Civitella del Tronto. Premiati i 5 Ambasciatori d’Abruzzo nel mondo.

(06/08/2015 – 08:42)

(ACRA) – Si e’ svolta ieri pomeriggio, nella suggestiva Fortezza di Civitella del Tronto, la cerimonia di premiazione degli “Ambasciatori nel mondo”. L’onorificenza e’ assegnata dall’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale agli abruzzesi che, per meriti accademici, culturali, politici, sociali o professionali, si siano distinti nei Paesi stranieri, o nelle regioni italiane diverse dall’Abruzzo, in cui sono emigrate in passato o dove attualmente vivono stabilmente. L’iniziativa si svolge ogni anno in occasione della “Giornata degli Abruzzesi nel mondo”, istituita con legge regionale (4/2011), in programma il 5 agosto. I nuovi cinque Ambasciatori d’Abruzzo nel mondo sono Anna Maria Di Sciullo, nata a Roma da genitori di Fallo (Chieti), professoressa all’universita’ del Quebec; Eligio Paris, nato a Celano, del 1941, imprenditore in Canada e fondatore del Celano Canadian Club; Osman Philip Gialloreto, di Pescara (1921), cardiologo di fama internazionale; Francesco Liberati, di Scurcola Marsicana del 1937, presidente Banca di Credito Cooperativo di Roma; Sergio Paolo Sciullo Della Rocca, di Sulmona, classe 1957, ex comandante del Quarto Corpo d’armata alpino dell’Esercito. Nel corso della cerimonia e’ stato conferito un riconoscimento speciale per la promozione dell’immagine dell’Abruzzo nel mondo al cantante Gianluca Ginoble de Il Volo e allo chef Niko Romito. “L’evento ha l’obiettivo di rafforzare l’identita’ regionale dei nostri corregionali che vivono all’estero o fuori dai confini dell’Abruzzo, affinche’ trasmettano alle nuove generazioni valori e tradizioni della nostra terra – ha detto il presidente del Consiglio regionale, Giuseppe Di Pangrazio -. Gli Ambasciatori 2015 dell’Abruzzo nel Mondo, al pari di chi li ha preceduti, rappresenteranno e promuoveranno l’immagine della nostra regione con maggiore convinzione e determinazione di quanto non abbiano fatto sinora, grazie alle qualita’ professionali e culturali che hanno dimostrato nell’ambito del loro lavoro. Credo, comunque, che il significato profondo di questo riconoscimento – ha aggiunto Di Pangrazio – lo possiamo ritrovare in Ignazio Silone li’ dove dice: guardate questa terra queste pietre, il mare, il cielo. Riempitevi l’anima di queste immagini, per ripensarle da lontano”. Alla cerimonia hanno partecipato i componenti dell’Ufficio di Presidenza, il Presidente della Terza Commissione, Lorenzo Berardinetti, il Presidente della IV Commissione, Luciano Monticelli, il Consigliere regionale delegato alla Cultura, Leandro Bracco, e altre personalità abruzzesi. Prima dell’inizio della cerimonia è stato osservato un minuto di silenzio in ricordo della tragedia di Marcinelle, nella quale persero la vita 262 minatori, gran parte di loro abruzzesi.(gil.pet.)




PER DECENNI HA REGALATO IL SORRISO AGLI ITALIANI D’AMERICA. ADDIO A SILVANA, DONNA DEL SUD CHE FACEVA SOGNARE di Domenico Logozzo *

 

 

 

Silvana Romania, la voce del sorriso della newyorchese  “Radio Icn” che per oltre 20 anni ha tenuto compagnia  agli italiani d’America, si è spenta improvvisamente  a Brooklyn. Troppo presto è volata in cielo la “ragazza di Gioiosa Jonica” che mezzo secolo fa lasciò l’amata Calabria con l’amato Sasà, per inseguire il sogno americano. Una brutta notizia. Che rattrista chi ha gioito con le sue trasmissioni musicali. Divertirsi e divertire. Questo era il motto di Silvana. E i risultati sono stati sempre positivi. Sia negli anni dell’esordio a  “Radio Uno New York” che  successivamente a “Radio Icn “, l’emittente legata al quotidiano “America Oggi”. Una donna brillantissima. La sua trasmissione “Mi regali un sorriso” era seguitissima.

 

“Grazie mille, benvenuto. Non so se ti ricordi, sono Silvana, sorella di Giuliana Misogano.Tuo papà mi ha fatto il compare d’anello quando mi sono sposata con Sasà Romania. E’ un piacere incontrarti su fb.  Il sindaco Logozzo lo ricordo sempre! Saluti Gioiosa”. Silvana Romania mi aveva chiesto l’amicizia su Facebook il 12 aprile scorso. Questa mattina su Facebook ho letto che Silvana non c’è più. Non volevo crederci. Ho chiesto una conferma sempre su Facebook alla comune amica Annamaria Falagario. “Purtroppo sì”, è stata la sua risposta. “Per me e i miei figli resterà sempre nel nostro cuore come Zia Silvana. L’ultima volta che ci siamo sentiti per telefono saltavamo di gioia “.

 

Tristezza e grande dolore per un’amica della bella gioventù gioiosana che avevo incontrato nuovamente sulla più grande piazza virtuale del mondo soltanto qualche mese fa. Si era trasferita negli Stati Uniti subito dopo il matrimonio avvenuto sul finire degli anni Sessanta. Il marito, Sasà Romania, un bravissimo meccanico ed un grande amico, l’aveva perso troppo presto. Silvana era una donna piena di risorse. Una gran voglia di fare e di essere positiva. Trasmetteva  gioia. La gioia di vivere. Dopo avere accettato la sua amicizia e visto il suo profilo Facebook, le scrissi: “Di cosa ti occupi? Ho visto le foto con alcuni cantanti”. Mi ha risposto: “Mi occupo di radio e  spettacoli. Le foto dei cantanti sono quelli del festival Of song Usa”, un festival di competizione  che si svolge ogni anno l’ultima settimana di gennaio. I cantanti vengono selezionati per la serata finale  sono 12 e vengono da tutte le parti dell’America e anche dall’Italia. Uno scambio culturale con il festival “Cantamare di Sicilia” che continua da 20 anni. Possono cantare in inglese o italiano. Possono presentare una canzone cover o originale, una giuria esperta nel campo della musica sceglierà il vincitore. Chi ottiene il primo posto volerà in Italia e rappresenterà in Sicilia il “Festival of song Usa”. Il viaggio di andata e ritorno è pagato dalla mia compagnia. Saluti e un abbraccio”. Ed io: “Brava. Complimenti. Quest’anno chi ha vinto?”. Silvana: “Il primo posto ad una ragazza russa di Long Island, seconda una ragazza di Catania, terza una ragazza del New Jorsey”.

 

L’ultimo contatto con Silvana attraverso Facebook  è stato il 17 giugno scorso, in occasione della morte del giornalista Antonio Ciappina di “America Oggi”. Io: “Conoscevi Ciappina?”. Silvana: “Sì, il giornale e la radio sono insieme”. Io: “E’ stato lui a farti lavorare alla radio di America oggi?”. Silvana: “No non e stato lui. Io vengo dalla scuola di “Radio Uno New York” del dottor Mario Sessa. Incominciai con lui e quando è morto la radio è stata chiusa. Prima di morire mi aveva proposto di assumere la direzione, ma io non ho accettato per il troppo lavoro. E’  da 24 anni che sono a Radio Icn. Ero già  popolare a Radio Uno. Ho conosciuto Ciappina prima di passare a Radio Icn. Nella scuola frequentata da mia figlia io facevo spettacoli ed ero la vice presidente del corso bilingue. Ciappina veniva come giornalista e scriveva allora gli articoli su “Progresso Italo Americano”. Io: “Silvana raccontami tutto, scrivimi tutto della tua attività. Mandami tutte le foto che hai. Raccontami della partenza da Gioiosa e poi tutta l’attività che hai svolto e continui a svolgere. Il mio indirizzo di posta elettronica è domenicologozzo@gmail.com”. Silvana: “Ho fatto tanto qui in America, ci vorrebbe un libro. Come ho un po’ di tempo ti mando un piccolo antipasto… Ma sicuramente mi manca Gioiosa”.

 

Purtroppo un destino crudele non ha dato a Silvana il tempo di scrivermi. Che tristezza! E quanto amore questa ragazza partita da Gioiosa per Brooklyn con il suo Sasà aveva per la sua, la nostra Gioiosa! Non trovo le parole per esprimere tutto il mio dolore per la cara amica ritrovata dopo tanti anni e persa per sempre dopo pochi mesi. La ricorderò sempre con il suo bel sorriso, di ragazza solare del Sud che voleva e sapeva sognare. Silvana ci ha lasciato un libro di gioia di vivere, d’amore per la vita. Un libro non scritto, che è nella mente e nel cuore di quanti sono stati accanto a lei. E con lei hanno combattuto, sofferto e gioito. La tua voce mancherà agli italiani d’America! Intanto il popolo di Facebook ha fatto subito sentire la sua voce. Enzo Della Ragione: “Mi dispiace Tantissimo anche se ti conoscevo solo virtualmente eri una Donna meravigliosa …. che il Signore ti accolga tra le sue braccia …Riposa in Pace Silvana”. Grazia Zambolin:‎ “Credo che da lassù ci guarderai tutti, mi manchi cara Amica, condoglianze alla tua famiglia. Ciao donna meravigliosa”. Rita Sola: “Mi dispiace che non ci sei più dolcissima amica, mi mancherai tantissimo. Speravo di sentirti per l’ultima volta. Ti porterò sempre nel mio cuore. Riposa  in pace”. Carmen Peteleu: “Una persona sempre sorridente, buona, credente, altruista, simpatica…non ci posso credere, spero che sia uno scherzo anche se purtroppo non lo è. Ciao Silvana, persona meravigliosa! Mancherai a tante persone. Quanto mi dispiace non vederti, non avere più le tue notizie, non leggerti”. Maria Crea: “Vorrei che fosse solo un sogno..ma stamattina svegliandomi non ho trovato il tuo buongiorno…Mia dolce amica…tvb…! Mi manchi..!”

 

E Nino Ingrati: “Cara Silvana, abbiamo appena appreso la triste notizia, siamo rimasti senza parole……..per noi e’ stato un grande onore averti avuta come amica, sei stata e rimarrai sempre una persona dolce, buona, affettuosa e sempre disponibile in tutto”. Laura Rossi: “Come si fa a dimenticare un’ amica d’ infanzia? Il suo sorriso rimarrà sempre vivo in quanto la conobbero! Ciao Silvana, sicuramente ora sarai accanto al tuo amato Sasà”. Livia Tropea: “L’avevo ritrovata da poco tempo, in attesa d’incontrarci a Gioiosa, ma l’ho persa subito. Grande dolore!”. FpMmanagement Luigi Fontana: “Ciao Silvana, Ti ricordo con affetto e ti porto nel Cuore! il mondo dello spettacolo ha perso una Grande Professionista”. Anna Valentina Corvaglia: “È stato un brutto risveglio e pensare che dopodomani sarebbe stato il tuo compleanno. Tu ed i tuoi racconti su New York, i tuoi messaggi per sapere del mio bambino, e tutto il resto…mi mancherete”. Maria Ferraro‎: “Quanto affetto intorno a te….Quanto dolore per chi ti ha voluta bene e non riesce ad accettarlo! Cara Silvana ….. Il cielo ha una stella in più adesso!”. Annateresa Liparoti‎: “Nessuno muore sulla terra finché vive nel cuore di chi resta…. Il mio non è un addio ma un arrivederci, in attesa che un giorno ci incontreremo. Grazie per tutte le volte che mi hai dedicato del tuo tempo a darmi consigli, incoraggiarmi, confidarti, ridere, parlare… Grazie per il tuo sostegno in tutto. Porterò con me nel cuore e nella mente ogni tua singola parola scritta con tanta bontà, tanta umilità e voglia di trasmettere ottimismo. Mancherai , non vedrò più i tuoi commenti ad ogni mia foto, ogni singolo post ma so che da lassù mi dirai ancora la tua… R.I.P dolce anima, sono sicura che hai già riabbracciato tua mamma. Le mie condoglianze alla famiglia e tu Silvana veglia su di loro. Tvb, così come me lo scrivevi sempre tu”.

 

*già Caporedattore TGR Rai




USA. Gli oggetti volanti non identificati

Ne hanno avvistati  giorni fa  sul cielo dell’Arizona.Era da molto tempo che  non erano stati piu’ visti.I

cosiddetti oggetti volanti non identificati (OVNI) sono nella mente e nel cuore di almeno duecento milioni di americani.Sin da quando nel 1947un certo Kenneth Arnold giuro’ di avere visto un “piatto volante girare a velocita’ vorticosa” sopra la sua testa.Gli credettero in pochi,ma il governo di Washington avvio’ subito una inchiesta con l’intento di scoprire chi osasse sorvolare gli Stati Uniti.Ne furono avvistati altri  in altre zone dell’America.Una cosa e’ sicura,questi oggetti  volanti non identificati amano il bel tempo,mai avvistati su zone fredde, glaciali. Comunque Arnold era stato preceduto,pensate nel 1051, da un signor Keno Sheno,che giuro’ di averne visti tanti andare su e giu’ sopra la sua testa e poi scomparire a velocita’ incredibile.
Negli Stati Uniti man mano si creo’ un gruppo di increduli.Come poteva esistere  un essere con intelligenza superiore a quella degli americani? Niente,sono tutti sognatori   o bugiardi.commentavano.
Ma intanto l’Aviazione USA apri’ un blue book nel quale inseriva di volta in volta  gli avvistamenti di OVNI.   Parti’ dal presidente Carter la schiera dei first men americani che prima o poi hanno affermato di essere stati testimoni di avvistamenti di oggetti volanti non identificati.
Carter fu “sorpreso” mentre camminava per controllare la produzione di noccioline della sua famiglia.Bush era
a cavallo nel suo ranch del Texas.Per un soffio,ammise, non cadde da cavallo.E in casa nessuno gli credette.
Clinton fu beffeggiato da molti americani:con tutto quel liquore in corpo, Bill avrebbe potuto vedere un
angelo che cantava…
 Furono i fratelli Kennedy,John e Robert,a porre una affermazione chiara e forte sul soggetto.Erano sullo yacht di famiglia e videro per alcuni minuti quei “piattini come quelli che si usano per il caffe'” avvicinarsi a loro e poi risalire ed infine sparire nell’orizzonte “a una velocita’ che l’uomo non conosce” dissero.
Obama non ha mai visto un oggetto volante.Ha soltanto detto che Washington si sta interessando.Se lo dice lui…
Certo non e’ facile spiegare perche’ questi esseri spaziali si fermano sopra di noi dando la sensazione di “spiarci”. Vogliono forse scoprire chi siamo in realta’? Come viviamo?Oppure quanto indietro noi siamo rispetto al loro mondo?
C’e’ da sperare che prima o poi gli immensi telescopi che scrutano ogni giorno il cielo riusciranno  a decifrare
un loro messaggio illuminato  a un lato dell’oggetto volante :non e’ Air Japan,o TWA,Air France,O Alitalia…
Il messaggio invece sara’ chiaro:veniamo da lontano e vorremmo assaggiare una coca cola…
Benny Manocchia



USA. Anche nella “Casa Bianca” il nostro nettare

Tra le spese annuali della Casa Bianca, una spunta fuori come “un pugno nell’occhio”,secondo

 una rivista americana. Si riferisce al costo odierno per il consumo di vini.Nel 1960 era di 40 mila
 dollari.Oggi e’ di 300 mila.E qualcuno a Washington dubita che sia la somma esatta…
L’amore della Casa Bianca e dei suoi abitanti per il vino si rifa’ a Thomas Jefferson. Nel 1787 Jefferson ando’ in Italia per visitare e studiare una risaia.Si tratto’ di una breve sosta,in quanto Jefferson bevve una bottiglia del nostro vino eliminando con decisione la birra.
Quando divenne presidente.Jefferson ordino’ barili di vino dall’Italia e comincio’ a creare la
riserva del nettare nelle cantine della Casa Bianca.
Tutti gli altri,da Madison a Obama,fecero del vino la loro bevanda favorita.Nixon,per esempio,
beveva un bicchiere ogni due ore per “schiarirsi le idee””,diceva.Eisenhower,che aveva un cuoco
abruzzese,preferiva vini di casa nostra:Montepulciano rosso,Trebbiano,Cerasuolo.
Jacqueline Kennedy fece conoscere al suo John i vini italiani.Il presidente aveva una buona riserva nello yacht di famiglia e di solito diceva agli invitati:avete mai bevuto un vino come questo?
Il presidente Clinton era un bevitore amante di Chianti,Brunello e Barolo.Dicono che sua moglie
bevesse piu’ di lui. Per Obama si tratta di un amore nato quando il presidente aveva gia’ occupato



Jifna, la “vigna” assegnata Gemellaggio in Terra Santa della Caritas di Noto

 

È passata da poco la mezzanotte; dopo aver superato la dogana, stanchi ma contenti veniamo accolti all’aeroporto di Tel Aviv dal sorriso raggiante di padre Firas Aridah. Si presenta spiegando il significato del suo nome in arabo, vuol dire “piccolo leone ” e lo si capisce dal passo veloce e dalla determinazione con cui ci propone il programma della visita. Intanto dai finestrini della macchina, che ci porta in territorio palestinese, si apre a noi un paesaggio familiare: intravediamo vegetazione e sagome di rocce illuminate dalla luna che ricordano la nostra Sicilia.

 

La prima impressione, attribuibile ad una intuizione confusa dal buio, viene confermata in pieno la mattina seguente: colline ornate di ulivi, mandorli, noci e…viti circondati da muri a secco si definiscono meglio ai nostri occhi. Ci sentiamo a casa se non fosse che ci salutano con l’espressione “marhabba”; pur essendo un Paese del Mediterraneo non ci aspettavamo tanta somiglianza. Nel nostro primo viaggio che da Jifna porta a Ramallah cominciano però ad emergere nuovi aspetti.

 

Le case costruite con pietra locale hanno un’architettura squadrata e molto sobria, svettano a tratti i minareti con le cupole dorate, parte della popolazione indossa abiti tradizionali, intensi odori di spezie invadono l’aria. Al ritorno ci attende in parrocchia una tavola imbandita la signora Malak ha preparato per l’occasione involtini di foglie di vite con riso e carne e il “maclube”, un risotto di pollo e verdure. Alle 16.30 l’inno Ichmnà, che significa incontriamoci, seguito dal Padre nostro dà inizio alle attività del Summer Camp.

 

I ragazzi divisi per età in quattro gruppi indossano magliette di vari colori, i capi educatori si occupano alternativamente delle varie fasce d’età proponendo giochi, danze, attività manuali. È previsto nei giorni a seguire anche l’affitto a prezzi modici di una vicina piscina annessa ad un locale ricreativo per trascorrervi gran parte della giornata; il mare, distante diverse decine di chilometri, è un lusso per pochi.

 

La giovane suor Rita, dell’ordine del Santo Rosario, interviene in tutte le necessità, ma il regista è padre Firas – “abuna” in arabo – che con infaticabile energia oltre a svolgere il consueto lavoro per la parrocchia, amministra i beni del patriarcato latino di Gerusalemme e
trascorre parte del tempo in ufficio davanti al computer o al cellulare per mantenere contatti anche interreligiosi così non ci stupiamo se all’improvviso sparisce per una delle tante riunioni nel villaggio o in paesi distanti. Ha instaurato un ottimo rapporto di fiducia con i suoi ragazzi, si diverte e scherza ma soprattutto pianifica e verifica con gli animatori le fasi del campo, riserva momenti alla catechesi e nel frattempo scatta innumerevoli foto  da condividere sul web.

 

Tentiamo di imparare le espressioni arabe di base per comunicare il più possibile, ma le aspirate e le gutturali ci mettono in seria difficoltà, di certo più facile l’inglese che conoscono molto bene; decidiamo di non darci per vinti e troviamo tra le ragazze interpreti molto comprensive che imparano nello stesso tempo i corrispettivi termini italiani. La serata si conclude al Kindergarden, il giardino della scuola dell’infanzia, dove arrivano alcuni genitori, ci sono anche musulmani perché le classi sono frequentate dai loro figli.

 

Il momento ricreativo è gestito dai giovani che in una stanza hanno approntato un piccolo bar; grida gioiose di bimbi che giocano spensierati nell’area attrezzata si sovrappongono alle canzoni di ritmo arabo ponendo la parrocchia di s.Giuseppe, l’unica cattolica, come punto di sereno ritrovo per la popolazione di Jifna, circa 2000 anime, 850 cristiani tra cui ortodossi, il resto musulmani.
L’incontro con padre Raed, direttore della Caritas di Gerusalemme, ci allarga la visione della situazione dei cristiani in Terra Santa e della popolazione palestinese in genere. E’ molto difficile soprattutto nelle striscia di Gaza – “il più grande carcere del mondo” lo definisce – dove gli operatori sono molto attivi nel sostenere i bambini malnutriti o con problemi di salute attraverso un presidio sanitario. Con grande gioia ci mostra la foto con il direttore della Bank of Palestine che ha donato alla Caritas di Gerusalemme un ambulatorio mobile per Gaza.
Non è facile ripartire da un luogo così unico; tuttavia sappiamo di aver instaurato un legame di fraternità importante, ci sentiamo insieme operai di una vigna dal terreno difficile da arare, ma che può dare ancora innumerevoli frutti perché i tralci si impegnano a rimanere saldamente attaccati alla Vite.

Maria Grazia Modica
Giorgio Abate

 




Villa Santa Maria regala sapore a Casa Abruzzo


La Patria dei Cuochi arriva a Milano, in zona Brera, tra piatti della tradizione e banchi d’assaggi.

Un serata che ha segnato un traguardo fondamentale per la fama del paese abruzzese, portando vivacità

e entusiasmo nello spazio che la regione ha riservato per il Fuori Expo

 

Le foto di Dario Raimondi Chef di Villa e Sindaco Finamore
Le foto di Dario Raimondi
Chef di Villa e Sindaco Finamore

 

Milano, 11 luglio 2015 – Il caldo e l’afa milanese non hanno impedito a Villa Santa Maria, il paese abruzzese in provincia di Chieti, riconosciuto come la Patria dei Cuochi, di consolidare il suo successo in Casa Abruzzo, lo spazio che la regione gestisce per il Fuori Expo.

Una delegazione di chef capitanati dal sindaco del paese Giuseppe Finamore, ha accolto ospiti e giornalisti nella giornata di sabato 11 luglio, facendo conoscere molte delle specialità del territorio, confermando così la loro alta professionalità gastronomica.

Nel tardo pomeriggio si è tenuta anche una conferenza dal tema Villa Santa Maria nascosta… Scoprila con i 5 sensi (www.villanascosta.it). Al tavolo dei relatori, oltre al sindaco Finamore che ha illustrato i nuovi progetti messi in atto nel paese abruzzese per dare maggiori offerte al turismo, anche due docenti e scrittori, colonne portanti del prestigioso Istituto Alberghiero Giovanni Marchitelli, vanto della comunità e fiore all’occhiello della regione, il professor Nicola Tantimonaco e il professor Antonio Di Lello. A loro l’onore e il merito di importanti pubblicazioni che narrano la storie e le vicende di illustri chef villesi e la vita di San Francesco Caracciolo, santo venerato dalla comunità e Patrono dei cuochi d’Italia.

Il dibattito sulla pubblicazione Villa Santa Maria: storie e memorie dei grandi maestri della ristorazione (Editore Rocco Carabbo – Lanciano, Chieti) di Nicola Tantimonaco, e sui due titoli di Antonio Di Lello La cucina dei luoghi di San Francesco Caracciolo. Patrono dei cuochi d’Italia (Editore Tabula Fati – Chieti) e Vita e Miracoli del Beato Francesco Caracciolo di Agostino Cancelli, traduzione e commenti a cura di Antonio Di Lello (Editore Tabula Fati – Ch), ha riscontrato grande interesse da parte dei giornalisti di settore, andando così a posizionare un tassello fondamentale nel capoluogo lombardo sulla secolare tradizione culinaria di Villa Santa Maria. Durante la serata è stata presentata anche una start-up, sempre legata al paese abruzzese guidata dalla dott.ssa Assunta Pasquini: www.abruzzoin.eu: un portale di promozione turistica con proposte incoming in diverse lingue (russo, tedesco e inglese) per tutti i viaggiatori che vogliono esplorare questo territorio. Per le degustazioni e gli assaggi della serata, oltre alle Pallotte cace e ove, Li Cellucci e la Pizzelle, piatti tipici della tradizione preparati dagli chef di Villa Santa Maria, anche i vini della Cantina Tollo, i prodotti di Occhionero e Manes, i Liquori Francesco Iannamico e i formaggi Di Francesco.

 

Per informazioni:

Villa Santa Maria (Ch)

Tel. 0872.944416

www.villasantamaria.eu

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Relatori, Le foto di Dario Raimondi
Relatori, Le foto di Dario Raimondi

VILLA SANTA MARIA NASCOSTA…SCOPRILA CON I 5 SENSI

 

Obiettivo generale ed obiettivi specifici del progetto

 

Sono stati realizzati:

 

-Una specifica segnaletica all’interno del centro storico del Comune di Villa Santa Maria idonea a individuare i palazzi, chiese, le case dei grandi chef, le emergenze ambientali (fiume, parete di arrampicata, pista ciclabile, parco ginnico all’aperto, lago, ecc.).

 

-Una specifica segnaletica che individua le case di grandi ed illustri chef (biografia e curiosità) che con la loro abilità hanno dato lustro in tutto il mondo al nome di “Villa Santa Maria Patria dei Cuochi”.

 

-E’ stato realizzato un portale web dinamico e interattivo che possa fungere oltre che da strumento per attingere informazioni, anche come supporto alla promozione e commercializzazione di pacchetti turistici (www.villanascosta.it).

 

-E’ stato arredato un parco salute in un’area verde da rivalutare.

 

-Sui pannelli informativi sono state apposte delle QR code che riportano al sito per approfondimenti e curiosità.

 

 

Il progetto si è articolato in diverse fasi:

 

  1. Ricerca storica/culturale e notizie di carattere ambientale;
  2. Specifica ricerca sulla gastronomia, prodotti tipici, biografia chef e ricette per               ogni tema si consulteranno testi specifici, interviste, ecc.);
  3. Stesura di testi, mappe, book fotografico;
  4. Montaggio  audio guide;
  5. Realizzazione sito web;
  6. Realizzazione pannelli informativi;
  7. Arredo parco sportivo all’aperto;
  8. Realizzazione itinerari turistici.

 

Valutazione dell’impatto del progetto

Il progetto darà la possibilità di aumentare il flusso dei turisti, anche dei mercati esteri tanto da permettere alle attività ricettive o di servizi turistici di aumentare presenze e visibilità.

 

Contenuto innovativo del progetto proposto

Negli ultimi quindici anni la domanda turistica ha subito importanti cambiamenti, in termini di modalità e motivazioni di viaggio. Le tendenze in atto sono:

 

1) una crescita della ricerca della personalizzazione dell’esperienza, che fa sì che la vacanza non sia più intesa solo come relax ma anche come possibilità di scoperta e arricchimento personale

2) una crescita della sensibilità verso l’ambiente e il contatto con la natura

3) la ricerca di interazione con gli altri (residenti e non)

4) la tendenza a mescolare diversi tipi di prodotto nel corso della vacanza




Tornano in Europa i vecchi muri della vergogna; oggi servono per fermare i migranti.

 

La storia si ripete ed il richiamo  ai corsi e ricorsi storici di Giambattista Vico in questo caso è più mai che pertinente. Dopo l’abbattimento dei i vecchi muri “della vergogna”, primo fra tutti quello di Berlino il 09.11.1989, che suggellò la definitiva caduta del comunismo e restituiva ai berlinesi la  libertà e il diritto di circolare e di ricongiungersi con i propri famigliari, l’Europa torna a sperimentare barriere ed aree d’isolamento questa volta destinate e fermare i migranti, dalla Manica all’Ungheria, ricorrendo a strutture metalliche o pianificando veri e propri argini murari. Ci ha lasciati molto perplessi il fatto che il Parlamento ungherese abbia deciso  di costruire un muro alto ben 4 metri e lungo ben 175 chilometri alla  frontiera con la Serbia per impedire l’ingresso nel Paese dei migranti; il muro sarà pattugliato notte e giorno dai soldati ungheresi; la notizia è stata diffusa  nello stesso momento in cui è scoppiata una violenta reazione, l’ennesima per la cronaca, che ha creato ore di caos e lutti a Calais presso l’ingresso dell’Eurotunnel franco-britannico, dove un migrante è morto in circostanze poco chiare durante l’ennesimo disperato tentativo di attraversarlo clandestinamente. In questa che può essere considerata una vera e propria  strettoia di transito, facilmente controllabile, le autorità francesi e britanniche hanno deciso lo scorso settembre di erigere ugualmente nuove barriere dal valore tristemente simbolico. Il dramma di Calais si trascina ormai da tante, troppe settimane con proteste e violente agitazioni quotidiane e con incursioni disperate nell’area costiera del capoluogo settentrionale francese, dove la Manica è osservata quotidianamente con un sospiro dalle circa tremila anime ammassate nella “giungla”; termine coniato per identificare la moltitudine di accampamenti di fortuna popolati da migranti e profughi d’origine soprattutto africana (eritrei, etiopi, sudanesi, egiziani) e asiatica (siriani e afgani), esposti all’insicurezza e spesso privi finanche di facili accessi all’acqua; il problema sembra ancora lontano  da una soluzione; lo stesso dicasi per i migranti che da oltre un mese vivono sugli scogli nei pressi di Ventimiglia ed ai quali la gendarmeria francese impedisce l’ingresso in Francia. Nella notte fra venerdì e sabato scorso, circa 150 migranti della “giungla” hanno tentato d’irrompere a più riprese in una sezione del tunnel; sono scattati subito i blitz e le reazioni per bloccarli, con ricadute anche sulla circolazione di treni ed auto. Per prevenire nuove incursioni, un accordo franco-britannico siglato a settembre prevede di rafforzare le recinzioni esistenti nell’area portuale e di costruire una nuova barriera lungo la principale strada d’accesso.  Una logica simile ha spinto, come dicevamo, una maggioranza di 151 parlamentari ungheresi (contro 41 contrari) ad approvare il progetto del nuovo muro alla frontiera con la Serbia, giustificato in questi termini da Sandor Pinter, ministro dell’Interno nel governo del premier conservatore Viktor Orban: “L’Ungheria deve affrontare la più grande ondata di migranti della sua storia. La sua capacità di accoglienza è superata del 130%.  In proposito, secondo una stima ufficiale, il Paese è stato raggiunto quest’anno da 67mila migranti e rifugiati. Inoltre, nel quadro di una più ampia revisione delle regole interne sull’immigrazione, l’Ungheria ha varato ulteriori misure restrittive sul diritto d’asilo”. Una decisone criticata subito dall’Onu ma che non ha prodotto alcun tipo di ripensamento e di risultato. L’impressione è che tanto l’Unione Europea quanto l’ONU sulla questione dei migranti siano ormai entrati nel pallone; la mancanza di una strategia unitaria, l’ostruzionismo di molti paesi europei più propensi ai respingimenti che all’accoglienza impediscono all’Europa di raggiungere sul piano politico una intesa per affrontare con razionalità ma soprattutto con spirito umanitario un esodo biblico dettato da una pluralità di ragioni molte delle quali  condivisibili e meritevoli di accoglimento ed altre che richiederebbero verifiche più severe per identificare i militanti dell’isis che giungono in Europa in incognito con i barconi dei migranti; per identificare coloro che si fingono migranti ma solo per sottrarsi alla giustizia  nei paesi d’origine; per fermare la delinquenza  organizzata come quella albanese che riesce a piazzare in tutta Europa incredibili quantità di droghe ed altro. Gli sbarchi ed i morti intanto non si fermano, sempre ieri, nell’Egeo, fra le isole greche di Farmakonisi e Agathonisi, e di Creta non lontano dalla costa turca, sono scattate le drammatiche operazioni per soccorrere in mare decine di migranti che occupavano due diversi  natanti naufragati; secondo l’OIM ( Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) la quasi totalità degli sbarchi in Italia viene dalla Libia, mentre siriani e afghani puntano sulla Grecia partendo dalla Turchia ed hanno trasformato le isole greche ed in particolare l’isola di Lesbo in una “ nuova Lampedusa”. Alla metà di giugno secondo le stime dell’ UNHCR, un totale di 103 mila persone sono sbarcate in Europa: 54 mila in Italia, 48 mila in Grecia, 920 in Spagna, e 91 a Malta. Il fenomeno è serio e complesso ma non si risolve sparando sui barconi , l’Europa ha varato il Piano Frontex si tratta di modificarlo ed integrarlo in modo da trasformare una azione di sorveglianza e di monitoraggio in una azione finalizzata ad assistere e soccorrere in mare quanti per le più diverse ragioni desiderano venire in Europa, fermo restando che la regolamentazione dei flussi in arrivo e la loro redistribuzione nelle diverse Nazioni europee dei deve essere negoziata con l’Unione Europea e con i Paesi  dai quali provengono i migranti; è in quelle Nazioni che l’Europa, l’ONU e gli altri Organismi Internazionali devono lavorare con più determinazione sul piano diplomatico, della  cooperazione e della solidarietà internazionale per creare le condizioni necessarie che convincano i migranti a restare nelle terre natie; vanno create strutture abitative, sanitarie, scuole, scuole di formazione, aziende agricole, imprese, strutture ed infrastrutture e quant’altro si renda necessario per il conseguimento del predetto obiettivo; l’appello va rivolto  agli Stati desiderosi di investire ed agli imprenditori coraggiosi ed illuminati pronti a sponsorizzare un grande progetto umanitario che certamente consentirà il raggiungimento di  obiettivi etici ed economici di grande rilevanza; la Comunità Internazionale, le Nazioni devono farsi carico di incentivare e sostenere questo Progetto. La Federazione Italiana Lavoratori Emigranti si attiverà per sostenere, grazie anche alla collaborazione con il .quotidiano internazionale on line “ Il Corriere di Puglia e Lucania, questo progetto presso tutte  le Nazioni Europee per verificarne la disponibilità in concreto. Abbiamo  ascoltato tante, veramente tante testimonianze dalle quali è emerso un  dato veramente sconvolgente, la stragrande maggioranza dei migranti lasciano in lacrime la loro terra ed affermano che se ci fossero le condizioni resterebbero nei luoghi natii.

Bari, 10 luglio 2015

 

 

Giacomo Marcario

Presidente della Federazione Italiana Lavoratori Emigranti

 




USA. A New York, Giulianova-Vasto a colpi di pesce…

Abruzzesi,certo,stesso passato,stesso carattere (piu’ o meno),stessi interessi

culturali,stesse tradizioni,insomma abruzzesi. E come tali sempre pronti alle sfide,
alle gare che sfiancano,al gusto della ricerca di chi e’ “piu’ bravo”. Nella “Grande
Mela”, quella pazza isola che chiamano New York,e’ scoppiata la “sfida del
secolo”. Niente paura:non ci saranno morti ne’ feriti ma soltanto uso abbondante di
pesce,di sughi,di vini nostrani. I cuochi di Vasto hanno lanciato una sfida ai cuochi
di Giulianova.Il guanto della sfida e’ stato lanciato sul piatto del “vrudette”,quel brodetto di
pesce che ha immortalato negli anni Giulianova e Vasto come i campioni del mondo di questo piatto squisito.
Non hanno ancora deciso se sara’ uno scontro pubblico,cioe’ in ampi saloni con migliaia di spettatori,oppure in privato,i cuochi e gli esperti.
Le ricette per ora tenute strette nel petto degli uomini in camice bianco sporco di sugo.Le nostre spie sono riuscite  a carpire pochi segreti.Pare che i vastesi punteranno tutto su calamari,scorfani,canocchie e gamberi.E i giuliesi?
Pare che sono pronti a immergere nel brodetto merluzzi,triglie,sogliole e…
La battaglia sara’ innaffiata con vino di casa nostra.Gli invitati,se ci saranno,
dovranno essere per la maggior parte italiani,anzi abruzzesi,perche’ il brodetto di pesce agli americani piace quanto a noi piace la rana lessa…
Chissa’ come prenderanno questa notizia i cuochi vastesi e giuliesi che vivono in Abruzzo.
Benny Manocchia

 




USA. Caro Sindaco, noi giuliesi in America cerchiamo di seguire sempre le notizie

 

che interessano il nostro paese. Ricordo che il mio primo sindaco a Giglie fu il maestro Grue,mio insegnante della terza elementare che noi chiamavamo amorevolmente “acciaccasigari”.
Negli anni cominciai a collaborare con le testate nazionali di Roma e cosi’ fui costretto a rivolgergli delle domande in merito ai problemi di Giulianova.
Fu sempre cortese anche se spesso mi rispondeva tirandomi  con affetto le orecchie..Oggi,signor Sindaco,spero che lei rispondera’a un paio di domande che interessano me e tanti altri della nostra citta’ che vivono in USA.
Non ci importa la questione politica,francamente,piuttosto vorremmo sapere come e’ oggi la situazione di Giulianova in generale.Quali sono i principali problemi che la tengono occupata ed infine che futuro prevede per la nostra stupenda citta’.
Grazie e  buon lavoro.
Benny Manocchia
new york



Dino Abbascià, imprenditore e benefattore di Franco Presicci

 

Lo hanno definito in tanti modi: “Il fruttivendolo d’oro”, “Il re della frutta”, “Il leone di Bisceglie”, “Il leader dell’ortofrutta”, “Il cavaliere con il nome da sultano”.
Già nel ’70 Massimo Alberini, gastronomo ed esperto di circo e collezionismo, su un quotidiano nazionale sintetizzò il profilo di Dino Abbascià, presentandolo per quello che era: un imprenditore geniale, che tra l’altro per primo aveva portato sulle nostre tavole kiwi, papaia, mango… Dino, che amava scherzare, sosteneva di non sapere come si mangiassero, ma di essere contento nel vedere i contenitori svuotarsi in un baleno. E questo contava per lui. Alberini, giornalista severo, schivo, autorevole, colto, era rimasto colpito da quel giovanotto intraprendente e determinato.
Brillante, dalle idee nuove e chiare, che all’occorrenza esponeva con sapienza, mai con l’aria del professore che sta in cattedra. In televisione, dove lo invitavano per chiedergli, per esempio, perché il prezzo delle ciliegie galoppava, e nei dibattiti pubblici, la sua logica non faceva una piega.

 

Ascoltarlo era un piacere. Sincero e immediato, non mancava di rimarcare, fra “tutti quei professori”, al Circolo della Stampa (era anche giornalista) o altrove, non solo a Milano, che il suo linguaggio era quello della scuola dell’obbligo. Anche se conosceva bene l’uso del congiuntivo e il valore delle parole.
Dino Abbascià non si schermiva quando gli si chiedeva di raccontare la sua storia. La storia di un ragazzo del Sud che da garzone aveva fatto una lunga strada, conquistando il successo fra mille sacrifici.

 

Cominciava dal giorno in cui, sceso dal treno in quell’enorme ventre di balena, che è la stazione Centrale di Milano, si sentì disorientato, sbalordito davanti ai palazzi tesi a toccare il cielo, mentre al suo paese non superavano i due piani e le persone non correvano come fossero in ritardo ad un appuntamento. Aveva appena 13 anni; era il 10 luglio del ‘55. Ebbe la tentazione di tornare indietro, ma la respinse, pensando che rimettere il piede sul predellino sarebbe stata una sconfitta.

Con il passare dei giorni le difficoltà si avvicendavano;  sfiduciato, scrisse alla madre, pregandola di cercargli uno spazio nell’ospedale di don Pasquale Uva, nella sua Bisceglie. Ma una voce di dentro lo esortava: “Non è da te, Dino”. E trovava la forza per riprovare. Tenace, intelligente, coraggioso. Anche sfacciato.
Andai a trovarlo una mattina – il 15 dicembre del 2005 – in via Toffetti, nella sede della sua ditta, e il fratello Donato, mentre controllava lo smistamento di centinaia di casse di frutta e verdura, m’indicò la plancia. Dino era al telefono, ma dopo due minuti mise giù la cornetta. Ci conoscevamo da tempo, ma ancora prima di incontrarlo la prima volta sapevo già molto di lui. Era ormai famoso e rispettato, quel che si dice un pezzo grosso, con incarichi di grande prestigio (presidenze e vicepresidenze anche a livello nazionale) in vari organismi, tra cui la Confcommercio e l’Associazione Regionale Pugliesi di Milano.

 

“Allora, Dino, partiamo dal tuo approdo nella città del Porta?”. E lui sfogliò la sua biografia, senza enfasi e senza modestia. “Per i primi tre mesi feci il garzone in un negozio di frutta e verdura in via Pacini, avendo solo vitto e alloggio e libertà dalle 13 alle 19 la domenica. I soldi li intascavo la sera vendendo gelati nel cinema dirimpetto. Ai mercati generali, all’epoca in via Cadore, andavo con il triciclo, e rientravo a casa zuppo per l’acqua colata dalla catalogna trasportata in spalla”.
Le consegne ai signori le faceva in bicicletta; e rimaneva incantato davanti ai cortili interni ricchi di architetture floreali, archi, fontane, statue…. Aveva molti amici, fra i garzoni. Si davano convegno alla Centrale e in piazza San Marco scalciavano il pallone per tre o quattro ore, se non doveva portare a spasso al Campo Giuriati il bambino del principale. E tra una partita e la vendita di un sorbetto, pensava a come fare il salto.
Il titolare lo spediva in via Montenapoleone ad acquistare fuori stagione tre pesche per una donna incinta nel famoso negozio ortofrutticolo di Moretti, per lo scrittore Alberto Vigevani “il Toscanini delle primizie”, e lui osservava le ciliegie esposte in cofanetti come fossero d’oro, vagheggiando progetti. “Ero uno sbarbatello e le clienti mi chiamavano sciur”. I più assidui mi dicevano: “Dino, el me daga un poeu de dote”, gli ingredienti per il minestrone.
Era un peperoncino piccante, Dino. Tra i banchi disposti all’esterno gorgheggiava la bontà della merce per incrementare gli acquisti; e gli altri ragazzi dovevano pagargli l’aperitivo perché vendevano molto meno di lui. A 16 anni, il salto: direttore del negozio. Nel ’69 sposò Maria Teresa, archivista romana dolce e molto bella, rilevò l’esercizio di via Porta Nuova, di fronte al Fatebenefratelli, facendone la “boutique della frutta”; a Donato aggiunse gli altri fratelli, fece venire su anche i genitori. Sapeva già tutto di marketing, mercati internazionali, leggi sanitarie, sindacali…
Era il nuovo Moretti, ma voleva allungare il passo. Aveva modellato un’azienda d’avanguardia che approvvigionava come oggi centinaia di ristoranti e alberghi, e continuava ad espandersi. Era “un eccezionale fornitore di qualità”, come ha scritto il professor Francesco Lenoci, l’amico che adesso lo vede Cavaliere del Lavoro anche in cielo.

 

Uno stakanovista, sempre in azione alle 4 del mattino. E un filantropo. Se qualcuno gli chiedeva una mano, gliela dava. Ha tra l’altro costruito una scuola a Marafik, in Kenia, impegnandosi a stipendiare due maestre.
Amava la sua terra. Ma anche Milano, “che un tempo aveva un altro volto”: il Naviglio Martesana in via Melchiorre Gioia era scoperto, con i topi grossi come conigli che guizzavano sulle sue sponde; scoperto l’Olona, famoso anche per le tute blu che uno della banda di via Osoppo gettò nelle sue acque, facendo sbloccare le indagini sulla clamorosa rapina. Ai margini di via Lorenteggio c’erano le “coree” e in via Primaticcio le case minime. I suoi ricordi andavano spesso a quella Milano, anche perché era la città delle sue prime fatiche in via Pacini.
Dino Abbascià, un uomo con virtù umane inestimabili, che nonostante la vita professionale luminosa si dichiarava “fruttivendolo”, se n’è andato a 73 anni, a pochi giorni dal traguardo dei sessant’anni a Milano. Le sue ultime parole all’Associazione Regionale Pugliesi di Milano: “Andiamo avanti, non molliamo”. Incalzato da colei che non perdona, non mollava lo stile con cui era cresciuto anche come imprenditore e benefattore.