Enea Trovarelli, grande flautista e direttore d’Orchestra negli Stati Uniti, era abruzzese. Nacque a Chieti il 19 febbraio del 1875.

Associazione Culturale “AMBASCIATORI DELLA FAME”

Pescara, 7 luglio 2017

Enea Trovarelli, grande flautista e direttore d’Orchestra negli Stati Uniti, era abruzzese. Nacque a Chieti il 19 febbraio del 1875.

Enea Trovarelli nacque a Chieti il 19 febbraio del 1875. Un incontro, assolutamente decisivo, fu quello con un vecchio falegname che abitava vicino casa sua. Enea era poco più che bambino quando iniziò a frequentare la bottega dell’artigiano. Questi oltre ad essere un valente “maestro” nel suo campo era un grande appassionato di musica. Con il tempo riuscì a trasmettere al ragazzo l’amore per entrambe le cose. Fu il falegname a

convincere Enea a recarsi a Napoli per studiare musica (Conservatorio di San Pietro a Majella) dove al tempo stesso continuò nell’arte di intagliare il legno. Nella città partenopea conobbe un realizzatore di strumenti musicali e da lui imparò in particolare a costruire flauti. Non sapendo scegliere tra le due passioni Enea decise, per un po’, di coltivarle entrambe. Fu il Giuseppe Creatore, direttore d’orchestra, a volerlo come flautista nella sua Banda che nel 1906 partì, per una serie di esibizioni, per gli Stati Uniti. Fu la sua fortuna. L’anno successivo fece arrivare negli Stati Uniti la moglie Anna Viola e suo figlio Domenico. In America ebbe l’occasione di formarsi con geniali musicisti del calibro di Victor Herbert, Franz Lehar e John Philip Sousa che per anni lo volle nella sua “Sousa Band”. Nel 1909 la “Ellery Band” lo ingaggiò per un tourée di tre mesi in Scozia. Oltre a suonare con maestria il flauto Enea Trovarelli divenne abilissimo Direttore d’orchestra. Suonò e diresse la “”Vessella Italian Band” di Atlantic City. A Brownsville nel Tennessee fondò e poi diresse la “Woodsmen of the World” (La banda dei boscaioli) che divenne famosa e che tenne esibizioni in tutti gli Stati Uniti. La sua crescente fama lo portò a Waterloo, cittadina situata a sud dell’Ontario, in Canada. Qui diresse, tra il 1916 e il 1918, la locale banda e creò una scuola di musica. Spese tutta la vita per l’insegnamento e sono molti a dovergli l’essere poi divenuti abili musicisti. La musica era comunque un dono familiare per i Trovarelli se il figlio Domenico (nato a Chieti nel 1901) diverrà, tra le altre cose, direttore della “Lima Symphony Orchestra” in Ohio, la nipote Fedora DeMattia sarà ottima pianista e professoressa di musica e il nipote Edmond E. DeMattia sarà bravo oboista e direttore d’orchestra. Enea Trovarelli morì nel novembre del 1968 a Yonkers, Westchester County, nello Stato di New York.

Geremia Mancini – presidente onorario “Ambasciatori della fame”




ORGOGLIO, EMPATIA E AMORE NELL’OMAGGIO PER I 90 ANNI DI MARIO FRATTI

6 luglio 2017

 

 

Mario Fratti, Giorgio D’Ignazio, Giuseppe Di Pangrazio

 

Un ciclone di travolgente giovialità: lo scrittore ha entusiasmato L’Aquila e l’Abruzzo

 

di Goffredo Palmerini

 

 

L’AQUILA – Mercoledì 5 luglio. Con una meravigliosa giornata di sole e un cielo intenso d’azzurro, il coro austero dei monti e il verde dei boschi che circondano la sua conca, L’Aquila saluta l’arrivo da New York d’uno dei suoi figli più insigni e prestigiosi: Mario Fratti. Torna nella città natale per festeggiare il suo 90° compleanno (è nato a L’Aquila il 5 luglio 1927). Accogliendo l’invito del Presidente del Consiglio Regionale d’Abruzzo, Giuseppe Di Pangrazio, alle 10 in punto Fratti raggiunge l’Emiciclo per l’omaggio che l’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa abruzzese ha pensato di riservargli proprio nel giorno del suo 90° genetliaco. Il primo impegno è l’intervista a tutto campo che egli rilascia a Giampaolo Arduini, capo dell’Ufficio Stampa, per le telecamere del Consiglio Regionale. Il drammaturgo aquilano, come sempre efficace, non si perde in giri di parole ed è netto nelle risposte. Una bella intervista. Alle 10 e mezza si va al 4° piano, per un incontro privato con il Presidente del Consiglio Regionale. Fratti si ferma un attimo per ammirare da una delle finestre del Palazzo la splendida facciata romanico-gotica della Basilica di Santa Maria di Collemaggio, tra le più preziose meraviglie architettoniche della città capoluogo d’Abruzzo, il monumento insigne dove Celestino V fu incoronato papa il 29 agosto 1294, annunciando l’istituzione della Perdonanza, il primo giubileo nella storia della Cristianità che da 723 anni si celebra aprendo la Porta Santa della basilica, dai Vespri del 28 a quelli del 29 agosto d’ogni anno.

 

“Benvenuto! Come la debbo chiamare? Professore?”, l’accoglie così il Presidente Di Pangrazio, andandogli incontro. “Presidente, chiamami Mario, tra abruzzesi diamoci del tu”, replica Fratti con un sorriso solare che gli illumina il volto, gli occhi cerulei e il pizzetto di barba bianca che, di profilo, tanto lo fa somigliare a Pirandello. E subito il dialogo lascia le felpate formalità istituzionali e diventa colloquio amichevole, che apre immediatamente alla conoscenza reciproca, alla confidenza, al racconto delle esperienze. E’ un ciclone di simpatia, Fratti. Travolgente. Empatico. Diretto. Una straordinaria capacità di dialogo e di chiarezza, la sua. Con lampi di parole e opinioni monde da ogni circonlocuzione illustra al Presidente Di Pangrazio, in risposta a puntuali domande – e al Consigliere Segretario Giorgio D’Ignazio che gli siede accanto -, il pensiero sull’America, la storia della singolare sua “emigrazione” a New York nel 1963, il suo amore per l’Italia – “…quando vedo la bandiera dell’Italia, mi commuovo!” -, il segreto del grande successo come scrittore che, con una modestia non comune, egli imputa per metà a semplice fortuna. E poi il valore del sorriso e del dialogo, specie nella politica, e della collaborazione per il bene comune. Quindi l’amore per l’Abruzzo. E per L’Aquila, la sua città dove ha nitidi ricordi dei primi suoi venti anni, delle tragedie della dittatura fascista e dell’occupazione nazista, dei giovani 9 Martiri aquilani catturati e uccisi dai tedeschi, ai quali avrebbe potuto aggiungersi anche lui, se avesse accettato la sollecitazione dell’amico Giorgio Scimia. Ne ha scritto un dramma di questa storia, parlando della sua “codardia”. Ha poi raccontato quegli anni terribili in un romanzo scritto negli anni Cinquanta, ma che nessun editore volle pubblicare per la sua crudezza. E’ uscito solo nel 2013 per Graus Edizioni, sotto il titolo “Diario Proibito. L’Aquila anni Quaranta”. Bastano appena una ventina di minuti perché Fratti si riveli a tutto tondo, nel suo pensiero letterario e politico, nella sua umanità, nel suoi valori di fondo. Con gli occhi sempre rivolti agli ultimi, ai diseredati, ai meno fortunati, alla libertà e alla giustizia. Ma dell’incontro con il Presidente del Consiglio Regionale la giovialità, la semplicità del tratto e il sorriso sono la cifra.

 

Sono quasi le 11, è l’ora di scendere nella Sala Pinacoteca “Benedetto Croce” per la cerimonia, il pubblico e la stampa attendono l’arrivo di Fratti con curiosità e interesse. L’evento, annunciato da giorni, ha riempito intere pagine di numerose testate abruzzesi e italiane, di agenzie internazionali e anche sulla stampa italiana all’estero. Alcuni registi ed autori di teatro sono venuti anche da lontano per abbracciarlo. Il Presidente Di Pangrazio invita il drammaturgo a sedere al centro, tra lui e il Consigliere D’Ignazio. Porge all’illustre ospite il saluto dell’istituzione, con parole intense, per nulla di circostanza. Parla dei 90 anni dello scrittore che non pesano sul suo entusiasmo e la sua energia. Ricorda come nel 2007 Fratti venne all’Aquila per il suo 80° compleanno, vivendo la festa a sorpresa che il Comune e il TSA gli prepararono. Connotate d’orgoglio, di affetto, di stima profonda e di gratitudine le parole del Presidente, per l’onore che in ogni angolo del mondo Mario Fratti rende all’Abruzzo con il suo prestigio di drammaturgo, grazie alle sue opere tradotte in 21 lingue e rappresentate in oltre 600 teatri in tutti i continenti. Gli consegna quindi una Targa con un medaglione tondo di bronzo dov’è raffigurato il Guerriero di Capestrano – il re vestino Nevio Pompuledio, VI secolo a.C. – simbolo di libertà e dell’Abruzzo. Legge poi la pergamena che accompagna il riconoscimento.

 

a Mario Fratti

drammaturgo insigne e docente universitario emerito

punto di riferimento della Cultura italiana negli Stati Uniti d’America

il Consiglio Regionale d’Abruzzo

in segno di ammirazione e gratitudine  

per l’onore e il prestigio che in ogni angolo del mondo

Egli rende all’Abruzzo sua terra d’origine

L’Aquila, 5 luglio 2017

nel giorno del suo 90° Genetliaco

 

Il Presidente del Consiglio Regionale

Arch. Giuseppe Di Pangrazio

 

“Non è né l’unico, né l’ultimo riconoscimento – aggiunge Di Pangrazio -, basti questo a far comprendere che il Consiglio sta ragionando su ulteriori iniziative per rendere onore ai meriti dello scrittore. Chi vuole intendere…”, lasciando capire che l’Assemblea abruzzese si va orientando nella decisione di concedere la più alta onorificenza regionale al grande drammaturgo aquilano. Ha infine concluso affermando che “questo è un giorno straordinario, carico di emozioni. Per la comunità abruzzese è un onore reale, forte, avere tra noi Mario Fratti, è un simbolo per la nostra terra!”. Lo scrittore, toccato dall’emozione, ma con il grande sorriso aperto, afferma: “Sono felicissimo di essere tra la mia gente, nella mia città dove sono nato 90 anni fa. Mi sento amato e rispettato, forse per la mia cordialità e positività. Cerco di costruire un futuro migliore. Nelle mie opere, contrariamente a certi film o drammi teatrali dove non si capisce mai come finiscono, c’è sempre una conclusione positiva e chiara. Secondo me il dovere principale di un autore è proprio questo. Il sorriso mi ha aiutato tutta la vita a parlare con tutti. Rompe la diffidenza, aiuta a dialogare anche con chi ha un’avversione. Io credo nell’Uomo, nonostante l’uomo. Credo nell’Uomo…, nonostante Trump! La mia qualità è l’essere sempre ottimista e persistente. Quando parlo con i giovani, li invito ad essere persistenti. Anche quando si hanno sconfitte bisogna persistere, perché arriverà il momento del trionfo. Essere ottimisti e impegnarsi, le cose miglioreranno. Sono anche felice perché ho visto che L’Aquila sta rinascendo. Ieri pomeriggio ho fatto una passeggiata nel centro storico. Ho visto la mia casa in via Cembalo de’ Colantoni, i lavori non sono cominciati, ma molti cantieri in città sono all’opera e la ricostruzione procede spedita. Anche quando ho visto case lacerate, ho avuto gioia al pensiero che presto saranno restaurate. Vuol dire che gli amministratori stanno lavorando bene. In America si parla bene dell’Aquila, la percezione è positiva, c’è simpatia dopo un terremoto disastroso. Abbiamo cercato di portare il nostro aiuto. L’Aquila rinascerà, avremo una città molto più bella di prima!”

 

Il presidente Di Pangrazio chiama infine chi scrive a portare una testimonianza. Cerco con poche parole di dare un tratto della personalità dello scrittore e della sua sensibilità umana, aperta ai valori positivi, all’attenzione verso gli umili, alla pace. “Non è ora l’occasione per parlare del drammaturgo e delle sue opere, se ne trova ampio riferimento in quanto s’è scritto anche in questi giorni su tutta la stampa abruzzese, italiana e anche all’estero, dagli Stati Uniti al Brasile, dall’Argentina alla Svizzera e oltre. Voglio invece annotare come Mario Fratti, con la sua semplicità e bonomia, dà il senso di come stare bene nel mondo. Chiunque l’abbia visto nel suo ambiente, a New York, ha avuto la percezione immediata della considerazione e del prestigio di cui gode questo straordinario ambasciatore dell’Abruzzo, dell’Aquila e della cultura italiana nel mondo. Lì a New York basta solo dire Mario perché si sappia già che si parla di Mario Fratti. Una relazione non costruita e senza orpelli lui ha con le più alte personalità ma anche con l’homeless, con il senzatetto che chiede per strada l’elemosina, cui non solo egli dà il suo aiuto ma anche una parola di saluto e d’incoraggiamento. Diceva bene il Presidente Di Pangrazio, cui va il merito insieme all’Ufficio di Presidenza per questa memorabile giornata: Mario rende migliore il mondo e l’Umanità con le sue opere. Lo credo anch’io che ci sia un quid in più nelle sue opere e nella sua scrittura teatrale, ma sopra tutto nel suo modo di vivere, sempre con l’attenzione rivolta verso ogni essere umano. C’è in fondo un nuovo umanesimo in tutta la quotidianità della sua esistenza. Fratti accende speranze. Ha entusiasmato L’Aquila e il Consiglio Regionale. E’ uno dei figli d’Abruzzo davvero straordinario.” Ha dunque ragione, Mario Fratti, quando dice che tutti possiamo migliorare un po’ il mondo e l’umanità. Ciascuno facendo con amore e passione la propria parte. C’è da credergli.

 

 

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Italia. Tanti gli emigrati italiani quanti nell’immediato dopoguerra: oltre 250.000 l’anno

 

Anticipazioni del Dossier Statistico Immigrazione 2017 di Idos e Confronti

 

L’emigrazione degli italiani all’estero, dopo gli intensi movimenti degli anni ’50 e ’60, è andato ridimensionandosi negli anni ’70 e fortemente riducendosi nei tre decenni successivi, fino a collocarsi al di sotto delle 40.000 unità annue. Invece, a partire dalla crisi del 2008 e specialmente nell’ultimo triennio, le partenze hanno ripreso vigore e, secondo stime, hanno raggiunto gli elevati livelli postbellici, quando erano poco meno di 300.000 l’anno gli italiani in uscita.

Gli Emigranti, raffigurazione di Angiolo Tomasi, 1895, Galleria d’Arte Moderna di Roma

Sotto l’impatto dell’ultima crisi economica, che l’Italia fa ancora fatica a superare, i trasferimenti all’estero hanno raggiunto le 102.000 unità nel 2015 e le 114.000 unità nel 2016, mentre i rientri si attestano sui 30.000 casi l’anno.

A emigrare sono sempre più persone giovani con un livello di istruzione superiore. Tra gli italiani con più di 25 anni, registrati nel 2002 in uscita per l’estero, il 51% aveva la licenza media, il 37,1% il diploma e l’11,9% la laurea ma già nel 2013 l’Istat ha riscontrato una modifica radicale dei livelli di istruzione tra le persone in uscita:  il 34,6% con la licenza media, il 34,8% con il diploma e il 30,0% con la laurea, per cui si può stimare che nel 2016, su 114.000 italiani emigrati, siano 39.000 i diplomati e 34.000 i laureati. Le destinazioni europee più ricorrenti sono la Germania e la Gran Bretagna;  quindi, a seguire, l’Austria, il Belgio, la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Svizzera (in Europa dove si indirizzano circa i tre quarti delle uscite) mentre, oltreoceano, l’Argentina, il Brasile, il Canada, gli Stati Uniti e il Venezuela.

Questi dati meritano già di per sè un’attenta considerazione anche perché ogni italiano che emigra rappresenta un investimento per il paese (oltre che per la famiglia): 90.000 euro un diplomato, 158.000 o 170.000 un laureato (rispettivamente laurea triennale o magistrale) e 228.000 un dottore di ricerca, come risulta da una ricerca congiunta condotta nel 2016 da Idos e dall’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” sulla base di dati Ocse.

In realtà, i flussi effettivi sono ben più elevati rispetto a quelli registrati dalle anagrafi comunali, come risulta dagli archivi statistici dei paesi di destinazione, specialmente della Germania e della Gran Bretagna (un passaggio obbligato per chi voglia inserirsi in loco e provvedere alla registrazioni di un contratto, alla copertura previdenziale, all’acquisizione della residenza e così via). Come emerso in alcuni studi, rispetto ai dati dello Statistisches Bundesamt tedesco e del registro previdenziale britannico (National Insurance Number), le cancellazioni anagrafiche rilevate in Italia rappresentano appena un terzo degli italiani effettivamente iscritti. Pertanto, i dati dell’Istat sui trasferimenti all’estero dovrebbero essere aumentati almeno di  2,5 volte e di conseguenza nel 2016 si passerebbe da 114.000 cancellazioni a 285.000 trasferimenti all’estero, un livello pari ai flussi dell’immediato dopoguerra e a quelli di fine Ottocento. Peraltro, non va dimenticato che nella stessa Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero il numero dei nuovi registrati nel 2016 (225.663) è più alto rispetto ai dati Istat. Naturalmente, andrebbe effettuata una maggiorazione anche del numero degli espatriati ufficialmente nel 2008-2016, senz’altro superiore ai casi registrati (624.000).

Sono queste le conclusioni cui si giunge nel capitolo che il Dossier Statistico Immigrazione 2017, in uscita in autunno, dedica di consueto agli italiani nel mondo. Anche quest’anno il rapporto viene curato da Idos insieme al Centro Studi Confronti, con la richiesta di un sostegno dell’Otto per Mille della Tavola Valdese. I flussi degli italiani verso l’estero, così si conclude nel rapporto, meritano maggiore attenzione. Innanzi tutto sotto l’aspetto quantitativo, avendo raggiunto, se non superato, i livelli conosciuti dall’Italia quando si concepiva ancora come un paese di emigrazione. Ma va preso in considerazione anche l’aspetto qualitativo, perché è elevato  il numero di diplomati e laureati coinvolti. Seppure in un contesto globalizzato la mobilità rappresenti una prospettiva normale, è necessario attuare una politica occupazionale più incisiva e occuparsi con maggiore concretezza dell’assistenza a quanti si sentono costretti a emigrare, assicurando loro in pieno il diritto di essere cittadini italiani, incluso il voto.

 

 

 

 

 

ITALIA. Espatriati/cancellati dall’anagrafe (1946-2016)

Periodo Numero emigrati Anni Numero emigrati
1946-1950 1.127.720 2011 50.057
1951-1960 2.937.406 2012 67.998
1961-1970 2.646.994 2013 82.095
1971-1980 1.082.340 2014 88.859
1981-1990 658.292 2015 102.259
1991-2000 470.884 2016 (archivio Istat) 114.000
2001-2010 402.681 2016 (stima del Dossier) 285.000

FONTE: Elaborazioni del Centro Studi e Ricerche Idos su dati Istat

 

 

 

ITALIA. Espatri e rimpatri degli italiani negli anni (2000-2016)

FONTE: Elaborazioni del Centro Studi e Ricerche Idos su dati Istat

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per informazioni:

Centro Studi e Ricerche IDOS, 06.66514345 int. 1 o 2

www.dossierimmigrazione.i




Giulianova. Il soldato Paolo Bracone morto alla conquista del Monte Šober in Slovenia

Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre.

(Albert Einstein)

Di Walter De Berardinis*

Paolo Bracone

 

Giulianova. Il soldato Paolo Bracone nasce a Giulianova l’8 maggio 1897, alle ore 6,30, nella casa posta in Via Provinciale dal 27enne Camillo, agricoltore e Gaetana D’Ambrosio. L’11 maggio fu registrato dall’ufficiale dello stato civile Apollo Caravelli alla presenza dei testimoni: il 44enne Emidio Paolone, benestante e il 21enne Luigi Petrini.  Nel 1915, per la sua classe di appartenenza 1897, il Sindaco Giuseppe De Bartolomeis, iscrive il giovane Paolo nella lista dei giuliesi destinati alla visita di leva nel Distretto Militare (numero 10) di Teramo.

Il nome di Paolo Bracone sull’Albo D’Oro

Fu subito giudicato idoneo come soldato di 1° categoria al numero di matricola 6051 con la seguente descrizione dei medici militari: alto 1,69 e torace 0,79; capelli lisci e color castani; occhi celesti e colorito roseo; professione agricoltore e illetterato. Il 6 maggio 1916 viene posto in congedo illimitato; viene chiamato alle armi il 21 settembre e giunge al deposito del 59° reggimento fanteria – Brigata Calabria il 29 settembre a Civitavecchia, sede di pace. Il 10 febbraio arriva al fronte con il 239° reggimento fanteria / 1° reparto zappatori – Brigata Pesaro, formata nel trevigiano tra Asolo e Maser; il 10 giugno partecipa alla conquista di Monte Zebio; il 21 giugno devono attestarsi per via della controffensiva austro-ungarica; tra gli inizi di luglio e la metà di agosto, il suo reggimento si dispiega tra Foza e Enego per riposare e studiare nuove forme di attacco al nemico. Il 24 agosto, durante la XI° battaglia dell’Isonzo (17-31 agosto 1917), il 239° fanteria giunge a Morano nel goriziano nel pieno della battaglia della Bainsizza, sulle alture del Monte Šober, alle dipendenze della 59° divisione.

Lapide del Duomo di San Flaviano

Il 27 agosto 1917, in località Vertoiba (già Vertoiba in Campi Santi) e oggi in sloveno Vrtojba, frazione del comune sloveno di San Pietro-Vertoiba, il “nostro” Paolo Bracone morirà sul campo per le innumerevoli ferite riportate sul corpo per uno scoppio di una granata. Aveva appena 20anni. Il suo corpo su seppellito sul posto. I testimoni della sua morte furono: il Tenente comandate del reparto E. Parodi, i soldati Ciro Zampretta e Silvestro Capuano, il Tenente medico Pasquale Salero, il Sottotenente Sebastiano Baccarini e il Comandate di reggimento, il Tenente Colonnello Vannini. Solo dopo 14 mesi, i familiari, tramite l’allora Sindaco, furono avvisati della morte del loro congiunto, era il 31 ottobre 1918. Paolo Bracone fu ricordato nel libro del giornalista giuliese Francesco Manocchia “Salmi della patria, in memoria dei nostri eroi”, pubblicato dal tipografo Francesco Pedicone nel 1921; sulla lapide posta a ovest del Duomo di San Flaviano; sull’Albo d’Oro, secondo volume Abruzzo e Molise a pagina 52 e 12° nominativo, oggi online sul sito web www.cadutigrandeguerra.it ; sulla foto ufficiale dell’epoca “Eroi Caduti per la Patria” edita per ricordare i soldati giuliesi; ed infine sul libro “Quando C’Era la Guerra” della Artemia Nova Editrice di Mosciano con ricerche e ampliamento del sottoscritto. Continua…..

Walter De Berardinis

walterdeberardinis@gmal.com

 

*ricercatore storico sui caduti giuliesi nella Grande Guerra.

Ecco le altre puntate

Biagio Abbondanza

Pietro Quaranta

Sabatino Acquarola

Fernando Leone

Michele Angeloni

 

Quando c’era la guerra di Walter De Berardinis

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Brigata Pesaro




CASTELBASSO 2017 TRA ARTE E MUSICA DI QUALITÀ

 

 

Castelbasso 2017 torna dal 23 luglio al 3 settembre nell’antico borgo teramano. Il fulcro della manifestazione, allestita dalla Fondazione Malvina Menegaz, è, come sempre, l’arte, con mostre di livello internazionale. Arricchiscono la proposta estiva due importanti appuntamenti musicali con Toquinho e Simona Molinari, protagonisti della politica della Prima Repubblica (Occhetto e Cirino Pomicino) e valenti scrittori. A Castelbasso si realizza la sintesi di una visione e di un’idea di territorio, un format

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affermato teso al dialogo tra differenti ambiti culturali che coinvolge protagonisti dell’arte contemporanea nazionale e internazionale, e che sono il fulcro di un programma di appuntamenti che comprende letteratura, musica, incontri e laboratori didattici.

Mario Sironi e le arti povere – Assenso e dissenso (a cura di Andrea Bruciati) è il titolo dell’esposizione che sarà aperta dal 23 luglio al 3 settembre a palazzo De Sanctis. L’esposizione vuole raccontare una continuità dialettica fra i due periodi storici diversi, secondo una prospettiva concettuale eterodossa che fa propria anche la similarità di alcuni mezzi espressivi (disegni, collage, fotografie per una riduzione minima del linguaggio). Artisti selezionati: Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Mario Ceroli, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Paolo Icaro, Fabio Mauri, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Gianni Piacentino, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gian Emilio Sansonetti, Gilberto Zorio.

Prini Emilio, Senza titolo (impronta), 1970, stampa alla gelatina ai sali d’argento, 30×40 cm

A palazzo Clemente, invece, nello stesso periodo si potranno ammirare spazi dedicati ad artisti  come Carla Accardi, Franco Angeli, Manfredi Beninati, Bizhan Bassiri, Luigi Boille, Thomas Braida, Mario Ceroli, Claudio Cintoli, Antonio Corpora, Patrizio Di Massimo, Tano Festa, Luca Francesconi, Giulio Frigo, Marco Gastini, Sophie Ko, Renato Mambor, Gian Marco Montesano, Marco Neri, Nunzio, Mimmo Paladino, Paolo Pretolani, Vettor Pisani, Oscar Contreras Rojas, Mimmo Rotella, Arcangelo Sassolino, Ettore Spalletti, Giuseppe Stampone, Giulio Turcato e Vedovamazzei.

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Inoltre, per la sezione Performance, a cura di Pietro Gaglianò, Marco Raparelli e Giuseppe Stampone proporranno Running the fields make some noise, una mostra evento della durata di una serata (il 12 agosto).

I laboratori didattici per bambini da 5 a 11 anni sono due: Servizi educativi a cura di Marina De Carolis e Lisa Falone) Stacca, strappa, attacca!, tutti i martedì dal 25 luglio al 29 agosto alle 18 è prevista una visita animata che aiuteranno i più piccoli a scoprire l’arte, nelle sale di Palazzo Clemente; e Interferenze luminose, tutti i mercoledì dal 26 luglio al 30 agosto alle 18.

Per la musica spazio all’arte di Toquinho, che porta in piazza Arlini 50 anni di successi (il 29 luglio) mentre Simona Molinari sarà protagonista del suo omaggio alla Fitzgerald con Loving Ella (l’11 agosto sempre in piazza Arlini).

Intriganti gli incontri di Attualità, a cura di Simone Gambacorta, con Achille Occhetto (28 luglio) che presenta il suo “Pensieri di un ottuagenario” (Sellerio) e Paolo Cirino Pomicino (30 luglio). Serate che permetteranno un confronto tra la politica di oggi e quella della prima Repubblica.

Renato Minore è il curatore della sezione letteratura nella quale sarà possibile avvicinare la scrittura di Carmen Pellegrino (premio Campiello 2016), il 23 luglio; di Franco Arminio (premio Viareggio 2017), il primo agosto, Teresa Ciabatti, il 4 agosto e di Vito Teti, il 6 agosto.

 

Nel programma trovano spazio anche la musica classica (a cura di Roberto Marini) con l’Hermione ensemble, che si esibirà il 5 agosto e l’enogastronomia con una serata dedicata alla Panarda, l’antica tradizione abruzzese del pasto luculliano con decine di portate (10 agosto).

Con il patrocinio e il contributo di Mibact (Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo), Regione Abruzzo, Provincia di Teramo, Comune di Castellalto, Consorzio dei Comuni B.i.m., Camera di commercio di Teramo, Fondazione Tercas, Gruppo Falone, Lea & Flò.

Di seguito le specifiche di ogni appuntamento.

Tutte le serate si svolgono in piazza Arlini.

 

ARTE

 

MARIO SIRONI E LE ARTI POVERE: ASSENSO E DISSENSO

a cura di Andrea Bruciati

Palazzo De Sanctis, orari: martedì – domenica, 19-24 (aperto lunedì 14 agosto)

Catalogo Silvana editoriale

 

FONDAZIONE MALVINA MENEGAZ PER LE ARTI E LE CULTURE

STORIE E OPERE

Palazzo Clemente, orari: martedì – domenica, 19-24 (aperto lunedì 14 agosto)

 

STACCA, STRAPPA, ATTACCA!

Laboratorio didattico per bambini da 5 a 11 anni

Tutti i martedì dal 25 luglio al 29 agosto alle 18 a Palazzo Clemente

INTERFERENZE LUMINOSE

Laboratorio didattico per bambini da 5 a 11 anni

Tutti i mercoledì dal 26 luglio al 30 agosto alle 18 a Palazzo De Sanctis

 

PERFORMANCE

 

MARCO RAPARELLI E GIUSEPPE STAMPONE

Running the fields make some noise

12 agosto, ore 21.30

 

MUSICA

 

TOQUINHO – 50 anni di successi

29 luglio, ore 21.30

SIMONA MOLINARI – Loving Ella

11 agosto, ore 21.30

 

MUSICA CLASSICA

 

HERMIONE ENSEMBLE – L’Europa musicale tra rinascimento e barocco

5 agosto, ore 21.30

 

ATTUALITÀ

 

ACHILLE OCCHETTO

28 luglio, ore 21.30

PAOLO CIRINO POMICINO

30 luglio, ore 21.30

 

LETTERATURA

 

CARMEN PELLEGRINO – Se mi tornassi questa sera accanto

23 luglio, ore 21,30

FRANCO ARMINIO – Cedi la strada agli alberi

01 agosto, ore 21.30

TERESA CIABATTI – La più amata

04 agosto, ore 21.30

VITO TETI – Quel che resta

06 agosto, ore 21.30

 

ENOGASTRONOMIA

 

LA PANARDA

10 agosto, ore 21

 

INFO

Palazzo Clemente e Palazzo De Sanctis, Borgo Medievale di Castelbasso

Orari: martedì – domenica, 19-24 (aperto lunedì 14 agosto)

Ingresso (valido per entrambe le mostre): 8€, ridotto 6€, gratuito per i bambini fino a 6 anni

tel. 0861.508000 – info@fondazionemenegaz.itwww.fondazionemenegaz.it

 

Fondazione Malvina Menegaz  per le arti e le culture

 




Giulianova. Michele Angeloni morto nella città del film “Salvate il soldato Ryan”

Se i miei soldati cominciassero a pensare, nessuno rimarrebbe nelle mie file

(Federico II, Re di Prussia)

di Walter De Berardinis*

Nella lapide del Duomo di San Flaviano non viene ricordato il soldato giuliese Michele Angeloni

Michele Angeloni, morto nella città del “Salvate il Soldato Rayan”.
Nasce a Giulianova il 3 aprile 1898, alle ore 16,22, nella casa posta in via Muzii, dal 42enne Antonio e Caterina Formiconi. Due giorni dopo sarà l’Assessore comunale Apollo Caravelli a registrare il nascituro insieme ai due testimoni: il 45enne Domenico Paolone, proprietario e il 22enne Luigi Petrini, impiegato.
Il 19 gennaio 1917 viene giudicato idoneo al servizio di leva dal distretto militare di Teramo e il 26 febbraio viene chiamato alle armi. Il 23 marzo viene destinato al 51° Reggimento Fanteria – Brigata “Alpi” e il 22 giugno al 205° Reggimento Fanteria – Brigata “Lambro” (nata nell’aprile 1916 con reparti del 7° e 67° fanteria) in prima linea nella zona del goriziano, tra San Gabriele e San Marco. Il 16 luglio viene trasferito nel 206° Reggimento, sempre appartenente alla Brigata “Lambro”. Il 19 agosto, nell’11° battaglia dell’Isonzo (dal 17 agosto al 31 agosto), il 206° attacca quota 200 del San Marco, nei cruenti scontri cade ferito e fatto prigioniero dagli austroungarici.

Michele Angeloni

Il giovane giuliese sarà portato nei campi di prigionia dell’Impero austro-ungarico e tedesco. I giorni successivi, a piedi, sotto il controllo dei tedeschi, il povero fante viene portato a Cividale (direttrice Tolmino-Lubiana); a Lubiana verrà fatta una seconda tappa nel centro di smistamento di Bischoflack (oggi Škofja Loka, comune sloveno), per poi smistato nei campi di lavoro nel cuore dell’Impero tedesco. Il 25 gennaio 1919, dopo 17 mesi di prigionia, viene liberato dai tedeschi. Il povero soldato giuliese, invece di rientrare in Italia, finisce per una sorta di disguidi burocratici o logistici, nell’Ospedale marittimo militare della città portuale di Cherbourg, nella regione francese (nord) della Bassa Normandia del dipartimento della Manica. Pensate che questo porto francese è stato teatro di molti fatti storici: nel 1840 attraccò la nave con le spoglie di Napoleone Bonaparte, dopo l’esilio di Sant’Elena; nel 1912 fu il secondo scalo del Titanic prima della tragedia e nel 1944 la città fu teatro di guerra tra gli alleati e i tedeschi nella famosa operazione “Overlord” come avamposto dopo gli sbarchi degli angloamericani. La battaglia è stata ben rappresentata nel film del 1998 “Salvate il soldato Ryan” del regista americano Steven Spielberg. Purtroppo, il soldato giuliese, dopo aver contratto l’influenza spagnola, morirà il 4 febbraio 1919, all’età di 20anni. Fu sepolto temporaneamente a Cherbourg. Solo il 15 luglio 1924, il Segretario Comunale, il ragioniere Raffaele Silvestri, delegato dal Commissario Prefettizio Ermanno Colucci, trascriverà l’atto di morte ufficiale ricevuto dal Ministero della Guerra. La segnalazione della morte era stata tradotta solo l’11 luglio 1924, tramite il servizio di Sanità marittima della Repubblica francese a firma dell’ufficiale di 1° classe, Edoardo Ledeutu, del 15 febbraio 1919. Erano passati 5 anni dalla sua morte.
Successivamente, dopo la fine del conflitto, fu traslato nel cimitero militare italiano di Bligny, dipartimento della Marna, nord-est della Francia. Oggi la sua tomba si trova nel riquadro 6, fila R, tomba 20. E’ il più grande cimitero militare italiano della 1° guerra mondiale in Francia. Si estende per 3,5 ettari con 3453 soldati sepolti.
Il suo nominativo compare nell’Albo d’Oro nazionale dei militari italiani caduti della Grande Guerra, ma totalmente ignorato sulla lapide del Duomo di San Flaviano e nel libro di Francesco Manocchia “I Salmi della Patria”. 3 le medaglie alla memoria del giovane giuliese, nonostante il suo foglio matricolare risulti incompleto in alcune parti: guerra italo-austriaca 1915-1918 o “coniata nel bronzo nemico” e relativa barretta con un solo anno di guerra 1917; A ricordo della Guerra Europea o Interalleata della Vittoria e la Commemorativa a ricordo dell’unità d’Italia 1848-1918
* Ricercatore storico dei caduti della Grande Guerra di Giulianova

Ecco le altre puntate

Biagio Abbondanza

Pietro Quaranta

Sabatino Acquarola

Fernando Leone

 

 

© Walter De Berardinis*

ricercatore sui caduti giuliesi nella Grande Guerra

walterdeberardinis@gmail.com

Quando c’era la guerra di Walter De Berardinis

Album fotografico ufficiale dei caduti giuliesi nella 1° guerra mondiale




L’OMAGGIO DELL’ABRUZZO A MARIO FRATTI PER IL SUO 90° COMPLEANNO Il 5 luglio, a L’Aquila, il riconoscimento del Consiglio Regionale al drammaturgo per i suoi meriti

Goffredo Palmerini e Mario Fratti a Little Italy NY

Mario Fratti interpreta Garibaldi

 

di Goffredo Palmerini

 

L’AQUILA – “Sarà un 5 luglio particolare il prossimo che Mario Fratti trascorrerà a L’Aquila sua città natale”, questo l’incipit della nota diramata ieri dall’Ufficio Stampa del Consiglio Regionale d’Abruzzo per annunciare l’iniziativa che il Presidente del Consiglio Regionale, Giuseppe Di Pangrazio, insieme all’Ufficio di Presidenza, ha inteso promuovere per la giornata del Novantesimo compleanno del grande drammaturgo, per rendere omaggio ad un abruzzese tra i più insigni al mondo. Un gesto di profonda sensibilità e di orgoglio della più alta istituzione regionale nel voler rendere un particolare riconoscimento a Mario Fratti, scrittore fecondo e docente emerito di prestigiose università americane, “per l’onore reso all’Abruzzo attraverso la sua straordinaria attività letteraria e culturale, riconosciuta e stimata in tutto il mondo”. Sarà dunque un’altra giornata memorabile per Fratti, al pari di quella che visse il 5 luglio 2007, nel giorno del suo 80° genetliaco, quando la città natale, per iniziativa della Municipalità e del Teatro Stabile Abruzzese, gli dedicò una festa a sorpresa. “La più bella giornata della mia vita”, confidò Fratti in un’intervista ad un giornale americano, sebbene di soddisfazioni, premi e riconoscimenti egli ne abbia raccolti a bizzeffe nella sua lunga carriera d’autore teatrale, in un settore dove la gloria raramente arride ai viventi e gli autori il successo solitamente lo raccolgono attraverso gli eredi. Sarà anche emozionante per lo scrittore visitare – l’ultima volta tre anni fa – il centro storico dell’Aquila, vedere lo stato della ricostruzione della sua amata città piena di gru e di cantieri, ammirare la rinascita di case palazzi e monumenti, tornare in via Cembalo de’ Colantoni dove ha la sua casa, per la quale aspetta con ansia l’inizio dei lavori.

 

E’ dunque meritoria l’attenzione che la Regione, attraverso l’Assemblea legislativa, rivolge ad uno dei suoi figli più affermati e prestigiosi. L’amore per la terra delle proprie origini e per la città natale è un sentimento dominante per Mario Fratti. Ovunque egli si rechi in giro per il mondo non manca mai di parlare dell’Abruzzo e dell’Aquila, specie dopo il terremoto, con l’orgoglio delle radici ma anche per le meraviglie d’arte, di cultura e bellezze naturali che la sua terra custodisce. Bene quindi ha fatto il Presidente Di Pangrazio a raccogliere la segnalazione che gli è arrivata da New York dall’associazione abruzzese Orsogna Mutual Aid Society. Così il presidente Tony Carlucci ha scritto nella sua lettera al Presidente del Consiglio Regionale: “Quest’anno un grande abruzzese che vive a New York compie 90 anni. E’ il drammaturgo di fama internazionale prof. Mario Fratti, che ha per molti anni insegnato in prestigiose università degli Stati Uniti. E’ una figura di primo piano per il teatro mondiale e nel mondo culturale americano. Qui a New York è un punto di riferimento per la Cultura italiana. Per gli Abruzzesi di New York, come per questa nostra Associazione Orsogna MAS, e per tutti gli Italiani d’America, il prof. Fratti è motivo di vanto e di orgoglio per l’onore che egli riversa sulla sua amata terra d’origine, l’Abruzzo, e sulla sua città natale, L’Aquila, capitale della nostra regione. Le sue numerose opere teatrali, che tanti Premi prestigiosi hanno ricevuto, vengono rappresentate negli Stati Uniti e all’estero con straordinario successo. Spesso il prof. Fratti raggiunge ogni angolo del mondo, dove è chiamato a tenere conferenze sul teatro o alle prime rappresentazioni delle sue commedie. Ma il suo più grande piacere è quello di tornare quasi ogni anno in Abruzzo, nella città dove nel 1927 è nato. Anche quest’anno, abbiamo saputo, egli tornerà nei primi giorni di luglio, per celebrare nella sua città natale il novantesimo compleanno, che cade il 5 luglio. Sarebbe molto importante e significativo se il Consiglio Regionale organizzasse un’iniziativa ufficiale per rendere onore all’illustre corregionale prof. Mario Fratti, che tanto prestigio conferisce all’Abruzzo con la sua eccezionale attività di scrittore, drammaturgo e giornalista. […]”.

 

Nell’attesa di conoscere i dettagli dell’evento, previsto nella mattinata del 5 luglio a L’Aquila, presso il Consiglio Regionale d’Abruzzo, piace segnalare la “festa a sorpresa” che lo scorso Primo Maggio il mondo teatrale americano ha riservato a Mario Fratti. In quel giorno s’apriva al Cherry Lane Theater di New York la quinta edizione del Festival In Scena!  Questo almeno s’aspettava Fratti, sempre attento alle novità teatrali e in particolare a questo festival, diretto dalla regista Laura Caparrotti, cui il drammaturgo aquilano ha dedicato attenzione e sostegno sin dalla prima edizione. Si è trovato, invece, nel bel mezzo d’una serata di festa, interamente dedicata agli incipienti suoi 90 anni, con le testimonianze affettuose di personalità del mondo del teatro, dello spettacolo e della stampa. Ne ha dato conto Valeria Di Giuliano in un bell’articolo per La Voce di New York, giornale diretto da Stefano Vaccara, che così ha aperto il pezzo: “Tutti invitati stasera al Cherry Lane Theater  per la festa a sorpresa dedicata a Mario Fratti. L’Opening night di In Scena! infatti quest’anno è dedicata a Mario Fratti che il prossimo 5 luglio compirà 90 anni e che per il festival, così come per il teatro italiano a New York, è una figura centrale e di riferimento. La serata prevede l’intervento di alcuni artisti che hanno lavorato e che ammirano il drammaturgo e columnist de La Voce e che lo omaggeranno con la loro arte, con tanto di brindisi finale. Mario Fratti, drammaturgo e critico di origine aquilane, trasferitosi a New York nel 1963, rappresenta ad oggi una vera e propria istituzione nel panorama culturale e sociale della Grande Mela.”

 

Sono dunque andate in scena non le pièces, ma le testimonianze di Laura Caparrotti, fondatrice e director del Festival, Donatella Codonesu, associate director, Carlotta Brentan, executive producer e attrice brillante, Berardo Paradiso, presidente dell’Italian American Committee on Education (IACE), Jonathan Slaff, attore – che ha raccontato come nel 1989 Mario organizzò uno scambio culturale a L’Aquila tra il Theater for the New City e La Piccola Brigata, compagnia teatrale abruzzese -, Rosario Mastrota e Dalila Cozzolino, due giovani artisti italiani che nel 2013 parteciparono al Festival In Scena!, Stefano Vaccara, direttore de La Voce di New York: “Conosco Mario da vent’anni. La prima volta che lo vidi fui fortunatissimo: mi portarono nella sua casa-palcoscenico-teatro e parlammo tra le sue carte, i suoi libretti e libroni, poster, locandine e quadri che mostrano quanta genialità la mente vulcanica di Fratti deve far sgorgare ogni giorno. Ho avuto l’onore di lavorare come suo editor, prima su US Italia Weekly e poi su La Voce di New York, dove inventò in esclusiva i colloqui tra Chiara e Benito, una coppia di una certa età, italiani emigrati a NY, lei liberal, tendente molto a sinistra, lui conservatore tendente all’estrema destra. Bastava leggere le discussioni tra la Chiara e il Benito di Mario Fratti di qualche anno fa, per capire perché sarebbe arrivato Trump!”.

 

L’ultima testimonianza, non espressa direttamente, ma letta durante la serata speciale di New York, è stata quella di chi scrive. Nella mia nota ho raccontato al pubblico del Festival e agli ospiti della serata speciale in onore di Mario Fratti la “sorpresa” che L’Aquila riservò al suo illustre figlio il 5 luglio 2007, per il suo 80° compleanno. Un ricordo che ho poi affidato alla stampa, così che ne resti traccia duratura. L’Aquila si prepara quindi al doveroso tributo di riconoscimento e all’omaggio che il Consiglio Regionale d’Abruzzo dedicherà a Mario Fratti. Per lo scrittore sarà anche emozionante visitare – l’ultima volta tre anni fa – il centro storico dell’Aquila, vedere lo stato della ricostruzione della sua amata città, piena di gru e di cantieri, ammirare la rinascita di case palazzi e monumenti, tornare in via Cembalo de’ Colantoni dove ha la sua casa, per la quale aspetta con ansia l’inizio dei lavori.

 

Giova ora dare un cenno sulla sua intensa vita, con qualche annotazione sulla scrittura teatrale e sulle sue opere, commedie e drammi, rappresentate in tutto il mondo. Nato a L’Aquila il 5 luglio 1927, dopo la laurea alla Ca’ Foscari di Venezia, Mario Fratti avvia alla fine degli anni Cinquanta una ricca produzione drammatica. E’ del 1959 il suo primo dramma Il nastro, vincitore del premio RAI. Non fu mai radiotrasmesso. Giudicato allora sovversivo, narra le confessioni sotto tortura di alcuni partigiani, poi fucilati dai fascisti. L’autore era arrivato trentenne a scrivere per il teatro, dopo giovanili esperienze poetiche. Anche un romanzo all’inizio della sua vita letteraria, ma pubblicato solo nel 2013. Una lunga e cruda storia sui fatti dell’occupazione nazista a L’Aquila, intessuta con il racconto della successiva conversione democratica di molti fascisti della sua città natale, riconoscibili dal loro nome, che diversi editori si guardarono bene dal pubblicare. Fu così che scelse di scrivere testi teatrali. Legata al caso la circostanza che lo porta negli Stati Uniti. Nel 1962 presentò al Festival di Spoleto il suo atto unico Suicidio. Piacque a Lee Strasberg, che lo volle dirigere all’Actor’s Studio di New York. In quella fucina delle avanguardie teatrali divenne un vero successo. Poi ne seguirono altri, fino ad oggi. Nel 1963 Fratti approda a New York, dove al lavoro come autore teatrale aggiunge la docenza presso la Columbia University e l’Hunter College della CUNY. In quel Paese, dunque, il grande apprezzamento per le sue opere, tradotte e rappresentate poi sulle scene di ogni continente. Dall’America all’Europa, dalla Russia al Giappone, dal Messico all’Argentina, dal Brasile alla Cina, dall’India all’Australia. Esse si connotano per l’immediatezza della scrittura teatrale, asciutta e tagliente come la denuncia politica e sociale senza veli che egli vi trasfonde.

 

Le opere drammaturgiche di Mario Fratti sono finora tradotte in 21 lingue e portate in palcoscenico in più di 600 teatri sparsi in tutto il pianeta. Da decenni ormai il successo lo rincorre. Circostanza assai singolare, in America, dove i riflettori sugli autori teatrali si accendono giusto il tempo della rappresentazione a Broadway d’una loro buona opera. Poi l’interesse svanisce, talvolta per sempre. Ha quindi del sensazionale il successo che ininterrottamente, da decenni, hanno le opere di Fratti. Un destino che non è toccato neanche a grandi autori americani come Tennessee Williams o Arthur Miller, riscoperti dopo la loro morte. Come pure a scrittori europei del calibro di Sartre, Anouilh, Brecht, Toller, Pirandello, De Filippo. Egli dunque è sicuramente, tra gli autori per il teatro viventi, uno dei più illustri al mondo. Un italiano famoso, nell’olimpo del teatro, ma che tuttavia non perde un briciolo della sua schietta indole aquilana. A Manhattan, dove vive dal primo giorno della sua emigrazione dall’Italia, in una bella dimora sulla 55^ Strada – una casa museo piena di libri, trofei, manifesti e locandine delle sue opere, pergamene, targhe e riconoscimenti vari, opere d’arte e ninnoli vari –, a due passi da Broadway, è un punto obbligato di riferimento culturale. La sua rubrica settimanale sulle novità teatrali su Oggi 7 – il magazine culturale di America Oggi, giornale in lingua italiana che si pubblica a New York – è attesa sempre come un evento. Per questa attività di critico segue almeno trecento spettacoli l’anno nei teatri della Grande Mela. Ma Fratti si schermisce, non si considera tale, perché alle stroncature preferisce invece incoraggiare le novità interessanti, i giovani autori e soprattutto promuovere il teatro italiano.

Fratti confessa: «Il teatro mi ha insegnato a non essere letterario. Nei testi teatrali bisogna essere concisi e precisi. Niente retorica, niente letteratura». Oggi la sua produzione raggiunge una novantina di opere. Negli Stati Uniti, sin dal suo arrivo, lo accoglie con favore la critica. Il suo stile è perfettamente compatibile con l’indole americana, aliena dalle ridondanze, dalle metafore e dalle sfumature tipiche del teatro europeo. Lo aiuta per di più la completa padronanza della lingua inglese e la conoscenza profonda della letteratura americana. Ma Fratti scrive anche commedie per musical. Nine, una sua commedia scritta nel 1981 e liberamente ispirata dal film 8 e mezzo di Federico Fellini, è diventata un musical d’enorme successo di pubblico e di critica, un vero e proprio fenomeno teatrale con oltre duemila repliche. L’ultima versione, con Antonio Banderas interprete, è rimasta per anni in cartellone al teatro Eugene O’ Neil, a Broadway. Molte le produzioni negli Stati Uniti e anche all’estero. Tanti i riconoscimenti all’autore teatrale, un elenco lunghissimo. Cito per brevità i 7 Tony Award vinti, che nel teatro sono quel che gli Oscar sono per il cinema, il premio Selezione O’ Neil, il Richard Rogers, l’Outer Critics, l’Heritage and Culture Award, ben 8 Drama Desk Award e altri 8 Award for Political Theater, come pure altri riconoscimenti prestigiosi come il Magna Grecia Week, il Capri Award alla Carriera, il Premio Vallecorsi. E in Abruzzo il Premio John Fante.

Paul T. Nolan, docente alla University of Southern Louisiana, riguardo la letteratura drammaturgica in America – che ha in Eugene O’ Neil, Thornton Wilder, Arthur Miller, Tennessee Williams e Edward Albee le sue punte di diamante –, rileva come il successo negli States per questi autori sia stato tardivo, spesso legato all’eco di qualche fortunata rappresentazione in Europa. Come pure il teatro europeo, quantunque sempre considerato con molto rispetto e ammirazione negli Stati Uniti, ha visto gli autori europei viventi, anche di prima grandezza, raramente baciati dalla fortuna in quel Paese. Si è dovuto attendere la loro morte per riscontrare apprezzamenti e successo. Una sorte simile toccò a Bertolt Brecht e Jean Paul Sartre. Davvero una singolare difficoltà di relazione tra due letterature teatrali, tra due scuole e contesti artistici, quasi una sindrome di contaminazione del linguaggio e dell’espressione drammatica, quantunque siano comuni le radici culturali tra l’America ed il vecchio continente. Differente e singolare, invece, il caso di Mario Fratti.

 

Nolan annota “[…] Questa bizzarra relazione tra il teatro americano e quello europeo sembra aver stabilito la regola secondo cui il drammaturgo europeo ha la sua reputazione in America solo se resta “europeo”. Fortunatamente per il dramma moderno, Mario Fratti ha spezzato questa regola con un gran successo. Ha dimostrato che può fondere gli elementi della sua tradizione europea con l’esperienza americana, creando un tipo di dramma che fa onore ad entrambi i continenti. I futuri storiografi teatrali indicheranno probabilmente nella sua carriera di drammaturgo l’importante inizio di una nuova fase: lo sviluppo di una comunità teatrale veramente internazionale […]”.  E ancora, “[…] E’ importante capire che il successo di Fratti, in un’avventura dove Brecht e Sartre fallirono, è dovuto al fatto che l’autore non ha portato solo la sua eredità drammatica europea ed il suo talento di drammaturgo. Ha anche portato in una nuova società simpatia, curiosità e giudizi umani […]. Fratti scrive come nessun autore americano potrà mai, perché porta alla sua comprensione della società americana non solo la compassione e l’indignazione morale di ogni uomo sensibile, ma anche la tolleranza presente solo in scrittori associati in un’antica civiltà […].

 

Come pure in un saggio del 1977 sul teatro di Fratti aveva scritto Mario Verdone: “[…] Le sue qualità più evidenti (di Mario Fratti, ndr) restano l’attualità, la sensibilità per il documento e la cronaca, l’abilità di costruire per il teatro e di suscitare sorprese, la capacità di interpretare e discutere l’epoca d’oggi, la super-nazionalità che gli permette di restare al di sopra del mondo americano o italiano, per esprimere, con conoscenza dei mezzi teatrali, un mondo proprio, tutt’altro che ovvio o vecchio: con asciuttezza, misura, essenzialità e carica emozionale. Un autore, dunque, da esaminare con più interesse e rispetto, in considerazione di un’opera complessa, calibrata, solida; e d’un successo che ben pochi autori italiani possono registrare con pari dimensioni geografiche […]”. Jean Servato, alcuni anni fa, così si esprimeva sullo scrittore aquilano: “[…] Noi rendiamo merito a Mario Fratti, da questa vecchia Europa, anche se un oceano finge paratie insormontabili e ci fa credere lontane tali ferite: sono sempre lacerazioni umane che occorre sanare e che Fratti trascrive nei suoi drammi, con uno stile eccezionale, di altissima fattura, che lo pone accanto ad Arthur Miller, a Tennessee Williams, ad Eugene Jonesco, agli italiani Luigi Pirandello ed Ugo Betti, quale testimone attento, meticoloso inimitabile del suo tempo, nel cuore, pur sempre stupendo, del ciclone America […]”.

 

Qualche anno fa, in una breve intervista, chiesi a Mario Fratti quali fossero gli autori di teatro italiani che più ammirava. “Grandi maestri come Pirandello, Betti, De Filippo e Fo – mi rispose Fratti –, ma mi sento spesso colpevole. Ci sono in Italia una decina di bravissimi autori che meriterebbero lo stesso mio successo. Aldo Nicolaj, Alfredo Calducci, Vincenzo Di Mattia, Giorgio Fontanelli, Anton Gaetano Parodi, Maricla Boggio, Mario Moretti, Giuliano Parenti, Luigi Lunari, Roberto Mazzucco. Ed ancora un’altra ventina, che solo per brevità non cito, sono di buon valore. Purtroppo non sono tradotti. E questo è un grave handicap. C’è poi in Italia il singolare vezzo dei registi di fare quasi sempre commedie straniere, ignorando gli autori italiani. Una vergogna! Guadagnano di più sulle opere straniere – è questione di royalties – questo il motivo discutibile della loro scelta. Basterebbe allora che in Italia lo Stato obbligasse i teatri che sovvenziona a rappresentare un buon numero di testi italiani ed il problema sarebbe risolto. Appunto come fanno in America, Francia e Germania”. Una risposta che fa riflettere sulla nostra politica culturale.




ESCE IN BRASILE LA BIOGRAFIA DI PADRE DOMENICO DA CESE – pubblicata in Brasile

 

 

Il cappuccino apostolo del Volto Santo, dalla vita parallela a quella di Padre Pio

 

Antonio Bini

 

  1. Domenico da Cese, in vita, aveva più volte sostenuto che si sarebbe scritto di sé soltanto dopo la sua morte, come scrisse anche il suo amico e primo biografo, Bruno Sammaciccia. Chiedeva che non si parlasse di lui, ma del Volto Santo. A chi ebbe modo di conoscerlo o si è avvicinato alla sua figura solo negli ultimi anni sa bene quanto la vita di il cappuccino nato a Cese, frazione di Avezzano, sia stata densa di fatti straordinari.

Così,  con un certo senso di incredulità, padre Eugenio Di Gianberardino, intervenendo alla commemorazione di padre Domenico da Cese, svoltasi a Manoppello lo scorso 17 settembre 2016, ebbe ad accennare all’interesse di un editore brasiliano che gli aveva richiesto l’autorizzazione a pubblicare in lingua portoghese la sua biografia sul Servo di Dio, data alle stampe nel 2014.  Probabilmente non era convinto dell’interesse manifestato oltre oceano verso la vita dell’umile cappuccino abruzzese e che quindi la pubblicazione sarebbe stata effettivamente realizzata.

Il libro è stato poi pubblicato dalla casa editrice Ecclesiae, di Campinas, nello stato di  San Paolo, con il titolo “Padre Domenico de Cese, apostolo da Sagrada Face de Manoppello”. Una sottolineatura, quella del collegamento con il Volto Santo, colta opportunamente dallo stesso editore, Diogo Chiuso, che ha personalmente curato l’introduzione, spiegando come la figura del Servo di Dio sia stata strettamente legata a quella della sacra immagine, di cui padre Domenico fu devoto e instancabile divulgatore, fino alla sua morte avvenuta il 17 settembre 1978 a Torino, dove si era recato per l’ostensione della Sindone. Nella introduzione si richiama la vita parallela del cappuccino abruzzese con Padre Pio da Pietrelcina, che quando era in vita raccomandava spesso a molti suoi devoti provenienti dal nord della Puglia di risparmiare strada andando a visitare p. Domenico. E tante sono le testimonianze acquisite al riguardo, peraltro da persone tuttora viventi.

Per cercare di capire quale fossero state le circostanze che hanno indotto alla pubblicazione ho preso contatto con il prof. José Eduardo Câmara che, conoscendo la lingua italiana, aveva curato i rapporti tra l’editore brasiliano e l’autore dell’edizione italiana, padre Eugenio Di Gianberardino, v. postulatore della causa di beatificazione dell’umile cappuccino abruzzese.

Il prof. Camara conosce da tempo il Volto Santo, mentre la storia di padre Domenico è stata appresa più recentemente, consultando un libro che raccoglie i profili di santità dei cappuccini nel mondo. La storia del cappuccino ha poi interessato un altro studioso brasiliano della vita di padre Pio da Pietrelcina e dei fenomeni straordinari che contrassegnarono la sua vita. L’ambito di queste discussioni finì per coinvolgere l’editore Diogo Chioso, che venne particolarmente attratto dalla storia di padre Domenico e del suo singolare rapporto con padre Pio, rapporto rilanciato nel 2011 da un articolo – dal titolo“Padre Pio’s last visit” –   che descrisse la bilocazione di padre Pio a Manoppello, davanti al Volto Santo, all’alba dell’ultimo giorno della sua vita terrena, pubblicato su “The Voice of Padre Pio”, dall’autorevole giornalista australiano Paul MacLeod, studioso del santo di Pietrelcina, recentemente scomparso. L’articolo ampliava la storia raccontata anni prima dalla rivista cattolica tedesca PUR (Spezial n. 4/2005). Il fenomeno della bilocazione si sarebbe completato, a distanza di qualche giorno, con la presenza ai funerali di P. Pio di p. Domenico, il quale non si mosse dal santuario di Manoppello, ricevendo come ogni giorno tante persone.

I due cappuccini, accomunati dalla capacità di leggere nell’animo delle persone, si erano conosciuti nel 1940, quando p. Domenico, allora cappellano militare, prima a Trieste e poi a Ragusa, nella ex Yugoslavia, volle andare a San Giovanni Rotondo, durante una licenza, fermandosi nel convento garganico per cinque giorni.

E’ sempre il prof.  Câmara ad ammettere  che l’edizione brasiliana del libro rappresenta “un piccolo miracolo”,  considerate le circostanze che l’hanno preceduta e le stesse difficoltà di pubblicare in Brasile testi di spiritualità ed in particolare biografie di santi.

È anche sorprendente come diverse persone, tra cui lo stesso editore Diogo Chiuso, discendente di emigrati italiani in Brasile, si siano avvicinate  al Volto Santo attraverso la conoscenza della figura e la vita di padre Domenico da Cese, al secolo Emidio Petracca. Tra l’altro in passato erano molti gli emigranti italiani in vari paesi che avevano contatti epistolari con lui da vari paesi, sottoponendogli i loro dolori e drammi personali e familiari. Ma erano anche molti i devoti austriaci, tedeschi e svizzeri che negli anni sessanta-settanta allestivano pellegrinaggi diretti a Manoppello e San Giovanni Rotondo, come documentato da riviste cattoliche in lingua tedesca, recentemente recuperate.

L’edizione portoghese è sobria, ben curata  e comprende, rispetto all’edizione italiana, oltre alla richiamata introduzione, anche il testo della preghiera  per la beatificazione di padre Domenico, scritta nel 2006 da Luca Brandolini, allora vescovo di Sora.

Diceva il cappuccino che si sarebbe parlato e scritto di lui soltanto dopo la sua morte. Dal Brasile viene un riscontro, tra i tanti, del suo profetico messaggio.

 

 

Immagini allegate:

  1. Copertina edizione brasiliana
  2. Foto del prof. José E. Câmara (a sin.) insieme all’editore Diogo Chiuso
  3. Prima pagina dell’articolo mensile tedesco PUR – Spezial n. 4 – del 2005, dedicato alla storia di p. Domenico da Cese, tra Volto Santo e p. Pio

 

 




DELVERDE trionfa agli Italian Food Awards:   il pastificio abruzzese si aggiudica il premio della categoria pasta, con la gamma Wellness ai ceci e semi di lino

 

 

Delverde – foto 

Delverde corona i suoi 50 anni di attività con un importante riconoscimento: il pastificio di Fara San Martino, si è infatti aggiudicato, a New York, il primo premio nella categoria pasta degli “Italian Food Awards 2017“, grazie all’innovativa gamma Wellness ai ceci e semi di lino, che, dopo il successo sui mercati europei, è stata introdotta anche negli Stati Uniti.

Alessia De Angelis e Luca Ruffini ricevono il premio per Delverde

Il prestigioso Premio, che ha visto in gara circa 200 aziende per le varie categorie del settore Food, è un riconoscimento dedicato alle eccellenze italiane che operano negli Usa indetto dalla rivista Italian Food Net e supportato dalla Specialty Food Association (SFA), l’organizzazione titolare dei Fancy Food Shows, e da Universal Marketing.

 

Innovazione, packaging, nuove ricette, sostenibilità, sono stati i parametri in base ai quali la giuria, composta da operatori del settore USA, retailers, importatori e distributori, operatori del mondo food service, ha classificato i vari prodotti e di conseguenza decretato i vincitori.

 

La cerimonia di premiazione si è svolta nei giorni scorsi, nella lounge dell’Italian Pavillion presso il Jacob Javits Center di NY, con la partecipazione di importanti personalità del mondo del food, tra cui Dino Borri, Direttore di Eataly Usa; Phil Kafarakis , Presidente della SFA; Mike Miello (corporate chef US Food’s).

 

A ritirare il premio, per il pastificio Delverde, Luca Ruffini, President & Managing Director, Alessia De Angelis, Brand Manager Delverde, e John Baker, responsabile vendite Usa. “Questo premio ci rende orgogliosi e rafforza ulteriormente il posizionamento e la reputazione di Delverde come marca premium orientata all’innovazione e capace di intercettare i nuovi trend di consumo, spesso anticipandoli, come è stato anche con il lancio dell’ integrale bio, più di 10 anni fa” ha dichiarato soddisfatto Ruffini. “La gamma Wellness ai ceci e semi di lino è una linea innovativa che è già stata accolta con grande favore in Europa, ed eravamo certi che anche il mercato americano, particolarmente sensibile a tutto ciò che è salutare e ai nuovi trend di benessere, ci avrebbe dato un riscontro altrettanto positivo” ha spiegato Alessia De Angelis.

 

LA LINEA WELLNESS AI CECI E SEMI DI LINO

La linea Wellnes ai ceci e ai semi di lino, si compone di 4 nuove referenze di pasta, che hanno alla base delle ricette innovative messe a punto dal settore Ricerca & Sviluppo Delverde. Le migliori semole di grano duro, infatti, vengono arricchite con farine di ceci (30%) e di semi di lino (24%), ed impastate con acqua purissima della sorgente del Fiume Verde. Il risultato, grazie anche ai processi di trafilatura al bronzo e di lenta essiccazione, che caratterizzano i processi produttivi Delverde, è una gamma particolarmente ricca in fibre e proteine vegetali, che al tempo stesso conserva la giusta tenuta in cottura. Ideale, quindi, per i consumatori orientati ad un’alimentazione leggera e salutare, senza rinunciare al gusto, si esalta con condimenti leggeri come pesce, verdure, o semplicemnte con un filo di olio extra vergine d’oliva.

 

CHI E’ DELVERDE.

Nato nel 1967, il pastificio Delverde, oggi leader internazionale nel settore, compie quest’anno i 50 anni di attività, ma ben più antica è la tradizione pastaia abruzzese sviluppatasi a partire dalla metà dell’800 a Fara San Martino, il piccolo borgo pedemontano in provincia di Chieti riconosciuto come una delle capitali della pasta italiana. Un tradizione cui Delverde attinge a piene mani, poiché le maestranze del pastificio sono locali e, nella maggior parte dei casi, si tramandano il mestiere di generazione in generazione.

Unico pastificio situato all’interno di un Parco naturale, il Parco nazionale della Maiella, il pastificio Delverde è situato ai piedi della sorgente del fiume Verde da cui prende nome e che rappresenta una risorsa estremamente preziosa per la produzione di una pasta di altissima qualità.

Proprio da questa antica sorgente (che risale a oltre 7 milioni di anni) Delverde attinge un’acqua batteriologicamente pura oltre e oligominerale, per questo ricca di importanti elementi (quali calcio, fosforo, potassio e magnesio) che vengono trasferiti anche alla pasta grazie al processo di essiccazione lenta.

Quest’acqua, in virtù della sua purezza, viene utilizzata direttamente nel processo produttivo (senza stoccaggio, nè filtraggi né clorazione o trattamenti di tipo termico), dopo essere stata prelevata a 80 metri di profondità, alla temperatura naturale di 8 °C, ideale per l’impastamento e la lavorazione a bassa essiccazione poiché crea le migliori condizioni per la protezione del glutine che garantisce consistenza e quindi capacità di tenuta in cottura.

 

Delverde produce ed esporta in circa 60 paesi, 120 formati diversi tra pasta fresca e secca di semola, all’uovo, biologica e integrale-bio, e con farine speciali di ceci e semi di lino, utilizzando trafile di bronzo e processi di essiccazione a bassa temperatura, che consentono di preservare i valori nutrizionali e il gusto delicato di grano naturale nonché quella ruvidità e quel “cuore tenace” che la contraddistinguono. Infatti, essere fedeli alla tradizione è fondamentale, per mantenere alti standard qualitativi, ma in un mercato maturo e competitivo come quello della pasta, è altrettanto importante avere un approccio innovativo, e saper anticipare i nuovi trend.

 

Delverde fa capo al gruppo “Molinos Rio de la Plata s.a.”, tra i principali player nel settore agroalimentare dell’America Latina, che tra il 2009 e il 2010 ha acquisito l’intero pacchetto azionario.




Calcio – Confederation Cup, i ragazzi della Delfino Pescara a San Pietroburgo

I baby calciatori Alessio Canepari e Niccolò Postiglione sono in Russia fino al 3 luglio per partecipare al torneo internazionale giovanile Football for Friendship organizzato da Gazprom 
Sono arrivati a San Pietroburgo i piccoli calciatori delle giovanili della Delfino Pescara, selezionati per partecipare al torneo internazionale giovanile Football for Friendship organizzato da Gazprom. I dodicenni Alessio Canepari e Niccolò Postiglione hanno rispettivamente il ruolo di baby giornalista con il compito di raccontare, in inglese, l’avventura russa attraverso i canali social del torneo e di baby calciatore in campo come rappresentante dell’Italia. Sono accompagnati da Luca D’Ulisse, istruttore, e Antonio Di Battista, responsabile tecnico del settore giovanile della Delfino Pescara. Alla partenza per Roma hanno incontrato anche il senatore abruzzese Antonio Razzi, segretario della Commissione Esteri, che ha augurato ai due il meglio per questa esperienza internazionale.
«Si respira un’atmosfera internazionale – raccontano i ragazzi via WhatsApp ai genitori – e siamo molto emozionati. Stiamo conoscendo ragazzi da tutto il mondo. Ci siamo ambientati bene e non vediamo l’ora che inizino le attività». L’emozione è tanta anche perché, oltre a partecipare al torneo, i ragazzi avranno la possibilità di assistere alla finale della Confederation Cup allo stadio Arena di San Pietroburgo.
Al torneo sono 64 i Paesi rappresentati e per la prima volta ci sono anche ragazzi provenienti dal Messico e dagli Stati Uniti. Le squadre hanno giocatori di ogni nazionalità. In rappresentanza dell’Italia, il calciatore della Delfino Pescara gioca nel team composto da giocatori provenienti da Egitto, Slovacchia, Danimarca, Austria, Algeria, Iran, Russia.

Foto in allegato
>>>  Alessio Canepari (a sinistra nella foto) e Niccolò Postiglione (a destra nella foto) con il senatore Antonio Razzi

>>>  Alessio Canepari (a sinistra nella foto) e Niccolò Postiglione (a destra nella foto) a San Pietroburgo