Migrantes: una giornata di preghiera e di solidarietà, per chiedere pace e giustizia

 

 

“La popolazione dell’Ucraina soffre da tempo per le conseguenze di un conflitto armato, dimenticato da tanti. Come sapete, ho invitato la Chiesa in Europa a sostenere l’iniziativa da me indetta per venire incontro a tale emergenza umanitaria. Ringrazio in anticipo quanti contribuiranno generosamente all’iniziativa, che avrà luogo domenica prossima, 24 aprile”. Questo l’appello lanciato mercoledì scorso daPapa Francesco ricordando il dramma, “spesso dimenticato” che sta vivendo in questi ultimi mesi la popolazione dell’Ucraina. Domenica prossima, per intenzione dello stesso pontefice, si terrà, infatti, una raccolta in tutte le chiese cattoliche europee.

“Una Giornata – sottolinea Mons. Gian Carlo Perego, direttore  generale della Fondazione Migrantes – per non dimenticare il dramma di una guerra silenziosa che ha fatto un milione di profughi, centinaia di morti; e per non dimenticare anche un popolo di oltre 200.000 persone che vivono nel nostro Paese, tra cui 40.000 fedeli cattolici con 55 cappellani che seguono le attività pastorali di 130 comunità”. Tutta la Chiesa Greco-Cattolica Ucraina in Italia è “grata a Papa Francesco per questo gesto concreto” a favore popolazione ucraina”, dice padreVolodymyr Voloshyn, coordinatore nazionale Migrantes per la pastorale per gli ucraini greco-cattolici in Italia: un gesto che vuole “richiamare l’attenzione di tutti i fedeli della Chiesa Cattolica in Europa alla situazione drammatica di guerra in Ucraina della quale oggi non si parla più”.

Dall’inizio della guerra i fedeli delle 130 comunità greco-cattoliche ucraine di rito bizantino presenti nelle diocesi italiane, insieme con i cappellani ucraini, ogni domenica si radunano nelle chiese per pregare ma anche per testimoniare la loro fede nelle opere di misericordia molto concrete: raccolgono fra di loro le offerte, il vestiario e gli alimenti ecc. e tutto viene poi spedito in Ucraina, ricorda ancora il sacerdote, a favore dei più bisognosi. Ultimamente i fedeli ucraini raccolgono anche denaro per i soldati ucraini feriti e in gravi condizioni: sono i figli, i mariti o i fratelli delle donne ucraine che “in silenzio e onestamente svolgono un servizio importante come l’assistenza ai malati e agli anziani nelle famiglie italiane”.

Domenica 24 aprile, che per la Chiesa Greco-Cattolica ucraina in Italia (che segue il calendario giuliano) è la Domenica delle Palme, sarà – spiega p. Voloshyn –  “un giorno importante perché tutti i fedeli ucraini si sentiranno sostenuti e rafforzati moralmente dall’appello di Papa Francesco che rappresenta una voce del popolo ucraino”. “Una giornata anche di solidarietà, oltre che di preghiera – ricorda infine il direttore della Fondazione Migrantes – per essere vicini concretamente al dramma di un popolo ferito e umiliato, anche per restituire loro il contributo in termini di lavoro, di assistenza che con generosità e dedizione offrono alle nostre famiglie e imprese”.

 

 




LondonONEradio, LA RADIO ITALIANA A LONDRA, MA APERTA AL MONDO La comunicazione per gli italiani all’estero: come e perché, secondo il fondatore Philip Baglini

22 aprile 2016

 

 

di Goffredo Palmerini

 

 

LONDRA – Tra gli innumerevoli aspetti dell’emigrazione italiana, che ancora sfuggono ad una conoscenza non epidermica, ma seria e consapevole, c’è la questione della comunicazione. Esiste, infatti, un’insospettata e vasta rete di stampa italiana all’estero, costituita da giornali, periodici, testate on line, radio e televisioni. Davvero un efficiente sistema di mezzi di comunicazione che copre gran parte del pianeta, se si considerano i continenti e i paesi raggiunti in un secolo e mezzo dall’emigrazione italiana. Alto il potenziale dei lettori, sia tra gli oriundi italiani nel mondo – che le stime attestano intorno agli 80 milioni – sia tra gli italiani in patria. Una rilevazione di cinque anni fa ha censito all’estero ben 775 testate: 455 tra giornali, periodici e testate on line, cui s’aggiungono 274 radio e 46 televisioni che trasmettono programmi in lingua italiana.

 

Dunque, una potente rete di comunicazione in lingua italiana o bilingue (italiano e idioma locale) che raggiunge ogni giorno milioni di lettori e ascoltatori in oltre sessanta paesi, diventata più pervasiva e penetrante con lo sviluppo del web su telefoni cellulari, tablet, sui vari Social Network e Youtube. E tutto questo sebbene si debba pure registrare come negli ultimi anni, a causa della crisi economica di dimensione planetaria, molte testate ne abbiano gravemente risentito, fino alla chiusura, specie in quei paesi dove i morsi della recessione si sono fatti sentire di più falcidiando il mercato pubblicitario, fonte rilevante di finanziamento del settore. E tuttavia resta una rete d’informazione della quale non sempre si ha un’avvertita percezione delle potenzialità. Se solo l’Italia pensasse in una qualche maniera d’investire su una tale risorsa, quanto se ne potrebbe ricavare in termini di promozione sul mercato mondiale del made in Italy, del gusto e dello stile italiano, oltre che della nostra lingua e cultura.

 

Dopo questa premessa, facciamo un salto in Gran Bretagna, dove nel 2015 si sono registrati oltre 57mila arrivi dall’Italia, con un aumento del 37 per cento rispetto all’anno precedente. La Gran Bretagna, dove già la comunità italiana ha una significativa dimensione numerica, è certamente uno dei paesi più scelti dalla nostra nuova emigrazione che, nell’ultimo decennio, ha quasi raggiunto il milione di espatri. Un’emigrazione certamente diversa da quella delle ondate migratorie dei due secoli precedenti, e nondimeno deve far molto riflettere. Si tratta, infatti, in gran parte di giovani laureati, talvolta con master e dottorati nel loro curriculum. Ma ora fermiamoci a Londra, dove ormai vivono 250mila italiani, secondo i dati diffusi dall’Idos, e consideriamo quanta importanza abbia, in un contesto del genere, la comunicazione destinata alla comunità italiana.

 

E dunque quanto sia stata rilevante la nascita a Londra d’una radio per gli italiani, LondonONEradio, per iniziativa di un toscano emigrato nella capitale inglese, Philip Baglini. Una radio che sta raccogliendo consensi crescenti ed un successo davvero molto lusinghiero. In effetti una radio italiana, prendendo a prestito frequenze della Bbc, a Londra era nata nel 1938, la famosa Radio Londra. Chiuse nel 1981. Ci ha pensato Philip Baglini a farla rinascere, sotto vesti sicuramente più adeguate ai gusti e alle esigenze dei tempi. Filippo Baglini è nato a Pietrasanta, in provincia di Lucca, ma è cresciuto a Pontasserchio, un borgo proprio alle porte di Pisa. All’Università di Pisa nel 2003 si è laureato in Fisica nucleare, sebbene i suoi interessi abbiano anche spaziato nel giornalismo, nella filosofia e nella teologia, oltreché in campo umanistico e letterario dove ha esercitato la sua creatività scrivendo poesie e racconti. Gli incontri con Alda Merini e Romano Battaglia lo hanno convinto a dare alle stampe i suoi lavori. Tre finora i libri pubblicati, una silloge poetica (Cento poesie d’amore) e due volumi di racconti (Passi nel silenzio, Intervista con le stelle).

 

Emigrato oltre un decennio fa a Londra, Philip Baglini è amministratore delegato (Ceo) della International Communication & Service Ltd (ICS), una società di comunicazione e servizi. Il suo interesse per il giornalismo, l’attenzione verso la comunità italiana, una spiccata sensibilità e il desiderio di sperimentare un modello di comunicazione più adatto alle esigenze culturali e sociali, lo hanno presto portato a fondare e dirigere l’Italoeuropeo, testata on line prevalentemente in lingua inglese, con una redazione di giornalisti italiani e inglesi, liberi e indipendenti, tutti laureati ed esperti nei settori che vanno dall’editoria ai social media, dalla scienza alla sociologia. E successivamente a far nascere LondonONEradio, un network di grande successo. La radio ha subito attirato l’interesse del Consolato Generale d’Italia, che ha poi concesso il suo patrocinio, e della stessa Rai, incuriosita dal palinsesto dei programmi e dal linguaggio così apprezzato, specie dal mondo giovanile.  “Abbiamo voluto far rinascere una radio per gli italiani a Londra – afferma Baglini -. Gli italiani, ovunque si trovino, portano innovazione, creatività, senso della bellezza, gusto, stile e passione. Proprio le caratteristiche che ci hanno resi famosi nel mondo, le stesse sulle quali fonda le basi il progetto di LondonONEradio.”

 

E infatti è stato subito un successo, sia per il gradimento espresso con gli ascolti da parte della comunità italiana, sia anche per il pubblico crescente che segue da tutto il mondo in streaming le trasmissioni, sul sito web della radio (www.londononeradio.com). In poco più d’un anno oltre 500 giovani artisti da tutto il mondo la radio ha proposto, realizzando eventi in diretta e concerti in tutta Londra. Oltre 65mila ascolti in totale e 413 trasmissioni in diretta (live show) di eventi e concerti. Chiediamo a Philip Baglini di raccontarci questa avventura, ponendogli alcune domande.

 

Dottor Baglini, qual è la cifra del successo di LondonONEradio, quali le finalità della sua radio?

 

«L’intento è quello di creare ponti tra le comunità italiane nel mondo e favorire la diffusione della nostra cultura in tutte le sue forme ed espressioni. Inoltre, contribuire a rafforzare i rapporti tra i connazionali, far emergere nuovi giovani talenti musicali, promuovendoli nel mondo grazie all’opportunità di stare a Londra e di gestire una web radio ben strutturata, grazie al sostegno ricevuto da numerose persone, e tra esse imprenditori italiani e londinesi. Vorrei tuttavia sottolineare l’impegno sociale che la radio ha immediatamente posto tra le sue prelazioni, sostenendo iniziative di solidarietà verso malati e bisognosi. Senza eludere la necessità di dar voce a chi non l’ha, agli emarginati. L’obiettivo di contribuire ad un nuovo umanesimo per noi è prioritario».

 

Quali valutazioni avete fatto per realizzare programmi che interessassero la numerosa comunità italiana di Londra e dintorni, e in genere dell’intera Gran Bretagna?

 

«La nostra prima preoccupazione è stata quella di dare una svolta all’informazione e alla qualità del linguaggio nella comunicazione, nel raccontare storie ed eventi che incuriosissero gli ascoltatori. Sopra tutto che richiamassero la loro attenzione su programmi di servizio e d’utilità per i problemi di tutti i giorni, come le nostre linee dirette con l’avvocato italiano, o con il medico italiano, o con la psicologa italiana, e così via. Abbiamo pensato che questi fossero i bisogni e le difficoltà di un italiano che arriva in una qualunque città all’estero, che non conosce la lingua o la conosce poco. Spiegare, farsi capire in situazioni difficili o per problemi di salute è il primo ostacolo da affrontare. Abbiamo perciò dedicato ampio spazio a rubriche specifiche, al fine di creare con i podcast una sorta di manuale che possa essere riascoltato in ogni momento. Una parte importante del palinsesto è dedicata agli eventi in diretta da Londra, fatti istituzionali o concerti. Prestiamo peraltro molta attenzione al cinema italiano e internazionale e diamo ampio spazio al mondo della ristorazione italiana a Londra. Molto parliamo dell’Europa e del temuto o atteso Brexit. Ma il palinsesto vero è quello costruito in cantiere, di volta in volta, secondo le esigenze reali che si riscontrano direttamente».

 

Quali gli argomenti più significativi che trattate nel corso delle trasmissioni?

 

«Vorrei citare uno in particolare dei nostri programmi: Creativity Talk. E’ una rubrica nella quale si parla di creatività in tutte le sue espressioni: dal cinema, alla musica, all’arte, alla moda e alla cultura. E’ una rubrica molto versatile, che si adatta di volta in volta a seconda dell’ospite in studio. Può trattarsi d’un attore, d’un regista o di un cantante, oppure d’un imprenditore italiano che ha portato innovazione a Londra. Altro tema ricorrente è il lavoro, con tutti i problemi connessi: come si trova, dove, come fare a cercarlo. E non poteva mancare la rubrica “l’avvocato risponde”, con risposte alle questioni e consigli per non incorrere in truffe, raggiri o illegalità.  Altro argomento è quello dell’emigrazione, con vari approfondimenti».

 

Parliamo ora del giornale on line, del magazine Italoeuropeo.

 

«Il magazine è lo storico Italoeuropeo.it (in italiano) e Italoeuropeo.com (in inglese). Nato a Londra nel 2003, dà informazioni su quanto accade nella capitale del Regno Unito e cerca anche di fare formazione per studenti. Già da prima parlavo e propugnavo un’informazione on line italiana a Londra, trovando molto scettiscismo. Tutti erano fermi ai giornali storici cartacei, che ancora oggi esistono. Credo tuttavia che ho aperto una strada nuova, sopra tutto per i giovani. Peraltro consultabile da ogni angolo del mondo. Ma l’informazione oggi è persino troppo veloce. Si arriverà ad un punto tale per cui uscirà la notizia prima che il fatto accada veramente. Un paradosso che spesso mi sembra già di vivere. Ricordo le difficoltà dopo un attacco hacker che mi fece rallentare il progetto editoriale. Non persi tempo ad accusare nessuno. A Londra non c’è tempo da perdere, c’è solo tempo di creare e andare avanti. Adottando l’abitudine inglese, mi rimisi a lavorare per realizzare un altro portale con lo stesso nome, solita missione: informare liberamente e formare, dando una possibilità a giovani giornalisti di credere ancora che si può fare un giornalismo libero e indipendente, parlare di politica ma con il necessario distacco. Dico sempre che l’Italoeuropeo è il padre della radio e Londra ne è la madre. Senza la loro unione non sarebbe nata LondonONEradio».

 

Quale riflessione l’ha convinta che una radio fosse utile e necessaria per la comunità italiana?

 

«Altre comunità avevano la propria radio, la comunità italiana no. Era incredibile che a non averla eravamo proprio noi italiani che con Guglielmo Marconi l’abbiamo inventata e realizzata. In passato c’era la storica Radio Londra, un ibrido di molte lingue e culture che, in una fascia oraria, trasmetteva in italiano. Appunto per questo, nel rispetto dei primi italiani, abbiamo realizzato la prima puntata on air di LondonONEradio il 27 settembre 2014, proprio lo stesso giorno in cui la radio storica fece il suo debutto nel 1938. Nel tempo in cui viviamo, traboccante d’informazione, far rinascere una radio con i fondamenti storici ma in chiave moderna, ci è sembrato giusto. Dopo il magazine, era il passo successivo. Non dico obbligatorio, ma forse naturale per chi ha un’azienda d’informazione e ama la musica. E ama la radio più della televisione. Il bisogno primario di un altro modo di relazionarmi con le persone. Ho sempre scritto e lavorato con la musica, ho viaggiato con la musica e con una voce amica che mi ha accompagnato nella vita. Ho pensato che anche per i molti italiani che vengono o sono venuti a Londra poteva essere utile una radio. L’uso del web ci ha poi permesso di raggiungere altri italiani all’estero, creando una connessione che ogni giorno aumenta in dimensione e si intensifica sempre più, anche in collaborazione con altre radio nel mondo. E questa è la cosa che più ci piace. Sentirsi uniti con la solita passione di creare ponti radio, com’era nel pensiero di Marconi. Per chi intraprende questo tipo di mestiere credo sia obbligatorio tenere alti questi valori italiani e far capire che, senza quella scintilla d’amore e di coraggio, forse non sarebbe nata nemmeno l’idea di internet, Facebook e dei social network in generale».

 




Donato Di Pierdomenico poi DANE BARSE nato a Roccamorice. Imprenditore e filantropo.

Associazione Culturale “AMBASCIATORI DELLA FAME”

Pescara, 20 aprile 2016

Un abruzzese di successo: imprenditore, creatore di moda e filantropo: Donato Di Pierdomedico divenuto poi famoso come Dane Barse. Un “roccolano” capace di affermarsi in America senza mai dimenticare le sue origini. Anche il Papa ne riconobbe le grandi qualità umane assegnandogli il prestigioso riconoscimento: “La Commenda dell’Ordine di san Gregorio Magno: classe civile”.

 

Dane Barse ( Donato Di Pierdomenico) nasce il 12 ottobre del 1901 a Roccamorice (PE) da Francesco e Anna Di Nardo. Ha solo 11 anni quando, dopo una lunga traversata, scorge da lontano “Ellis Island” e il nuovo mondo.  Inizialmente la famiglia si insedia a Philadelphia dove i suoi genitori apriranno un piccolo emporio. Intanto il piccolo Donato, aiutato da un giovane sacerdote anche lui di origini abruzzesi,  studia con estremo profitto ed impara in breve la nuova lingua. Non disdegna , naturalmente, di aiutare i suoi nell’attività famigliare.  Dopo due anni però la madre manifesta la volontà di tornare in Italia e il marito decide di assecondarla. Il piccolo Donato chiede di restare e viene affidato ad una famiglia di connazionali. Non si sottrae ad alcun tipo di lavoro ma continua comunque a studiare. Trova lavoro in fabbriche di abbigliamento prima in Canada poi a New York e Philadelphia. Intuisce che questo settore è in forte espansione e che può essere per lui la grande occasione. Divenuto padrone dei “segreti” del settore Dane si trasferisce, nel 1921,  nella cittadina di Vineland(New Jersey) e qui apre una piccola fabbrica di tessuti. In pochissimo tempo arriva il successo in molti ricordano una sua particolare creazione di “Top-O-Mart”.  Intanto è stato raggiunto da Perry il  fratello più piccolo.  La fabbrica prima viene ampliata e poi a questa se ne aggiungeranno altre. Nella vicina Camden. La sua realtà arriverà ad occupare oltre 5.000 persone.  Il 16 settembre del 1926 sposa Josephine Simi dalla quale avrà un solo figlio, Denis Enrico, nato nel 1938. E’ in questo periodo, precisamente nel 1927, che Donato Di Pierdomenico decide di cambiare, legalmente, il suo nome e diverrà per tutti e per sempre Dane Barse. Fonda altre società diversificandole  nella produzione chi nell’abbigliamento maschile e chi in quello femminile. Riesce a portare nella sua azienda i più importanti “Faschion Designers” sottraendoli alla concorrenza. Il suo contributo alla crescita industriale della intera regione ne fa oramai una vera autorità. Sono innumerevoli gli incarichi che è chiamato a ricoprire in Banche, Fondazioni, Ospedali e Scuole. Diventa anche Presidente della locale Camera di commercio  ha incarichi nell’Ordine Figli d’Italia in America e in quello dei Cavalieri di Colombo.  In maniera, spesso silenziosa, si adopera nell’aiuto dei più poveri. Nel 1945 con un sostanzioso finanziamento favorisce la nascita, in Italia, dell’Opera per il ragazzo della Strada voluta da Mons. John Patrick Carrol- Abbing. Questa azione, unita a quelle già fatte, porta il Papa a conferirgli un importantissimo e prestigioso riconoscimento: “La Commenda dell’Ordine di san Gregorio Magno: classe civile”. Ora per tutti è “il buon  filantropo abruzzese”. Il 28 febbraio del 1960, a soli 59 anni,  questo geniale ed  amabile “roccolano”  muore a New Orleans. Sarà il fratello Perry a raccogliere il suo “testimone”.  

 

Geremia Mancini – Presidente onorario “Ambasciatori della fame”

 




Piccoli cammei su grandi abruzzesi nel mondo Eugene Victor Alessandroni, da avvocato imbattibile a giudice di Philadelphia di Geremia Mancini *

 

 

 

Eugene Victor (Eugenio Vittorio) Alessandroni nasce il 24 gennaio 1887 a Capestrano (L’Aquila), da Pierluigi e Carmela Jafolla. Il piccolo Eugene arriva negli Stati Uniti nel 1891 e già da piccolo mostra una straordinaria capacità di apprendimento. La nuova lingua diventa subito la sua e in futuro la userà nella aule dei tribunali con straordinaria maestria. Lui sarà il primo di ben 8 figli. Ma la strada di questo ragazzo figlio di emigranti non è facile. Da subito aiuta i genitori nel loro negozio di alimentari ed in particolare nella consegna a domicilio. E la sera si dedica agli studi. Raccontava che spesso si addormentava, per la stanchezza, sui libri. Ma Eugene aveva capito da subito che la strada del riscatto passava necessariamente dagli studi.

 

Spinge anche i fratelli a migliorarsi e ci riesce, tanto che la famiglia Alessandroni produrrà una ventina di prestigiosi avvocati di Philadelphia. Contestualmente al lavoro presso la bottega di famiglia si impegna in una varietà di altri lavori, comprese le assicurazioni e la vendita di immobili, finché un giorno un suo datore di lavoro gli suggerisce di tentare la strada degli studi in legge. Frequenta con successo la storica Central High School di Philadelphia. Successivamente arriva in tempi brevi la laurea. Presso un vecchio Avvocato, che lo ha preso a cuore, già nel 1907 inizia il suo praticantato. Il 6 gennaio del 1909 sposa Ethel Hope Tumbelston.

 

La sua carriera di giovane e rampante avvocato si costella di un successo dopo l’altro. Lo richiedono tutti e nasce il mito della sua “imbattibilità”. La politica lo corteggia e lui sceglie di essere dalla parte del Partito Repubblicano. A Philadelphia questo giovane abruzzese è oramai una istituzione. Prima diventa Procuratore Distrettuale (dal 1919 al 1927) e successivamente alla Court of Common Pleas (Corte delle udienze comuni) dal 1928 al 1958. Sarà Direttore della Philadelphia Symphony Orchestra Association. Membro della Università di Pennsylvania. E poi un’altra infinità di importanti incarichi che ne onoreranno una straordinaria carriera.

 

Ma di certo il suo momento più importante quando nel 1931 è chiamato ad organizzare e sovrintendere alla visita del Ministro Dino Grandi a Philadelphia. Sarà sempre al fianco del prestigioso uomo politico italiano che ripartendo lo ringrazierà in maniera particolare dicendogli “non dimenticherò mai la vostra cortesia e soprattutto la vostra alta professionalità che fanno onore all’Italia”. Questo grande figlio della terra d’Abruzzo muore nel 1966.

 

 

*Presidente onorario Associazione “Ambasciatori della fame”

geremiamancini@libero.it




Fiore Tavani di Fara San Martino (CH) emigrato a Philadelphia dove si dedicò al commercio in vari settori.

Associazione Culturale “AMBASCIATORI DELLA FAME”

 

Pescara, 16 aprile 2016

UNA BOTTIGLIA SIMBOLO DI UN SOGNO AMERICANO.

 

Fiore Tavani nasce a Fara San Martino in Provincia di Chieti il 24 Agosto 1885.  Emigra giovanissimo, all’età di 16 anni, in America dove si insedia a Philadelphia nel 1901. Ottiene la cittadinanza  nel 1912. Dopo aver fatto i lavori più umili ( “ho fatto lavori che non avrei mai accettato di fare in Abruzzo”) accetta di vendere bibite all’interno degli stadi di football americano e baseball. Per lui è una intuizione e capisce che questo può essere un settore utile a realizzare, finalmente,  i suoi sogni e allora fonda una sua società la “ Fiore Tavani” . Vende bibite di ogni tipo ma soprattutto birra e whisky. In pochi anni accumula una piccola fortuna. Va ad abitare sulla prestigiosa 1808 West Passyunk Avenue di Philadelphia. Ma successivamente incappa nel “Proibizionismo” e i suoi guadagni colano a picco. Seguono anni difficili per lui e la sua famiglia composta da Dora sua moglie e i suoi quattro figli. Durante questo periodo non disdegna ogni tipo di lavoro pur di non far mancare nulla alla famiglia. Poi un giorno un amico gli chiede se vuole affiancarlo nella vendita e distribuzione di ostriche  e lui accetta. Si guadagna abbastanza da mettere da parte qualche dollaro da investire. E allora Tavani fonda la “Passyuynk Lauudry Co.”  di cui diventa  Presidente. E nel settore delle lavanderie riesce in poco tempo ad occupare spazi importanti divenendo leader del settore. Insomma si risolleva e tornano i tempi dell’agiatezza. Solo la morte, prematura, della sua amata Dora ( di lei dirà “una donna che mi ha amato sempre. Non gli interessava se fossi ricco o povero”)  lo induce a passare a mano ai figli.  Rimarrà comunque attivo, accanto  ai suoi, fino alla fine con un solo unico rammarico “il proibizionismo” che gli negò il suo primo sogno. Muore nel gennaio del 1982 a Elkins Park in  Pennsylvania.

 

Geremia Mancini – Presidente onorario “Ambasciatori della fame” 




Frank (Francesco) Di Berardino nato a Torricella Peligna (CH) intorno al 1870. Il Banchiere degli abruzzesi d’America. LA STORICA FOTO DELLA “BANCA FRANK DI BERARDINO”

Associazione Culturale “AMBASCIATORI DELLA FAME”

 

Pescara, 14 aprile 2016

 

 

 

Frank Di Berardino può essere ritenuto a giusta ragione “il pioniere” della nostra emigrazione nello Stato della Pennsylvania e non solo. Infatti, quando il giovanissimo Frank (Francesco) arriva a  Philadelphia,  la nostra lingua da quelle parti è assai poco conosciuta.  Bastano pochi mesi al geniale e instancabile giovanotto di Torricella Peligna per ambientarsi e soprattutto per capire quanto, in questa parte d’America,  ci sia bisogno di mano d’opera. Da subito si attiva nel favorire l’arrivo di abruzzesi ai quali rende la sua assoluta disponibilità. Per questo crea una specifica Agenzia che ha contatti con le più grandi imprese locali. In particolare conosce e ne diventa amico di uno degli uomini più ricchi al mondo quell’Andrew Carnegie che anni dopo diverrà un generosissimo filantropo. Gli  immigrati italiani erano generalmente inconsapevoli delle specifiche opportunità disponibili a Philadelphia ma erano guidati dall’idea che qui potessero fare facili guadagni. Essi, quindi,  si diressero verso questi luoghi fiduciosi nel “sogno americano” che veniva garantito dal loro “paesano”  Frank Di Berardino.

Soprattutto nel periodo tra il 1900 e il 1919 furono migliaia e migliaia gli abruzzesi sbarcati in questa parte del nuovo Continente. Di Berardino li inserì soprattutto nella Miniere e nelle Ferrovie dove il lavoro era assai duro e rischioso ma garantiva guadagni altrimenti impossibili per i suoi connazionali.  Gli immigrati abruzzesi al loro arrivo trovavano  puntualmente ad accoglierli o lo stesso Frank o comunque qualche suo collaboratore ed erano così indirizzati e guidati. Quando questi, spessissimo, non avevano ancora lavoro  Frank  li assisteva trovando loro alloggio e garantendo il pasto. Famoso divenne l’Albergo-Ristorante “La Corona di Ferro” dove il dialetto abruzzese era di casa e dove quasi ogni sera Frank si intratteneva. 

Intanto ora Frank, che era divenuto l’indiscusso leader della numerosissima “Philadelphia Italian Community”, otteneva dalle autorità locali una stima sempre crescente ed era conteso dai “salotti buoni” della città”.  Ora Frank capisce che quel fiume di denaro, che gli italiani guadagnano, deve essere organizzato, protetto ed indirizzato ed allora nasce “La Banca Frank Di Berardino” che si insedia al numero 821 della Christian Street.  Attraverso la sua Banca favorisce la comunicazione dei suoi connazionali  con le proprie famiglie e il deposito dei guadagni da inviare in Italia e li aiuta nella compilazione di ogni necessario documento. Così il primo sabato di ogni mese gli immigrati italiani, muovendosi in treno dalle loro diverse residenze di lavoro, giungono a Philadelphia per depositare il denaro frutto del loro durissimo lavoro. In brevissimo tempo la Banca “FRANK DI BERARDINO”  acquista una notevole credibilità e diventa così la Banca di tutti. Una realtà così potente da essere in grado di incorporare due grosse altre realtà del settore la “Columbus Title” e la “Trust Company”. Ora Di Berardino non ha più ostacoli.  Nascono intorno a lui, come è naturale,” varie “leggende”: lavora 20 ore al giorno (sembra assolutamente vero); è un benefattore (in effetti favorisce la nascita di asili e all’occasione si mostra generoso con chi, soprattutto se abruzzese, cade in disgrazia; è un inguaribile “Don Giovanni” (si favoleggiava sulle sue innumerevoli “amicizie” femminili), è uno spregiudicato affarista (molte volte ai prestiti da lui elargiti seguiva la impossibilità della restituzione e allora lui subentrava nella proprietà). Intanto apre sportelli bancari in altre città ed in particolare a Pittsburgh. Estende poi le sue attività nel campo dell’edilizia, dei trasporti e acquista addirittura due navi a vapore. Due sono i momenti che segneranno, in maniera diversa, la sua vita. Il primo è legato alla immane tragedia mineraria di Monongah ( 6 dicembre 1907). In quella catastrofe muoiono centinaia di minatori, la maggior parte italiani, e molti di questi è stato proprio lui a farli assumere. Promuoverà una raccolta fondi e solleciterà, ascoltato,  l’amico Andrew Carnegie a fare altrettanto. Per giorni e giorni sostò dinanzi all’imbocco della miniera; il secondo è quando, in occasione della Prima Guerra Mondiale, raccogliendo la sollecitazione del Governo Italiano “E’ obbligo d’ogni italiano di concorrere con risparmi alla guerra di liberazione nazionale . Si fa opera patriottica e si fa insieme un buon affare” promuove la sottoscrizione dei titoli del Prestito Nazionale italiano. E quando parla durante gli eventi di promozione dice ” La patria combatte perché gli italiani siano nel mondo onorati e rispettati. E noi emigranti sappiamo cosa valga, fra gli stranieri, essere onorati e rispettati”. La sua Banca raccoglierà moltissimi fondi e alla fine il ringraziamento e l’encomio da parte del Governo Italiano. Quando muore la città di Philadelphia gli riserverà ogni tipo di onore. Il suo “testimone” sarà raccolto dal figlio Frank Jr. (nato a Philadelphia il 1 marzo del 1900) che si mostrerà all’altezza del compito. Così la dinastia Di Berardino durerà nel tempo.

Geremia Mancini – Presidente onorario “Ambasciatori della fame”

 




“ABRUZZESI DEL TRENTINO DELEGAZIONE A MANTOVA RENDE OMAGGIO AI MARTIRI DI BELFIORE“

 

 

 

La Libera Associazione Abruzzesi Trentino Alto Adige, presieduta da Sergio Paolo Sciullo della Rocca, Ambasciatore d’Abruzzo nel Mondo, nel quadro delle attività culturali, ha effettuato una gita culturale a Mantova nel corso della quale i soci hanno visitato; il Castello, il Palazzo, la Basilica di Sant’Andrea, la Casa del Mantegna e il monumento ai Martiri di Belfiore. La gita è stata organizzata da Marina Natale, Gabriele Antinarella e Elisabetta D’Aurelio, mentre il coordinamento per l’omaggio ai Martiri di Belfiore è stato effettuato da Renato e Bruna Redi. In occasione dell’incontro tenuto presso il monumento che ricorda i martiri, il presidente Sciullo della Rocca, ha ricordato ai convenuti che tra il novembre 1851 e il luglio 1855 molti patrioti italiani furono giustiziati dagli austrici nella valletta di Belfiore, entrando conseguentemente di diritto nel “mito” del risorgimento italiano, giova ricordare che gli stessi seguivano il pensiero di Giuseppe Mazzini e furono combattenti per la libertà.




Il Giudice ALESSANDRONI nella storia di PHILADELPHIA

Associazione Culturale “Ambasciatori della fame”

 

Pescara, 9 aprile 2016

 

Eugene Victor  ALESSANDRONI: Giudice ed Avvocato entrato nella storia di Philadelphia. Era nato nel 1887 a Capestrano /AQ). 

 

Eugene Victor ( Eugenio Vittorio) Alessandroni nasce il 24 gennaio 1887 a Capestrano (AQ) da Pierluigi e Carmela Jafolla. Il piccolo Eugene arriva negli Stati Uniti nel 1891 e  già da piccolo mostra una straordinaria capacità di apprendimento. La nuova lingua diventa subito la sua e in futuro la userà nella aule dei tribunali con straordinaria maestria. Lui sarà il primo di ben 8 figli. Ma la strada di questo ragazzo figlio di emigranti non è facile. Da subito aiuta i genitori  nel loro negozio di alimentari ed in particolare nella consegna a domicilio. E la sera si dedica agli studi. Raccontava che spesso si addormentava, per la stanchezza sui libri. Ma Eugene aveva capito da subito che la strada del riscatto passava necessariamente dagli studi. Spinge anche i fratelli a migliorarsi e ci riesce tanto che la famiglia Alessandroni produrrà una ventina di prestigiosi avvocati di Philadelphia. Contestualmente al lavoro presso la bottega di famiglia si impegna in una varietà di altri lavori, comprese le assicurazioni e la vendita di immobili, finché un giorno un suo datore di lavoro gli suggerisce di tentare la strada degli studi in legge. Frequenta con successo la storica  Central High School di Philadelphia.  Successivamente arriva in tempi brevi la Laurea. Presso un vecchio Avvocato, che lo ha preso a cuore, già nel 1907 inizia il suo praticantato. Il 6 gennaio del 1909 sposa Ethel Hope Tumbelston. La sua carriera di giovane e rampante avvocato si costella di un successo dopo l’altro. Lo richiedo tutti e nasce il mito della sua “imbattibilità”. La politica lo corteggia e lui sceglie di essere dalla parte del Partito Repubblicano. A Philadelphia questo giovane abruzzese è oramai una istituzione. Prima diventa Procuratore Distrettuale (dal 1919 al 1927) e successivamente alla Court of Common Pleas (Corte delle udienze comuni) dal 1928 al 1958. Sarà Direttore della  Philadelphia Symphony Orchestra Association. Membro della  Università di Pennsylvania. E poi un’altra infinità di importanti incarichi che ne onoreranno una straordinaria carriera. Ma di certo il  suo momento più importante è quando nel 1931 è chiamato ad organizzare e sovrintendere  alla visita del Ministro Dino Grandi a Philadelphia. Sarà sempre al fianco del prestigioso uomo politico italiano che ripartendo lo ringrazierà in maniera particolare dicendogli “non dimenticherò mai la vostra cortesia e soprattutto la vostra alta professionalità che fanno onore all’Italia”.

Questo grande figlio della terra d’Abruzzo muore nel 1966.

 

Geremia Mancini – Presidente onorario “Ambasciatori della fame”  




Contro la dimenticanza … STORIE DELLA NOSTRA EMIGRAZIONE …

Associazione Culturale “AMBASCIATORI DELLA FAME”

Pescara, 7 aprile 2016

Contro la dimenticanza … STORIE DELLA NOSTRA EMIGRAZIONE …

 

Un temile mafioso abruzzese: Marco Reginelli detto, per la sua piccola statura,  “The Little Man” o “The Small Man”  era nato a Nepezzano (TE) il 2 gennaio del 1897.

Lasciò la sua famiglia e il padre Saverio per Emigrare negli stati Uniti dove giunse, dopo aver viaggiato sul Piroscafo “Taormina”, nel giugno del 1914. Qui fu accolto dal fratello Nazareno che era giunto in America due anni prima e con lui visse per qualche tempo nella cittadina di PennsGrove nel New Jersey. Qui esisteva una ricca colonia di emigranti abruzzesi in particolare provenienti da Valla San Giovanni in provincia di Teramo. All’inizio si adattò ad ogni tipo di lavoro e di certo ne conobbe di umili. Poi il fratello riuscì a sistemarlo presso la prestigiosa fabbrica della Du Pont. Intanto il giovane Marco aveva iniziato a scoprire un mondo che non aveva mai conosciuto e del quale non seppe più fare a meno: locali notturni, corse di cavalli, gioco d’azzardo e soprattutto belle donne. Per tutto questo, però,  necessitavano più soldi e quindi fu fatale per  Marco avvicinarsi agli ambienti malavitosi. Decise allora di lasciare PennsGrove per la più attraente e “tentacolare” Philadelphia.Per qualche tempo a Reginelli tutto sembra volgere al meglio e nonostante le cattive frequentazioni e una vita fuori dalle regole non conosce difficoltà con la giustizia. Poi, tra il 1924 e 1925, conosce per ben tre volte  il carcere e viene condannato ad un anno di detenzione. Da quel momento in poi diventa “personaggio sospetto”. Intanto inizia per lui una inarrestabile scalata all’interno della criminalità .Più volte interrogato su vari omicidi , grazie ad ottimi avvocati, riesce sempre a dimostrare la sua estraneità. Rischia grosso nel 1936 quando viene arrestato per l’omicidio di Pio Lanzetta ma successivamente il testimone, che lo aveva accusato, ritrattò tutto. Nel 1939 sono in molti a ritenerlo uno degli uomini più potenti della Mafia di quel territorio. Intanto il suo patrimonio cresce a dismisura. Reginelli ora ama vestire da sarti di prestigio, si circonda di bellissime donne e sceglie come alloggio una prestigiosa suite dell’Hotel Plaza di Philadelphia. Il “gioca d’azzardo” diventa ogni giorno di più il “suo” territorio e chiunque tenta avventurarcisi viene spazzato via. Successivamente decide di fissare la sua base operativa  a Camden nel New Jersey e da qui muove le fila della sua organizzazione.Si fida in particolare di un altro italo-americano il siciliano Angelo Bruno (detto “il Padrino gentile”) che alla sua morte gli succederà. Riesce sempre, con astuzia, ad evitare seri guai giudiziari e con capacità organizzativa piazza i suoi uomini nei punti strategici. Sul suo “libro paga” pare vi fossero giudici, poliziotti e giornalisti. Insomma il piccolo abruzzese ora è davvero un uomo da temere. Dalla sua blindatissima residenza di Camden ha ampliato le sue operazioni mafiose anche in tutto il New Jersey e ad Atlantic City è lui a “governare” ogni attività criminosa. E proprio ad Atlantic City realizzerà un locale destinato ad essere ancora oggi ricordato per le importantissime e prestigiose presenze di artisti: il 500 Club. Qui si esibiranno, tra gli altri,  Dean Martin, Jerry Lewis, Sammy Davis  e naturalmente “The Voice” Frank Sinatra. In tutti questi anni il Governo Federale ha sempre cercato, inutilmente, di creare i presupposti per il rimpatrio in Italia di Reginelli come “indesiderabile”. Ma grazie al suo avvocato Murray Chotiner (che anni dopo avrà un ruolo nello “scandalo Watergate”) Reginelli rimarrà fino alla fine dei suoi giorni negli Stati Uniti. Il 26 maggio del 1956 “The Little Man” muore, per cause naturali, a Baltimora. Ai suoi funerali sfilerà una intera generazione  di mafiosi, vecchi e nuovi, provenienti da tutta l’America.

geremia mancini – presidente onorario “Ambasciatori della fame”

 Geremia Mancini   geremiamancini@libero.i

 

 

 




VITTORIO ANTONELLINI, UN GRANDE AQUILANO D’ELEZIONE

31 dicembre 2015

 

Piemontese d’origine, dal 1967 aveva scelto L’Aquila per la sua vita dedicata interamente alla Musica. Fondatore dei Solisti Aquilani, che ha diretto per 30 anni, è stato anche direttore artistico dell’ISA.

 

di Goffredo Palmerini

 

 

 

L’AQUILA – Ancora non si spegne l’emozione, né il lutto elaborato, per l’improvvisa dipartita del Maestro Vittorio Antonellini, da qualche anno afflitto da un male crudele. E’ deceduto il 23 dicembre scorso all’Aquila, nell’abitazione attuale da quando, in quella tremenda notte del terremoto, egli era stato costretto ad abbandonare la sua bella casa in via Pretatti, nel Quarto di San Pietro, pieno centro storico della città. Piemontese, nato nel 1935 ad Alessandria, Vittorio Antonellini aveva scelto L’Aquila come sua città d’elezione. Non l’ha abbandonata mai, neanche dopo quel terribile 6 aprile 2009. Anzi, l’ha amata ancor di più, mentre con un desiderio evidente attendeva di poter presto rientrare nella sua casa, restaurata dalle ferite inferte dal sisma. Purtroppo questa gioia intima egli non l’ha potuta godere, per il sopraggiungere della morte che l’ha sorpreso quasi all’aurora d’un radioso giorno di sole invernale e con il Gran Sasso immacolato di candida neve.

 

Figlio di Nino Antonellini, musicista di grande valore che dal 1952 fu direttore del Coro sinfonico della Rai e per vent’anni prestigioso docente del Conservatorio di Santa Cecilia in Roma, Vittorio era arrivato nel 1967 nel capoluogo abruzzese per aver condiviso l’utopia di Nino Carloni. L’Avvocato della Musica – così Carloni veniva definito -, uomo carismatico, di notevole ingegno e raffinata cultura, aveva promosso ed avviato, dal 1946 in poi, la grande fioritura delle istituzioni musicali aquilane: la Società Aquilana dei Concerti “Barattelli”, i Solisti Aquilani, l’Orchestra Sinfonica Abruzzese, il Conservatorio Musicale “Alfredo Casella”, l’Officina Musicale Italiana, i Festival “Musicarchitettura”.

 

Carloni aveva contattato Antonellini nell’ottobre del ’67, a Roma, dopo un concerto della Camerata Musicale Romana, su consiglio di Goffredo Petrassi, che con l’Avvocato della Musica aveva un rapporto di profonda amicizia. E appunto su Antonellini l’avvocato Carloni puntò per costituire “I Solisti Aquilani”, complesso da camera composto da 14 giovani musicisti di talento, italiani e stranieri. Il 21 aprile 1968 l’esordio all’Aquila nell’auditorium del Forte spagnolo, sotto la direzione di Vittorio Antonellini. Un grande successo quel concerto inaugurale, il primo d’una lunga serie in Italia e in tutto il mondo. Così si espresse Carloni presentando i Solisti Aquilani: “Nata da una comune volontà della Società dei Concerti e di questi giovani musicisti, la nuova compagine non solo intende servire la Musica con una attività a livello nazionale ed internazionale, ma si propone di dotare l’Abruzzo, per la prima volta nella storia della regione, di un valido strumento educativo che sia in grado di utilizzare, in modo originale, anche le enormi esperienze musicali accumulate in questi ultimi ventidue anni all’Aquila ed un po’ in tutta la regione d’Abruzzo, vigorosamente risvegliata alla Musica”. Dal 1946, infatti, L’Aquila era progressivamente diventata crocevia di grandi musicisti e di orchestre prestigiose, nell’ambito delle stagioni concertistiche della Società “Barattelli”, tanto da farla definire “la Salisburgo d’Italia”. Una città dove Arthur Rubinstein – Cittadino onorario dell’Aquila, insieme a Goffredo Petrassi ed Ennio Morricone – preferiva suonare, piuttosto che nei templi della musica, per l’atmosfera e la sensibilità musicale che vi aveva riscontrato.

 

La nascita dei Solisti Aquilani, in ambito nazionale, s’inseriva in quel progetto di rivalutazione del patrimonio strumentale italiano sei-settecentesco, dimenticato per tutto l’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, poi gradualmente riportato alla luce dai più colti interessi musicologici, a partire dagli anni Trenta del secolo scorso. Nel 1968 esistevano ed erano già affermati I Solisti Veneti, I Virtuosi di Roma ed I Musici, tutti impegnati in tale affascinante ed italianissimo repertorio. Ma I Solisti Aquilani si caratterizzavano per la loro collocazione geografica, essendo essi l’unica struttura del genere nel Meridione che realizzava di fatto un modo nuovo di pensare la musica. Altro motivo di originalità dei Solisti Aquilani, rispetto alle formazioni similari che già operavano in Italia, stava proprio nella vocazione sociale di stretto rapporto con la realtà territoriale nella quale intendevano operare. I Solisti Aquilani hanno conquistato, negli anni, un’autorevole posizione nel contesto delle più valenti formazioni cameristiche internazionali, presenti nei principali cartelloni musicali italiani.

 

Protagonisti di numerose ed importanti tournée in Europa, in Medio Oriente, in Africa, in America, in Vietnam e Singapore, ospiti delle più prestigiose sale da concerto d’America centrale e meridionale, Austria, Canada, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Jugoslavia, Libano, Malta, Polonia, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Tunisia, Turchia, Ungheria, Egitto, Lituania, Estonia, Slovenia e Croazia, I Solisti Aquilani sono stati ripetutamente ospiti dei festival internazionali di Berna, Bonn, Cannes, Helsinki, Lucerna, Ludwigsburg, Menton, Miami, Montreux-Vevey, Passau, Puebla, San Sebastian, Toronto e Zurigo. Importanti e significative sono le collaborazioni del Complesso con i più insigni solisti del mondo, che ha pure realizzato numerose incisioni discografiche e registrazioni radiofoniche e televisive in Italia, America centrale e del sud, Germania, Spagna, Svizzera e Stati Uniti.

 

Nati sotto la direzione di Vittorio Antonellini, che li ha condotti per oltre trent’anni, sono stati successivamente diretti dai Maestri Franco Mannino, Vittorio Parisi, Vincenzo Mariozzi ed attualmente da Maurizio Cocciolito. La nascita dei Solisti Aquilani fu solo una parte del grande sogno di Nino Carloni “al servizio della Musica”, come egli soleva ripetere. Lo ricordò il 30 settembre 2007 con una dotta commemorazione, a vent’anni dalla scomparsa dell’Avvocato della Musica, il musicologo Francesco Sanvitale, compianto direttore dell’Istituto Nazionale Tostiano e per molti anni stretto collaboratore di Carloni: “[…] Perché alla prima creatura, la Barattelli, presto seguirono istituzioni che producevano musica, a partire dai Solisti Aquilani nel 1968, con Vittorio Antonellini alla direzione. Poi affidando allo stesso Antonellini ed alla figlia Marina Carloni il compito di creare, due anni dopo, l’Orchestra Sinfonica Abruzzese []”. Ed infatti nel 1970 nasceva l’altra creatura di Nino Carloni, una delle dodici orchestre stabili italiane riconosciute dallo Stato, anch’essa destinata ad una storia di brillanti affermazioni in Italia ed all’estero, ma soprattutto ancorata alla missione d’incrementare in ogni angolo d’Abruzzo la cultura musicale, secondo lo spirito carloniano. Dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese Vittorio Antonellini è stato direttore artistico sin dalla fondazione e fino al 2010. Gli è quindi succeduto Ettore Pellegrino fino al 2015 ed attualmente la prof. Luisa Prayer, che sta guidando importanti progetti d’innovazione, di collaborazione musicale e di sinestesie culturali.

 

Vittorio Antonellini è stato sempre un protagonista di rilievo nel mondo musicale e culturale abruzzese e nazionale – ha tra l’altro sottolineato in una nota Walter Tortoreto, storico della musica e critico -. Formatosi al Conservatorio Santa Cecilia di Roma, Antonellini è stato tra i primi italiani a diplomarsi in paleografia musicale all’Università di Pavia. Ha insegnato nei Conservatori di Parma, Bolzano, Bologna e Roma e ha diretto i Conservatori di Campobasso e L’Aquila. È stato anche a lungo collaboratore della Rai. Non abbondante ma di elevata qualità è la sua discografia, per lo più dedicata alla produzione europea del Sei-Settecento e ad alcuni autori contemporanei, ai quali ha anche dedicato numerosi concerti monografici. Gran parte dell’attività di Antonellini è stata rivolta ai giovani, soprattutto come insegnante. Tra i suoi incarichi più impegnativi ed efficaci c’è la presidenza dell’Associazione delle Orchestre Ico-Agis (orchestre riconosciute dallo Stato) in anni di crisi nel finanziamento della cultura da parte degli enti pubblici italiani. In ogni suo incarico egli ha mostrato una singolare intelligenza di vedute artistiche e una infaticabile operosità. Il mondo musicale e culturale deve, dunque, moltissimo al suo lavoro appassionato. Enorme il vuoto che il Maestro Antonellini lascia nella cultura aquilana, abruzzese e nazionale.”

 

La città s’è dunque raccolta tutta nella Basilica di San Bernardino, dove alle 11 della vigilia di Natale sono state celebrate le esequie per dare l’ultimo saluto al Maestro Antonellini. Sulla bara solo una rosa bianca legata alla sua bacchetta con un nastro nero-verde, i colori della città. Musicisti dell’Orchestra Sinfonica Abruzzese e dei Solisti Aquilani, insieme, con la direzione del Maestro Marcello Bufalini, hanno accompagnato la cerimonia funebre suonando l’Adagio dalla Sinfonia n. 40 di Mozart e l’Adagio per archi di Barber. Quattro Corali aquilane (Gran Sasso, Novantanove, Schola Cantorum S. Sisto, Coro Voci bianche della Barattelli) hanno infine cantato l’Ave verum corpus di Mozart. Forte la commozione all’elevarsi di queste note. Gli aquilani hanno voluto rendere un grazie affettuoso e intenso a Vittorio Antonellini, “concittadino” insigne. Presenti tutte le istituzioni stabili – musicali, teatrali e cinematografiche -, il mondo della cultura e delle arti. Un saluto corale, discreto e sobrio, come nelle abitudini del Maestro che rifuggiva dall’enfasi. Prima della benedizione finale Antonio Centi, presidente dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese e già sindaco dell’Aquila, ha così ricordato Antonellini.

 

I necrologi e gli articoli pubblicati tra ieri ed oggi per ricordare la figura del Maestro Vittorio Antonellini mi esimono dal dover intervenire per sottolineare il grande profilo artistico del musicista che ieri ci ha lasciato. A me sembra utile, viceversa, celebrare il valore della sua astrattezza, alla base delle sue tante speculazioni intellettuali, che hanno costituito la forza del suo incontenibile trascinamento. Da qui il suo attaccamento verso la nostra città, verso le tante istituzioni culturali aquilane. E la sua diffusa insoddisfazione non verso qualcosa di specifico, ma verso tutto ciò che impediva di raggiungere i difficili traguardi dell’adeguatezza. Vittorio ha conosciuto direttamente la tragedia del terremoto. Poteva decidere di lasciare la città. Invece non solo è rimasto, ma ha voluto qui essere sepolto. In questo momento non salutiamo soltanto un grande musicista e un grande intellettuale, ma salutiamo una persona cara a tutti noi, anche come Municipalità, per quanto il sindaco Massimo Cialente mi ha appena autorizzato a fare. Addio, Vittorio!”

 

Commosso anche il saluto dei Solisti Aquilani attraverso le parole del loro presidente Marco Mantini, il quale ai meriti di Vittorio Antonellini, quale fondatore e impareggiabile direttore del Complesso cameristico, ha voluto aggiungere quelli dell’Uomo capace di traguardare orizzonti sempre ambiziosi per l’ente, mai facendo mancare la sua feconda capacità di proposta, accostata però ad una grande capacità d’ascolto. E la sua attitudine alla migliore sintesi delle diverse posizioni resta davvero esemplare, un patrimonio da custodire. Il corteo funebre s’è quindi avviato verso il cimitero dell’Aquila, scelto dal Maestro Antonellini come ultima sua dimora, a suggellare un amore verso la città che aveva preferito, per vivere la sua vita interamente dedicata alla Musica. Un sole luminoso e un cielo terso d’azzurro intenso hanno mitigato la sua sepoltura, in un Natale che gli aquilani, grati, ricorderanno per sempre.