“PRESENTATE A L’AQUILA LE OPERE D’ARTE ABRUZZESE DESTINATE A MALTA”

 

 

 

L’AQUILA – ANTRODOCO –  MALTA

 

 

 

A L’Aquila presso la sede dell’Accademia Culturale Internazionale San Giovanni Crisostomo, presieduta da Giuseppe Del Zoppo è stata effettuata, la presentazione di pregiate opere d’arte destinate al Comune di Mdina Notabile capitale storica della Repubblica di Malta. Le opere presentate sono due sculture del Professore Gianpiero Gigliozzi di Lucoli una di grandi dimensioni rappresentante la “Passione del Cristo” è l’altra raffigurante il sigillo del Comune di Mdina Notabile con la croce maltese. Dopo l’introduzione ai convenuti da parte del presidente dell’Accademia, che ha dato lettura del messaggio augurale pervenuto da Sergio Paolo Sciullo della Rocca Ambasciatore d’Abruzzo nel mondo recante anche il saluto del Sindaco di Mdina Peter Sant Manduca, è seguito l’intervento del professore Gigliozzi che ha presentato le sue opere spiegandone le tecniche e l’espressione artistica. Al termine della prima esposizione è seguito l’intervento del presidente dell’Accademia Culturale Lin Delija di Antrodoco Pasquale Chiuppi che ha presentato il quadro “La Dama col cappello” che sarà donato al Comune di Mdina Notabile in segno di amicizia. Trattasi di una opera del grande maestro italo albanese Lin Delija che fu amico intimo e ritrattista di Santa Teresa di Calcutta anche lei di origine albanese. La cui descrizione di questa pregiata tela, è stata effettuata da Armando Nicoletti mecenate dello scomparso pittore vissuto e sepolto a Antrodoco che con sagacia ha descritto il quadro della “Dama col cappello”, un’opera a olio su tela (80×60 cm), datata 1961, che presenta una raffinata espressione di dama con lo sguardo illuminato, pungente, rivolto a destra, donando al cappello del soggetto una rara traccia aristocratica. All’incontro di presentazione delle opere destinate al Comune di Mdina Notabile della Repubblica di Malta, sono intervenuti gli esperti dell’arte contemporanea Maria Elena Cialente, Pasquale Fiore e Emidio Cialente alla cui presenza si è tenuta anche la cerimonia di gemellaggio tra l’Associazione Culturale Lin Delija di Antrodoco e l’Accademia Culturale di San Giovanni Crisostomo di L’Aquila che con questo atto hanno voluto chiudere la presentazione delle opere destinate all’estero e sottolineare l’impegno comune delle loro sinergie per la promozione della cultura e dell’arte italiana nel mondo.

 

 

 

 

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“La Dama col cappello” del maestro pittore italo albanese Lin Delija, proveniente dalla collezione privata Armando Nicoletti di Antrodoco.quadro2

ALLEGATE: Foto di repertorio.

Il Prof. Gianpiero Gigliozzi, con la sua opera  “ La Passione” e componenti della Commissione.

 

 




IN BELGIO, A MONS E MARCINELLE, PER CHIUDERE L’ANNO COMMEMORATIVO Un convegno a Hornu e la visita a Bois du Cazier per ricordare le vittime a 60 anni dal disastro

 

 

di Goffredo Palmerini

 

MONS – E’ una bella città Mons. Vi arrivo in treno da Charleroi nel primo pomeriggio di metà dicembre, il sole splendente e un insolito cielo color turchese. Arrivo in albergo. Mi appare tutto singolare. L’ingresso copre parte della facciata d’una antica chiesa, adorna d’un bel rosone vetrato e un timpano a vela. Ma è solo l’inizio, perché dalle evidenze interne constato che l’hotel Dream è proprio realizzato all’interno d’una chiesa, forse un complesso monastico nel centro della città. Restano ancora in vista i basamenti delle colonne ed altre tracce della primitiva destinazione intorno alle strutture portanti in acciaio che supportano l’attuale disposizione alberghiera. Al terzo piano, mentre cerco la mia camera 309 “Art nouveau” – tutte le stanze hanno un nome – m’imbatto nella vetrata policroma interna al rosone della facciata. Fa da sfondo al lungo corridoio dove sono distribuite le stanze. La camera è ampia, con bagno arricchito da una finestra ogivale ornata da stipiti in pietra grigia a foggia gotica, propria delle antiche chiese di questa parte d’Europa. E’ la prima sorpresa d’una città sorprendente come Mons, il cui antico centro storico non rivela sbavature nell’armonia delle architetture di palazzi, case e chiese, con l’intrico di vie tutte pavimentate in selci e bordature in pietra grigio chiaro e ambra. Oggi è il 15 dicembre. Non ho impegni e questa mezza giornata è utile per conoscere un poco questa città che l’anno scorso è stata Capitale europea della cultura.

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Il cuore della città è la Grand Place. E’ poco distante. La raggiungo godendomi i graziosi negozi e le vetrine ben addobbate con i simboli del Natale incipiente. Rue de la Triperie conduce direttamente nella piazza maggiore, la strada lievemente in salita. L’ingresso nella piazza, salotto della città, è salutato dal canto dell’acqua che sgorga da quattro bocchette d’una fontana. La Grand Place, un vasto rettangolo irregolare, appare nella sua bellezza, contornata com’è di magnifiche facciate. Vi spicca quella del Municipio, l’Hotel de Ville con i pennoni imbandierati e ghirlande a cascata di luci natalizie. Animata di voci la grande piazza, di gente, di colori. Piccole casette bianche di legno del mercatino vendono prodotti tipici, cucina pronta e bevande a chi va godendosi il tepore del sole calante e un anticipo d’aria natalizia. Animatissimo il palaghiaccio all’aperto, dove ragazzi e bambini piroettano sui pattini, in gare dal breve respiro. Mi piace annusarla, questa città. E scoprirla pian piano, anche per l’orgoglio di sentirvi tracce d’Abruzzo. Ne è sindaco, infatti, il figlio di un’umile famiglia d’emigrati abruzzesi, Elio Di Rupo, personalità politica di grande rilievo in Belgio, e in Europa, per essere stato più volte parlamentare, uomo di governo e, dal 2011 per tre anni Primo Ministro. Giro per il centro storico facendomi guidare dai campanili. Le chiese, se si ha pazienza di guardarle con attenzione, raccontano la storia d’una città, l’arte, l’anima e persino l’indole degli abitanti, meglio d’ogni altro monumento.

 

Mons ha la sua nascita nel Medioevo, il suo insediamento urbano sul luogo dove Giulio Cesare, arrivandovi nel primo secolo a.C., fece edificare un castrum, proprio sul colle che domina ora la città. Proprio da questa particolarità, l’essere nata su un rilievo presente in un ampio territorio pianeggiante, gli deriva l’attuale nome che richiama il termine latino. Nel VII secolo, proprio nei pressi di quel monte, la figlia di Clotario II, Waltrude, andata in moglie ad un signorotto del luogo, fece edificare un oratorio dove poi si ritirò in santità fino alla sua morte, nel 688. La santa Waltrude (Sainte Waudru) è patrona della città. Intorno a quel primo nucleo altomedioevale si cominciò a sviluppare un aggregato urbano, cresciuto fortemente nel XII secolo sotto l’impulso del conte Baldovino IV di Hinault, che ne fece una città fortificata. La popolazione aumentò notevolmente e fiorirono i commerci, con numerose attività che si disposero man mano intorno alla Grand Place, centro della vita civile e mercantile. Gli abitanti si dedicarono al commercio e all’artigianato, tanto che Mons diventò la più importante città della Contea di Hinault nella produzione di grano, birra, nell’industria laniera e nella gioielleria. Ancor oggi, come allora, la Grand Place – una delle più belle del Belgio – è il cuore della città, dove si svolgono le tradizioni più care ai cittadini di Mons, come la festa della Ducasse de la Trinité, con il combattimento del Lumeçon che ricorda la lotta di San Giorgio contro il drago, e la processione del Car d’or, quando la statua della Santa Waudru viene portata per le vie del centro sull’antico carro di legno, scolpito e dipinto di bianco e oro. Nel Quattrocento i cittadini di Mons (montois) costruirono in stile gotico l’Hotel de Ville, la casa comunale dove nel 1515 l’imperatore Carlo V – il sovrano sul cui regno non tramontava mai il sole – prestò giuramento in quanto anche Conte di Hinault. Nei due secoli successivi prima gli spagnoli poi i francesi occuparono la città e il grande Sebastien Vauban la munì d’una solida cinta muraria. Le mura fortificate seicentesche sono ora solo un ricordo storico, perché smantellate nel 1864 per essere sostituite dagli ampi viali alberati che contornano come un perfetto ovale l’antica capitale degli Hinault.

 

Il mio giro nel centro città inizia appunto dalla Grand Place, ammirando l’imponente palazzo municipale, impreziosito da bifore ogivali. Accanto al portone la celebre scimmia in ferro battuto, portafortuna della città e di chiunque le carezzi il capo. Poco distante, sulla Rue de Nemy, la chiesa tardo-gotica di Santa Elisabetta. Ne ammiro l’interno a tre navate, con ampie finestrature vetrate e belle opere pittoriche nelle cappelle, con l’altare maggiore e coro in legno lavorato. Arrancando su stradine lastricate salgo fino al colle più alto della città, al Parco dei Conti, dove gli Hinault avevano il castello. Del complesso resta la Beffroi, torre barocca con grande orologio dalla quale si ammira tutta la città e i dintorni. Lì accanto la Cappella di San Callisto, risalente all’XI secolo, le cui volte ostentano lacerti di affreschi bizantini. Da lassù si può avvistare la corona delle cappelle absidali della Collegiata di Sainte Waudru, che raggiungo percorrendo la Rue de Clercs. E’ un tempio magnificente di stile gotico brabantino, opera di Matheus de Layens, edificata a metà Cinquecento e completata nel 1686. L’interno è a tre navate, imponente l’altezza degli archi e delle vetrate dell’abside principale circondata da cappelle con raffinate sculture, mentre nei bracci del transetto stupiscono i preziosi rilievi cinquecenteschi in alabastro, opera di Jacques Dubroeucq, artista del Rinascimento. La chiesa custodisce il Car d’Or, il bianco carro ligneo processionale della Santa Waudru, finemente decorato con putti e oro zecchino. Ultima visita alla chiesa di Saint Nicholas, anch’essa imponente, con tutti gli altari in legno cesellato arricchiti con dipinti seicenteschi. Il tempo tiranno non consente di visitare i musei della città. Mons è molto viva in campo culturale, non a caso ha avuto il privilegio d’essere per un anno capitale della cultura europea. Lo deve alle sue sensibilità umanistiche, alla sua storia, al suo patrimonio artistico e architettonico. Lo deve anche alla presenza d’una prestigiosa università. L’Umons è nata nel 2009 dalla fusione dell’Università di Mons e dell’antica Facoltà Politecnica, fondata nel 1837. Attualmente la città, che conta 95mila abitanti, ha 22mila studenti, di cui 7mila provenienti da una quarantina di Paesi e ospitati nel campus dell’ateneo.

 

Passata pressoché indenne attraverso due guerre mondiali, Mons ha chiuso da molti anni l’attività estrattiva che aveva richiamato migliaia di immigrati italiani per il lavoro nelle miniere, in base all’Accordo italo-belga del 1946. Di quell’intesa tra Italia e Belgio – braccia contro carbone – ricorre quest’anno il 70° anniversario, come pure ricorre il 60° della tragedia di Marcinelle, dove nella miniera di Bois du Cazier l’8 agosto 1956 persero la vita 262 minatori, 136 dei quali erano italiani. Nel corso del 2016 numerose manifestazioni si sono tenute in Belgio per l’Anno commemorativo, che si chiude con il Convegno del 16 dicembre a Hornu. Siamo qui per questo, per partecipare all’evento promosso dai Comites del Belgio, d’intesa con l’Ambasciata d’Italia a Bruxelles e in collaborazione con le associazioni storiche dell’emigrazione operanti nel Paese, quali ANFE, ITAL-UIL, INCA-CGIL, FILEF, ACLI, USEF, ASBL. La scelta di Hornu per la manifestazione di chiusura dell’Anno commemorativo non è casuale. C’erano qui diverse miniere di carbone. E il Grand Hornu, villaggio industriale realizzato nel 1810 dall’imprenditore francese Henri De George, grande quartiere urbanisticamente integrato, comprendente il complesso minerario, le abitazioni di minatori e operai, l’isolato degli impiegati. Questo straordinario complesso, esempio d’archeologia industriale, restaurato su progetto di Pierre Habbelinck, dal 2002 ha ripreso a vivere come Museo delle Arti Contemporanee (MAC’s), dove si tengono esposizioni, eventi culturali e concerti.

 

Raffaele Napolitano, presidente del Comites di Bruxelles e coordinatore dell’Inter-Comites del Belgio, insieme agli esponenti delle associazioni promotrici, per il convegno ha scelto il Centro Culturale italiano di Hornu. In agenda sono previsti gli interventi dello stesso Napolitano, di Michele Schiavone, Segretario Generale del CGIE, dell’on. Gianluca Miccichè, Assessore all’Emigrazione Politiche sociali e del lavoro della Regione Sicilia, del Consigliere d’ambasciata Giovanni Maria De Vita, del Ministero degli Esteri – Direzione Generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie, di Gaetano Calà, Direttore nazionale dell’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (ANFE) e componente del CGIE, e di Goffredo Palmerini, Presidente dell’Osservatorio Regionale Emigrazione dell’Abruzzo. Nel pomeriggio di venerdì 16 dicembre sono arrivati a Mons, da Bruxelles, Raffaele Napolitano e Gaetano Calà. Giusto il tempo per sistemarsi in albergo e si parte. Arriviamo intorno alle 6 di sera ad Hornu. All’ingresso del Centro Culturale c’è Tindaro Tassone, stretto collaboratore di Elio Di Rupo, consigliere alla presidenza del Partito Socialista belga. Abbiamo passato con Tindaro e la splendida moglie Maria una bella serata in amicizia, il giorno precedente, insieme a cena al Tocco d’Italia, un ottimo ristorante di Mons gestito dai coniugi Claudio e Carmela, coppia d’origine siciliana che ci ha regalato il meglio della loro sapienza culinaria. Un grande abbraccio tra Tindaro e Gaetano Calà, sono entrambi siciliani e grandissimi amici. Hanno collaborato e condiviso importanti iniziative dell’ANFE in Belgio. Nel Centro Culturale da oltre mezzo secolo la comunità italiana tiene i suoi incontri di socialità, le iniziative culturali e ricreative, i corsi di lingua italiana per gli emigrati. La grande sala si va già riempiendo. Ezio D’Orazio, abruzzese, project manager della Siemens e una vita nel sindacato e nell’associazionismo in Belgio, sta sistemando il tavolo dei relatori con le bandiere d’Italia e Belgio. Alle 18:30 è previsto l’inizio dei lavori. Qualche minuto prima arriva il sindaco di Mons, Elio Di Rupo, accolto calorosamente ed affettuosamente dal pubblico. Ha un impegno a Bruxelles, ma volentieri è venuto a portare il suo saluto, anche se dovrà lasciare l’incontro. Raffaele Napolitano gli dà subito la parola, non prima però che la Corale Multiculturale abbia cantato l’inno d’Italia, tutti in piedi e la mano sul cuore, e un altro brano tradizionale. Proprio sulle note di questo canto tradizionale è l’incipit del Presidente Di Rupo. “Quando ho sentito il coro cantare mi sono commosso – ha dichiarato Di Rupo – perché mi ha ricordato mia madre. Oggi ricordiamo 70 anni dell’Accordo tra Italia e Belgio. In base a quell’accordo vennero qui dall’Abruzzo mio padre, mio zio, i miei fratelli. Sono venuti a lavorare nelle viscere della terra, in condizioni molto difficili, e hanno resistito perché venivano dalla miseria. Hanno vissuto nelle baracche, in condizioni che non si possono scordare. Fino a quel giorno terribile del 1956. Il mio primo ricordo è quello della tragedia, delle donne che piangevano e gridavano ai cancelli della miniera. Avevo 5 anni. Da quella data tragica i minatori sono stati finalmente accettati e rispettati in Belgio. La mia vita è incredibile. All’università, in politica fino a diventare Primo Ministro. I giovani non debbono scordare da dove veniamo, le nostre radici che hanno forgiato il nostro carattere”. Ancora qualche parola di saluto, poi Di Rupo si congeda.

 

Raffaele Napolitano richiama il valore delle manifestazioni commemorative, ringraziando per l’impegno profuso tutto l’associazionismo italiano in Belgio e i Comites. Scusa poi l’assenza del Segretario generale del CGIE, Michele Schiavone, trattenuto a casa da problemi di salute. E considerando che l’on. Miccichè è ancora in viaggio da Bruxelles, dà la parola a Gaetano Calà che parla delle condizioni dei nostri emigrati e del ruolo significativo svolto dall’ANFE dal 1947, quando la deputata costituente Maria Federici fondò l’associazione. E soffermandosi sulla tragedia di Marcinelle, che portò al cambiamento radicale delle condizioni di sicurezza delle norme sul lavoro nelle miniere, Calà reca una straordinaria testimonianza storica con la lettera a Maria Federici scritta da una testimone presente a Marcinelle una settimana dopo il disastro, sulla gravità dei problemi che vivevano le famiglie delle vittime e degli altri minatori. E ancora altre testimonianze scritte, tratte dal ponderoso archivio centrale dell’ANFE. Diventeranno, promette Calà, materiale d’archivio da condividere nei luoghi della Memoria in Belgio. Chiude poi il suo intervento ricordando Domenico Azzia, il presidente dell’associazione Sicilia Mondo, un pilastro del mondo dell’emigrazione, scomparso recentemente.

 

Chi scrive, nel suo intervento, ha ringraziato gli emigrati per il servizio e l’onore che hanno reso all’Italia con il lavoro, la serietà e la dignità dei comportamenti, con il prestigio e la stima guadagnati sul campo contro ogni pregiudizio. Il rispetto conquistato in anni di sacrifici, i successi in tutti i settori della società e in ogni Paese raggiunti dagli 80 milioni di emigrati italiani e loro discendenti – un’altra Italia più grande dell’Italia dentro i confini – sono il tributo più importante reso alla Patria, perché attraverso le loro testimonianza di vita i nostri emigrati hanno dimostrato quanto valgano davvero gli italiani, in talento, creatività e capacità d’impresa, ma anche in politica, nei Parlamenti e nei Governi, come il caso di Elio Di Rupo insegna, rendendoci orgogliosi della sua opera e dei traguardi raggiunti. Eppure, questo grande patrimonio di storia della nostra emigrazione è poco conosciuto, in Italia talvolta trattato con superficialità dalle istituzioni e dalla classe dirigente. Dunque, ogni iniziativa che tenda a valorizzare la Memoria è importante, come questo Anno commemorativo in Belgio. Ma sarà necessario che la storia dell’emigrazione italiana diventi materia da studiare nelle scuole italiane, che diventi patrimonio di conoscenza di tutti gli italiani, entrando finalmente nella Storia d’Italia. Questo deve essere l’obiettivo a cui tendere, anche per onorare degnamente la memoria delle 136 vittime italiane dell’8 agosto 1956 e di tutte le vittime della tragedia di Marcinelle.

 

Il Consigliere Giovanni Maria De Vita nel suo intervento in rappresentanza del Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale per gli Italiani all’Estero, riprendendo l’intervento precedente, annota come non solo la classe dirigente abbia scarsa conoscenza della storia dell’emigrazione, ma il fenomeno è latamente diffuso. E’ una situazione che deve preoccupare. E deve essere risolta, facendo diventare la storia dell’emigrazione un patrimonio comune per tutti gli italiani. Dunque, ogni iniziativa utile a diffonderne la conoscenza è vista dal Ministero con interesse e favore. Come il progetto che fra poco verrà illustrato, con la realizzazione di una storia dell’emigrazione a fumetti per le scuole, è un’iniziativa importante che va in questo senso, avvicinando i ragazzi alla conoscenza del fenomeno migratorio italiano che per un secolo e mezzo ha toccato tanti milioni di connazionali. Il sostegno del Ministero vuole essere un segno di doverosa attenzione al progetto e alle sue finalità.

 

Napolitano invita quindi a parlare Gianluca Miccichè, Assessore all’Emigrazione e al Lavoro della Regione Sicilia. L’uomo di governo siciliano tratteggia con spunti molto interessanti la vicenda migratoria siciliana, quella storica e anche l’attuale, che porta all’estero tanti giovani per ragioni certamente diverse che nel passato. Illustra quindi le politiche che la Regione sta seguendo nel settore e, con riferimento ad un recente convegno tenutosi a Palermo con la partecipazione delle maggiori associazioni operanti nel campo dell’emigrazione, ha tenuto a ribadire gli impegni assunti in quella sede specie per ridare all’associazionismo l’attenzione che merita, in termini di risposte e di politiche mirate. A cominciare dalla Consulta dell’Emigrazione siciliana che presto sarà convocata, dopo anni di inattività. Con la stessa Consulta, e con le associazioni, sarà inoltre valutato come modificare al meglio la legge 55 del 1980, che regola il settore. Viva soddisfazione suscita l’intervento tra gli esponenti dell’associazionismo siciliano presenti.

 

Dopo gli interventi dei relatori l’artista Antonio Cossu, figlio d’un emigrato sardo, presenta il progetto dell’opera a fumetti “Storia dell’immigrazione italiana in Belgio”, illustrando gli studi dell’opera, i bozzetti, il linguaggio comunicativo, il più adatto ai ragazzi e giovani studenti. Sicuramente ha fatto colpo la qualità e l’espressività del disegno, cifra dell’artista e del suo valore. Il progetto si svilupperà nell’arco di due anni. Dopo la consegna dei riconoscimenti alle associazioni dell’emigrazione operanti in Belgio – una stampa autografa di Antonio Cossu con un’immagine che simboleggia l’essenza del progetto -, una festosa conviviale intrattiene i presenti. Alla mescita gli Alpini di Hornu e dintorni. Nel corso della serata sono stati raccolti fondi da destinare alle zone terremotate del centro Italia, colpite dai sismi del 24 agosto e del 26 e 30 ottobre 2016.

 

Sabato mattina, 17 dicembre, Tindaro Tassone ci porta con la sua auto a Marcinelle. Non può mancare l’omaggio alle vittime della tragedia. Gianluca Miccichè, Gaetano Calà e chi scrive compongono la delegazione. Alle 11 ci attendono alla miniera di Bois du Cazier. Arriviamo puntuali. Il cielo è plumbeo, sebbene non piova. L’accoglienza al Bois du Cazier la fa Alain Forti, Soprintendente (Conservateur) del complesso minerario ora diventato un grande museo patrimonio dell’Unesco. E’ grazie alle lotte degli ex minatori se la miniera di Marcinelle non è diventata un centro commerciale, come s’intendeva trasformarla. Dal loro impegno generò la proposta all’Unesco per il riconoscimento come Patrimonio dell’Umanità, concesso nel 2012. Il dr. Forti ci illustra la storia del tragico evento dell’8 agosto di 60 anni fa. Arrivati dai dintorni sono presenti anche alcuni esponenti dell’associazionismo italiano. Ci fermiamo davanti al Monumento alle vittime, un enorme parallelepipedo di marmo bianco con incisi i 262 nomi dei morti nel disastro. Lo ha donato la città di Carrara. C’è con noi in divisa da lavoro Uberto Ciacci, originario di Pesaro, ex minatore 81enne scampato per un caso al disastro. L’Assessore Miccichè, insieme alla delegazione, depone un mazzo di fiori tricolore, bianco rosso e verde, sotto il cippo marmoreo delle vittime. Uberto Ciacci ci racconta la miniera, le terribili condizioni di lavoro, il caldo infernale e il pericolo di grisù. Si scavava supini, talvolta in cunicoli non più alti di 40 centimetri. Ci guida, ci spiega tutte le fasi operative nella miniera, quando si entrava al lavoro e quando neri di carbone se ne usciva esausti a fine turno, avendo magari lavorato a più di mille metri di profondità. La visita è una via Crucis, con la stazione più dolorosa nella stanza del Memoriale, con le foto dei 262 minatori morti nella tragedia. Ce li indica, Urbano Ciacci, con le lacrime agli occhi. Ora, come altri suoi compagni dell’Associazione ex Minatori di Marcinelle, Urbano sente ogni giorno l’obbligo morale di guidare i visitatori, spiegare e raccontare, perché la terribile storia della tragedia della miniera di Bois du Cazier – una delle pagine nere dell’emigrazione – sia sempre presente nella Memoria degli italiani e dell’intera umanità. Mi fermo a meditare sulle vittime, sul tributo di 136 italiani, di cui 60 abruzzesi. Grande la dimensione del sacrificio abruzzese. Le vittime in gran parte originarie di Manoppello, Lettomanoppello, Tuttivalignani, Roccascalegna, Farindola. Una tragedia sul lavoro che denunciò la sommarietà se non l’assenza delle condizioni di sicurezza in miniera, la lacunosità della previdenza e dell’assistenza ai lavoratori, il vergognoso contratto tra i due Stati, per il quale i lavoratori destinati in miniera avevano rilevanza solo per assicurare le forniture di carbone all’Italia.

 

Quella data e quella tragedia sono ora riconosciute nella memoria collettiva del nostro Paese come Giornata del Lavoro italiano nel mondo. Tante cose sono cambiate da quegli anni per i nostri emigrati in Belgio. Oggi il figlio d’un emigrato abruzzese di San Valentino, in provincia di Pescara, è stato Primo Ministro del Belgio ed è una figura istituzionale di primo piano in Europa. Elio Di Rupo è motivo d’orgoglio per l’Italia e per l’Abruzzo, terra dei suoi padri. Nel locale delle testimonianze, adiacente al Memoriale, sono apposte molte targhe commemorative. Ci soffermiamo davanti a quelle apposte dalla Regione Sicilia, dalla Regione Abruzzo e dall’ANFE che tanto operò nei giorni della tragedia in aiuto alle famiglie delle vittime. La nostra visita si conclude, con un abbraccio collettivo e liberatorio dell’emozione. Ognuno prende la sua destinazione. Ho il volo per Roma a tarda sera, dall’aeroporto di Charleroi. C’è tempo di passare il pomeriggio con un coetaneo e compagno di scuola: Francesco, emigrato giovanissimo da Paganica (L’Aquila) qui nei pressi di Charleroi. Con lui e sua moglie Clelia raggiungiamo Dino e Giovina, altra coppia di amici aquilani. Si festeggia con un’agape fraterna il compleanno di Dino. Partito da Camarda, un paesino alle falde del Gran Sasso, Dino venne qui a lavorare. Fino a realizzare una catena di distributori di benzina “Scipioni” e un florido commercio di vari altri combustibili. Un’impresa condotta ora dai figli. Passiamo in allegria un magnifico pomeriggio. Poi il volo, quasi in orario. E l’arrivo all’Aquila, a notte inoltrata. Gelida, ma con un cielo puro, trapunto di stelle splendenti.

 

 

 




Mimma, la maestrina del Sud che è rimasta nel cuore dei bimbi del Nord Domenico Logozzo *

 

 

 

GIOIOSA JONICA – Una nuova pagina deamicisiana, 130 anni dopo la prima pubblicazione del libro Cuore avvenuta nel 1886. Protagonisti una maestrina del Sud e i suoi alunni piemontesi. Una tragedia della strada il 15 febbraio del 2014 ha spento per sempre il sorriso di Mimma Marafioti, 39 anni, calabrese, insegnante nelle scuole primarie del Piemonte. Immenso l’amore per i sui allievi e dai suoi allievi. Le lacrime rigano il volto dei bambini, ripensando oggi alla maestra che non c’è più. “Ho il cuore che mi batte forte… forte … ricorderò sempre la mia cara maestra Mimma…”.

 

Piange il piccolo Jacopo nel giorno in cui nella scuola primaria di Lessolo (Torino), viene ricordata la maestrina di Molochio (Reggio Calabria) partita dal profondo Sud con tante idee, tanti progetti da realizzare insieme ai bambini. Entusiasta. Il sogno di insegnare si concretizzava. Finalmente. Sogno che purtroppo due anni fa si è bruscamente interrotto, per un maledetto incidente stradale, nei pressi di Ivrea. Mimma ha lasciato un bimbo di 16 mesi e una ragazzina di 17 anni. Erano con lei nell’auto guidata dal marito che si è scontrata frontalmente con un’altra vettura. Donna forte. Combattente. Ha lottato fino all’ultimo. Non ce l’ha fatta. Il decesso è avvenuto alcune ore dopo il ricovero al Cto di Torino. I due figli, il marito ed il conducente dell’altro mezzo, trasportati al Pronto Soccorso, erano stati dimessi quasi subito.

 

Il dolce sorriso di Mimma si è spento. Il suo ricordo luminoso però è sempre vivo. Come la vicinanza alla famiglia sia da parte della comunità di Molochio che di quella piemontese. Onorata la memoria con borse di studio in Calabria e in Piemonte. Sicurezza stradale, legalità, scuola, famiglia. I temi che vengono privilegiati nel cammino didattico sulla via tracciata da Mimma. Che è sempre nel cuore dei piccoli alunni. “Jacopo mi ha fatto una enorme tenerezza”, ci dice Katia, sorella maggiore di Mimma, che la settimana scorsa con la famiglia ha incontrato gli alunni e i docenti della scuola primaria di Lessolo. Un incontro carico di commozione.

 

“Noi abbiamo istituito la borsa di studio in memoria di Mimma e la scuola ha deciso di dedicarle una giornata. Canti, poesie, filastrocche e ricordi. Quanti ricordi! Disegni e parole. Mimma raccontata dai suoi alunni”. Emozioni a non finire per il papà e la mamma venuti dalla Calabria e per la sorella Katia che da anni insegna in Piemonte. Un anno e mezzo fa ha dato alla luce una bella bambina. L’ha chiamata Mimma: “Le somiglia tanto, anche nel carattere”. Katia ci racconta poi l’incontro con un’altra alunna di Mimma. “Si è avvicinata e mi ha detto che vuole tanto bene a Mimma: “Così buona, così bella, così affettuosa la mia maestra. Ci ha sempre aiutati. Aveva grande cura di noi. Ci ha insegnato tanto. Era premurosa. Come quel giorno che piangevo perché aver rotto il vasetto di vetro con il quale avevo fatto un lavoretto. La maestra si è avvicinata, mi ha detto di non piangere, perché nella borsa aveva un vasetto di omogeneizzati del figlioletto, che l’avrebbe svuotato e poi me l’avrebbe dato. L’ha fatto subito. Così ho rifatto tutto. Ero per questo molto felice. Quanto è stata cara la maestra Mimma!”.

 

Tanti momenti indimenticabili che Katia Marafioti ha ricordato nella commovente lettera alla “Cara Mimma” scritta su facebook. “Io, mamma, papà e Rosaria siamo stati a scuola dove tu hai lasciato un grande vuoto. Negli occhi dei tuoi bimbi, colleghe e collaboratori c’erano i segni di dolore. Un bimbo, Jacopo, mi ha fatto una enorme tenerezza, mi ha detto: “No il cuore che mi batte forte”. Piangeva. Mi ha anche detto: “Ricorderò sempre la mia maestra Mimma”. Le lacrime di Katia Scavalda che continuava a dirmi: “Ancora non credo che non ci sia più”. Eppure è così. Ognuno di noi ti cerca ma non ti vede. Come faremo senza di te??? Un grazie particolare alla presenza della preside e della vicepreside che con la loro umanità e gentilezza hanno partecipato a questo evento. Un grazie ancora infinito ai tuoi bimbi, alle tue colleghe e ai collaboratori. Ciao Mimma”.

 

Amatissima. In ricordo di Mimma, l’Istituto comprensivo di Pavone Canavese (Torino) ha pubblicato sulla pagina facebook una toccante testimonianza d’affetto. “Mimma era una giovanissima mamma ed una nostra maestra. La sua dolcezza e il suo amore per la scuola e per i bambini erano palpabili, la sua forza e il suo sorriso intensi. Un terribile incidente l’ha strappata all’affetto della sua famiglia, dei suoi figli e dei suoi piccoli alunni il 15 febbraio 2014 lasciando un vuoto ed un dolore incolmabili. La sua famiglia e sua sorella Katia hanno istituito una borsa di studio in suo onore e in suo ricordo premiando ogni anno tramite un concorso sui temi della sicurezza stradale e della legalità gli alunni della scuola primaria di Lessolo, la sede in cui lei insegnava. Quest’anno è stato stabilito di devolvere la cifra del premio all’intera scuola e in accordo con le insegnanti è stato acquistato un Canta Tu per tutti i bambini. Questa settimana la sorella Katia e i genitori di Mimma sono venuti a scuola per consegnare il dono. Un momento carico di emozione e tenerezza perché sempre vivo e presente è il suo ricordo. Ringrazio a nome della Dirigente Scolastica e delle insegnanti per il momento intenso vissuto insieme e per il dono. Ogni canzone ci canterà di te”. E Mimma amava molto il canto.

 

La sorella Katia ci mostra infatti una foto scattata a Molochio il 29 luglio 2011 mentre canta con l’amico Francesco in occasione di una festa religiosa nel paese natio al quale era fortemente legata. E’ bella questa pagina dei sentimenti. E’ questa la buona scuola. Il valore della memoria. Una maestrina del Sud che ha conquistato il cuore dei bambini e degli insegnanti del Nord. Insieme. Il cuore oltre l’ostacolo. Mimma questo messaggio ci ha lasciato in eredità. Preziosa eredità. Da non disperdere. “Era una mamma davvero speciale, sempre pronta a partecipare e offrire il suo contributo alle iniziative del gruppo”. Qualche giorno dopo lo scontro mortale, così l’aveva ricordata Else Klecker, presidente dell’associazione “il Cuore oltre l’ostacolo”. In seguito al terribile incidente l’attività dell’associazione impegnata nel sociale, era stata ampliata, inserendo nei programmi la sicurezza stradale. La sorella Katia ricorda che “Mimma faceva parte dell’associazione perché ha una ragazza speciale. Era sempre presente con la sua bimba, partecipava attivamente con le sue meravigliose opere, perché lei era creativa. Lavorava tanto con il Fimo. Era la sua passione. Dei veri capolavori. La settimana prima della tragedia aveva realizzato per i nostri ragazzi dei portachiavi a forma di coccinella”.

 

La vita di Mimma come una pagina del libro Cuore. Dal Sud al Nord. La maestra venuta dalla lontana provincia di Reggio Calabria è riuscita a conquistare l’amore dei bambini e del mondo della scuola del Piemonte. La scuola senza barriere. Nel nuovo millennio le lezioni della maestrina calabrese che si impegnava per un mondo migliore, senza ostacoli, senza discriminazioni. Stare bene insieme. E ci torna alla mente il maestro piemontese del libro Cuore che caldeggiava “l’abbraccio dei figliuoli del Piemonte al figliuolo della Calabria” che era appena arrivato a Torino. “Voi dovete essere contenti. Oggi entra nella scuola un piccolo italiano nato a Reggio di Calabria, a più di cinquecento miglia di qua. Vogliate bene al vostro fratello venuto di lontano. Egli è nato in una terra gloriosa, che diede all’Italia degli uomini illustri, e le dà dei forti lavoratori e dei bravi soldati; in una delle più belle terre della nostra patria, dove son grandi foreste e grandi montagne, abitate da un popolo pieno d’ingegno, di coraggio. Vogliategli bene, in maniera che non s’accorga di esser lontano dalla città dove è nato; fategli vedere che un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta il piede, ci trova dei fratelli”.

 

Voler bene. Sentirsi fratelli. Nessuno sia escluso. Costruire un futuro di bontà. Con amore. “L’amore non si realizza perché ne parliamo – ci ricorda Papa Francesco -, ma quando lo viviamo: non è una dolce poesia da studiare a memoria, ma una scelta di vita da mettere in pratica!”. Come faceva Mimma e come ognuno di noi, tutti i giorni deve fare, per il bene di tutti.

 

*già Caporedattore TGR Rai

 

 

Foto:

1 – Mimma Marafioti, la maestrina calabrese tanto amata dagli alunni piemontesi

2 – Il pensiero di un alunno

3 – Le sorelle Katia e Mimma Marafioti. Erano molto legate, entrambe insegnanti in Piemonte

4 – Gli alunni della primaria di Lessolo con il dono che è stato offerto dalla famiglia Marafioti nel ricordo di Mimma

5 – Mimma cantante a Molochio nell’estate del 2011 con l’amico Francesco

6 – Il papà, la mamma ed i familiari di Mimma Marafioti nella scuola primaria di Lessolo

 




Amedeo Passeri un grande Direttore d’Orchestra partito da Pianella. Amava dire “sono io il più bravo”. E bravo, comunque, lo fu davvero.

Associazione Culturale “AMBASCIATORI DELLA FAME”

Pescara, 17 dicembre 2016

Amedeo Aliberto Egildo PASSERI nacque a Pianella in via Municipale, il 6 gennaio del 1889, da Francesco (“calzolaio”) e Maria Vincenza Ferri (“donna di casa”). Sin da piccolo mostrò una straordinaria ed indiscutibile attitudine per le sette note. Questo indusse il padre ad affrontare qualsiasi sacrificio pur di consentirgli di studiare musica. Non c’era strumento che Amedeo non imparasse, nell’immediato, a fare suo e che, subito dopo, suonava con incredibile bravura ( la “cornetta” era la sua preferita). A dieci anni iniziò a comporre brani musicali. Insomma un vero “bambino prodigio”. Si cimentò, prima,  con varie piccole bande locali e infine con quella di Pianella, il suo paese, “I Diavoli Rossi”. Ma quella maestria non poteva e non doveva rimanere soffocata dalla vita di provincia. E allora a solo 17 anni decise di emigrare verso gli Stati Uniti. Arrivo ad “Ellis Island”, a bordo del “Lombardia”, nel 1906. Gli bastò poco in America per farsi conoscere ed apprezzare. Iniziò con il suonare in importanti bande e contestualmente dirigere bande “italiane”. Subito dopo gli arrivarono importanti proposte. Intorno a lui, abilissimo nel saper promuovere la sua immagine,  nacque, ben presto, la leggenda del “più giovane e grande Maestro al Mondo”. Capelli lunghi, eccentrico, spaccone, amato dalle donne Amedeo Passeri amava dire “sono io il più bravo Direttore d’Orchestra”. Questo divise il pubblico in chi lo adorava e chi invece lo contestava. Ma il tempo in breve dimostrò, a tutti, che bravo lo era davvero e anche i critici e i giornali del tempo dovettero prenderne atto. Creò una sua propria Banda, la “Passeri and His Concert Band”, e con questa si esibì in tutti i più importanti teatri americani. Proponendo e valorizzando soprattutto la musica e le opere italiane. Il passo più importante lo fece, qualche anno dopo, promuovendo la nascita della “New York Grand Opera Company” di cui per lunghi anni fu Direttore. Ne fece una “Orchesta itinerante” che regolarmente faceva il “tutto esaurito”. Restano memorabili, in particolare,  due date. La prima quando il 14 maggio del 1934 diresse la “Carmen” all’Acadeny of Music di Philadelphia. I biglietti erano già stati venduti da tempo e la polizia fu costretta a caricare la folla (erano arrivati anche da molto lontano) che, sprovvista dei tagliandi,  voleva comunque entrare. Solo l’intervento di Amedeo Passeri, promise loro una immediata replica, vietò il peggio. La seconda  a Boston ,il 14 settembre del 1939,  quando al “Boston Opera House” per “La traviata”, da lui diretta,  si registrò un incasso record. Poi Amedeo Passeri scoprì il Cinema, ne fu attratto e naturalmente ben remunerato e divenne direttore musicale per le più note case cinematografiche. Incise un’infinità di dischi e si dedicò all’insegnamento. Una curiosità che aiuta a capire il livello, anche economico, raggiunto da Amedeo Passeri: alla fine degli anni intentò contro un’impresario, per una serie di concerti mai pagati, una causa per una cifra di addirittura 200.000 dollari. Assai sensibile alla causa dei più deboli non disdegnò esibizioni gratuite. Dovrebbe essere morto nel 1970 in New Jersey.

Geremia Mancini – Presidente onorario “Ambasciatori della fame”

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Foto 1: Un ritaglio di giornale  del “Billboard” del 29 giugno 1912;

Foto 2: Una serie di disegni pubblicati (inizio anni ’20) per descrivere il “Maestro”;

Foto 3: La registrazione di nascita di Amedeo Passeri.




A Hornu, in Belgio, la chiusura dell’Anno commemorativo nel 60° della tragedia di Marcinelle

 

Il 16 dicembre convegno conclusivo, il 17 l’omaggio alle vittime nella miniera di Bois du Cazier

 

 

 

L’AQUILA – Si chiuderà il 16 dicembre 2016 a Hornu, l’Anno commemorativo del 70° anniversario degli Accordi migratori italo-belgi e del 60° del disastro di Marcinelle, promosso dai Comites del Belgio, d’intesa con l’Ambasciata d’Italia a Bruxelles, in collaborazione con ANFE, ITAL-UIL, INCA-CGIL, FILEF, ACLI, USEF, ASBL-Leonardo da Vinci.

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Ne ha dato recentemente notizia Raffaele Napolitano, presidente del Comites di Bruxelles-Brabante-Fiandre e coordinatore dell’Inter-Comites del Belgio, comunicando il Programma della manifestazione conclusiva che si svolgerà dalle ore 18:00 presso il Centro Culturale Italiano di Hornu, nei pressi di Mons (a 15 km circa), la bella città della Vallonia dov’è Sindaco Elio Di Rupo, già Primo Ministro del Belgio, figlio d’un emigrato abruzzese di San Valentino, in provincia di Pescara.

 

Sono in agenda, nell’ordine, gli interventi dello stesso Raffaele Napolitano, quindi Michele Schiavone, Segretario Generale del CGIE, l’on. Gianluca Miccichè, Assessore all’Emigrazione  Politiche sociali e del lavoro della Regione Sicilia, il Consigliere Giovanni Maria De Vita, Ministero degli Esteri – Direzione Generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie, il Direttore nazionale Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (ANFE) Gaetano Calà, e infine il Presidente dell’Osservatorio Regionale Emigrazione dell’Abruzzo, Goffredo Palmerini.

 

Verrà consegnato, a seguire, un Riconoscimento alle Associazioni Socio-culturali che hanno collaborato alla realizzazione dell’Anno commemorativo. Alle 19.00 è prevista la presentazione del fumetto “Storia dell’immigrazione italiana in Belgio”, con la presenza dell’artista e autore, Antonio Cossu. Nel corso della serata saranno raccolti fondi da destinare alle zone terremotate del centro Italia, colpite dai sismi del 24 agosto e del 26 e 30 ottobre 2016.

 

L’indomani mattina, 17 dicembre, una delegazione si recherà a Marcinelle per rendere onore alle vittime della tragedia, con un omaggio floreale da deporre, alle ore 11, al monumento funerario nel locale Cimitero, e successivamente recandosi nella miniera di Bois du Cazier – dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità – dove l’8 agosto 1956 persero la vita 262 minatori, 136 dei quali erano italiani e tra questi ben 60 erano abruzzesi.

 

 

(gopalmer)




Abruzzo. DAL GRAND TOUR AL PRESEPE. Fotografata da John Cooper Ashton, la bottega di Spinalba ricompare nel presepe abruzzese di A N T O N I O B I N I –

 

(C) di Antonio Bini

Il fascino delle foto del passato è prevalentemente legato alle storie e alle suggestioni che queste immagini spesso sono ancora in grado di raccontare ed esprimere.

A  diversi significati si presta lo scatto del fotografo inglese John Cooper Ashton (1880-1935) – con la didascalia “A shop in Torre dei Passeri” – apparve nel libro di Hamilton Jackson “The shores of the Adriatic side”, pubblicato a Londra nel 1906 dall’editore John Murray.

La straordinaria evoluzione modernizzatrice registratasi corso del ‘900 ed in particolare nella seconda metà del secolo, rende stimolante il  confronto tra la società di oggi e quella di oltre 110 anni fa. Qualcosa che incuriosisce e fa riflettere, facendoci intuire e forse anche rivivere sprazzi del nostro passato, mentre il tempo trascorre inesorabile.

La fotografia, scattata nel 1903 o 1904, sembra  riferirsi a tempi ancor più antichi, tanto da suscitare l’interesse dei curatori del presepe settecentesco abruzzese – prof. Luciano Cupido e sig. Fausto Masciarelli – delle Associazioni Mousiké e Momenti Arcaici di Pescara, che nella scorsa primavera – una volta conosciuta l’immagine, decisero di ricostruire in dettaglio la vecchia bottega, che ben si inseriva nel contesto del presepe, giunto alla sua XVI edizione.

A parte il riferimento utile all’integrazione del presepe, è emersa l’opportunità di partecipare alla comunità Torre dei Passeri la vecchia foto, finora sconosciuta, poiché il valore della testimonianza  lasciataci dal Ashton Cooper va ben oltre il semplice aspetto commerciale, pure di rilevante interesse, esprimendo elementi riconducibili alla stessa identità del territorio.

La modesta insegna affissa alla sinistra del portone, ci permette di individuare la titolare della bottega, la sig.ra Spinalba Cappola, esempio di emancipazione imprenditoriale non certo diffuso al tempo. La donna, vestita del costume quotidiano, è ritratta in posa sulla soglia del suo negozio – insieme ad un giovanissimo garzone – circondata a corona da un insieme di salumi, carni affumicate, formaggi di varia stagionatura, cordami e mercanzie varie esposte sulla pubblica strada. I salumi e formaggi esposti permettono di documentare un’importante tradizione locale.

Dalle pazienti ricerche effettuate dal  Tonino Renzella, sappiamo che Spinalba Cappola nacque a Torre dei Passeri nel 1843 o 1844 dove finì i suoi giorni nel 1927.dscn3091 img610

Nel corso di un vivace incontro pubblico nel comune della Val Pescara, avvenuto nel Palazzo della Memoria, recentemente restaurato e dedicato a Daniela Bartoletti e Martina Di Battista, studentesse decedute a causa del terremoto dell’Aquila del 2009, lo stesso Renzella, quasi novantenne, ha ricordato che da bambino l’immaginario della ”bottega di Spinalba”, venisse ancora tramandato come esempio di piccolo caotico negozio.

La foto rivela la vivacità produttiva e commerciale di Torre dei Passeri – già segnalata qualche anno prima da Gustavo Strafforello (cfr. Geografia dell’Italia, Provincie di Aquila, Chieti, Teramo e Campobasso, ed. Unione Tipografico Editrice, Torino, 1899) e poi confermata da Michele Oro, che la definisce “industre cittadina” nella sua guida “Abruzzo”, realizzata nel 1910 dalle Ferrovie dello Stato – che allora coglievano la possibilità di valorizzare la rete ferroviaria a fini turistici – in collaborazione con il Touring Club Italiano.

John Cooper Ashton raggiunse in treno Torre dei Passeri, partendo dall’allora stazione di Castellamare Adriatica, in compagnia dello scrittore Hamilton Jackson, che intendeva studiare la celebre abbazia.

L’interesse di Jackson (1848-1923), che era anche pittore, era prevalentemente legato all’archeologia e all’architettura religiosa. Il suo viaggio in Italia – dallo stesso autore definito un “architectural e archaeological pilgrimage” – per sottolineare l’amore e il fascino per l’immenso patrimonio culturale del nostro paese, seguì un itinerario insolito rispetto ai percorsi tradizionali del Grand Tour. Partito da Brindisi, le tappe principali del suo viaggio in direzione nord adriatico, furono soprattutto Bari, Molfetta, Trani, Barletta, Foggia, Lucera, Monte S. Angelo, abbazia di S. Clemente a Casauria, Ascoli Piceno, Ancona, Rimini, Ravenna, abbazia di Pomposa, Chioggia, Treviso, Udine e Cividale, allora ai confini. Il suo viaggio proseguì poi sulla costa ad est dell’Adriatico, oggetto di un successivo libro, pubblicato nel 1908.

La pubblicazione, che si presenta come racconto di una ricognizione diretta di quanto studiato, appare come una sorta di straordinario reportage fotografico-documentale – che consta di 74 disegni e 18 piantine – a cura dello stesso Hamilton Jackson –  oltre ai  25 scatti eseguiti da John Cooper Ashton – che doveva far conoscere “una parte d’Italia rimasta assai poco conosciuta, ad eccezione delle città di Ravenna, Rimini e Brindisi”.

La curiosità di Cooper Ashton sembra andare ben oltre l’ambito storico-architettonico per spaziare anche ad aspetti più singolari della vita quotidiana delle località attraversate. Il negozio di Spinalba si trovava evidentemente sul percorso che univa la stazione ferroviaria a S. Clemente, che i due inglesi fecero naturalmente a piedi su strade allora sterrate.

E’ un’immagine reale, sottratta ad artifizi manipolativi, che nelle intenzioni del fotografo doveva raccontare il pittoresco negozio nella sua dimensione pubblica, della ricca esposizione di prodotti, con l’austera proprietaria intenta a vigilare e seguire il movimento sulla strada, mentre è praticamente irrilevante l’interno della bottega, avvolta nell’oscurità, che doveva essere forse illuminata all’occorrenza con il ricorso a lampade.

L’Abruzzo interno del primissimo novecento e in particolare quello che precede la prima guerra mondiale era ancora legato a modelli di vita profondamente arcaici, come documentato da due scrittrici inglesi, Anne MacDonell ed Estella Canziani, che si avventurarono nella regione, rispettivamente, nel 1907 e nel 1913, ossia alcuni anni dopo il viaggio di John Cooper Ashton e Hamilton Jackson, scrissero di  essere state scoraggiate nelle intenzioni di raggiungere l’Abruzzo – una terra selvaggia, ancora da esplorare e pericolosa per il brigantaggio. Le due scrittrici misero da parte i pregiudizi, talvolta espressi da chi non conosceva nemmeno la nostra regione.

Ai viaggiatori del Grand Tour – un fenomeno culturale ancora da studiare – deve essere riconosciuto il merito di aver fornito descrizioni e testimonianze – con occhi distaccati – su realtà regionali minori,  che altrimenti sarebbero rimaste circoscritte a studi  locali.. Grazie anche alla loro passione per l’Italia possiamo ricostruire il nostro passato,.

Il racconto di Hamilton Jackson costituisce – probabilmente – la descrizione più approfondita dell’abbazia di San Clemente a Casauria (arricchita dai tre pregevoli schizzi, una foto e una piantina) che sia mai stata espressa da uno scrittore straniero, che non mancò di esercitare una positiva influenza nella successiva comunicazione dell’importante emergenza architettonica.

Credo che questa maggiore attenzione rivolta all’abbazia sia stata favorita dall’incontro con Pier Luigi Calore, regio ispettore ai monumenti, che nell’occasione non si limitò a fare da guida ai due inglesi, ma spiegò i lavori di recupero eseguiti e quelli in corso, confrontandosi anche con Jackson su alcune ipotesi storiche. Jackson, che conosceva la lingua italiana (tanto si desume anche dalle fonti consultate), ringraziò Calore nella prefazione del suo libro, “l’uomo dell’Abbazia” (come lo definì d’Annunzio), citandolo come esempio di cortesia, competenza e passione per la sua attività.

Probabilmente allo stesso intervento di Calore si deve anche l’azione di convincimento esercitata nei confronti dell’austera Spinalba affinché acconsentisse alla richiesta di essere fotografata da Cooper Ashton sulla soglia del proprio negozio. Nel suo racconto Jackson concede solo qualche rigo a divagazioni diverse dai suoi interessi storici, limitandosi a osservare la presenza “di negozi caratteristici nei quali tutto è esposto per la vendita in una ammirata  confusione e fontane alle quali infiniti gruppi di donne si recano per l’acqua, con o senza figli”.

Nel muoversi per Torre dei Passeri allo scrittore inglese non sfugge la presenza di fabbriche di maccheroni (“macaroni-making”). L’esistenza di queste produzioni trova conferma nel Rapporto “sulle condizioni industriali delle province di Aquila, Chieti e Teramo”, curato nel 1895 dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Dal rapporto risultavano presenti in Torre dei Passeri tre “fabbriche di pasta da minestre”.

Di John Cooper Ashton (1880-1935) sappiamo che iniziò la sua stagione di viaggi appena diciottenne, cominciando con l’Italia, destinazione per eccellenza del Grand Tour. Una sua foto italiana fu esposta in una mostra in Inghilterra nel 1898. E’ considerato un importante fotografo, anche se questa attività non costituiva la sua professione. Era infatti proprietario di un bar a Londra, circostanza questa che gli consentiva di praticare la sua passione per i viaggi, vivendo per lunghi periodi in giro per il mondo.

A riprova del valore dei scuoi scatti, un fondo con oltre 3200 lastre fotografiche – testimonianze dei viaggi del fotografo inglese in Italia, Germania, Belgio, Svizzera, Francia, Dalmazia, Spagna – è custodito dall’Università di Glasgow.

La ricostruzione della bottega di Spinalba è oggi compresa nel grande presepe abruzzese, esposto nell’ambito della XVI Rassegna dei presepi provenienti da 88 paesi del mondo, visibile fino al 6 gennaio 2017 – presso la sede dell’Associazione Culturale Mousiké, in via Piomba, 23 – Pescara – orari h. 16 – 19 – con ingresso libero.

(C) Antonio Bini

 

 

 

 




Luigi Rantucci cadde sulla “trincea del lavoro” in Canada nel 1922. Era nato nel 1875 ad Ovindoli (AQ).

Associazione Culturale “Ambasciatori della fame”

Pescara, 10 dicembre 2016

“Riportiamoli in  … Abruzzo” … contro la vergognosa e colpevole dimenticanza.

STORIE DELLA NOSTRA EMIGRAZIONE

Luigi Rantucci cadde sulla “trincea del lavoro” in Canada nel 1922. Era nato nel 1875 ad Ovindoli (AQ).

Quando gli Stati Uniti ritennero di “arginare” una sempre crescente immigrazione il Canada decise, invece, di rendersi più disponibile verso nuovi arrivi. Questo atteggiamento non fu il prodotto di una grande amorevole accoglienza bensì frutto di una necessità. Necessità  di mano d’opera e soprattutto di una nuova popolazione che andasse ad abitare un territorio sterminato. Gli italiani risposero, comunque,  in maniera entusiastica spinti da  motivazioni economiche. Si calcola che solo nei primi anni del ‘900 furono 150.00 gli italiani che scelsero il Canada come loro nuovo “sogno”. Tra questi Luigi Rantucci nato sicuramente ad Ovindoli (Aq) e probabilmente il 10 gennaio del 1875 (Nel libro “This Colossal Project: Building the Welland Ship Canal, 1913-1932” si fa risalire la sua nascita al 1865). Luigi era arrivato, una prima volta,  ad “Ellis Island” nel 1902 sulla nave “Sicilia”. Successivamente raggiunse il Canada dove trovò lavori più remunerati. Nel 1919 tornò in Italia dove era rimasta Rosa sua moglie. Nel 1920 fece di nuovo ritorno in Canada dove giunse, sempre tramite una sosta ad “Ellis Island”, sulla “Duca degli Abruzzi”. Questa volta con lui arrivò anche il figlio, ventiquattrenne, Emilio. I due si stabilirono inizialmente a  Quebec City dove trovarono una comunità proveniente da Ovindoli. Qualche tempo dopo Luigi Rantucci andò a lavorare alla costruzione dell’imponente “Canale di Welland” (“Welland Ship Canal”) che, in maniera navigabile, collegava il lago Ontario al lago Eire. Il 7 gennaio 1922 Rantucci caddè da un traliccio mentre lavorava al blocco 7 nella  sezione 3. Nella caduta riportò la frattura del cranio. Fu trasportato all’ospedale. Inizialmente le sue condizioni sembrarono stabilizzarsi ma poi peggiorarono rapidamente e il 14 gennaio, pochi giorni dopo il suo 47 ° compleanno, il cuore di Luigi cessò di battere. Un’inchiesta determinò, non poteva essere altrimenti, che la sua morte era da ritenersi “puramente casuale”. In realtà in quel cantiere le misure di sicurezza erano totalmente inesistenti. Fu un nipote, Tommaso Rantucci, a dover provvedere al riconoscimento della salma e alle successive pratiche burocratiche. Oggi il corpo di Luigi Rantucci riposa, come quella di tanti altri caduti nella costruzione del “Welland Ship Canal”, in  una tomba anonima del “Victoria Lawn Cemetery” della cittadina di St. Catharines.  Oggi, almeno idealmente, lo restituiamo alla sua terra.

 

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Foto 1: Il cantiere dove trovò la morte Luigi Rantucci;foto-1-1 foto-2-1

Foto 2: Operai impegnati nella costruzione del “Welland Ship Canal”;

Foto 3: La pagina del libro “This Colossal Project: Building the Welland Ship Canal, 1913-1932” nella quale è riportato il nominativo di Luigi Rantucci.




“Raymond” Bartolacci: con la “LANECO” fu uno dei “pionieri” dei Supermarket americani. Era nato a Corropoli

Associazione Culturale “Ambasciatori della fame”

 

Pescara, 6 dicembre 2016

 

  Raimondo “Raymond” Bartolacci nacque , a Corropoli (Te), il 14 febbraio 1923 da Augusto, originario di Colonnella (Te) ,  ed Elvira Faragalli di Corropoli . Il padre, giunse negli Stati Uniti nel 1922 a bordo della nave “Providence” , conobbe il bambino solo qualche anno dopo. Nel 1928 Elvira, la madre, e il piccolo Raimondo giunsero ad “Ellis Island” sulla “Conte Biancamano”.  Inizialmente  “Raymond” aprì una sua Macelleria a Easton in Pennsylvania. Ma in breve mostrò una assoluta genialità nel settore vendite. Diversificò la sua attività ed aprì altri negozi. Con i primi, importanti, guadagni ritenne di poter fare il salto di qualità. Così nel 1949, insieme al fratello Guido “Guy”, fondò la “LANECO – Food Lane Supermarkets”.  All’inizio furono in molti a dargli del “visionario”. Ma tutti dovettero  poi ricredersi. Raymond Bartolacci, l’orgoglioso abruzzese, realizzò il “sogno americano”.  La sua catena di Supermercati  arrivò, tra gli anni 1970 e 1980, a possedere oltre 30 grandi punti vendita, tra la Pennsylvania e il New Jersey , con quasi 3.000 dipendenti. Bartolacci fu considerato il  “pioniere nel campo della vendita al dettaglio”,  essendo stato tra i primi a offrire prodotti non alimentari quali abbigliamento, giocattoli e parti di automobili nei suo “LANECO”. Fu un successo che ancora oggi appare, per certi versi,  irripetibile.  foto-1 foto-2 foto-3 foto-4

L’attività si estese nel trasporto di prodotti freschi, dalla carne al pesce ai prodotti da forno, praticamente in gran parte degli Stati Uniti. La società “LANECO” fu inoltre tra le prime ad inserire al proprio interno delle Farmacie. Rimane ancora famoso il logo: “Why Pay More?” (“Perché pagare di più?). Nel 1983 Raymond decise, per un’importantissima cifra, di cedere la sua “LANECO”. Alla sua morte fu ricordato così: “Ray non ha mai dimenticato da dove veniva e non dimenticò mai come aiutare le persone” e ancora  “Era davvero un uomo buono che ha usato le sue abilità per aiutare gli altri.” In molti ricordarono le sue azioni filantropiche, spesso svolte nel silenzio, in favore dei diseredati. Raimondo “Raymond” Bartolacci morì il 2 febbraio 2015.

Geremia Mancini – presidente onorario “Ambasciatori della fame”

Foto 1:  “Raymond” Bartolacci;

Foto 2: “Raymond” Bartolacci all’interno di uno sei suoi “LANECO”;

Foto 3: Il logo più famoso della “LANECO”.

Foto 4: Una insegna “LANECO” 




XXI edizione PRESEPE VIVENTE 2016 – Giulianova alta 26 dicembre 2016 Ingresso libero “Il quinto elemento”, il titolo della XXI edizione del Presepe Vivente

 

 

Giulianova (TE). Il 26 dicembre prossimo il centro storico di Giulianova tornerà a trasformarsi in un luogo sacro, dove religiosità, storia e magia daranno vita alla XXI edizione del Presepe Vivente.  I colori, i profumi e le atmosfere si incastoneranno nell’impianto rinascimentale della città suscitando nello spettatore particolari emozioni e gradite sorprese. 250 saranno i figuranti che daranno vita alle dodici scene, undici delle quali recitate ed una prettamente visiva dove a raccontare non saranno le parole ma solo la luce. Il percorso vedrà il suo inizio su Corso Garibaldi (lato sud) e dopo aver toccato viuzze e piazzette sfocerà su Piazza Buozzi dove all’interno della Cripta del Duomo di San Flaviano, sarà collocata la natività. L’inizio della manifestazione è fissato per le ore 18.00 con il tradizionale corteo dei figuranti e si protrarrà fino alle ore 22.00 con ingressi scaglionati ogni 10 minuti circa.locandina-evento

Il titolo di questa XXI° edizione del Presepe Vivente è “Il quinto elemento”, esso offrirà l’opportunità di cogliere i veri “autori” del Natale celati dietro 4 elementi speciali, fino a condurci al quinto elemento. Fuoco, acqua, aria e terra ci permetteranno di svelare un percorso di fede. Il simbolo del FUOCO rimanda al Padre che si rivela come il Santo, l’ACQUA al Figlio, espressione dell’importanza per la vita, il simbolo dell’ARIA allo Spirito, come realtà invisibile ma vitale, e la TERRA come espressione del grembo che accoglie la vita. Ma solo al termine del percorso, tutto questo avrà un senso, se avremo avuto modo di coltivare in noi “Il quinto elemento”.

In caso di maltempo, l’evento si svolgerà il 6 gennaio 2017.

l’Associazione Unica Stella ricorda che sono aperte le iscrizioni per partecipare come figuranti o come collaboratori. La manifestazione è un luogo in cui tutti coloro che hanno piacere di collaborare trovano il proprio spazio.

Per saperne di più o conoscere la storia del presepe, potete far visita al sito: www.presepevivente.net, dove troverete tutte le immagini e i temi svolti nel corso di questi venti anni. Per entrare in contatto con l’organizzazione potete scrivere ai seguenti indirizzi: giulianova@presepevivente.net o presepeviventegiulianova@gmail.com o/e sulle pagine facebook: Presepe Vivente di Giulianova

 




L’Aquila. UNESCO GIOVANI ABRUZZO – LIBERTA’ A PIU’ VOCI -10/12/2016 – HUMAN RIGHTS DAY

UNESCO Giovani celebra la Giornata Mondiale dei Diritti Umaniimmagine-liberta-a-piu-voci-unesco-giovani-diritti-umani

 

Libertà di stampa e di espressione come valori fondanti di educazione e democrazia: sabato 10 dicembre 2016 eventi in tutte le regioni d’Italia

 

Appuntamento sabato 10 dicembre a L’Aquila presso il Palazzetto dei Nobili per la Tavola Rotonda “Libertà a più voci”, iniziativa organizzata per celebrare la Giornata Mondiale dei Diritti Umani dal gruppo Abruzzo del Comitato Giovani della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO in collaborazione con il Comune dell’Aquila, nello specifico con gli Assessorati alla Cultura e alle Politiche Sociali e con il patrocinio dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo.

 

In occasione della Giornata Internazionale dei Diritti umani, la tavola rotonda << Libertà a più voci >> si inserisce all’interno di una rete di eventi diffusi su tutto il territorio nazionale e promossi dal Comitato Giovani della Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco.

Nello specifico, la discussione convergerà sul tema della libertà di stampa e d’espressione attraverso il racconto diretto di profonde ed eterogenee esperienze professionali, per esplicitare le dinamiche riguardanti il mondo del giornalismo e della comunicazione nonché sensibilizzare l’opinione pubblica su problematiche d’attualità scomode e spesso occultate.

L’incontro dunque vuole porsi come atto di difesa e promozione verso una libertà che, pur essendo un diritto inalienabile dell’uomo, stenta ancora ad affermarsi come diritto globale. Nel mondo a noi contemporaneo, dove le libertà fondamentali dell’individuo appaiono continuamente minacciate è dunque necessario portare in luce un dialogo ed un confronto senza censure come forma per maturare verso un progresso civile e sociale.

Una società infatti, può dirsi davvero libera e democratica solo quando riesce a garantirne le condizioni, le possibilità e gli strumenti di accesso all’informazione e alla conoscenza.

 

Libertà a più voci si inquadra nell’ambito dei diversi eventi che, in tutta Italia, il Comitato Giovani UNESCO ha organizzato per celebrare la Giornata Mondiale dei Diritti Umani, in modo capillare e coordinato, su tutto il territorio nazionale.

 

“Crediamo che i valori e gli ideali alla base di questa importante iniziativa internazionale, debbano essere promossi anche e soprattutto tra i giovani. Quest’anno abbiamo deciso di affrontare, all’interno della Giornata, il tema particolarmente attuale della libertà di stampa e di espressionecommenta Paolo Petrocelli, Presidente del Comitato Giovani. “Siamo infatti convinti che attraverso l’educazione al confronto e l’accesso diretto alla cultura e all’informazione, si possano formare giovani responsabili più consapevoli dei propri diritti e di quelli degli altri. In questo senso, la Giornata Mondiale rappresenta un’importante occasione per favorire questo dibattito in tutto il Paese”.

 

UNESCO Giovani promuove l’evento anche sui canali social ufficiali (pagina Facebook, Twitter e Instagram) tramite gli hashtag #UNESCOgiovani, #HumanRightsDay, #Standup4HumanRights, creati appositamente per la giornata. Previsto anche un contest fotografico su Instagram: per partecipare basta postare un’immagine che esprima il concetto di libertà di stampa e di espressione seguito dagli hashtag della giornata internazionale e @unescogiovani.

 

UNESCO GIOVANI – Oltre trecento giovani tra i 20 e i 35 anni, fra cui studenti, ricercatori, artisti, professionisti, manager e imprenditori: sono loro l’anima del Comitato giovani della Commissione Nazionale italiana per l’UNESCO.  Costituitosi nel 2015, il Comitato Giovani ha l’obiettivo di supportare le attività della Commissione nel campo dell’educazione, della scienza, della cultura e della comunicazione.

 

ECCO IL PROGRAMMA COMPLETO

MODERATORI

 

Alessia Di Giovacchino, Press and Relation Office Didimà Comunicazione

Roberto Ciuffini, Giornalista News-Town

Saluti Istituzionali

INTERVENTI

Mario Di Gregorio, Ordinario Università dell’Aquila

Libertà e giustizia

Antonello Zappadu, Giornalista Prensa Internacional de Colombia

L’esilio obbligato

Simone Bruno, Reporter freelance

Racconti dalla Colombia

Elena Stramentinoli, Reporter Presa diretta

Tra inchieste giornalistiche e attualità

Carmine Amoroso, Regista

Censure e tabù nell’era dei social network

Giulio Borrelli, Giornalista

Sguardo alla libertà di stampa d’oltreoceano

Riccardo Noury, Portavoce Amnesty International Italia

Diritti umani e libertà d’informazione

ORE 17.30 – 18.15 BREAK

Cantina Farnese

Vino, espressione autentica del territorio

ORE 18.15 – 19.30 LETTURA TEATRALE

Muré Teatro

Fontamara

 

 

Info e contatti

www.unescogiovani.it | abruzzo@unescogiovani.it | Massimo Stringini + 39 328 2822781

/comitatogiovaniunesco

@UNESCOgiovani