Argentina. INCONTRO DI FINE ANNO, A BUENOS AIRES, CON AUTORITA’ ABRUZZESI E LOCALI

 

 

BUENOS AIRES – Domenica 23 novembre 2014, nella sede dell’Associazione Abruzzese “Villa San Vincenzo di Guardiagrele” in San Martin (Buenos Aires), si è tenuta la festa di fine anno con una grande partecipazione di soci, presenti per salutare l’anno tutti uniti e per visitare l’esposizione  di libri e e pubblicazioni per la promozione turistica della nostra cara regione Abruzzo. Erano presenti il presidente del GAL Abruzzo e sindaco di Torricella Peligna, Tiziano Teti, il presidente del GAL Terre Pescaresi, Domenico Francomano, il direttore della Biblioteca provinciale di Teramo, Prof. Luigi Ponziani, il consigliere del Comune di Pollutri, Nicola Di Carlo, e il dr. Giorgio Chiarini, dirigente del Settore Emigrazione e Agricoltura della Regione Abruzzo. Oltre 150 persone erano presenti alla riunione, nel corso della quale il Prof. Ponziani ha presentato il “Libro della mia vita” di Donato Cicchitti, e i rappresentanti dei GAL abruzzesi hanno illustrato le caratteristiche degli “Itinerari dei gusti” della provincia di Chieti.

 

Da parte argentina il benvenuto ai convenuti è stato dato dal presidente dell’Associazione Elio Garzarella e dal sindaco di San Martin, dr. Gabriel Katopodis. Si mette in evidenza anche la presenza del Console Italiano in Buenos Aires, dr. Giuseppe Giacalone, della Presidente del COMITES di Buenos Aires, Graciela Laino e dei Consiglieri argentini nel CRAM Abruzzo, dr. Natalia Turanzas Marcos, Ing. Joaquin Negri e dr. Federico Mandl. A conclusione dell’incontro, oltre a salutare l’anno con un brindisi, è stato ribadito l’impegno a far conoscere in Argentina la qualità delle attrazioni turistiche abruzzesi e di promuoverle in tutto il Paese, in modo che sempre più Argentini possano conoscere il giardino verde d’Europa, le sue valenze turistiche e la bontà dei prodotti gastronomici abruzzesi, operando al meglio per sviluppare sempre più le relazioni tra Argentina ed Abruzzo.

 




USA. Le 100 candeline di nonno Antonio nella grande festa per il 75° anniversario dell’Orsogna Mutual Aid Society di New York

 

 

di Domenico Logozzo *

 

 

Nonno Antonio Tenaglia taglia il traguardo  dei 100 anni nel giorno in cui a New York si festeggia il 75° anniversario della fondazione dell’Orsogna Mutual Aid Society. E nella sala “Ricardo’s By The Bridge” di Astoria, diventata per una sera “Casa Orsogna”, tutti in coro gli augurano “Buon compleanno”. Un augurio speciale che arriva anche da uno dei più vecchi cori del mondo, quello della “Figlia di Jorio” di Orsogna, E’ una serata speciale. Tra i presenti c’è anche Mario Tenaglia, nipote di Giuditta Saraceni, la diciannovenne contadina scelta come modella da Francesco Paolo Michetti per il capolavoro  “La Figlia di Jorio”. Si è così concluso con una stupenda festa di balli ,canti e suoni dell’Abruzzo il tour americano di due settimane del coro orsognese. Un successo straordinario. Tanto entusiasmo ed anche importanti riflessioni sul ruolo che gli orsognesi hanno avuto oltre Oceano. Il sindaco Fabrizio Montepara, parlando con i compaesani, ha riconosciuto  l’importanza di mantenere  salde le radici ed ha  rivolto un “grato riconoscimento agli emigranti di Orsogna” sottolineando che “è il paese italiano   con più emigranti”. E per questo ha annunciato il progetto di “formare un comitato per realizzare un Museo dell’Emigrazione ad Orsogna”. Per non dimenticare i grandi sacrifici di chi è partito agli inizi del Novecento e nel dopoguerra, per onorare la memoria di chi ci ha anche rimesso la vita per dare un futuro migliore alle nuove generazioni e per ricordare la genialità, l’intraprendenza ed i successi della gente d’Orsogna fuori dall’Abruzzo e dall’Italia.

 

Autorevoli apprezzamenti sono arrivati alla comunità italiana in festa non solo per il 75° anniversario dell’Orsogna Mutual Aid Society, ma anche per il 55° anniversario dell’Athletic Club New Orsogna.  “Orgoglioso italo-americano, apprezzo tutte le occasioni che celebrano l’eredità e la storia del nostro paese d’origine”, ha scritto il Governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo. Con grande emozione la studiosa Maria Fosco, il motore del Grande Abruzzo culturale negli Usa, ha letto il messaggio del governatore durante la cena al New Orsogna Athletic Club. La professoressa Fosco, laureata in Scienze politiche e in Storia dell’Arte, ha avuto un ruolo rilevante nella mancata soppressione dell’Istituto Italo-americano John D. Calandra, ed è tra i fondatori dell’Italian American Museum, dove ricopre l’incarico di vice presidente. E’ una donna di cultura molto nota negli Usa, profondamente legata alle radici orsognesi, che ci onora oltre Oceano. Ama la sua terra e la fa amare in America. Ma ritorniamo alla lettera di Cuomo. “Cari amici – ha scritto il Governatore Cuomo – è con grande piacere che mando i miei saluti a tutti coloro che si sono riuniti per ascoltare l’esibizione speciale del gruppo folkloristico “La figlia di Jorio”, mentre visitano la zona di New York durante il loro tour degli Stati Uniti. La forza dello Stato di New York è la sua popolazione di diverse culture e nazionalità, compresi gli italiani”. Cuomo ha esaltato le sue origini, riconoscendo il contributo storico dato dalla presenza positiva degli orsognesi emigrati negli Stati Uniti. Elogio agli alti valori culturali: “Quelli che provengono dalla piccola città di Orsogna, in Abruzzo, condividono un amore per la cultura, e gli abitanti di New York sono contenti di unirsi a loro nel dare il benvenuto al sindaco Fabrizio Montepara ed ai membri de “la Figlia di Jorio” nel nostro Stato”.

 

Riconoscimento autorevole e legame da tenere sempre stretto tra le varie generazioni: “La performance speciale non solo sottolinea la bellezza della tradizione musicale italiana, ma presenta anche un apprezzamento per le nostre origini che causa un forte collegamento tra generazioni”. Un evento di portata storica, come in più circostanze ha ribadito la professoressa Maria Fosco, che si è molto spesa con il presidente dell’ Orsogna Mutual Aid Society per la buona riuscita della manifestazione. E questo l’ha rilevato anche Cuomo che, nel fare i migliori auguri per il successo dell’evento, ha concluso: “Mi congratulo con il comitato che ha reso possibile la visita e sa che è causa di bellissimi ricordi per la vostra comunità, per molti anni a venire”. Orsogna si fa valere. Ricordiamo che il Congresso degli Stati Uniti ha conferito un attestato speciale all’Orsogna Mutual Aid Society. Il nome del piccolo centro chietino entra così negli archivi storici del Congresso americano.

 

Lo storico Coro La Figlia di Jorio  di Orsogna, diretto da Mario Tenaglia, era  arrivato negli Stati Uniti il 21 novembre scorso ed aveva iniziato il tour di due settimane esibendosi con gli emigranti dell’associazione Sons of Orsogna di Everett, località vicina a Boston. Poi il trasferimento nell’area di New York. Sabato 29 novembre  l’Orsogna Mutual Aid Society ha dato inizio alle feste con una bellissima cena. Tanta allegria. Tanta gioia. La gioia di stare insieme, di gustare la buona cucina e di cantare tutti  le canzoni della bella terra d’origine. Il canto unisce. Raggiante l’emigrante ultraottantenne Filomena Fosco, madre della professoressa Maria.Negli anni Cinquanta ballava e cantava con il marito Antonio nel Coro di Orsogna. E dopo il trasferimento negli Stati Uniti non ha smesso di partecipare con il marito alle manifestazioni del Coro orsognese d’America. Coinvolte nella grande passione anche le figlie. Dopo la prematura scomparsa del marito, avvenuta  nel 1984, Filomena  ha continuato a  seguire l’attività dell’associazione e del  coro.

 

Domenica 30 novembre è stata la giornata clou per il Coro “La figlia di Jorio” .Ha eseguito  antichi canti liturgici durante la celebrazione della Messa in italiano nell’affollata  Chiesa di San Francesco d’Assisi di Astoria. Rocco Pace, presidente del New Orsogna Club e Tony Ferrari, presidente dell’ Orsogna Mutual Aid Society”, hanno ringraziato “gli  orsognesi di Astoria, Monsignor Ralph J. Maresca, Padre Ramon Frias, OFM Cap., John Ketcham e l’intera comunità della Chiesa di St. Francis of Assisi per aver ospitato il gruppo corale”. In serata, con il costume della tradizione, il gruppo orsognese ha riempito di musiche, canti e balli davvero coinvolgenti la sala “Ricardo’s By The Bridge” di Astoria. “Che festa indimenticabile”, è stato il commento unanime alla fine della serata condotta da Anita Del Greco e da Maria Fosco. Il padre della professoressa, Antonio, nel 1980, aveva organizzato con successo la trasferta in America del coro orsognese. Dopo 34 anni è stata lei una delle animatrici del fortunato ritorno. Con Anita Del Greco ha presentato i vari ospiti della serata. Dal presidente dell’Associazione “La Figlia di Jorio”  Gino Di Ciero a Ed Babar, in rappresentanza di Carolyn Malony, deputato al Congresso USA; da Giuseppe Di Pietro, Presidente della Federazione Italo-Americana di Queens al sindaco di Orsogna Fabrizio Montepara. Hanno preso la parola anche i presidenti Rocco Pace e Tony Ferrari, nonché il direttore del Coro, l’avv. Tenaglia. Tutti concordi nel sottolineare l’importante ruolo degli emigranti nello sviluppo degli Stati Uniti e la necessità di mantenere in vita le belle tradizioni del passato ,un tesoro culturale e sociale da tramandare alle future generazioni.

 

*già Caporedattore del Tgr Rai

 

(foto Maria Fosco)

 




Comunicare l’Italia all’estero. ‘L’Italia fuori di sé’ dica la sua

 

di Letizia Airos
Direttore Network editoriale i-Italy
www.i-Italy.org

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NEW YORK – Comincio dai numeri. Non amo farlo di solito, penso che spesso i numeri nascondano le vere storie. Ma in questo caso mi occorrono i dati. Proprio per parlare di quello che accade.

  • 17.250.000: Questo  è il numero delle persone che, nel censimento del 2010, si sono dichiarate italo-americane. Il sesto più grande gruppo etnico in America, pari a circa il 5,9% della popolazione totale del Paese:
  • 23.000.000: Questo è il numero dei cittadini americani con una qualche discendenza italiana, secondo diverse stime riportate riportate da importanti associazioni italo-americane.
  • 223.429: Questo è il numero degli italiani che, secondo la rilevazione del 2012, vivono negli USA e sono iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), un’iscrizione peraltro obbligatoria secondo la legge. Hanno la cittadinanza italiana o la doppia cittadinanza.

 

Vi prego di tenerli in mente questi numeri, mentre vado avanti con quanto voglio dire.

 

 

Per chi dobbiamo scrivere, e in che lingua?

 

La scorsa settimana, durante un incontro pubblico  con una delegazione di parlamentari italiani – con la vice-presidente della Camera Marina Sereni, il senatore Claudio Zin e l’onorevole Lia Quartapelle – una mia domanda ha sollecitato una piccola discussione. Lo spunto era la riforma dell’editoria, in particolare il sostegno alla stampa italiana all’estero, che è in fase di ridefinizione.
Una buona notizia: dopo decenni di contributi concessi (e non stiamo qui a discutere i criteri) solo alle testate che escono in carta, sembra che all’orizzonte si profili finalmente un aggiornamento normativo che includerà anche l’informazione on line. “Apriti cielo!” direte voi. Siamo d’accordo. Non è mai troppo tardi.
Ma il punto della discussione, da me provocata in quell’incontro, non era questo. Io avevo chiesto se sono previsti sostegni anche per la stampa italiana in lingua inglese (o in generale del paese di destinazione).  E mi è stato risposto da Claudio Zin che l’aiuto è rivolto solo agli italiani all’estero e che questi parlano italiano. A questo senatore a vorrei dire alcune cose, usandolo – se mi è permesso – come tramite per raggiungere altri. Incluso questo Governo che fa del cambiamento la propria bandiera. Ma per questo non bastano le visite alle startup della Silicon Valley e le solite parole su cervelli fuggiti.

 

Italiani in Italia – politici, imprenditori, giornalisti – avete mai pensato di far realizzare un identikit di chi, provenendo dal nostro paese, vive oltre oceano ormai anche da diverse generazioni? Vi siete mica accorti che qualcosa è cambiato da qualche decennio? Che ad esempio questi milioni e milioni di persone non parlano più italiano, eppure mantengono un legame affettivo fortissimo, un interesse culturale, una “predilezione di spesa” diciamo, per tutto ciò che è italiano? Parlo dagli Stati Uniti certo, per quello che so io dopo 20 anni che ci vivo, ma penso che questo valga per molti altri Paesi.

 

Ecco, riguardiamoli ora quei numeri: Quelli che presumibilmnte parlano italiano sono gli iscritti all’AIRE, poco più di 200.000 (e poco più di 100.000 in Canada). Non pochi, ma certo un piccolissimo numero, 10 volte inferiore agli oltre 20 milioni di americani discendenti da italiani. Tra cui moltissimi giovani che, a diverse generazioni di distanza dal passaggio transoeceanico dei loro avi riscoprono il nostro Paese, ne apprezzano la cultura, ne consumano volentieri i prodotti e la moda, vi si recano come turisti, studenti o per lavoro. Molti di loro hanno uno status sociale elevato e la maggioranza ha livelli di istruzione e di reddito superiori alla media americana.
Milioni di persone che possono conoscere l’Italia, oggi, solo in lingua inglese. Anche se tanti vorrebbero imparare l’italiano, ma è certo un obiettivo di medio-lungo periodo naturalmente. Ciò che oggi abbiamo di fronte è una vera e propria “Italia fuori di sé ”, ancora dimenticata e raggiunta soprattutto attraverso un banale paternalismo, che visto da questa parte dell’oceano risulta spesso stucchevole e ovviamente allontana.

 

 

Serve una mediazione linguistica e culturale

 

Va di moda dire che gli italiani che vivono all’estero (incusi, spero, i loro figli, nipoti e pronipoti) sono una grande risorsa, anche economica, un grande mercato “captive” per i nostri prodotti, la cultura, l’arte e il turismo. Sono anni che sento questi discorsi, talvolta venati da un accento di sapore “coloniale”…

 

Ma come si raggiungono? Come ci si comunica? Come li si informa sull’Italia? Quand’è che accetteremo la realtà che questi milioni di persone non parlano l’italiano?

 

Tutti i nostri giornali continuano a parlare italiano, a parte qualche timida traduzione. La RAI, e ora anche le reti Mediaset, continuano a trasmettere in italiano. Nonostante vadano riconosciuti a RAI Italia (nella recente gestione di Piero Corsini) alcuni lodevoli tentativi di ammodernamento, il palinsesto è palesemente sotto tono e mostra grandi difficoltà a comunicare alle nuove generazioni. E poi, ovviamente, è in italiano! Dunque ha un bacino d’utenza ristrettissimo.
E allora, cosa succede? Che rimaniamo noi di i-Italy a raccontare l’Italia in inglese. Un inciso, visto la nostra quotidiana presenza in rete dal 2008 anche in lingua italiana (pubblichiamo anche in italiano),  magari attingeremo ai finanziamenti, ma è paradossale che non venga considerata la parte più onerosa del nostro lavoro costante in rete/carta/tv: quella in lingua inglese.
Abbiamo raggiunto tappe di diffusione notevoli. Una di cui andiamo orgogliosi ultimamente è il superamento della soglia di 100.000 amici su Facebook. Ma viviamo  rincorrendo affannosamente potenziali sponsor, che spesso non capiscono, oscillando tra la RAI e il New York Times, dove dovrebbero investire per comunicare agli americani, che siano o meno di discendenza italiana.
Devono scegliere il getto etnico-linguistico italiano? O il santuario della stampa americana? Domanda mal posta, naturalmente. Gli serve una mediazione, linguistica e culturale, altrimenti non arrivano da nessuna parte. Un esempio? Scrivere un articolo in inglese sulla mostra dei manoscritti di San Francesco all’ONU – per raccontare un episodio recente –   vuol dire essere letti da giornalisti del New York Times che poi ti contattano, ti chiedono informazioni, rilanciano il tema a loro volta.
Noi italiani ci lamentiamo molto della scarsa attenzione della stampa straniera, ma continuiamo a non capire che il motivo è semplice: non conoscono la nostra lingua! E, cosa un po’ più grave forse, noi non conosciamo la loro. O comunque non la usiamo per comunicare. E soprattutto non riteniamo di dover sostenere gli sforzi di chi cerca di comunicare l’Italia nel mondo in un’altra lingua che non sia quella di Dante.

 

Un’ultima considerazione. Ho parlato di milioni cittadini americani di origine italiana, che parlano inglese a cui non si arriva. Ma perché non parlare dei discendenti degli italiani nel resto del mondo? C’è chi li stima in 60-70 milioni di persone. È c’è poi un numero indefinito, ma notoriamente piuttosto alto, di persone che amano l’Italia, indipendentemente dalla loro origine e dal paese in cui vivono. Ecco, comunicando in lingua inglese raggiungiamo anche questa audience, che anni fa Piero Bassetti aveva identificato con il termine italici.

 

Con il dovuto rispetto, senatore: solo degli italiani che vivono in America e comunicano in inglese possono aiutarla a raggiungere l’obiettivo.

 

 

PS: Aggiungo a margine che questa “Italia fuori di sé ”, ancora oggi sa ben poco di quello che dovrebbe  essere l’evento più importante in termini di comunicazione e di immagine all’estero dell’anno che comincia tra un mese: Expo Milano 2015. Provate e chiedere in giro. Quanti americani o italo-americani sanno di cosa si tratta? Ma di questa grande occasione mancata magari parlerò in una prossima puntata.

 

letizia.airos@i-Italy.org




USA. LA BELLA STORIA DI SANTE AURITI, ABRUZZESE DI SUCCESSO A NEW YORK, “PIANO MAN” DELLA PRESTIGIOSA STEINWAY & SONS

 

 

di Domenico Logozzo *

 

 

 

“Adattarsi a qualsiasi lavoro ed impegnarsi a fondo”. In un momento di grave crisi occupazionale in Italia, soprattutto a livello giovanile, è questo il consiglio che con estrema concretezza dà oggi alle nuove generazioni un emigrante abruzzese di successo, Sante Auriti, uno dei più conosciuti maestri artigiani d’America. Il suo genio e il suo  scalpello  sono  fondamentali nella realizzazione dei prestigiosi pianoforti di Steinway & Sons. “Anche se hanno studiato e non trovano il lavoro del loro ramo, i giovani devono adattarsi”, ribadisce. Mettersi in gioco. Nuove sfide e fiducia nelle proprie capacità. L’umiltà di imparare. E l’intelligenza di far fruttare l’esperienza acquisita. E guardare lontano, con l’ottimismo della volontà. E’ in effetti quello che ha fatto lui. In Germania operaio nel settore tessile. Negli Stati Uniti impegnato nella costruzione dei pianoforti. Macchine e manualità. Abilità e adattabilità straordinaria dell’emigrante partito da Orsogna, in provincia di Chieti, con il sogno di far bene e affermarsi. A 28 anni Sante Auriti ha varcato l’Oceano. E a New York si sono concretizzate le sue ambizioni. E’ notissimo nella Grande Mela. Oramai tutti lo conoscono con l’appellativo «Piano man». E’ lui infatti che realizza i famosi pianoforti Steinway & Sons che costano dai 200 mila dollari, quelli “personalizzati”, ai 100-160 dollari quelli per così dire “normali”.

 

Il geniale maestro nell’arte della costruzione di strumenti musicali ha lasciato l’Abruzzo sul finire degli anni Settanta. Una grande voglia di farcela. E ce l’ha fatta. Grazie al talento ed alla determinazione che è nel Dna degli abruzzesi. Tantissimi sacrifici. Racconta Sante Auriti: “Il 24 febbraio 1979 sono arrivato negli Stati Uniti. Ero stato prima in Germania, dove avevo lavorato nel tessile. In America ho cercato di trovare un posto nello stesso settore. Gli amici mi hanno aiutato, hanno fatto del loro meglio. Ma non c’è stato niente da fare. Non mi sono arreso. Ho cercato altre  strade. E sono entrato nel mondo della costruzione dei pianoforti. Ad introdurmi è stato un orsognese, Raffaele D’Alleva. Lavorava alla “Steinway & Sons” ed era capo reparto. Mi fece assumere e sono stato con lui per 10 anni. Trattavamo il legno per fare le casse del “Grand Piano”. Io preparavo il “veneer” e lo incollavo per fare il “top” dei piani e la altre parti. Ma in verità facevo un po’ di tutto e quando mancava qualcuno io prendevo il suo posto. Mi sono trovato subito bene. Non è stato difficile ambientarmi, perché in quel reparto il mio capo e altri due  giovani della mia stessa età erano figli di orsognesi. C’è  stato un momento in cui eravamo 11 orsognesi a lavorare alla “Steinway & Sons”. Adesso sono rimasto soltanto io. In quel reparto c’erano poi molti della Croazia che parlavano l’italiano”.

 

Un impegno costante che non era sfuggito al capo reparto che  gli diede  un nuovo incarico. Ricorda Auriti: “Mi chiamò in ufficio e mi propose di passare nel settore dove venivano utilizzate le macchine per tagliare i pezzi e fare la modanatura (“molding”). Un po’ pericoloso ma la paga era migliore. Accettai. Dopo tre anni lo stesso capo mi convocò e mi disse che la Steinway & Sons stava comprando macchine nuove che avrebbero assorbito il lavoro che facevamo noi. Ottenni così l’incarico di “specialista” della “tavola del suono”. Nel 1992  mi ha chiamato di nuovo e mi ha chiesto se ero interessato a mettere insieme tutte le parti del  “Gran Piano”, il piano con la coda. Ma non quelli normali, bensì quelli speciali, cioè Luigi XV e Chipindale”. Un salto di qualità notevole e responsabilità sempre maggiori. “Il mio maestro – ci dice – è stato un signore della Croazia, Giuseppe. Molto bravo. Sono andato a lavorare con lui, ricominciando tutto da capo. Fino ad allora avevo lavorato con le macchine. Invece bisognava fare tutto a mano. Giuseppe mi ha  insegnato a lavorare con scalpello, pialle e seghe. Ho imparato anche ad affilarli. Un lavoro molto impegnativo. Serve la massima attenzione. Sono molti i passaggi da rispettare. Se fai qualche errore, viene scoperto alla fine dell’assemblaggio. Quando Giuseppe è andato in pensione, è stata un po’ dura. Ma per fortuna tutto è  andato bene”.

 

Far vedere come nasce un pianoforte è un altro degli incarichi che è stato affidato all’emigrante abruzzese. “Ogni settimana ci sono gruppi di persone e di studenti che vengono a visitare la fabbrica. Ho incontrato molti personaggi famosi”. Grande talento e grande comunicatore: “Ho rilasciato tante interviste, sono stato ospite di diversi canali televisivi. Una ventina di anni fa anche la RAI si è occupata di me. Ma la cosa più bella è avvenuta nel marzo del 2009. Mi hanno invitato a costruire il mio Luigi XV davanti alla finestra del salone dove abbiamo la rivendita dei piani (57th Street, New York City). Ho lavorato in vetrina per 3 settimane ed ho fatto 3 pianoforti. La gente si fermava. Molti entravano per vedere da vicino e farmi delle domande. Ed io spiegavo tutto. E’ stato un grande successo. Il New York Times, ha pubblicato la mia foto con il titolo: “L’uomo che ferma il traffico”. E’ stata la foto della settimana. Il New York Daily News ha intitolato l’articolo “L’uomo dei pianoforte non sa suonare, ma fa  grandi lavori”. Nel telegiornale del canale 5, il giornalista ha detto: “Attenzione, non è Billy Joel, ma Sante Auriti”. Mi hanno chiamato da Milano quelli di Mediaset. La soddisfazione più grande è stata quando la Rai ha trasmesso in Italia il servizio. Mia madre, gli amici e tanti paesani mi hanno potuto vedere mentre lavoravo e hanno ascoltato la mia intervista”.

 

Il Corriere della Sera ha titolato nel marzo del 2009: “EMIGRATO NEL 1979, ORA E’ UNA CELEBRITÀ. New York, è un artigiano italiano il «mago dei pianoforti» in vetrina .Si chiama Sante Auriti ed è abruzzese”. Intervistato da Alessia Rastelli, l’emigrante dice: “Il giorno di St. Patrick si saranno fermate a guardarmi quattrocento persone”. E la giornalista annota: “Sante racconta, mentre di fronte alla vetrina i passanti sostano in continuazione, osservano, scattano foto. Alcuni sono turisti curiosi, altri musicisti esperti, qualcuno saluta perché è già passato di qui e ama tornarci. Chi vuole entra e chiede spiegazioni, e allora «Piano man» li accompagna tra le sale dell’esposizione e mostra alcuni degli strumenti che lui stesso ha costruito. «Questo è in noce, quest’altro in legno di rosa», spiega, e intanto i visitatori attraversano con lui una galleria di memorabilia che racconta un secolo e mezzo di storia della musica: lettere (dei pianisti Paderewski e Rachmaninoff, tra gli altri), disegni e premi raccolti dal 1853 a oggi”. Scrive il Corriere a proposito della bella storia dell’emigrante abruzzese di successo: “A metà dell’Ottocento un altro immigrato, Heinrich Engelhard Steinweg, nato in una famiglia povera della working class tedesca, decise di americanizzare il suo nome in Henry E. Steinway e di fondare «Steinway & Sons», diventata in seguito una delle più importanti fabbriche di pianoforti da concerto nel mondo. Oggi la ditta produce circa 500 strumenti all’anno e conta su oltre 1.200 artisti che, sulle orme Stravinskij, Duke Ellington e Cole Porter, suonano esclusivamente uno Steinway. Come Steinweg, anche l’italiano Auriti si è fatto da solo”.

 

Di successo in successo. La fama di Auriti ha raggiunto davvero livelli molto alti. Il merito riconosciuto e premiato dagli americani. Cosa che è molto rara in Italia. E proseguiamo con  le altre tappe molto significative dell’interessante percorso del maestro nell’arte realizzativa dei piani. ”Nel dicembre del 2011 mi hanno invitato ad un seminario che si è tenuto a Chicago. Ho spiegato il mio modo di lavorare e come si realizzano i pianoforti. E` stato un grande successo anche qui. A marzo del 2012 hanno fatto la riunione di tutti i maestri di musica degli USA, dopo 20 anni. Sono stato invitato anch’io all’Hilton Hotel di New York. E’ stato molto bello anche questo incontro durato tre giorni. La sera non dovevo pulire. Non restava nemmeno un truciolo di legno. Se lo portavano via, per ricordo. A febbraio del 2014, sono stato invitato fare un piano in un centro commerciale di Huntington, New York. Una dimostrazione dal vivo di come si taglia il piano”. E non è finita. “Dovrò probabilmente fare altre due dimostrazioni pratiche. La prima il prossimo anno, quando Steinway inaugurerà il nuovo “showroom”, perché hanno venduto il vecchio grattacielo sulla 57 strada. La seconda a Dallas, nel  Texas, il venditore vuole che vada lì a fare un piano in pubblico. Poi lo metteranno all’asta. E’ una bellissima idea”.

 

Ed i rapporti con la terra natia? “Io sono rimasto molto legato all’Italia e alla mia Orsogna”, ci risponde orgogliosamente. Precisando: “Torno ogni anno per un mese. Così mi rilasso e mi ricarico per un altro anno di lavoro. E già sto pensando alla prossima estate, al buon mangiare ,a tutte le sagre nei piccoli paesi. E  la sera prima di tornare a casa si va  sempre a mangiare un bel gelato”. Guarda i grattacieli di New York, pensa alla sua Orsogna. La bellezza dell’Abruzzo. Col ricordo varca l’Oceano e racconta le estati orsognesi: “Il mattino quando mi alzo, esco sul balcone e vedo la bella Maiella che è li a due passi. Sembra di poterla toccare con le mani. E allora come si fa a non tornare almeno una volta l’anno? E’ bello incontrare gli amici d’infanzia e ricordare  tutte le stupidaggini che abbiamo fatto. Quando in tre sulla Vespa 50 andavamo alla festa del paese vicino. Oppure in sei nella mia FIAT 600  “truccata” a 750. Stavamo  anche “comodi”, perché in quel periodo si manteneva la linea”.

 

*già Caporedattore del Tgr Rai

 




USA. Successo in California del clarinettista Antonio Tinelli, noto artista di fama internazionale

Invitato dalla prestigiosa California State University nell’ambito della serie “Guest Artists” per tenere un tour di tre concerti ed una lezione presso la stessa Università. I concerti, svolti in Duo con il pianista americano Landon Baumgard, si sono tenuti a Los Angeles il 12 novembre nella Music Recital Hall del Valley College, il 13 novembre presso LaCorte Recital Hall della California State University – Dominguez Hills e il 16 novembre nella Cypress Recital Hall della California State University – Northridge. In quest’ultima Università, il 14 novembre, si è tenuta anche la masterclass che ha visto un’entusiastica e numerosa partecipazione degli studenti di clarinetto frequentanti il Bachelor e Master Degree della Dr. Julia Heinen. Il programma dei concerti ha visto l’esecuzione delle fantasie d’opera “Un Ballo in Maschera” e “Macbeth” di Giuseppe Verdi e “Il Barbiere di Siviglia” di Gioacchino Rossini per poi presentare lo “Scherzo Fantastico” di Angelo Inglese, brano dedicato allo stesso Antonio Tinelli, e concludere con la fantasia sulla “Rapsodia in Blue” di George Gershwin. Il pubblico americano ha lungamente applaudito le esecuzioni definendole magistrali e di raro impatto musicale ed emotivo. Motivo di grande soddisfazione da parte di Antonio Tinelli è stata quella di incontrare tra il pubblico alcuni compositori americani che lo hanno omaggiato con le proprie opere. Altre grandi soddisfazioni vissute in questa esperienza statunitense è stata la visita all’azienda D’Addario Woodwinds, che da tempo sostiene il Concorso Internazionale di Clarinetto “Saverio Mercadante” del quale Antonio Tinelli né è il direttore artistico, e l’incontro con la leggendaria clarinettista californiana Michele Zukovski che da oltre cinquant’anni ricopre il ruolo di primo clarinetto solista della Los Angeles Philharmonic Orchestra. Il tour denominatoFrom Classic to Contemporary and Jazz styles” è stato promosso da Puglia Sounds Export – PO FESR Puglia 2007/2013 Asse IV – “Investiamo nel vostro futuro”.

12 NOV. Music Recital Hall, Los Angeles Valley College
12 NOV. Music Recital Hall, Los Angeles Valley College

13 NOV. 2014 LaCorte Recital Hall, California State University - Dominguez Hills
13 NOV. 2014 LaCorte Recital Hall, California State University – Dominguez Hills

 




PRESENTATO A GENOVA IL DIZIONARIO DELLE MIGRAZIONI ITALIANE NEL MONDO

 

Promosso dal CISEI, si è tenuto presso l’Archivio di Stato un importante seminario sull’Emigrazione

 

di Goffredo Palmerini

 

Foto Genova 1 Foto Grassi Capocaccia Caffarelli

GENOVA – Questa volta è stata la Città della Lanterna, così fortemente legata alla storia della nostra emigrazione, ad ospitare il Seminario di presentazione del Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo (DEMIM), pubblicato da SER ItaliAteneo con la collaborazione scientifica della Fondazione Migrantes. L’emigrazione italiana tra Ottocento e Novecento è stata al centro del Seminario, tenutosi il 5 novembre scorso all’Archivio di Stato di Genova. L’evento, promosso dal CISEI  (Centro Internazionale Studi Emigrazione Italiana) partner scientifico del Dizionario, ha visto tra i relatori Tiziana Grassi, ideatrice e direttrice del progetto, motore ed anima dell’opera, e del direttore editoriale Enzo Caffarelli. Un folto pubblico ha seguito i lavori del seminario, nonostante l’ Allerta Uno sulla città, gravemente flagellata da violenti nubifragi. Una partecipazione motivata, attenta, a conferma che l’emigrazione, sebbene persista un’inconcepibile distrazione di Istituzioni e classe politica del Paese su un fenomeno così significativo per la nostra storia, è tema centrale e quanto mai attuale, tra nuove mobilità che dall’Italia tornano a varcare i confini alla ricerca di lavoro, e gli 80 milioni di oriundi italiani nel mondo. Dunque una riflessione a tutto campo, quella tenutasi a Genova, stimolata delle tematiche trattate nel monumentale Dizionario sull’epopea migratoria italiana, resa possibile dall’iniziativa del CISEI in collaborazione con l’Archivio di Stato di Genova, il MuMa (Museo del Mare e delle Migrazioni), l’Università di Genova, l’Autorità Portuale e la Fondazione Casa America. Preceduto dalla firma del Protocollo di collaborazione scientifica tra CISEI e Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, sottoscritto dal presidente del CISEI Fabio Capocaccia, e dal Soprintendente Maurizio Galletti, il seminario ha preso il via con il saluto del direttore dell’Archivio di Stato di Genova, Francesca Imperiale, che presentando il convegno  ha espresso vivo apprezzamento per la ricchezza di contenuti del Dizionario Enciclopedico, al quale l’Archivio di Stato ha dato un rilevante contributo con il proprio patrimonio storico-documentale, come banche-dati, liste passeggeri, registri d’imbarco e giornali nautici. Tasselli rilevanti che contribuiscono a ricostruire l’ampio mosaico conoscitivo sulla Grande Emigrazione.

 

Tiziana Grassi
Tiziana Grassi

Maria Paola Profumo, presidente del MuMa – il più grande Museo marittimo del Mediterraneo – presente nel DEMIM con i cataloghi documentali relativi a mostre sulle migrazioni, nel suo saluto ha focalizzato le costanti che riguardano le partenze e i transiti transnazionali, dal passato al presente. Una dimensione che accomuna sia le attività scientifiche del MuMa, sia la costellazione semantica che il Dizionario ha affrontato nel curare lemmi di impianto ontologico come l’identità, la memoria, la nostalgia, lo spaesamento-sradicamento, il lutto migratorio, stereotipi e pregiudizi, costruzione di nuove territorialità. La parola è passata poi a Fabio Capocaccia, presidente del CISEI. Promotore dell’evento e moderatore del Seminario, l’ing. Capocaccia ha portato anche i saluti di Luigi Merlo, presidente dell’Autorità Portuale di Genova e di Roberto Speciale, presidente della Fondazione Casa America. Quindi è entrato nel vivo, sottolineando come la presentazione del DEMIM rappresenti il punto di arrivo d’una collaborazione che dura da oltre dieci anni tra Tiziana Grassi e il CISEI, “da quando Tiziana ci invitava in Rai International, a Sportello Italia, il programma di servizio per gli italiani all’estero di cui era autrice, una pietra miliare nel panorama informativo verso i nostri connazionali, a quando, nel 2009, presentammo a Genova presso il Museo Galata la sua opera multimediale in dvd “Segni e sogni dell’Emigrazione”, con Catia Monacelli e Giovanna Chiarilli (Eurilink, Roma 2009), opera alla quale il CISEI aveva collaborato sul piano scientifico e documentale. Un’opera che lei aveva fortemente voluto, come contributo originale alla valorizzazione del patrimonio di memorie e di cultura che l’emigrazione rappresenta per il nostro Paese. Da quel dvd nasce il progetto di questo Dizionario – ha proseguito Capocaccia – impresa veramente impegnativa, importante, che ha richiesto 5 anni di lavoro ad un team di 170 autori, tra studiosi, accademici e ricercatori. Il CISEI, che dalla sua fondazione dedica la propria attività alla costruzione di un Database computerizzato sui nomi e le vicende degli emigrati italiani, ha partecipato al progetto del Dizionario insieme ai migliori esperti nazionali, ritenendolo uno strumento prezioso, direi indispensabile, per tutti coloro che si avvicinano all’emigrazione, come terreno di studio,  di ricostruzione storica, o più semplicemente ricerca delle origini della propria famiglia. E’ nostra intenzione dotare progressivamente il Database, che attualmente conta oltre 4 milioni di schede di emigrati italiani, di ogni utile riferimento, come un link naturale al Dizionario, allo scopo di realizzare un sistema multimediale integrato, con libero accesso da parte di studiosi e appassionati”.

emigranti europei in attesa dello sbarco a new york - anni venti del novecento emigrantisuponteterzaclasse Gli Emigranti, raffigurazione di Angiolo Tomasi, 1895, Galleria d'Arte Moderna di Roma gruppo di emigranti italiani durante la fase dello sbarco a ellis island imbarco dal porto di Genova - fine 800 in vista di New York partenza dalla stazione marittima di Genovafine 800 poster pubblicitari per traversate verso l'America siriodue

“Porto di Genova, Archivio Centrale dello Stato, Archivio Ligure della Scrittura Popolare, CISEI, banche-dati, liste passeggeri, giornale nautico – diario di bordo, agenti di emigrazione, compagnie di navigazione, partenze, albergo degli emigranti, stazione marittima, biblioteche di bordo, medico di porto, nave, traversata, Navigazione Generale Italiana, oceano, solitudine, luoghi-simbolo, coraggio, orgoglio, sogni, resilienza, ritorno… Sono solo alcuni dei lemmi del racconto della Grande Emigrazione italiana tra Ottocento e Novecento raccolti in questo Dizionario e che sono fortemente connessi a Genova e alla sua storia e identità. Città alla quale sono molto legata per il suo essere luogo simbolo per eccellenza della diaspora italica che ha visto partire milioni di connazionali – ha dichiarato Tiziana Grassi nel suo intervento, illustrando genesi, impostazione e struttura del volume -, una città i cui studiosi di emigrazione hanno dato un significativo contributo di pensiero e competenze a quest’opera e che ringrazio per gli amplianti orizzonti disciplinari che hanno reso il Dizionario «una vera e propria summa di un fenomeno che ha segnato indelebilmente la storia del nostro Paese», come l’ha definito il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo Saluto di apertura all’opera. Questo volume enciclopedico, che peraltro ho curato insieme ad altri 4 curatori , si pone come un continuum di ricerca con la mia precedente opera multimediale “Segni e sogni dell’Emigrazione”, passando dalla prospettiva semiotica – dei segni intesi nella doppia dimensione di lacerazioni interiori nella persona migrante ma anche come simboli archetipi delle migrazioni – alla dimensione semantica, ovvero al significato espressivo delle parole legate all’universo migratorio. Nell’opera il magmatico portato della nostra epopea viene affrontato non nella lineare sequenzialità temporale cui sono improntate le numerose pubblicazioni sulla storia dell’emigrazione, ma come mosaico multidisciplinare, composto dai numerosi tasselli conoscitivi che vanno dalla letteratura alla musica, dalla linguistica alla fotografia, dall’antropologia alla devozione, dal cinema all’arte, passando per statistica, associazionismo ( la vera sfida storico-culturale che oggi vive la Grande Emigrazione nelle sue generazioni e che non dobbiamo trascurare nei effetti di lungo periodo) e genealogia, alimentazione, storie di eccellenza.  E ancora l’economia, la promozione del sistema Paese, il Made in Italy, l’internazionalizzazione delle imprese italiane, lemma curato dall’esperto di rapporti bilaterali Angelo Giovanni Capoccia, uno degli autori del Dizionario oggi qui presente, che ha focalizzato tutto il potenziale, anche economico, che più sistematiche e strutturate relazioni tra le ‘due Italie’ potrebbero mettere a frutto. Argomenti e prospettive disciplinari che ho voluto affidare allo ‘specifico’ di 169 studiosi ed esperti e che appartengono tanto agli aspetti teorici, ai sistemi valoriali, ai segni e ai simboli, ai sentimenti e alla psicologia, quanto a luoghi, fatti, oggetti concreti, ben circoscritti nel tempo e nello spazio”.

 

“Con molti degli autori – ha aggiunto Tiziana Grassi – ho stimolanti collaborazioni professionali sin dai tempi di Rai International e, tra tutti, penso al prof. Mario Morcellini dell’Università “La Sapienza” di Roma, che sin dall’inizio di questo mio progetto ha generosamente affiancato il progressivo strutturarsi del volume con un folto gruppo di studiosi del suo ateneo e che ha curato la smagliante Prefazione al Dizionario. Un volume complesso che ha richiesto cinque anni di intenso lavoro e che si articola in 1.500 pagine con 700 lemmi-articoli, 160 box di approfondimento, 17 appendici monotematiche e 500 illustrazioni e documenti storici che per anni ho cercato in musei, archivi, centri di ricerca e fondazioni, ottenendo anche numerosi patrocini di atenei italiani ed esteri, tra i quali mi fa qui piacere ricordare l’Università di Genova. Il Dizionario, con il coordinamento scientifico della sociologa Delfina Licata, che ha guidato anche il Comitato scientifico del Dizionario composto da 50 studiosi ed accademici, ha un taglio scientifico e al tempo stesso divulgativo, in una dimensione di servizio che è sempre stata il mio punto di riferimento sin dall’impostazione dell’opera e che ho condiviso con gli altri curatori del Dizionario, tra cui cito con particolare gratitudine Mons. Gian Carlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes: una dimensione inderogabile per trasmettere alle comunità italiane all’estero, ai discendenti degli emigrati rimasti o tornati in Italia, a scuole, giovani, amministratori pubblici ed operatori culturali una pagina fondativa del nostro Paese. Una pagina troppo spesso trascurata, se pensiamo alla sua perdurante marginalizzazione nei testi scolastici e ai tagli ai finanziamenti che le istituzioni le riservano, mentre 80 milioni di connazionali nel mondo ci osservano e, nel registrare l’inquietante miopia da parte di questa Italia dentro i confini, sono in attesa di segnali d’una più matura e consapevole attenzione. Questo Dizionario, nei miei auspici – ha concluso la Grassi – ha anche l’obiettivo di risvegliare la coscienza collettiva sul nostro importante e ineludibile passato migratorio, che per molti aspetti è anche presente, come ha ricordato Maria Paola Profumo, e palpita nella complessità e nelle contraddizioni di un tempo ad alto tasso di nomadismo transnazionale”.

 

Sulla complessità e l’impegno necessari per realizzare un’opera così ampia ed articolata, è intervenuto Enzo Caffarelli, direttore editoriale del DEMIM, nonché tra i suoi curatori ed autori. “La realizzazione del Dizionario – ha sottolineato il prof. Caffarelli – ha presentato numerose sfide, che sta ora agli studiosi, ai protagonisti in ogni settore del fenomeno migratorio e al pubblico in genere stabilire se siano state superate o no. La prima era quella di coniugare lo stile del Dizionario con il carattere dell’enciclopedia, cercando di raccontare e analizzare più temi possibili, ma con il rischio di dimenticare o di sottovalutare alcuni aspetti. La seconda era quella di utilizzare, moltiplicato per 169 autori, un linguaggio che fosse utile e accettabile da parte degli specialisti come da parte del pubblico generale. E di trovare una sufficiente armonia, una coerenza stilistica nell’offrire un’opera che vuol essere, ovviamente, di servizio. Una terza sfida era raggiungere alcuni target che ai curatori e agli autori, oltre che evidentemente all’editore, stanno particolarmente a cuore. Per esempio le scuole, considerando quanto poco i giovani sanno delle migrazioni del passato e del presente. Per esempio i Comuni, attraverso in particolare le biblioteche, perché sono fra i principali protagonisti del grande fenomeno migratorio. Per esempio le associazioni di/per gli emigrati italiani all’estero, superando le barriere della lingua, della distribuzione e del costo dell’opera”.

L’intervento del prof. Fabio Caffarena, direttore dell’Archivio Ligure della Scrittura Popolare dell’Università di Genova, che ha aperto la sequenza dei contributi degli studiosi genovesi che in misura rilevante hanno collaborato alla realizzazione del DEMIM, ha sottolineato da una parte il ruolo svolto dall’Archivio Ligure della Scrittura Popolare (ALSP), attraverso la sua attività e il suo gruppo di lavoro, nell’ambito del Dizionario, dall’altra il patrimonio documentale conservato dall’ALSP, partner scientifico dell’opera, e le modalità di trattamento delle fonti. Il focus si è concentrato, attraverso un caso-studio particolarmente efficace, su un epistolario d’emigrazione ritrovato casualmente nella spazzatura, salvato proprio grazie al ruolo di presidio sul territorio che ormai svolge l’ALSP. Il prezioso ritrovamento – ha osservato Caffarena – ha consentito di sottrarre alla distruzione documenti di estremo interesse, appunto il caso d’una famiglia migrante le cui tracce sono state ritrovate anche nella banca dati dei partenti del CISEI, incrociate con le testimonianze orali e i ricordi ancora disponibili, rimontando così, non senza qualche sorpresa, una storia esemplare e al tempo stesso eccezionale di emigrazione. In tale contesto il Dizionario funziona come ‘risorsa quadro’, come strumento di consultazione da cui partire per orientarsi tra i temi e le problematiche che anche l’epistolario in questione pone. Se l’ALSP e altre istituzioni simili funzionano come rete – archivistica, ma non solo – il Dizionario fornisce le coordinate per muoversi all’interno di un ‘mondo migrante’ fatto di tracce e documenti labili, di lemmi da inseguire”.

 

Ancora centrale l’ALSP con il prof. Federico Croci, che trattando le migrazioni italiane tra accoglienza e contaminazioni culturali, ne ha tematizzato alcune parole chiave, curate dallo studioso per il ponderoso volume enciclopedico. Un intervento incentrato sul ruolo svolto dai luoghi-simbolo delle migrazioni italiane nelle Americhe e sulle marcate interrelazioni culturali rilevabili attraverso l’analisi delle lingue parlate degli emigrati nei Paesi ospiti. “Nei principali porti di destinazione dell’emigrazione transoceanica – ha osservato Croci – per ricevere gli emigranti in arrivo venivano allestite strutture dedicate all’accoglienza che espletavano le formalità burocratiche relative all’ingresso nel Paese ed i controlli igienico-sanitari. Castel Garden ed Ellis Island a New York, Pier 21 ad Halifax, l’Hotel de Inmigrantes a Buenos Aires, Ilha das Flores a Rio de Janeiro o Angel Island a San Francisco erano dunque i luoghi-simbolo dell’attraversamento dei confini e, in certa misura, l’ultima fase di un rito di passaggio, dalla condizione di cittadino a quella di migrante, iniziato nei porti d’imbarco. Spesso queste strutture venivano presentate come confortevoli e al servizio degli emigranti. In realtà si trattava di luoghi in cui le persone venivano ammassate allo scopo di essere selezionate, si trattava cioè di luoghi nei quali le politiche e le aspirazioni al controllo della mobilità umana da parte degli Stati nazionali assumevano le forme concrete della selezione dei migranti sulla base del gradimento politico, etnico, razziale, religioso ed eugenetico. Le gendarmerie nazionali fungevano da filtro o da sbarramento contro gli emigranti considerati indesiderabili. Spesso con accanita diligenza cercavano di far rientrare un mondo di sogni, speranze, strategie, progetti di vita e aspettative all’interno di maglie che potevano restringersi a seconda del governo in carica o del momento politico e che corrispondevano al modello di migrante ideale che le élite nazionali immaginavano facilmente e docilmente integrabile nella società ospite. Così come questi luoghi-simbolo rimandano ad un momento fondativo del processo migratorio, carico di elementi simbolici, le lingue parlate dai migranti, dal ‘broccolino’ al ‘cocoliche’, dall’ ‘australitalian’ al ‘carcamano’, sono il prodotto di un atteggiamento duplice da parte dei migranti. Si tratta di lingue che sono il frutto di un intreccio tra i dialetti d’origine, la lingua italiana e la lingua del Paese ospite; testimoniano la determinazione a mantenere la propria identità linguistica, a conservare le proprie tradizioni e, al tempo stesso, l’adattamento all’italiano dei prestiti di lingue altre, documenta un’apertura alla lingua della cultura dominante, certifica un processo di trasformazione. Convivono in queste parlate conservazione e innovazione, resistenza identitaria e integrazione. In esse si possono ritrovare frammenti di storie di sradicamento ed estraneità, di esclusione e isolamento, schegge di affetti, appartenenze e radici travolte dalle trasformazioni che il meccanismo migratorio ha inesorabilmente innescato. In ultimo, possiamo rinvenire l’estrema vitalità della cultura popolare capace di innovazioni, re-invenzioni creative e di una efficacissima potenza espressiva. Il Dizionario Enciclopedico – ha concluso lo studioso – è, in fondo, anche questo: un intreccio di percorsi multidisciplinari che aprono spunti di riflessione e stimolano ulteriori filoni di ricerca su uno dei fenomeni che hanno costruito la nostra identità nazionale”.

 

Genova principale porto di partenza dell’epopea italiana e “archivio della memoria” delle migrazioni italiane tra Otto e Novecento, è stato il focus dell’intervento del prof. Carlo Stiaccini, ricercatore del CISEI, che ha sottolineato quanto “la presentazione del Dizionario Enciclopedico sia l’occasione per illustrare il rapporto che esiste tra le voci del Dizionario, che ho avuto il privilegio di scrivere, e gli archivi storici presenti a Genova. L’occasione per tentare di fare, in breve, il punto sul patrimonio archivistico presente in ambito genovese, utile a ricostruire i rapporti tra il territorio ligure, le sue istituzioni pubbliche e private, e il fenomeno migratorio italiano, a partire almeno dal XIX secolo e dal ruolo appunto che in questo lungo periodo ha avuto Genova come porto d’imbarco e luogo fra i più trafficati in Italia sulle rotte tra Europa e Paesi Americani. Voci come Liste di imbarco, Giornali nautici – Diari di bordo, Agenti di emigrazione, Porto di Genova, Navi-Pisoscafi, rimandano ad un giacimento di documenti e di memoria unico in Italia. La serie di registri conservata presso l’Archivio di Stato di Genova denominata ‘Spedizione passeggeri’, prodotta dall’Ufficio di Sanità Marittima del porto, sono uno dei pochissimi esempi oggi presenti in Italia, se non l’unico, di registrazione delle partenze da un porto italiano. Così i Giornali nautici, meglio conosciuti come Diari di bordo sono un documento prodotto dai comandanti dei piroscafi e sono una fonte preziosissima e possono essere considerati a tutti gli effetti dei racconti di viaggio, capaci di restituire informazioni per nulla scontate sulle vicende legate a quel fenomeno straordinario di mobilità che ha riguardato nei decenni a cavallo fra Otto e Novecento le due sponde del l’Oceano e che indirettamente ha visto protagonisti anche i comandanti dei piroscafi. I giornali nautici, più di 12.000 esemplari conservati a Genova, sono una fonte preziosa non solo evidentemente per la storia del trasporto marittimo ma anche per una storia sociale delle migrazioni per mare in età contemporanea. Non possiamo non dire qualcosa sulla voce Porto di Genova, voce altrettanto strettamente collegata a documenti conservati all’Archivio di Stato. Basti pensare, per esempio, alle serie prodotte dalla Prefettura in epoca pre-post unitaria (sicurezza e ordine pubblico in città e nel porto, rilascio passaporti per l’estero ecc.). Genova e il suo porto sono stati per almeno un secolo la “Porta per le Americhe”, ovvero l’imbarco scelto da milioni di persone dirette oltreoceano. Il Dizionario, mi sento di dire anche per questo suo forte rapporto col territorio – ha concluso Stiaccini -, può essere inteso come una straordinaria mappa di parole che rimandano a formidabili depositi della Memoria utili a capire meglio, e più a fondo, un tema centrale della storia italiana recente, che sovente si è tentato di normalizzare, semplificare e uniformare ad una serie di stereotipi ben noti”.

 

Una prospettiva sociologica e linguistica di approfondimento, quella introdotta dal prof. Stiaccini, ampiamente affrontata nel Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni italiane in numerosi lemmi interconnessi, tra discriminazioni, razzismo e xenofobia, termini dispregiativi e denigratori, nomignoli gergali, soprannomi con cui gli italiani sono stati designati all’estero e che risentivano della stigmatizzazione di attributi culturali e sociali, di natura alimentare, storica, politica o linguistica, professionale o ideologica, spesso legati alle caratteristiche fisiche o alle origini etniche dei nostri connazionali. Ma sul sistema concettuale di ipersemplificazione per stereotipi su comportamenti e caratteristiche ritenuti tipici di un determinato gruppo etnico o nazionalità, e sull’indesiderabilità dei nuovi venuti espressa dalla popolazione ospitante, il celebre studioso di emigrazione Gian Antonio Stella, in un suo saggio (L’orda, Rizzoli, Milano 2002) che affronta un puntuale confronto tra passato e presente, tra emigrazione italiana all’estero e immigrazione straniera in Italia, osserva: “Non c’è stereotipo rinfacciato agli immigrati di oggi che non sia già stato rinfacciato, un secolo o solo pochi anni fa, a noi. «Loro» sono clandestini? Lo siamo stati anche noi: a milioni, tanto che i consolati ci raccomandavano di pattugliare meglio i valichi alpini e le coste non per gli arrivi ma per le partenze. «Loro» si accalcano in osceni tuguri in condizioni igieniche rivoltanti? L’abbiamo fatto anche noi, al punto che a New York il prete irlandese Bernard Lynch teorizzava che ‘gli italiani riescono a stare in uno spazio minore di qualsiasi altro popolo, se si eccettuano, forse, i cinesi’. «Loro»  vendono le donne? Ce le siamo vendute anche noi, perfino ai bordelli di Porto Said o del Maghreb. Sfruttano i bambini? Noi abbiamo trafficato per decenni coi nostri, cedendoli agli sfruttatori più infami o mettendoli all’asta nei mercati d’oltralpe. Rubano il lavoro ai nostri disoccupati? Noi siamo stati massacrati, con l’accusa di rubare il lavoro agli altri. Fanno troppi figli rispetto alla media italiana mettendo a rischio i nostri equilibri demografici? Noi spaventavamo allo stesso modo gli altri. Eravamo sporchi? Certo, ma furono infami molti ritratti dipinti su di noi. […] La verità è fatta di più facce. Sfumature. Ambiguità”. Ieri, all’estero, eravamo mangiamaccheroni, wog (virus, parassita), babis (rospi) o bat (pipistrelli). Oggi etichettiamo gli “altri” con un sommario e spregiativo vu cumpra’. Corsi e ricorsi storici. In assenza di Memoria.

 

INFO

http://www.editriceromana.com/prodotto/dizionario-enciclopedico-delle-migrazioni-italiane-nel-mondo/

dizionarioitalianinelmondo@gmail.com

 




Compie 30 anni Gegel, l’azienda di Ortona nata da una valigia di cartone

 

Il suo fondatore, Gino Carulli, partì nel 1964 da Crecchio per sfuggire alla miseria e lavorò prima in Germania e poi in Belgio nelle miniere. Oggi la sua azienda fattura 12 milioni di euro. Domenica la festa insieme a clienti e fornitori alla fiera Agroalimenta di Lanciano

 

Una storia che nasce da una valigia di cartone, quella con cui il suo proprietario partì nel 1964 da Crecchio, in provincia di Chieti, in cerca di fortuna all’estero, e tornò solo dopo molto tempo. Compie trenta anni e decide di festeggiarli con clienti e fornitori la Gegel di Ortona, fondata da Gino Carulli – sesto figlio di una famiglia numerosa – partito a ventiquattro anni, in un’epoca in cui la miseria abitava le case di numerose famiglie contadine abruzzesi, e approdato prima in Germania e poi in Belgio per lavorare nelle miniere. Un’esperienza dura che, però, Gino Carulli riesce a lasciarsi presto alle spalle per mettersi in proprio con una piccola attività di costruzioni metalliche. L’obiettivo è quello di tornare in Italia con un po’ di soldi messi da parte e far crescere i figli dov’è nato. E così è: nel 1984 gli si apre la possibilità di diventare concessionario Motta – divisione gelati e surgelati – della provincia di Chieti e il sogno diventa realtà.

 

Nasce in questo modo la Gegel, che da trent’anni appunto opera nel centro-Italia nel settore della commercializzazione e della distribuzione di prodotti alimentari ed è partner privilegiato ed esclusivo per le più importanti società italiane ed estere del settore alimentare, da Nestlè a Danone, da Cameo a Mila, da Aia a Beretta e tanti altri ancora per un totale di oltre 3.000 referenze. A partire dal 2001, la Gegel ha rinnovato e innovato il parco automezzi introducendo mezzi a doppia temperatura: scelta che ha consentito di ottimizzare il servizio al cliente, garantendo in un’unica consegna sia il prodotto fresco sia quello surgelato e favorendo un più corretto utilizzo delle risorse energetiche. Scelta ecologica riconfermata nel 2008 con l’investimento in un moderno impianto fotovoltaico a parziale copertura del fabbisogno aziendale.

 

Oggi la Gegel è amministrata dalla seconda generazione, quella dei fratelli Giuseppe e Gaetana Carulli. Serve oltre 2.000 clienti tra distribuzione organizzata, supermercati, ristoranti e pizzerie localizzate prevalentemente nel centro-Italia. Negli ultimi tre anni è passata da 30 a 47 addetti o collaboratori, rafforzando fortemente la propria forza vendita e con essa il giro d’affari che è passato dagli otto milioni di euro ai circa dodici di quest’anno. Tra le novità recenti, grazie al supporto di una moderna piattaforma software, la possibilità per i clienti di ordinare e ricevere entro 24 ore la propria merce.

 

“La mission di Gegel è creare valore per il proprio cliente – sostiene Giuseppe Carulli, direttore commerciale della società – pensiamo continuamente a soluzioni personalizzate di servizio e di assistenza che garantiscano sia la soddisfazione del cliente sia il miglior rapporto qualità prezzo dei nostri prodotti. Cerchiamo di affiancare i nostri clienti anche nel confronto con un mercato sempre più povero e difficile e con consumatori sempre più informati ed attenti”.

 

Gegel ha deciso di festeggiare con clienti e fornitori i trent’anni alla fiera Agroalimenta (in programma a Lanciano dal 21 al 23 novembre) dove presenterà anche le novità per il 2014: l’ampliamento di gamma di prodotti per il settore catering e horeca (acronimo di hotel restaurant & catering ) e la proposta di una propria linea di prodotti a marchio “Antica Salumeria”.

 

Ortona, 21 novembre 2014




LO STORICO CORO DI ORSOGNA DUE SETTIMANE IN AMERICA PER FESTEGGIARE LE ANTICHE ASSOCIAZIONI DEGLI EMIGRANTI

 

di Domenico Logozzo *

 

PESCARA – E’ da alcuni giorni a Boston lo storico Coro folcloristico “La Figlia di Jorio “ di Orsogna (Chieti), in tour negli Stati Uniti fino al 2 dicembre, per i festeggiamenti delle comunità abruzzesi d’oltre Oceano. Lo scopo, come ha sottolineato il direttore del Coro, Mario Tenaglia, è quello di “riscoprire e rinverdire insieme le stesse profonde radici comuni”. Domenica il concerto per gli emigranti di Everett, località vicina alla capitale dello stato del Massachusetts. Festa  grande per la comunità  “Sons of Orsogna“. Mobilitazione generale. Il passaparola anche attraverso i nuovi canali informativi. Per essere in tanti. Si creano i gruppi. Un evento coinvolgente. Scrive Nick Carullo su facebook: “Domenica viene il coro di Orsogna e io ho 5 ospiti a casa mia: Giacinto Rizzacasa che ha sposato mia cugina più i fratelli con  le mogli”.

 

Programma intenso per il Coro fondato nel 1921 da Attilio Bartoletti, musicista autodidatta, poeta e compositore, servendosi della collaborazione di alcuni giovani che facevano parte della locale Schola Cantorum. E’ uno dei più antichi del mondo. “La voce di Orsogna che canta”, dopo Boston  raggiungerà New York. “Dal 25 novembre  il gruppo  si sposterà nell’area metropolitana di New York City per il 75° anniversario dell’Orsogna Mutual Aid Society e il  55° anniversario dell’Athletic Club New Orsogna, ci  dice la professoressa Maria Fosco, orsognese, una delle più attive e conosciute donne di cultura italo-americane. “La grande festa sarà il 30 novembre. Stiamo organizzando le cose perbene. E’ un evento di rilevanza storica”, ricorda la professoressa e con grande orgoglio aggiunge: “per il 75° anniversario della fondazione, il Congresso degli Stati Uniti ha conferito un riconoscimento speciale all’”Orsogna Mutual Aid Society”. E questo per premiare una iniziativa di grande valore sociale, culturale ed economico. Rileva infatti la professoressa Fosco: “I fondatori erano molto intelligenti. Uomini di  forte carattere. Erano contadini e umili lavoratori, ma avevano capito agli inizi del Novecento l’importanza di creare un club per gl’immigranti orsognesi”.

 

E il direttore del Coro, Mario Tenaglia, ribadisce: “Dovunque si sono insediati, gli Orsognesi, nonostante le oggettive difficoltà di adattamento e, non ultimi, i pregiudizi di anti-italianità, hanno saputo magnificamente inserirsi nelle nuove realtà sociali, lavorative ed ambientali conquistando il rispetto di tutti e divenendo motivo di orgoglio negli Orsognesi rimasti in Italia”. I legami con la terra d’origine sono rimasti molto forti e i grandi valori sono stati trasmessi alle nuove generazioni. L’associazionismo e la coralità. Ancora il maestro Tenaglia: “Riconoscersi ed aggregarsi in una sede dove poter rivivere momenti ed eventi caratterizzanti la vita del nostro paese: la festa di San Rocco, i Talami, giovedì degli amici, giovedì dei parenti, le tradizioni culinarie e dolciarie”. E poi: “Laddove è stato possibile, sono stati ricreati “CORI DI ORSOGNA” che, attraverso i canti, le musiche, i testi, le danze popolari, hanno voluto e saputo rivivere l’ambiente, i paesaggi, le sequenze stagionali del lavoro agricolo (preponderante nelle nostre zone), le tradizioni e, soprattutto, i sentimenti dell’Abruzzese “forte e gentile”.

 

Maria Fosco conserva gelosamente una testimonianza dell’amore degli orsognesi per il canto. Un vecchio quaderno, di 56 anni fa: “E’il libretto dei canti Abruzzesi che ha trovato mamma e che è dedicato all’Orsogna Mutual Aid Society da Elisabetta Di Rico  (figlia di Mariacroce) che ora abita a  Boston”. Leggiamo: “All’Orsogna Mutual Aid Society. Questa raccolta di canti folcloristici abruzzesi è stata fatta dalla sottoscritta Di Rico Elisabetta che unitamente alla raccolta delle musiche fatte da mio padre Maestro De Rico Nicola, dedichiamo al nascente Coro Orsognese in America, con moltissimi auguri. Di Rico Elisabetta ,Orsogna 18.11.1958”. Ha scritto su facebook l’orsognese Marco Rocco Pindo:” Pe la majelle…. Avete in mano un biglietto per il paradiso… Ma non si possono fare copie per paesani che non hanno l’opportunità di assaporare questi oggetti preziosi…”.  La mamma ed il papà della studiosa  hanno fatto parte del Coro di Orsogna, sia in Italia che negli Stati Uniti. Passione di famiglia. La stessa professoressa e la sorella gemella hanno ballato per moltissimi anni nel gruppo americano.

*già Caporedattore del Tgr Rai

 

Il Coro La Figlia di Jorio all’aeroporto di Boston. Rimarrà negli Stati Uniti fino al 2 dicembre per festeggiare gli orsognesi d’America




L’Aquila. “Lorenzo Bruno di Lucoli un grande artista a sostegno degli Alpini Abruzzesi nel Mondo”

 

L’Aquila. Dopo essersi formato nelle più grandi scuole di calcografia in Italia e negli Stati Uniti, Lorenzo Bruno uno dei maggiori artisti contemporanei, in previsione dell’Adunata Nazionale degli Alpini che si terrà a L’Aquila nel prossimo mese di maggio, ha voluto realizzare una singolare incisione calcografica sia a ricordo del centenario della prima guerra mondiale e sia in omaggio agli alpini abruzzesi residenti all’estero. L’opera ha per tema la “Leggenda del Piave” in rapporto al sacrifico dell’alpino combattente in montagna. Nella stessa si nota la fusione del colore che è il risultato dell’incisione e del suo rapporto con la luce, nelle sue infinite variazioni, attraverso un sicuro andamento del segno e di bilanciate morsure che rendono l’opera un prezioso incanto che rapisce lo sguardo. In sintesi trattasi di un maestro d’arte pluripremiato a livello nazionale e internazionale che vede la custodia delle sue opere nella Galleria Internazionale Cà Pesaro di Venezia, nella Bibliotheques Nationale Gabinetto delle stampe di Parigi, nel Museum Ludwig di Colonia, nella Bibliotheque Royale Albert di Bruxelles, nel Museo di Arte Moderna di Rio de Janeiro e nel Alvar Aalto Museum di Jyvaeskyla, solo per citarne alcune. Le copie calcografiche in stampa numerate, saranno date in omaggio e in segno di accoglienza agli alpini abruzzesi residenti all’estero nei vari continenti che saranno presenti a L’Aquila e che avranno come punto d’incontro la Sala Arte Cialente presso il GLOBO nei giorni 14 – 15 e 16 .

Copia stampa calcografica – Foto di Foto Arte A. Rennes
Copia stampa calcografica – Foto di Foto Arte A. Rennes

 




A Roma l’International Communication Summit 2014 con Michael Dobbs, autore di House of Cards

 

Il summit, con due tappe a Bruxelles e a Roma, ha come main partner dell’evento la Pomilio Blumm

Confindustria

Sala Pininfarina

dalle ore 10.00

 

Dopo il successo  avuto a Bruxelles a settembre torna l’International Communication Summit 2014, che ha come main partner la Pomilio Blumm e che vedrà la partecipazione di Michael Dobbs, autore del libro “House of Cards” e produttore dell’omonima serie tv, nonché membro della Camera dei Lords.

L’International Communication Summit 2014 sul tema “Storytelling: la sfida europea dell’Heritage Communication” noto anche come ICS Pomilio Blumm Summit, è un laboratorio che esplora le nuove frontiere della comunicazione istituzionale, in uno sforzo di ricerca indispensabile per la Pomilio Blumm, tra i più importanti agenzie europee nel settore, come dimostrano i recenti incarichi ricevuti dall’Unione del Mediterraneo, dall’ EFSA (European Food Safety Authority), Centro Informazioni sull’Unione Europea in Macedonia, dalla Biblioteca d’Alessandria e Anna Lindh Foundation.

 

Spike Lee, registrato in esclusiva per ICS Europe, svoltosi a Bruxelles nel settembre scorso.

 

Partendo dallo story-telling, come potentissimo mezzo di interpretazione e rappresentazione della realtà, ci si interrogherà su come il racconto del patrimonio culturale millenario europeo possa diventare una leva per la sua rinascita economica e sociale, come imprese e istituzioni possano utilizzare questa incredibile risorsa per rafforzare la fiducia e il senso di appartenenza dei cittadini alle comunità. Può il legame tra patrimonio culturale e identità territoriale rivitalizzare la produttività e attrattività italiana?  Se ne parlerà alla luce del crescente interesse di istituzioni e privati per il settore dell’heritage communication, ovvero la valorizzazione nella comunicazione del patrimonio artistico, storico, civico e religioso, sempre più strategico sul piano economico e politico, oltre che culturale.

Giunto alla quinta Edizione, con due appuntamenti annuali a Roma e a Bruxelles, l’International

 

 eUniversità “La Sapienza” di Roma.

 è il tema scelto per la tredicesima Edizione, con oltre 80 eventi sul territori e 5 eventi nazionali, uno dei quali è appunto l’ International Communication Summit Roma.