della Questura di Pescara e, dopo un anno, a Roma presso il Servizio Centrale Operativo. Dal 1997 al 1998 dirige a Napoli il Centro interprovinciale di polizia criminale per la Campania e il Molise. Dal 1998 al 1999 è vice questore di Pescara e dal febbraio all’ottobre del 2000 è capo del contingente di Polizia italiana in Albania. Nell’ottobre 2000 gli viene conferito l’incarico di dirigente della Squadra Mobile di Milano. Nel 2012 è nominato Questore di Milano e dal 2016 è Vice Capo vicario della Polizia di Stato. Nel breve intervento di ringraziamento il dr. Savina richiama il suo legame con gli abruzzesi dei luoghi dove ha prestato servizio e l’impegno meritorio delle loro associazioni. Infine saluta Luciano D’Amico, Rettore dell’Università di Teramo, presso la quale si è laureato.

Antonio J.C.DiMonte e Mario Mazzocca

Viene quindi insignito Antonio Juan Carlos Di Monte, Agente Consolare Onorario d’Italia in San Francisco (Argentina). Nato il 22 maggio 1950, abruzzese di Caramanico Terme (Pescara), vive a San Francisco, nella provincia di Cordoba. Nel 1996 il Ministero degli Affari Esteri gli conferisce l’incarico di Agente Consolare. Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana, è membro del Consiglio direttivo dell’Asociaciòn Cooperadora Policial di San Francisco, Presidente Asociaciòn Civil Dante Alighieri con Scuola bilingue e nel 2015 dell’Istituto di Lingua e Cultura italiana Dante Alighieri. Nel 2016 viene eletto Architetto Sociale, area “Vocazione al Servizio”, in San Francisco (Argentina). A consegnare la Targa al concittadino è il Sottosegretario alla Presidenza della Regione, Mario Mazzocca, anch’egli di Caramanico. Nel breve intervento Antonio J.C. Di Monte, non senza commozione, ricorda il suo primo viaggio in Abruzzo, alla scoperta delle proprie radici in una terra di straordinaria bellezza, del cui valore invita gli abruzzesi ad essere sempre consapevoli custodi.

 

Gianfranco Mazzoni e Paolo Gatti

Viene chiamato sul palco Gianfranco Mazzoni, giornalista e telecronista Rai. Nato a Teramo l’11 maggio 1959, laureato in scienze politiche, ha collaborato con i quotidiani “Il Tempo” e “Il Mezzogiorno”. Entrato in Rai, è Radiocronista e inviato speciale di Rai Sport. Telecronista del Gran Premio di Formula 1, è vincitore di numerosi premi e riconoscimenti, tra i quali il Premio CONI per il giornalismo sportivo, il premio Giuseppe Prisco, i premi Lorenzo Bandini e Moruzzi. E’ doppiatore nei film d’animazione della Disney Pixar. Consegna la Targa di Ambasciatore d’Abruzzo al dr. Mazzoni il Vice Presidente del Consiglio regionale Paolo Gatti. Nel saluto di ringraziamento Gianfranco Mazzoni richiama le peculiarità della sua professione giornalistica che, spesso, lo portano in giro per il mondo a seguire i Gran Premi di automobilismo per Rai Sport. In quelle occasioni spesso conosce emigrati abruzzesi, più sovente sono proprio i nostri corregionali nel mondo a cercarlo.

 

Franco Ricci e Luciano Monticelli

E’ il turno di Franco Ricci, Presidente Emerito dell’American Association for Italian Studies (AAIS), l’associazione dei professori di italianistica delle Università delle Americhe. Franco Ricci è nato il 19 maggio 1953 a Caracas da genitori abruzzesi di Sulmona emigrati in Venezuela. Trasferitosi con la famiglia negli Usa, si laurea in Lingue (Italiano e Spagnolo) presso la Wayne State University di Detroit e, nella Facoltà di Legge della stessa università, si specializza in Diritto internazionale. Presso l’Università di Toronto si laurea in Linguistica e Letteratura e, sempre nello stesso ateneo, consegue il dottorato (Ph.D.) con specializzazione in Letteratura e Cultura italiana. Docente nell’Università di Toronto e nella Laurentian University di Sudbury, dal 1982 insegna nell’Università di Ottawa, dove è stato anche direttore del Dipartimento di Studi italiani. Come visiting professor ha insegnato nel Middlebury College (Vermont, Usa), alla McGill University (Quebec, Canada), al Colorado College (Colorado Springs, Usa). Significativo il suo curriculum, per libri editi e scritti su riviste letterarie. Numerosi i riconoscimenti. Notevoli gli studi e le pubblicazioni su Italo Calvino e le sue opere. Premia il prof. Ricci il Consigliere regionale Luciano Monticelli, delegato alla Cultura. Il prof. Ricci, nel suo intervento, sottolinea la sua specificità culturale di italo-americano e il profondo amore per l’Italia e la cultura italiana. Un amore che lo porta ogni anno in Abruzzo, organizzando Summer School per gli studenti della sua università e di altri atenei americani. Centinaia di giovani canadesi e americani hanno così scoperto l’Abruzzo e se ne sono innamorati per la bellezza della natura, per i tesori d’arte, per l’eccellente cucina. La Regione potrebbe trovare forme d’incentivazione in questo settore. Il prof. Ricci chiude infine il suo saluto con la notizia che sta lavorando alla nascita d’un Istituto di Studi a Sulmona, della sua università di Ottawa, dove studenti canadesi possono studiare lingua e cultura italiana, ma anche altre discipline, con professori italiani di madre lingua. L’iniziativa potrebbe vedere la luce entro un paio d’anni. Richiama infine il suo impegno nel Centro Abruzzese Canadese di Ottawa, con un caloroso elogio al presidente Nello Scipioni, nominato di recente “Italiano dell’Anno 2017” dal Comites di Ottawa.

 

E’ infine la volta di Roberto Fatigati, Generale, Presidente dell’Associazione Abruzzesi e Molisani in Friuli Venezia Giulia. Consegna la Targa di Ambasciatore d’Abruzzo al Gen. Fatigati il Consigliere regionale Lorenzo Berardinetti, componente del CRAM. Nato a L’Aquila il 26 gennaio 1935, Roberto Fatigati si arruola quale allievo ufficiale dell’esercito e, nominato Sottotenente, è destinato al quinto Reggimento di Artiglieria della Divisione “Mantova” nella sede di Udine. E’ tra i primi ad accorrere in soccorso delle popolazioni colpite dalla frana del Vajont, nell’ottobre 1963. Successivamente, nel 1976, al comando del suo reparto è accanto al popolo friulano sconvolto dal terremoto. Nel 1989 costituisce a Udine l’Associazione degli Abruzzesi e Molisani in Friuli Venezia Giulia, assumendone la presidenza, che tuttora riveste. La solidarietà è stata il filo conduttore del suo impegno. Nel 2011 ha promosso e organizzato a L’Aquila il primo Raduno degli Abruzzesi nel Mondo. Davvero commosso l’intervento di ringraziamento del Gen. Fatigati, onorato di ricevere il riconoscimento. Traccia i fatti più significativi che in tema di solidarietà hanno interessato la sua associazione, a cominciare dal terremoto del Molise, poi il sisma dell’Aquila, le inondazioni in Sardegna e i recenti terremoti di Amatrice, Norcia e Centro Italia. Ma significativa è anche l’attività culturale del sodalizio, che tende a valorizzare il forte legame tra abruzzesi-molisani e friulani-giuliani.

 

Santino E.Di Berardino e Giorgio d’Ignazio

Corrado Oddi e Pietro Mennini

Viene infine tributato il Riconoscimento Speciale per la promozione dell’immagine dell’Abruzzo. Insigniti sono il Prof. Santino Eugenio Di Berardino e l’attore e regista Corrado Oddi. Santino Eugenio Di Berardino, nato a Pescara nel 1950, è professore all’Università di Lisbona, nel Dipartimento di Ingegneria Geografica, Geofisica e Energia. E’ Valutatore esperto per la Commissione Europea e per numerose Organizzazioni internazionali, sviluppatore di brevetti internazionali e Vice Presidente del gruppo di specialisti IWA. Consegna il riconoscimento al prof. Di Berardino il Consigliere regionale Giorgio D’Ignazio. Corrado Oddi è nato nel 1971 ad Avezzano. E’ attore cinematografico e teatrale, autore e regista. Ha interpretato il Giudice antimafia Giovanni Falcone nel docufilm di Rai Storia “Giovanni Falcone, c’era una volta a Palermo”, realizzato in occasione dei 25 anni dalla strage di Capaci. Un’interpretazione davvero significativa, la sua, che l’ha portato a vivere – come egli stesso ha commentato nell’intervento di ringraziamento – molto intensamente la parte d’una persona straordinaria, come il giudice Falcone. Ne ha quindi ripercorso i tratti salienti della vita e dell’opera del grande magistrato siciliano, ucciso dalla mafia un quarto di secolo fa. Proprio per il tema della legalità trattato nel docufilm, a premiare Corrado Oddi è il Procuratore Generale d’Abruzzo dr. Pietro Mennini. Sono le 9 di sera quando la cerimonia si conclude, sulle note dell’Inno alla Gioia eseguito da un provetto Trio d’Archi che felicemente ha trapuntato la serata anche con brani dalle Quattro Stagioni di Antonio Vivaldi e dalla Sinfonia dal nuovo mondo di Antonin Dvořák. Dalla balconata del Giardino delle Clarisse si vedono le luci gialle dei borghi circostanti e il litorale in lontananza illuminato a giorno. Nel cielo color cobalto fanno da contrappunto alle stelle, vivide e lucenti nella notte incipiente.

Giuseppe Di Pangrazio e Luigi Savina

Lorenzo Berardinetti e Roberto Fatigati




“Ricordato a Bolzano l’eroe garibaldino Raffaello Sernesi“

 

Nella rievocazione emerge l’efficienza dell’Ospedale di Bolzano nel 1866 comunicata ai familiari dall’eroe.

 

Venerdì 11 agosto, i soci della Sezione Provinciale di Bolzano dell’Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini presieduta da Sergio Paolo Sciullo della Rocca, riuniti presso la sede sociale hanno ricordato la figura del garibaldino Raffaello Sernesi, nato a Firenze il 29 dicembre 1838 che partecipò come volontario alla terza guerra d’indipendenza inquadrato nel 6° Reggimento del Corpo Volontari Italiani comandato dal Colonnello Giovanni Nicotera. Combattè in Trentino, ferito a una gamba il 16 luglio 1866 a Cimego nel corso della battaglia di Condino, mori l’ 11 agosto 1866 per cancrena, presso l’Ospedale di Bolzano. La relazione storica è stata tenuta dal presidente, Sciullo della Rocca coadiuvato dal Segretario Gabriele Di Lorenzo che ha dato lettura di alcune pagine di storia risorgimentale e di una nota della lettera che il Sernesi scrisse alla sorella Olimpia, il 21 luglio 1866: “Dopo appena 3/4 d’ora di combattimento fui colpito da una palla nell’estremità della gamba sinistra e restai sul campo fino alla fine del combattimento. Gli Austriaci restati padroni del campo vennero a prendere i feriti per trasportarli negli Ospedali. Io ora mi trovo nell’ospedale di Bolzano dove siamo ricolmati di cure e di gentilezze, che fano dimenticare un poco l’esser lontano dalla Patria” Oltre ad essere stato un valido patriota italiano è stato un valente pittore dell’ottocento dipinse molti quadri nella campagna toscana con la tecnica del macchiaiolo, studiò presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove fu anche insegnante. Alla commemorazione ha preso parte anche una rappresentanza dell’Associazione Italiana Combattenti Interalleati, che al termine in segno di omaggio all’eroe hanno cantato l’inno di Garibaldi congiuntamente ai garibaldini altoatesini.

Foto di Raffello Sernesi dagli archivi garibaldini.

 

Lapide commemorativa a Bolzano nella via omonima a lui dedicata.

FOTO: di Foto Arte Asmodeo Rennes




Castel del Monte (AQ). “LA VALIGIA DI CARTONE” 2017 – “Per Custodire la memoria della nostra Emigrazione”

Castel del Monte, 11 agosto 2017

 

Oggi a Castel del Monte (Aq) si è tenuta la premiazione de “LA VALIGIA DI CARTONE” . La manifestazione, promossa dall’Amministrazione Comunale, giunta alla sua VI° edizione, intende assegnare i riconoscimenti a chi “ha saputo offrire un contributo alla valorizzazione e alla riscoperta della Emigrazione italiana”. Oggi alla presenza del Sindaco di Castel del Monte Luciano Mucciante, dell’Assessore Caterina Bernardoni e di Geremia Mancini coordinatore dell’evento hanno ricevuto “La Valigia di cartone” 2017:

Marcello Maviglia – psichiatra e “studioso dei nativi americani”,

Vincent Scarza – produttore e regista,

Veronica Pace – regista ed autrice de ““I Love Litaglia”;

Gli autori del libro ”Abruzzo Stars&Stripes”;

Gino Berardi – pittore;

Maurizio Di Fazio – giornalista,

Ha portato il saluto della comunità italo-americana Mario Daniele Console Italiano a Rochester.

Foto: organizzatori  e premiati della manifestazione  “La Valigia di cartone” 




Giulianova. Flaviano Di Donato: un giuliese nell’esercito degli Stati Uniti d’America durante la 1° Guerra Mondiale.

Giulianova.Ripropongo quest’articolo sul giuliese Flaviano Di Donato perchè questa sera, nella piazza del comune di Roseto degli Abruzzi, riceverò la segnalazione di merito per le ricerche sui caduti abruzzesi nella Grande Guerra. L’articolo che qui ripropongo è stato già pubblicato sul numero 35 della rivista storica “Madonna dello Splendore” curata dalla collega Cinzia Falini. Ringrazio l’ideatore, Enrico Trubiano; l’associazione culturale Obiettivo comune, presieduta da Alfonso Montese e la giuria del premio Vivi l’Abruzzo”, per la segnalazione di merito del premio intitolato a Luigi Braccili, persona che ho conosciuto nella sua attività professionale proprio a Giulianova. Ho tratto molto dal suo libro “Figli d’Abruzzo” e dalla sua rubrica mensile del giornale “Eco di San Gabriele”, tanto che scrisse un profilo di un figlio d’Abruzzo emigrato a Tokyo, mio fratello Chef, Arino De Berardinis. Proprio da Cologna paese è nata la motivazione della ristampa del libro “Quando c’era la guerra” edito dalla casa editrice Artemia Nova di Mosciano Sant’Angelo diretta da Maria Teresa Orsini, dove ci sono le foto e le ricerche sulla famiglia De Berardinis che viveva all’inizio del ‘900 proprio a Cologna. Da quest’ultimo lavoro ho deciso di approfondire un filone poco indagato dalla storiografia locale, i caduti abruzzesi della 1° guerra mondiale.

Walter De Berardinis

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I guerrieri vittoriosi prima vincono e poi vanno in guerra,

mentre i guerrieri sconfitti prima vanno in guerra e poi cercano di vincere.

Sun Tzu, L’arte della guerra

Flaviano Di Donato, 58° fanteria americana

 

 

di Walter De Berardinis

 

Dopo oltre 100 anni dallo scoppio della prima guerra mondiale (1914-1918) e mentre conducevo le ricerche sui caduti giuliesi (ad oggi 120 nominativi censiti) poi pubblicati a corredo della ristampa del libro del giornalista giuliese Francesco Manocchia Quando c’era la guerra (edizioni Artemia di Mosciano Sant’Angelo), ho avuto modo di approfondire la vicenda del caduto Flaviano Di Donato che, oltre ad non avere un proprio foglio matricolare, compariva solo sulle liste di leva del Comune di Giulianova, nell’elenco marmorizzato posizionato sulla facciata del duomo di San Flaviano e nel famoso Albo d’Oro dei caduti della 1a guerra mondiale come soldato nel corpo di spedizione americano.

Cimitero di Mose, dove fu sepolto per l’ultima volta prima di tornare a Giulianova

Flaviano Di Donato nacque a Giulianova il 13 febbraio 1892, alle ore 21.15, in una casa in via per Mosciano (località Colledoro), figlio di Domenico (1861-1933), bracciante e Pasqua Ottavianelli (1861-1944) anche lei bracciante (poi nella sentenza del Tribunale di Teramo 26 ottobre 1915 e con la rettifica in Comune del 30 ottobre 1915, cambierà in Anna Ottaviani/o). Nel 1888 nacque Biagio, Splendora (1890-1979), Francesco (1894-1969), Amalia (1895, che sposerà Nicola Borghese il 6 febbraio 1919), nel 1901 Rosaria, Alessandro (1904-1973), Addolorata (1899-1918, morta per la spagnola a 18anni), Loreta 1907 e Maria di cui non è stato possibile reperire la data esatta di nascita; il giovane Flaviano con i fratelli e le sorelle aiutavano la famiglia nei campi.

Rientro della bara

Il 16 aprile 1912, a seguito della segnalazione nella lista leva della classe 1892, veniva sottoposto a visita medica presso il distretto militare di Teramo. I medici militari, che trascrissero erroneamente la sua nascita nel mese di aprile, lo descrissero come piccolo di statura (151 cm e torace 0.81), capelli lisci e castani, naso aquilino e storto, mento piccolo, occhi castani, colorito pallido, dentatura sana, segni particolari piccole cicatrici sulla fronte e analfabeta. A ragione della sua bassa statura fu riformato.

Libro d’oro USA dei caduti della 1° guerra mondiale

Nel settembre del 1913, insieme ad altri suoi amici giuliesi, decise di espatriare per tentare la fortuna in Nord America; partì alla volta di Napoli per imbarcarsi tra i 2.354 passeggeri (300 in prima e seconda classe e circa 2000 in terza), sulla nave Prinzess Irene della società tedesca North German Lloyd società/Sud-deutscher Lloyd degli armatori fratelli Leupold di Genova. Il suo numero passeggeri sarà il 100752050148, settore 243 e cuccetta 28.

Il suo nominativo nel libro d’oro USA dei caduti della 1° guerra mondiale

Il 25 settembre 1913 sbarcò ad Ellis Island, nella baia di New York.

Una triste vicenda coinvolse il fratello maggiore Biagio che il 21 maggio 1915 partì, dalla sede di pace di Ascoli Piceno, per il fronte arruolato nel 17° fanteria della brigata Acqui. Il 7 giugno la brigata era sul fiume Isonzo sul ponte di Pieris per arrivare a Turriaco. All’altezza dell’altopiano carsico iniziarono i combattimenti (25 maggio-26 giugno) che portarono alla conquista del paese di San Pietro d’Isonzo, con un bilancio di 400 soldati tra feriti e morti. Successivamente il 17° partecipò alla conquista di Cave di Selz e Vermegliano; durante la seconda battaglia dell’Isonzo (18 luglio-3 agosto), Biagio venne ferito alla coscia destra e riportò anche la rottura del femore. Ricoverato a villa Prister, località San Egidio, nell’ospedaletto da campo del VII corpo d’armata n. 93, morì il 25 luglio 1915 a soli 27 anni; fu il cappellano militare don Vincenzo Calcagni, della diocesi di Ripatransone, a dare l’estrema sepoltura nel cimitero degli Eroi di Aquileia a ridosso della famosa basilica di Santa Maria Assunta.

Logo del 58° reggimento fanteria USA nella 1° guerra mondiale

Intanto a Teramo Flaviano, il 3 agosto 1915, fu nuovamente chiamato a visita medica e risultò renitente alla leva perché all’estero; richiamato per la seduta straordinaria del 29 giugno 1916 fu segnalato al tribunale militare per non essersi presentato a visita di leva.

Devastazioni tedesche in Francia nella 1 G.M. (C) Walter De Berardinis

A New York, il nostro concittadino aveva una stanza in un angusta casa a due passi del fiume Harlem, nell’omonimo quartiere di Manhattan. In vista dell’entrata in guerra, nel maggio 1917, il Congresso americano varò la legge Selective Service/Draft act con lo scopo di arruolare coattamente tutti i maschi dai 18 ai 45 anni d’età, tramite un’apposita e rigida selezione.

Distretto militare Teramo (C) Walter De Berardinis

Non sappiamo se Di Donato fu costretto o si presentò volontariamente beneficiando del fatto che era stata promessa la regolarizzazione agli emigranti che si fossero presentati spontaneamente presso gli uffici governativi sparsi per la nazione. Non sappiamo neanche cosa gli impedì il ritorno in patria come avvenne per tantissimi italiani richiamati anche da oltre oceano ad arruolarsi nell’esercito italiano; furono forse motivi economici o forse contribuì donando derrate alimentari per i suoi connazionali al fronte come chiedeva un manifesto dell’epoca con il volto del re d’Italia affisso in tutti gli uffici, luoghi di lavoro e circoli ricreativi degli italiani all’estero: “l’Italia ha bisogno di carne, frumento, grasso e zucchero. Mangiate poco di questo cibo perché deve andare al nostro popolo, e le truppe d’Italia. Firmato Amministrazione dei cibi Stati Uniti”.

Probabilmente il suo nome comparve nel famoso poster-propaganda dal titolo 2285 New Yorkers volunteered in one week-Is your name on this list? che invitava gli emigranti ad andare a combattere per gli USA o su quello dal titolo Americans all! Victory Liberty Loan con i nomi di altri italiani.

Flaviano Di Donato si registrò all’ufficio locale di reclutamento il 28 aprile 1918, dichiarando come domicilio il numero 172 alla 3a Avenue di New York e come indirizzo di riserva, in caso di decesso, il civico 3939 della 172a Est Avenue dove viveva Nicola Merola, sua carissima amica di origini inglesi probabile per via del nome anglosassone al femminile.

Il 15 maggio 1917, Flaviano Di Donato, viene inquadrato nel 58° reggimento fanteria degli Stati Uniti D’America con la matricola 2791726/7 (58th Infantry Regiment US Army) a Gettysburg in Pennsylvania nella quarta divisione di fanteria.

Flaviano Di Donato sull’Albo d’Oro dell’ITALIA

Nell’aprile 1918 terminò la fase di addestramento a  Camp Greene, nella Carolina del Nord. Sotto la guida del generale americano John Joseph Pershing (chiamato Black Jack, Laclede, 13 settembre 1860-Washington, 15 luglio 1948) e con le Forze di Spedizione Americana (L’American Expeditionary Forces-AEF), contingente militare dell’esercito degli Stati Uniti d’America a sostegno delle forze della Triplice Intesa (Francia, Inghilterra e Russia) dopo la dichiarazione di guerra statunitense all’Impero tedesco il 6 aprile 1917, Di Donato partecipò alla 1a guerra mondiale.

Nel maggio 1918 il reggimento si trasferì in Inghilterra con la RMS Moldavia, piroscafo passeggeri trasformato in incrociatore mercantile armato che fu affondato il 23 maggio dello stesso anno nel canale della Manica dal sottomarino tedesco SM UB-57.

Successivamente il contingente, attraversato il canale della Manica, sbarcò a Calais in Francia, era il 9 giugno 1918. Unitosi con il suo reggimento alla 164a divisione di fanteria francese partecipò alla controffensiva di Aisne-Marne dal 18 luglio al 6 agosto 1918. Poi partecipò alla battaglia di Saint-Mihiel tra il 12 e il 19 settembre per sfondare le linee tedesche ed arrivare a Metz; questa fu la prima battaglia i cui gli americani operarono in autonomia senza il coinvolgimento diretto dei francesi.

La battaglia finale che portò alla resa dei tedeschi fu quella della Mosa-Argonne dal 26 settembre  all’11 novembre 1918 e nota come la battaglia della Foresta delle Argonne lungo tutto il fronte occidentale. Il bilancio fu pesantissimo e tra i 26.277 morti perse la vita anche il giuliese Flaviano Di Donato, morto il 7 ottobre 1918 nel pieno della seconda fase (4-28 ottobre) della battaglia.

La battaglia della Foresta delle Argonne è stata ben rappresentata nel film Il battaglione perduto diretto da Russell Mulcahy e interpretato da Rick Schroder e Phil Mckee uscito nelle sale nel 2001. Successivamente alla sua morte, il suo battaglione di fanteria sfondarono le difese tedesche (Linea Hindenburg) conclusasi con la Battaglia di Montfaucon in cui il suo Reggimento occupò le città di Moselkern e Coblenza, nella regione della Renania in Germania.

Flaviano Di Donato fu colpito sul mento da una mitragliatrice tedesca e, ferito, non fu in grado di raggiungere un luogo sicuro per essere soccorso; fu sepolto temporaneamente nel cimitero di Fays che oggi è un comune francese di 252 abitanti situato nel dipartimento dei Vosgi nella regione della Lorena. La prima sepoltura ufficiale fu a Brieulles-sur-Meuse, comune nel Mosa, sempre nella Lorena, nel nord-est francese, con il nome di Floriano Didinato (matricola 2791726, tomba n. 2 fila A3). Brieulles-sur-Meuse oggi è un cimitero nazionale francese, sistemato nel 1920, contiene un gran numero di tombe francesi e alleate.

Successivamente la salma fu spostata nel cimitero americano Romagne-sous-Montfaucon, comune francese del dipartimento Mosa-Lorena (area 97, fila 68/2, tomba 1232), questa volta con il nome di Florianno DiDonato. Romagne-sous-Montfaucon è il cimitero militare americano più grande d’Europa (superficie di 52 ettari) e vi riposano i resti di 14.246 soldati.

Le difficoltà che i familiari di Flaviano Di Donato dovettero superare per individuare la sepoltura non furono poche: diverse furono le trascrizioni del nome, dallo sbarco negli USA all’arruolamento; dall’approdo in Inghilterra passando per la Francia ed infine la riesumazione del corpo con diversi nominativi: Floriano Di’ Donato; Florianno DiDonato;  Floriano DiDinato.

Il 18 giugno 1920, nel tardo pomeriggio, il papà Domenico si recò presso l’ufficio di stato civile di Giulianova e consegnò la lettera inviata dal governo americano al ministero della guerra italiano dove venne comunicato la morte ufficiale del giovane giuliese, l’iter per la comunicazione in Italia era iniziata già il 17 marzo ma solo il 5 giugno il ministero della Guerra disponeva delle traduzioni.  Il 12 novembre 1921 avvenne la comunicazione ufficiale della morte, di Flaviano al padre Domenico alla presenza dell’allora sindaco Giuseppe De Bartolomei e del responsabile dello stato civile Giacinto Testoni. Il 31 agosto 1922 il capo scorta, Joseph Peters, del convoglio americano che stava girando l’Italia per riconsegnare le salme degli italiani morti con la divisa americana (American Graves Registratio Service convoy to italy) , consegno le spoglie (solo per chi ne aveva fatto espressa domanda) alla famiglia con la bandiera americana con il nome di Florianno DIDONATO al numero di matricola 2791726 dati trascritti nell’albo d’oro dei caduti americani della prima guerra mondiale e custodito oggi nella biblioteca nazionale del Congresso Americano; lo stesso giorno furono fatti i solenni funerali all’interno del cimitero di Giulianova e la salma, con tutti gli onori militari, fu deposta nella piccola cappella nella zona nord-est del cimitero di Giulianova (oggi parte antica), vicino alla cappella di famiglia dei Sechini, dove era sepolto il prete dell’Annunziata don Concezio Sechini prozio da parte materna dello scrivente (il viale centrale che va verso nord) .

Ancora un tragico episodio. Sappiamo che tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944, Giulianova fu martoriata dai pesanti bombardamenti della seconda guerra mondiale ad opera degli angloamericani; in uno dei bombardamenti una bomba cadde tra la cappella dei Sechini e dei Di Donato, distruggendo tutto. Il giorno seguente, i familiari e le autorità dell’epoca si recarono sul luogo del bombardamento e si accorso che ignoti avevano rubato la cassettina di ferro che conteneva le spoglie del giovane militare. Dopo il danno la beffa, questo in sintesi la vicenda rocambolesca del corpo del povero soldato, prima seppellito in tre campi militari in Francia; poi disseppellito e portato in Italia ed sfortuna volle che proprio i figli di quei ragazzi che combatterono con Di Donato con i bombardieri centrarono la sua sepoltura. Alla fine della guerra, i familiari fecero edificare una nuova cappella di famiglia sempre nella stessa zona, su una parete di essa ci sono le foto dei due fratelli, Biagio e Flaviano, morti per lo stesso ideale di patria ma soldati di due eserciti diversi.

Alla luce di quanto riportato con le mie ricerche, sarebbe il caso di intitolare una via o/e ricordare anche con una lapide questo giuliese che si distinse nella prima guerra mondiale pagando con la vita per un esercito che non era suo; inoltre è stato l’unico giuliese che contemporaneamente è citato nell’albo doro dei caduti della grande guerra italiano e americano.

 

Bibliografia essenziale

 

William Mitchell Haulsee, Frank George Howe e Alfred Cyril Doyle, Soldiers of the Great War, Soldiers record publishing association, USA 1920; Gary D. Sheffield, Storia fotografica della prima guerra mondiale, Vallardi, Lainate 1992;

Jay Murray Winter, Il mondo in guerra. Prima guerra mondiale, Selezione dal Reader’s Digest, Milano 1996;

Andrew A. Wiest, La grande guerra. La drammatica storia della prima guerra mondiale, Hobby & Work, Milano 2003; AA.VV., Militaria – storie, battaglie e armate (25 volumi), Il Giornale, Milano 2006;

Silvia Pattarini, Biglietto di terza classe, 0111 edizioni, Cocquio Trevisago (VA), 2013;

Linda Barrett Osborne – Paolo Battaglia, Trovare l’America. Storia illustrata degli italo americani nelle collezioni della Library of Congress, Anniversarybooks, Modena 2013; AA.VV., Dizionario enciclopedico delle migrazioni italiane nel mondo, Società editrice romana, Roma 2014;

Gustavo Corni – Enzo Fimiani, Dizionario della grande guerra, Textus edizioni, L’Aquila 2015; Francesco Manocchia, Quando c’era la guerra, ristampa Artemia edizioni, Mosciano 2015; Giuseppe Merlini, Dopo il radioso maggio. San Benedetto del Tronto e la “Grande Guerra”, Tipografia Fast Edit, Acquaviva Picena 2015;

Gianni Palitta, La grande guerra 1914-1918, EmmeKlibri, Milano 2015.

 

Archivi:

Ufficio Anagrafe Comune di Giulianova;  Archivio di Stato di Teramo; Parrocchia di San Flaviano Nara (National Archives and Records Administration)

Sitografia:

www.benning.army.mil, www.archive.org, www.history.army.mil, www.quartermaster.army.mil, www.theshipslist.com, www.libertyellisfoundation.org,  www.lagrandeguerra.info, www.storiaememoriadibologna.it, www.frontedelpiave.info, www.itinerarigrandeguerra.it

Filmografia:

Orizzonti di gloria, Metro Goldwyn Mayer, 1957;

La battaglia delle aquile, Cine Artists Pictures, 1976;

Il battaglione perduto, Twentieth (20th) Century Fox Film Corporation, 2001;

La grande guerra (23 vhs), Hobby & Work, 2002;

Giovani aquile, Electric Entertainment, 2006;

Paolo Rumiz racconta la grande guerra (10 dvd), La Repubblica, 2015;

Grande guerra 100 anni dopo (20 dvd), Corriere della sera, 2015.

 

Ringraziamenti particolari a

Jason Clingerman, del NARA; Martha Sell, del ABMC; il personale dell’anagrafe del comune di Giulianova e dell’Archivio di Stato di Teramo; Don Domenico Panetta e Carlo Pandoli della Parrocchia di San Flaviano; Adina Di Donato, nipote.

 




MONTORIO AL VOMANO RIMPATRIATA DEI CUGINI DELLA FAMIGLIA SERRANI

 

 

Dopo tanti anni si sono ritrovati, la sera dell’8 luglio scorso, presso l’Agritur Panorama di Teramo, tutti i cugini Serrani di Montorio al Vomano.

Ad organizzare la rimpatriata è stato lo stilista Mario Serrani (con la moglie polacca, Marianne Gelbert), cinquantasettenne, che nel 1972 insieme ai fratelli Ennio (il maggiore) e Bruno, raggiunsero i genitori Attilio e Dorina e la sorellina minore, Rosamaria, a Toronto, in Canada. Nativi in una contrada di Montorio al Vomano, Case Vernesi, dopo varie peripezie, passate nei vari collegi di Riccione, Pescara e L’Aquila, e presso l’abitazione di uno zio paterno, nei primi anni degli anni Settanta, dello scorso secolo, partirono per la terra delle Giubbe Rosse.

Qui, i tre fratelli, aiutati dai risparmi di una vita di lavoro dei loro genitori, nei primi anni 80, rilevano un negozio di abbigliamento, Bottega Bertolucci, appartenuto ad un’altra famiglia di origini montoriesi; come dire – da paesano a paesano – ed iniziarono la loro attività nel campo della moda. Dopo un po’ di tempo, a loro volta, rivendono la Bottega Bertolucci ed aprono un’agenzia di import export con griffe italiane, come Ball, Pooh e Fiorucci (marche assai in voga negli anni passati) allargando il loro raggio d’azione in tutto il Canada e buona parte degli Usa. Oggi hanno due proprie label: Mario Serrani e Dalla Spiga.

Ecco i nomi dei cugini Serrani, in ordine alfabetico, che sono tornati dal Canada, Lazio, Umbria ed ovviamente, dall’Abruzzo,  ed hanno partecipato alla “riunione” con timballo, spaghetti alla chitarra con pallottine e carne alla brace: Elio, Maria, Ornella, Pietro, Rita, Rodolfo, Rosina (con mogli e mariti).

Da madri Serrani: Concettina, Marisella e Pasquale Di Pietro; Felice, Paolo e Rosalba De Federicis; Laura, Loredana e Nicola Catalogna; Beatrice e Sabrina Furia, con i rispettivi e rispettive consorti.

All’appuntamento mancavano Achille, Bruno, Ennio, Rosamaria e Stefano Serrani.

 

Pubblicato sul quotidiano “La Città” di Teramo, del 12 luglio 2017




” I VENEZUELANI ALL’ESTERO FIRMANO: DOMENICA 16 LUGLIO PER LA PACE E LA DEMOCRAZIA “

 

 

 

Domenica prossima, 16 luglio, in Venezuela, Italia e in altri 200 paesi nel mondo, si svolgerà una raccolta di firme per la Consultazione Popolare avviata già in Venezuela dove sarà dimostrata la sovranità di un popolo che vuole la pace e la democrazia nel loro paese e in totale disaccordo con la nuova “Costituente” proposta dal governo attuale in Venezuela. Sarà un grande giorno, un atto simbolico di un popolo che chiede libertà contro un governo che oggi è diventato una dittatura. “Non possiamo mancare a questa importante occasione per noi venezuelani residenti in Abruzzo – afferma la Sig.ra Gabriella Moscardelli (vive e lavora in provincia di Teramo) – una regione dove su ogni collina c’è impronta del Venezuela; ma che nel passato è stato la culla di tante generazioni di emigranti italiani e abruzzesi, fuggiti da un dopoguerra fatto di povertà e fame per molti di loro. In Abruzzo possono firmare questa Consultazione Popolare “soltanto” i venezuelani e gli stranieri nazionalizzati in Venezuela , con carta d’identità o passaporto venezuelano (anche se scaduti) nei seguenti punti di raccolta firme:

Venezuela Libero

Teramo e Provincia: dalle 9.00 am alle 18.00 pm

-Circolo Domingo-Via Caduti senza Croce-S. Nicolò a Tordino

-Circolo Culturale Chaihkana – Via E. De Amicis ,15- Roseto degli Abruzzi

-Cyber Café On line – Via Carducci,85 -Tortoreto Lido

-Nella Val Vibrata- Via Mettella Nuova,84- Sant’Omero

 

Pescara e provincia : d

Sala Consigliare -Comune di Pescara dalle 08,30 alle 21,00

 

 

L’Aquila e provincia : dalle 8.00am alle 20.00 pm

Centro Commerciale Amiternum, Conad Pinque- Via Fermi, 1 (AQ)

Pratola Peligna: dalle 10.00 am alle 20.00 pm Chiosco La Villetta-Piazza Nazario Sauro (AQ)

 

 

IL POPOLO DECIDE: VENEZUELA LIBERO!

Gabriella Moscardelli




Emigrazione: tre secoli di storia di una famiglia molisana Il racconto dal Molise all’America nasce in un incontro nella caffetteria di Issaquah

 

di Domenico Logozzo *

 

L’orgoglio delle radici. La storia di una famiglia di emigranti molisani in America attraversa tre secoli e diventa un libro di ricordi. E il libro sarà il dono di Natale 2017 della nonna “ai figli dei figli”. Per conoscere e per non dimenticare il passato. L’emigrazione italiana, pagine di storia che, dalla fine dell’Ottocento, attraversano il Novecento e approdano nel Duemila. Un fantastico filo ideale tiene unite generazioni e vicende così diverse e distanti, ma sempre ben salde e rispettose dei grandi valori umani, sociali e culturali che le famiglie di un tempo sapevano esprimere, custodire e diffondere. Con umiltà e intelligenza. Iniziamo a sfogliare le prime pagine dell’album della memoria di una famiglia di emigranti molisani con nonna Dori, che abbiamo conosciuto in uno dei più moderni locali di ritrovo degli Stati Uniti: una caffetteria della famosa catena “Starbucks”. Il casuale e interessantissimo incontro una mattina di maggio ad Issaquah, graziosa cittadina di quasi quarantamila abitanti, nello Stato di Washington, vicino a Seattle, dove ci trovavamo in vacanza io e mia moglie, ospiti di nostro figlio Francesco. “Scusate se mi intrometto. Sento che state parlando in italiano”, ci dice una gentile signora avvicinandosi al tavolo dove stiamo facendo colazione con tre amici originari del Sudafrica, che sono stati in Italia e hanno avuto una bellissima esperienza. Sono Eugene Olivier, Colleen Le Roux e la figlia Myrl Venter. In particolare Myrl, ci tiene molto ad imparare bene la nostra lingua. Per questo il nostro colloquio avveniva in italiano.

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Rispondo alla signora: “Io e mia moglie siamo italiani, originari della Calabria e viviamo da oltre 30 anni in Abruzzo”. Mi sorride ed in un italiano un po’ stentato, con tante pause, per ricordare le parole giuste, dice: “Io sono nata negli Stati Uniti, ma sono di origine italiana. Mi chiamo Dori Robinson, abito qui ad Issaquah dove ho insegnato nel liceo. Mia nonna Lucia Vigliotti, è nata a Campobasso; mio nonno Antonio Zampini è nato a Frosolone, in provincia di Campobasso, un paese noto per la produzione di coltelli, da dove sono emigrati nel secolo scorso quelli che poi sono diventati i principali produttori di coltelli degli Stati Uniti. Mia nonna è morta a 101 anni, mio nonno a 97. E di loro ho un magnifico ricordo”.

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L’Italia che si ama. Che si fa amare. Dori comincia così a sfogliare il bel libro dei ricordi. E fa piacere ascoltarla. E fa piacere questo suo amore per la terra d’origine. “I miei nonni, Antonio e Lucia, erano arrivati a Ellis Island nell’estate del 1906. Con tanti sogni. Molti li hanno realizzati. Mia madre mi parlava e mi parla ancora oggi della storia della famiglia. Ha 93 anni. E’ lucidissima. Viviamo in città lontane, ma ci teniamo costantemente in contatto. Spesso ci scriviamo con la posta elettronica. Mia madre sa usare molto bene le nuove tecnologie”. E poi fa questa riflessione: “Sulla mia famiglia c’è tanto da dire. Ma proprio tanto. Si potrebbe scrivere un libro di storia”. Dico a Dori: “E allora scrivila la storia della tua famiglia, come nel 1992 ha fatto il grande narratore italo-americano Gay Talese con il romanzo Unto the sons (pubblicato poi nell’edizione italiana con il titolo Ai figli dei figli). Intense pagine di storie familiari e del paese paterno, Maida, in provincia di Catanzaro”. Il viso di Dori si illumina: “Sì, sì lo farò”. E ci salutiamo con questa sua promessa.

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Promessa mantenuta. Rientrato in Italia, ricevo qualche giorno fa questa mail: “Molte grazie per avermi incoraggiata a scrivere la storia della mia famiglia. Volevo farlo da molto tempo. Mia madre, mia figlia ed io abbiamo ricordato in queste settimane la vita dei miei nonni in Molise e poi negli Stati Uniti. Mia figlia è scrittrice e insegnante di inglese a Pittsburgh, e le ho chiesto per questo di fare le opportune modifiche per rendere più scorrevole il racconto. Spero che tu possa fare una buona traduzione, e spero che ti piacerà leggere la nostra storia. Penso di stamparlo questo libro di memorie e di regalarlo per Natale ai miei sei magnifici nipoti”. Mi allega il testo in inglese della “Storia familiare Dal Molise all’America”, raccontata da Marie Zampini Hawkes (figlia di Lucia e Antonio Zampini); scritta da Dori Robinson (figlia di Marie). Editore: Jennifer Monahan (figlia di Dori). Inizia con il ricordare gli interessi anche culturali della nonna materna: “Mia nonna, Lucia Vigliotti, aveva avuto il privilegio di assistere alle grandi opere liriche e agli spettacoli che venivano messi in scena a Campobasso sul finire dell’Ottocento. La madre, Gaetana, era una sarta di talento, molto apprezzata, e spesso cuciva i costumi per i protagonisti. Nonna Lucia e le sue sorelle avevano il compito di consegnare i costumi in teatro. Le attrici, sapendo l’amore di mia nonna soprattutto verso le opere liriche, le riservavano sempre posti di riguardo vicino al palco”. Era una famiglia felice. “A Campobasso la vita era buona per mia nonna e le sue sorelle. L’attività andava bene. Sartoria affermata. Abiti ben fatti, buona clientela e le ragazze indossavano vestiti alla moda e in più avevano il privilegio del parrucchiere personale, che ogni mattina andava a casa loro per pettinarle”.

 

Dalla felicità al dramma. “La vita è cambiata in un attimo per la giovane Lucia e per tutta la famiglia. Un tragico incidente sul lavoro. Suo padre, Luigi, famoso artista, perse la vita per il cedimento di un ponteggio sul quale stava lavorando per ultimare l’affresco del soffitto di una chiesa di Campobasso. Era molto apprezzato. Aveva eseguito lavori di altissimo pregio nei maggiori santuari del Sud Italia”. Lucia rimase profondamente segnata da quel terribile evento familiare. “Fu uno dei momenti più tristi nella vita di mia nonna. Perdere suo padre significava la fine della vita serena che aveva conosciuto. Fu costretta a lasciare la scuola, che tanto amava. Rimase a casa per cucire e occuparsi dei fratelli più piccoli, mentre Gaetana lavorava per sostenere la famiglia”. Tempi duri. Molto duri. Così “dopo diversi anni di lotta a Campobasso, Gaetana decise di spostarsi con i suoi figli in un piccolo villaggio di montagna, a Frosolone, vicino ad Isernia. Continuò a cucire costumi per le compagnie teatrali. Lucia e le sorelle, Nanina, Peppina, Amelia e Assunta la aiutavano nella confezione degli abiti e anche nella cura dei fratelli minori, Alfredo, Pasquale e Andrea. Andrea, il più piccolo, era stato colpito dalla polio. Anche se non poteva camminare, era orgoglioso di aiutare l’azienda di famiglia, realizzando con molta precisione e bravura i bottoni per ogni capo di abbigliamento. Purtroppo, a causa della sua malattia, Andrea è morto a 15 anni. Un altro grave lutto. Andrea è stato sempre ricordato con molto amore dalla famiglia”.

 

Il passaggio dalla città al piccolo borgo non fu semplice. Tra i pregiudizi e le incomprensioni che inizialmente non aiutarono purtroppo l’integrazione. “Mentre molti a Frosolone erano stati accoglienti, alcuni non vedevano di buon occhio i nuovi arrivati, quelle ragazze attraenti della “grande città”. Le ragazze locali criticavano le loro acconciature fantasiose, sussurrando che portavano i capelli “kinde le vicce”(come i tacchini). Alcuni erano certi che questi “intrusi” erano cittadini snob e che avrebbero guardato con distacco le persone del paese”. Ironia della sorte, tra le donne “poco contente” di questi nuovi arrivi, c’ era anche Concetta Zampini, la mamma di un giovane che sarebbe poi divenuto il marito di Lucia. “Lei e il mio bisnonno Giovanni, possedevano un bottega sulla strada principale del paese. Erano anche proprietari di una piccola fabbrica di coltelli, una delle tante che esistevano a quel tempo a Frosolone, dove si era formati tanti bravi artigiani poi emigrati negli Usa”. Alcuni di loro avevano fatto fortuna, mettendo a frutto quello che giovanissimi avevano imparato dai maestri artigiani del borgo molisano. Riprende Dori: “Antonio, mio ​​nonno, era un giovane intelligente e molto conosciuto. Aveva avuto la fortuna di frequentare la scuola del villaggio con gli altri ragazzi fino a 14 anni, quando l’aveva dovuta lasciare per fare coltelli con il padre. A scuola era apprezzato dagli insegnanti. Con orgoglio ci raccontava che non l’avevano mai fatto sedere sulla “cattiva sedia”, un piccolo sedile inchiodato alla parete a cinque metri dal pavimento. Questo richiedeva non solo un eccellente equilibrio, ma anche una concentrazione ininterrotta, per evitare di cadere giù e riportare gravi lesioni o anche peggio! Antonio non era perfetto, e occasionalmente gli piaceva saltare la scuola per andare in un vicino stagno e catturare le rane per il pasto serale della famiglia. C’era poco da mangiare e la mia bisnonna non perdeva niente dei “contributi di cibo” che venivano da mio nonno”.

 

Nella realizzazione dei pregiati coltelli “Antonio ben presto era diventato un artigiano esperto”. Lavorava sodo e “la mattina presto la sorella Teresa scendeva in officina per aiutarlo. Non c’era la corrente elettrica a Frosolone. Per azionare le macchine, Teresa spingeva con i piedi un pedale, che faceva girare la cinghia di affilatura. Teresa era una ragazza e le ragazze non era previsto che lavorassero in fabbrica, né che venissero obbligate a farlo. Ma siccome vedeva che Antonio aveva molto da fare, lei si era impegnata ad aiutare il fratello maggiore”. Senso di responsabilità e grande sensibilità. Ragazza forte, generosa e sfortunata. Purtroppo. Teresa, operata di appendicite, pur non essendo ancora del tutto guarita, fece l’imprudenza di andare con le sue amiche in pellegrinaggio nel santuario alla Beata Vergine Maria che si trovava in montagna. “Quando tornò a casa, si ammalò e morì in pochi giorni per una fatale infezione della ferita che non si era ancora rimarginata”. Una perdita dolorosa. “A mio nonno mancava molto Teresa. Diventava triste ogni volta che parlava della sua amata sorella”.

 

Dori racconta come è sbocciato l’amore tra nonna Lucia e nonno Antonio. “Mia nonna e le sue sorelle aiutavano la madre anche nel lavare i panni presso la Fontana in pietra, che si trovava nel centro del paese. Un giorno, mentre mia nonna camminava sulla strada principale di Frosolone con il suo cesto di panni, nonno Antonio la vide dalla finestra della bottega e rimase colpito dalla sua bellezza. La leggenda famigliare dice che in quel momento Antonio promise a se stesso: “Sarà mia moglie, la compagna di tutta la mia vita”. Quella fontana che ha fatto nascere il lunghissimo e solidissimo amore tra i nonni, Dori l’ha vista un secolo dopo, quando per la prima volta nel 2006 è venuta in Italia. “Avvicinandomi a piedi alla grande fontana nel centro di Frosolone, mi sono emozionata. Tanto, ma proprio tanto. Ho ripensato al lontano passato. Ai miei cari nonni. Sono sensazioni che è difficile descrivere, mettere su un foglio di carta. Vengono dal profondo del cuore. Diventano incancellabili. Restano per sempre dentro. Come l’accoglienza che ho ricevuto nel Molise, una terra che non avevo mai visto prima. Confesso di essermi sentita nella mia terra, come se fossi a casa mia”. Ricorda altre emozioni vissute in quel viaggio del 2006 con il marito. “Sul treno per Campobasso, vedendo dal finestrino quelle case e quei campi che avevo immaginato attraverso le storie che mi raccontava mio nonno, sono rimasta affascinata. Sognavo. Mi domandavo: Quella vecchia casa sarà appartenuta ai miei bisnonni? Forse la mia nonna ha giocato in quei campi?”

 

Ritorniamo al racconto del fidanzamento dei nonni. “Come si usava allora, Antonio si fece aiutare da alcune amiche del paese per organizzare l’incontro con Lucia e con la sua famiglia. Si racconta che appena Lucia lo vide, decise che sarebbe stato l’uomo della sua vita. La madre aveva però un piano diverso: un ricco signore, più anziano, che aveva espresso interesse per la mia bella nonna. Gaetana disse alla figlia: “È meglio essere la bambola di un vecchio ricco, invece che serva di un giovane povero”. Lucia rifiutò i tentativi della madre di organizzare il matrimonio. La vita in casa divenne difficile. Ma alla fine l’amore trionfò. Lucia e Antonio si sposarono nel dicembre del 1905 in una piccola chiesa di Frosolone”. Gli inizi furono difficili per via delle interferenze dei genitori di Antonio. “Vivere con la madre e il padre di Antonio non era il modo in cui Lucia sperava di iniziare il suo matrimonio. Concetta, la madre di Antonio, non era felice per la scelta del figlio. Continuava a spettegolare nel paese. Parole non belle nei confronti della famiglia della nuora. Quando mia nonna venne a saperlo ci rimase molto male, tanto che ci fu anche una piccola crisi familiare. Mio nonno era molto arrabbiato con la madre. Le disse che non doveva mai più parlare male della moglie, altrimenti non le avrebbe permesso di uscire di casa”. E dalle parole Antonio passò anche ai fatti. “Inchiodò la porta, ma per poco tempo”. Una “lezione” che diede i risultati sperati: “Concetta da allora fu più attenta e non fece più commenti negativi”.

 

Qualche tempo dopo in casa Vigliotti arrivò la bella notizia. “Mia nonna aspettava un bambino. Con mio nonno cominciarono a pensare al cambiamento, ad una nuova vita, in un altro Continente. E non era una decisione facile da prendere. Antonio e Lucia sapevano che erano stati in tanti che avevano cercato un lavoro in America, ma erano tornati a casa solo con storie tristi. Tra questi il loro cognato Luciano, marito di Peppina”. Luciano in America non fece fortuna. La sua amarezza la affidò ad una canzone autobiografica, in dialetto molisano, dal titolo “Song of Luciano”. Iniziava così: “Pens ‘a la mia moglia abbracciatta (Sto pensando all’abbraccio di mia moglie). E mii figli accompianiatta. (E la compagnia dei miei figli)”. Concludeva: “Pens a l’Italia bella (Penso alla bella Italia). Sanni io calzone, aggio torna’ (Anche se senza i miei pantaloni, tornerò)”. E Dori ora ricorda che Luciano “tornò a casa solo con gli abiti che indossava, grato, a quanto pare, di avere quelli”.

 

Antonio era già stato in America ed il padre, che aveva vissuto a lungo oltre Oceano, oramai anziano, era rientrato in Italia e l’aveva incoraggiato a ripartire. Nel Sud in quegli anni c’era tanta miseria e non esistevano opportunità di lavoro tali da consentire di portare decorosamente avanti la famiglia. Il viaggio della speranza di Antonio e Lucia iniziò nel maggio del 1906. “Altri due figli del Molise, partirono dal porto di Napoli con tanti sogni. Viaggio attraverso l’Oceano Atlantico per costruirsi una nuova vita negli Stati Uniti”. Nei primi tre mesi furono ospitati da una zia di Antonio. Poi si trasferirono in un loro appartamento. Nell’inverno del 1906 è nata la prima figlia, Concetta, alla quale era stato dato il nome della nonna. Poi sono nati Giovanni, Luigi, Gaetana (Ida), Guido e Marie, la mamma di Dori. “Antonio, facendo affidamento sull’esperienza lavorativa di Frosolone, aveva trovato lavoro nelle industrie di coltelli di Providence, capitale dello Stato del Rhode Island. “Alcuni suoi amici compaesani avevano fatto fortuna dando vita anche a industrie di grande successo come Imperial Knife Company e Colonial Knife Company. Produzione qualificata, livelli altissimi, notorietà mondiale. Il figlio di un suo amico, William D’Abate, a Frosolone finanziò la realizzazione della rete elettrica. E per dimostrare la loro gratitudine, i molisani di Providence gli intitolarono una scuola”.

 

Dori è orgogliosa di mamma Marie. “E’ stata la prima della famiglia a frequentare il college e laurearsi nel 1944. Sul finire degli Anni Quaranta incontrò mio padre Al, che si convertì al cattolicesimo per potersi sposare in chiesa nel 1950. L’anno dopo nacqui io, quindi mio fratello e poi mia sorella”. Una famiglia unita, nel rispetto delle tradizioni. “Ricordo gli incontri domenicali con le zie, gli zii e i cugini nella casa dei nonni a Providence. Deliziose cene con spaghetti, tanto sugo, polpette, carne di maiale, pollo, agnello e pane croccante. “Un dito di vino” anche per i più piccoli. Tante storie familiari che venivano raccontate in belle conversazioni e tante risate. E sempre una partita di baseball in TV!”. Ricorda il giorno del matrimonio con John. “I miei nonni, novantenni, sembravano ragazzini. Avevano ballato tanto. In pista solo loro, applauditi festosamente da tutti gli invitati. Tanta gioia. Sì, proprio una bella festa. Lacrime di felicità nel vedere quella dolce coppietta di anziani. A quell’età, tanta vitalità! Abbiamo avuto due figli, Jennifer e John, che ci hanno regalato la gioia di essere nonni felici di sei nipoti”. Durante l’incontro nella caffetteria “Starbucks”, Dori ci aveva spiegato perché aveva problemi nel parlare la nostra lingua. “A nessuno di noi figli mia madre ha insegnato l’italiano. Diceva che quando era bambina le coetanee la prendevano in giro perché parlava “una lingua diversa”. Perciò voleva che noi parlassimo solo in americano. E allora feci una promessa a me stessa: quando sarò grande imparerò l’italiano”.

 

E così è stato. “Ho seguito le lezioni di italiano al Bellevue College, lo stesso che ha frequentato la vostra amica Myrl Venter”. Dori ha anche voluto coronare i lungo sogno di conoscere i luoghi molisani da dove erano partiti gli adorati nonni. E nel 2006 il sogno è divenuto: dall’America al Molise dopo essere stata a Verona, Firenze, Campobasso e infine a Frosolone. “Nel Molise tutti gentili e disponibili. Ci hanno accolto come vecchi amici. Nella coltelleria di Rocco Petrunti, fondata nel 1800, ho acquistato i regali da portare negli Stati Uniti. Mi sono commossa al pensiero che la famiglia di Rocco Petrunti aveva conosciuto la mia oltre cento anni fa”. E con quest’ultima emozione, ben custodita nell’album della memoria, è ritornata negli Stati Uniti” con l’Italia nel cuore. L’Italia ben raccontata dal giornalista e scrittore abruzzese Goffredo Palmerini, nel suo recente libro che porta questo magnifico titolo, omaggio “agli 80 milioni di italiani che amano il nostro Paese più di noi che vi abitiamo”. E la conferma ci viene da questa storia d’amore per le radici che ci ha raccontato Dori. Per questo, come ha scritto Palmerini, dobbiamo “amare, rispettare e trasmettere a chi verrà, possibilmente più bello e migliore, il nostro meraviglioso Paese”.

 

*già Caporedattore TGR Rai

 

 

 

 

FOTO:

1-Lucia Vigliotti Zampini in una foto dell’inizio del 1900

2-Antonio Zampini in una foto dei primi dei 1900

3-Foto dei primi anni del Novecento. Lucia Vigliotti con il marito Antonio, la sorella Assunta e il cognato Domenico

4-Gaetana Vigliotti in una foto di fine Ottocento.

5-Nanina Vigliotti nei primi anni del Novecento

6-Dori Robinson con la madre Marie che oggi ha 93 anni

7-Dori Robinson con la madre Marie

8-Antonio e Lucia Zampini nel 1975 a Providence, negli Stati Uniti

9-Fontana

10-Dori Robinson ha deciso di regalare per Natale ai nipoti un libro con la storia della famiglia emigrata dal Molise.

11-Lucia Vigliotti con la figlia Marie

12-Dori Robinson con il marito John

13-Dori Robinson e il marito John nella caffetteria “Starbucks” di Issaquah (Usa), al centro Domenico Logozzo




A SULMONA “L’ITALIA NEL CUORE”, IL NUOVO LIBRO DI GOFFREDO PALMERINI

7 luglio 2017

 

Goffredo Palmerini.

Sarà presentato Lunedì 10 luglio, alle ore 19, presso l’Hotel Santacroce Meeting

 

 

SULMONA – “L’Italia nel cuore”, l’ultimo libro di Goffredo Palmerini pubblicato da One Group Edizioni, sarà presentato a Sulmona lunedì 10 Luglio alle ore 19, presso l’Hotel Santacroce Meeting, in viale della Repubblica 55. Dopo il saluto di Domenico Santacroce, proprietario della struttura ed affermato Chef, relatori saranno Franco Ricci, docente di Arti e Letterature moderne all’Università di Ottawa (Canada), Francesca Pompa, presidente One Group, Salvo Iavarone, presidente dell’Associazione Mezzogiorno Futuro (Asmef) e l’autore Goffredo Palmerini, giornalista e scrittore.

 

Ancora una perla – una ogni anno e mezzo, ormai – ci regala il fecondo scrittore aquilano, di recente insignito del Premio internazionale di giornalismo “Gaetano Scardocchia” e della Medaglia del Presidente della Repubblica. In sintesi il volume L’Italia nel cuore: 352 pagine di narrazione con storie coinvolgenti e 276 belle immagini, una copertina originale e una grafica come sempre eccellente su carta di gran pregio. Personaggi, fatti significativi, eventi, racconti di viaggio, illustrano la più bella Italia, dentro e fuori i confini, facendo assaporare al lettore l’orgoglio per la nostra millenaria cultura, le meraviglie del Bel Paese e le straordinarie personalità che con il loro talento rendono onore e prestigio all’Italia ovunque nel mondo.