Roma. Video della presentazione del Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo, avvenuta presso la Fondazione Migrantes a Roma

segnalo una trasmissione video sulla presentazione del Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo, avvenuta presso la Fondazione Migrantes a Roma ( http://www.italiannetwork.it/video.aspx?id=1822)

Il video riporta, tra l’altro, alcune brevi ma significative frasi di un intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sull’importanza per l’Italia  delle comunita’ italiane nel mondo.

Pregevoli gli interventi del Presidente della Fondazione Migrantes e di alcuni dei curatori del Dizionario e degli ospiti chiamati a presentare l’opera .
Il volume ( (vedi: http://www.italiannetwork.it/news.aspx?ln=it&id=22262) si articola in 1.500 pagine con oltre 700 lemmi-articoli, 160 box di approfondimento, 17 appendici monotematiche, 500 illustrazioni a colori e in bianco e nero ed è il frutto del lavoro di 169 autori, nella maggior parte dei casi docenti universitari e rappresentanti di istituzioni e associazioni impegnate nell’ambito delle migrazioni italiane all’estero, supervisionati da un consiglio scientifico di 50 esperti che rappresentano l’Italia e numerose altre nazioni.

Il video e’ raggiungibile all’indirizzo:
http://www.italiannetwork.it/video.aspx?id=1822

Per avere ulteriori delucidazioni riguardo la pubblicazione, basta scrivere a:  dizionarioitalianinelmondo@gmail.com

 




IL DIZIONARIO ENCICLOPEDICO DELLE MIGRAZIONI ITALIANE NEL MONDO Presentata a Roma, alla Domus Mariae, la grande opera edita da SER e Fondazione Migrantes

12 giugno 2014

 

IL DIZIONARIO ENCICLOPEDICO DELLE MIGRAZIONI ITALIANE NEL MONDO

Presentata a Roma, alla Domus Mariae, la grande opera edita da SER e Fondazione Migrantes

 

di Goffredo Palmerini

 

ROMA – E’ stato presentato ieri mattina (11 giugno) a Roma, presso la Sala Congressi del The Church Palace (Domus Mariae, in via Aurelia 481) il Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo, edito da SER ItaliAteneo e Fondazione Migrantes e curato da Tiziana Grassi, Enzo Caffarelli, Mina Cappussi, Delfina Licata e Gian Carlo Perego. La presentazione si è svolta con un vero e proprio Convegno, al quale sono intervenuti Mons. Francesco Montenegro (Presidente della Fondazione Migrantes e Vescovo di Agrigento), Norberto Lombardi (CGIE, Consiglio Generale Italiani all’Estero), Tiziana Grassi (ideatrice e direttore del progetto Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo), Mario Morcellini (Università “La Sapienza” di Roma), Matteo Sanfilippo (Università della Tuscia di Viterbo), Francesca Alderisi (già conduttrice di “Sportello Italia”, Rai International), Goffredo Palmerini (ANFE, Associazione Nazionale Famiglie Emigrati), Enzo Caffarelli (direttore editoriale Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo). Ha moderato i lavori Sandro Petrone, giornalista Rai. Hanno portato il saluto Antonello Biagini (pro Rettore vicario Università “La Sapienza” di Roma) e Piero Alessandro Corsini (direttore Rai World). Cristina Ravaglia, Direttore Generale per Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie del Ministero degli Affari Esteri, assente per sopravvenuti impegni istituzionali, ha inviato un messaggio, letto nel corso del Convegno. Folta e qualificata la presenza di pubblico all’importante evento di presentazione della monumentale opera, volume cartaceo e cd, sull’emigrazione italiana. Quello che segue è l’intervento svolto da chi scrive al Convegno di presentazione del Dizionario, del quale è uno dei 169 autori e membro del Consiglio scientifico internazionale dell’opera, costituito da 50 esperti, accademici e ricercatori di tutto il mondo.

 

***

 

Sono davvero lieto e onorato d’essere partecipe della presentazione di quest’opera di capitale importanza per la diffusione della conoscenza e della storia del fenomeno migratorio italiano. Non solo come persona che per piccola parte vi ha contribuito, ma anche in veste di rappresentanza dell’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (ANFE), una delle più longeve e prestigiose associazioni che da 67 anni si occupa di emigrazione, in Italia e all’estero. Porto quindi il saluto dell’ANFE e del suo presidente Paolo Genco, anche con un pizzico d’orgoglio, da aquilano quale sono, per essere concittadino della fondatrice dell’associazione, Maria Agamben Federici, una delle donne più tenaci e straordinarie dell’Italia repubblicana che molto contribuì, nella Commissione dei 75 e nell’Assemblea Costituente, a scrivere la nostra Carta costituzionale.

 

Un grande merito spetta a chi ha ideato, promosso, organizzato e realizzato il primo Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo (cito Tiziana Grassi per tutti), a chi vi ha in qualche misura contribuito. E non solo per il valore scientifico e culturale dell’opera in sé, certamente indubbio, quanto piuttosto per sottolineare la rilevanza di un’opera sistemica e pluridisciplinare che va a coprire un vuoto d’interesse editoriale durato decenni, sebbene pubblicazioni siano state comunque prodotte su specifici campi di ricerca e d’attenzione verso il complesso fenomeno dell’emigrazione italiana.

 

Si deve alla Fondazione Migrantes, con il suo ponderoso Rapporto sugli Italiani nel mondo, quest’anno alla sua nona edizione, l’avvio d’una ricognizione annuale organica sulla nostra emigrazione e sopra tutto d’aver aperto la traccia per un approccio e un metodo non episodico nello studio del fenomeno migratorio. Di certo numerose sono le pubblicazioni sui vari aspetti dell’emigrazione prodotte da associazioni di settore – anche l’ANFE ha un corposo elenco di volumi editi -, da studiosi e ricercatori che hanno contribuito e contribuiscono alla migliore conoscenza della storia e dell’attualità della presenza italiana nei cinque continenti. E tuttavia un’opera così composita e strutturale come il Dizionario sicuramente mancava.

 

Ora la lacuna è colmata. Il Dizionario vede oggi la luce avendo potuto contare su una qualificata schiera di autori e sulla supervisione d’un Consiglio scientifico internazionale di grande prestigio, un cespite rilevante sul quale poter fare affidamento anche in futuro, per ulteriori auspicabili iniziative. Giova evidenziare come assuma rilievo il taglio dell’opera che, senza far torto al rigore scientifico, si apre alla divulgazione verso una più lata comunità di lettori. Aspetto questo non di poco conto, nella mirata esigenza di raggiungere il più vasto pubblico. Se infatti la nostra emigrazione di qualcosa ha bisogno, in primis necessita d’essere conosciuta seriamente, di entrare nella Storia d’Italia come le compete, di avere un posto di riguardo nei programmi d’insegnamento delle nostre scuole e università, per l’eccezionale dimensione sociale e culturale che l’ha accompagnata in ogni angolo del mondo e per quanto gli emigrati italiani hanno dato e stanno dando al proprio Paese, in termini economici, politici e culturali, grazie al prestigio e al ruolo sociale che si sono conquistati all’estero, nei tanti Paesi della nostra emigrazione.

 

Diciamolo senza velature ed ipocrisie. L’emigrazione italiana, i nostri emigrati, tra le innumerevoli difficoltà cui sono andati incontro, diffidenze e pregiudizi, se non anche ogni forma d’angherie e soprusi prima di poter realizzare il proprio riscatto, certamente non pensavano che in Patria si sarebbe realizzata una singolare specie di rimozione del fenomeno migratorio e della sua storia dolorosa. Un atteggiamento di sufficienza che pervade ancora una buona parte della classe dirigente del Paese, della politica e delle Istituzioni, che da un lato aveva ed ha tuttora scarso interesse verso gli Italiani all’estero e ciò che rappresentano, dall’altro gli riserva un paternalismo di maniera che si nutre d’una conoscenza assai epidermica e lacunosa, per usare un eufemismo, sul complesso mondo della nostra emigrazione. Un fatto per certi versi inconcepibile per un Paese come l’Italia che ha conosciuto una vera e propria diaspora, a cavallo dei due secoli scorsi, con 30 milioni di connazionali emigrati, ora diventati un’altra Italia persino molto più numerosa di quella dentro i confini.

 

C’è dunque bisogno che le due Italie si conoscano e si riconoscano, come avverte chiunque abbia occasione d’incontrare – e a me capita spesso – le comunità italiane all’estero, la cui più acuta amarezza verso il Paese delle loro origini è appunto la constatazione d’una insufficiente conoscenza delle loro realtà, d’uno scarso interesse, se non d’indifferenza, verso quanto esse rappresentano. Non hanno bisogno pressoché di nulla, gli Italiani nel mondo, solo di essere conosciuti, riconosciuti, considerati. E pensare che gran parte di loro, in ogni angolo del pianeta, si è conquistato stima ed apprezzamento in società a forte competizione, eccelle nell’imprenditoria, nelle professioni, nelle università, nei centri di ricerca, nella cultura, è presente corposamente nei Parlamenti e nei Governi. E’ un’altra Italia dignitosa, corretta, competitiva che con testimonianze di vita esemplari dà lustro alla Patria, come ci ricorda il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella sua bella lettera di saluto che apre il Dizionario. Quanto sarebbe auspicabile, e persino utile oggi al Paese ancora nelle secche d’una brutta congiuntura economica, che queste due Italie si riconoscessero, che operassero in sinergia mettendo insieme i migliori talenti.

 

E’ possibile tuttavia che a tanto si arrivi. Ma occorre un grande salto culturale che cancelli usurati archetipi e vecchi cliché sull’emigrazione e ci si apra alla conoscenza vera della nostra emigrazione, dello straordinario mondo delle comunità italiane all’estero, eccezionale risorsa sulla quale investire per fare più grande l’Italia, per unire le due Italie. Per questo edificante obiettivo è necessaria una buona informazione e la conoscenza. Dunque prezioso è il Dizionario che oggi si presenta, un sussidio agevole e organico che favorisce efficacemente la divulgazione per la conoscenza della nostra emigrazione e della sua Storia.

 

Dovrebbe pertanto entrare, il Dizionario, come un essenziale strumento didattico in tutte le scuole, nelle associazioni culturali, nelle rappresentanze sociali ed economiche, nelle case. Dovrebbe diventare sopra tutto un vademecum per ogni eletto nelle Istituzioni. Quando questo dovesse accadere, con la conoscenza appropriata della nostra emigrazione, a nuovi ed ambiziosi traguardi potrebbe aspirare l’Italia, facendo affidamento sul giacimento di valori, d’esperienze, d’orgoglio nazionale e d’amor patrio che trova radici nella cultura millenaria, nella creatività e nel talento della nostra gente, come pure nel sedimento di sofferenze e privazioni che hanno alimentato il riscatto materiale e morale degli Italiani nel mondo. Un immenso patrimonio per la nostra Italia, da valorizzare e di cui andare davvero fieri.

 




IL DIZIONARIO ENCICLOPEDICO DELLE MIGRAZIONI ITALIANE NEL MONDO di Goffredo Palmerini

12 giugno 2014

 

IL DIZIONARIO ENCICLOPEDICO DELLE MIGRAZIONI ITALIANE NEL MONDO

Presentata a Roma, alla Domus Mariae, la grande opera edita da SER e Fondazione Migrantes

 

di Goffredo Palmerini

 

ROMA – E’ stato presentato ieri mattina (11 giugno) a Roma, presso la Sala Congressi del The Church Palace (Domus Mariae, in via Aurelia 481) il Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo, edito da SER ItaliAteneo e Fondazione Migrantes e curato da Tiziana Grassi, Enzo Caffarelli, Mina Cappussi, Delfina Licata e Gian Carlo Perego. La presentazione si è svolta con un vero e proprio Convegno, al quale sono intervenuti Mons. Francesco Montenegro (Presidente della Fondazione Migrantes e Vescovo di Agrigento), Norberto Lombardi (CGIE, Consiglio Generale Italiani all’Estero), Tiziana Grassi (ideatrice e direttore del progetto Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo), Mario Morcellini (Università “La Sapienza” di Roma), Matteo Sanfilippo (Università della Tuscia di Viterbo), Francesca Alderisi (già conduttrice di “Sportello Italia”, Rai International), Enzo Caffarelli (direttore editoriale Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo). Ha moderato i lavori Sandro Petrone, giornalista Rai. Hanno portato il saluto Antonello Biagini (pro Rettore vicario Università “La Sapienza” di Roma) e Piero Alessandro Corsini (direttore Rai World). Cristina Ravaglia, Direttore Generale per Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie del Ministero degli Affari Esteri, assente per sopravvenuti impegni istituzionali, ha inviato un messaggio, letto nel corso del Convegno. Folta e qualificata la presenza di pubblico all’importante evento di presentazione della monumentale opera, volume cartaceo e cd, sull’emigrazione italiana. Se può essere d’interesse, quello che segue è l’intervento svolto da chi scrive al Convegno di presentazione del Dizionario.

 

***

 

Sono davvero lieto e onorato d’essere partecipe della presentazione di quest’opera di capitale importanza per la diffusione della conoscenza e della storia del fenomeno migratorio italiano. Non solo come persona che per piccola parte vi ha contribuito, ma anche in veste di rappresentanza dell’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (ANFE), una delle più longeve e prestigiose associazioni che da 67 anni si occupa di emigrazione, in Italia e all’estero. Porto quindi il saluto dell’ANFE e del suo presidente Paolo Genco, anche con un pizzico d’orgoglio, da aquilano quale sono, per essere concittadino della fondatrice dell’associazione, Maria Agamben Federici, una delle donne più tenaci e straordinarie dell’Italia repubblicana che molto contribuì, nella Commissione dei 75 e nell’Assemblea Costituente, a scrivere la nostra Carta costituzionale.

 

Un grande merito spetta a chi ha ideato, promosso, organizzato e realizzato il primo Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo (cito Tiziana Grassi per tutti), a chi vi ha in qualche misura contribuito. E non solo per il valore scientifico e culturale dell’opera in sé, certamente indubbio, quanto piuttosto per sottolineare la rilevanza di un’opera sistemica e pluridisciplinare che va a coprire un vuoto d’interesse editoriale durato decenni, sebbene pubblicazioni siano state comunque prodotte su specifici campi di ricerca e d’attenzione verso il complesso fenomeno dell’emigrazione italiana.

 

Si deve alla Fondazione Migrantes, con il suo ponderoso Rapporto sugli Italiani nel mondo, quest’anno alla sua nona edizione, l’avvio d’una ricognizione annuale organica sulla nostra emigrazione e sopra tutto d’aver aperto la traccia per un approccio e un metodo non episodico nello studio del fenomeno migratorio. Di certo numerose sono le pubblicazioni sui vari aspetti dell’emigrazione prodotte da associazioni di settore – anche l’ANFE ha un corposo elenco di volumi editi -, da studiosi e ricercatori che hanno contribuito e contribuiscono alla migliore conoscenza della storia e dell’attualità della presenza italiana nei cinque continenti. E tuttavia un’opera così composita e strutturale come il Dizionario sicuramente mancava.

 

Ora la lacuna è colmata. Il Dizionario vede oggi la luce avendo potuto contare su una qualificata schiera di autori e sulla supervisione d’un Consiglio scientifico internazionale di grande prestigio, un cespite rilevante sul quale poter fare affidamento anche in futuro, per ulteriori auspicabili iniziative. Giova evidenziare come assuma rilievo il taglio dell’opera che, senza far torto al rigore scientifico, si apre alla divulgazione verso una più lata comunità di lettori. Aspetto questo non di poco conto, nella mirata esigenza di raggiungere il più vasto pubblico. Se infatti la nostra emigrazione di qualcosa ha bisogno, in primis necessita d’essere conosciuta seriamente, di entrare nella Storia d’Italia come le compete, di avere un posto di riguardo nei programmi d’insegnamento delle nostre scuole e università, per l’eccezionale dimensione sociale e culturale che l’ha accompagnata in ogni angolo del mondo e per quanto gli emigrati italiani hanno dato e stanno dando al proprio Paese, in termini economici, politici e culturali, grazie al prestigio e al ruolo sociale che si sono conquistati all’estero, nei tanti Paesi della nostra emigrazione.

 

Diciamolo senza velature ed ipocrisie. L’emigrazione italiana, i nostri emigrati, tra le innumerevoli difficoltà cui sono andati incontro, diffidenze e pregiudizi, se non anche ogni forma d’angherie e soprusi prima di poter realizzare il proprio riscatto, certamente non pensavano che in Patria si sarebbe realizzata una singolare specie di rimozione del fenomeno migratorio e della sua storia dolorosa. Un atteggiamento di sufficienza che pervade ancora una buona parte della classe dirigente del Paese, della politica e delle Istituzioni, che da un lato aveva ed ha tuttora scarso interesse verso gli Italiani all’estero e ciò che rappresentano, dall’altro gli riserva un paternalismo di maniera che si nutre d’una conoscenza assai epidermica e lacunosa, per usare un eufemismo, sul complesso mondo della nostra emigrazione. Un fatto per certi versi inconcepibile per un Paese come l’Italia che ha conosciuto una vera e propria diaspora, a cavallo dei due secoli scorsi, con 30 milioni di connazionali emigrati, ora diventati un’altra Italia persino molto più numerosa di quella dentro i confini.

 

C’è dunque bisogno che le due Italie si conoscano e si riconoscano, come avverte chiunque abbia occasione d’incontrare – e a me capita spesso – le comunità italiane all’estero, la cui più acuta amarezza verso il Paese delle loro origini è appunto la constatazione d’una insufficiente conoscenza delle loro realtà, d’uno scarso interesse, se non d’indifferenza, verso quanto esse rappresentano. Non hanno bisogno pressoché di nulla, gli Italiani nel mondo, solo di essere conosciuti, riconosciuti, considerati. E pensare che gran parte di loro, in ogni angolo del pianeta, si è conquistato stima ed apprezzamento in società a forte competizione, eccelle nell’imprenditoria, nelle professioni, nelle università, nei centri di ricerca, nella cultura, è presente corposamente nei Parlamenti e nei Governi. E’ un’altra Italia dignitosa, corretta, competitiva che con testimonianze di vita esemplari dà lustro alla Patria, come ci ricorda il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella sua bella lettera di saluto che apre il Dizionario. Quanto sarebbe auspicabile, e persino utile oggi al Paese ancora nelle secche d’una brutta congiuntura economica, che queste due Italie si riconoscessero, che operassero in sinergia mettendo insieme i migliori talenti.

 

E’ possibile tuttavia che a tanto si arrivi. Ma occorre un grande salto culturale che cancelli usurati archetipi e vecchi cliché sull’emigrazione e ci si apra alla conoscenza vera della nostra emigrazione, dello straordinario mondo delle comunità italiane all’estero, eccezionale risorsa sulla quale investire per fare più grande l’Italia, per unire le due Italie. Per questo edificante obiettivo è necessaria una buona informazione e la conoscenza. Dunque prezioso è il Dizionario che oggi si presenta, un sussidio agevole e organico che favorisce efficacemente la divulgazione per la conoscenza della nostra emigrazione e della sua Storia.

 

Dovrebbe pertanto entrare, il Dizionario, come un essenziale strumento didattico in tutte le scuole, nelle associazioni culturali, nelle rappresentanze sociali ed economiche, nelle case. Dovrebbe diventare sopra tutto un vademecum per ogni eletto nelle Istituzioni. Quando questo dovesse accadere, con la conoscenza appropriata della nostra emigrazione, a nuovi ed ambiziosi traguardi potrebbe aspirare l’Italia, facendo affidamento sul giacimento di valori, d’esperienze, d’orgoglio nazionale e d’amor patrio che trova radici nella cultura millenaria, nella creatività e nel talento della nostra gente, come pure nel sedimento di sofferenze e privazioni che hanno alimentato il riscatto materiale e morale degli Italiani nel mondo. Un immenso patrimonio per la nostra Italia, da valorizzare e di cui andare davvero fieri.

 




Roma. PRESENTAZIONE DEL DIZIONARIO ENCICLOPEDICO DELLE MIGRAZIONI ITALIANE NEL MONDO

11 GIUGNO 2014: PRESENTAZIONE DEL

 

DIZIONARIO ENCICLOPEDICO DELLE MIGRAZIONI ITALIANE NEL MONDO

 

La Fondazione Migrantes e la Ser Itali Ateneo  presenteranno, il prossimo 11 Giugno 2014 presso il The Church Palace (Domus Mariae, via Aurelia 481 – Roma) alle ore 10,30 il “Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo”.

Il volume, che esce dopo alcuni anni di lavoro, si articola in 1.500 pagine con circa 700 lemmi-articoli e oltre 160 box di approfondimento, 17 appendici monotematiche, 500 illustrazioni a colori e in bianco e nero ed  è il frutto del lavoro di 168 autori, nella maggior parte dei casi docenti universitari e rappresentanti di istituzioni e associazioni, Missioni Cattoliche Italiane e comunità religiose impegnate nell’ambito delle migrazioni italiane all’estero, supervisionati da un consiglio scientifico di 50 esperti che rappresentano l’Italia e numerose altre nazioni.

Il Dizionario racconta una pagina fondativa della storia italiana, quale è stata la Grande Emigrazione tra Ottocento e Novecento e che giunge fino ai nostri giorni con decine di migliaia di italiani che, complice la crisi economica, continuano a muoversi verso altre terre. Una pagina fatta di coraggio, sacrifici, sogni, conquiste, storie di fede lontana dalla propria parrocchia, e che ha visto partire oltre 27 milioni di connazionali, che oggi esprimono un portato di circa 80 milioni di oriundi.

Il Dizionario è rivolto a un pubblico vasto ed eterogeneo, in quanto “manuale” della storia e dell’attualità dell’Italia: alle scuole, ai giovani, agli operatori pastorali, agli amministratori pubblici, agli operatori culturali e commerciali, a chi ha lasciato l’Italia per seguire un suo progetto migratorio ma vuole mantenere saldi i legami con il nostro Paese.

 

Alla presentazione interverranno

 

  • S.E. Mons. Francesco Montenegro, Presidente Fondazione Migrantes;
  • Norberto Lombardi, CGIE, Consiglio Generale Italiani all’Estero;
  • Tiziana Grassi, ideatrice e direttore del progetto Dizionario Enciclopedico

delle Migrazioni Italiane nel Mondo;

  • Mario Morcellini, Università “La Sapienza” di Roma;
  • Catia Monacelli, Museo Regionale dell’Emigrazione “Pietro Conti” di Gualdo Tadino;
  • Matteo Sanfilippo, Università della Tuscia di Viterbo;
  • Francesca Alderisi, già conduttrice “Sportello Italia” – Rai International;
  • Goffredo Palmerini, ANFE, Associazione Nazionale Famiglie Emigrate;
  • Enzo Caffarelli, direttore editoriale Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo – SER Itali Ateneo;

Conclusioni di

  • Cristina Ravaglia, Direzione Generale per Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie del

Ministero degli Affari Esteri

 

Modera

  • Sandro Petrone, Giornalista RAI

 

 

Roma, 6 giugno 2014




La Divina Commedia dei Migranti Di WALTER CICCIONE

Qui Argentina

Giornata del’Italianitá

                  La Divina Commedia dei Migranti

                                                                                                                            Di WALTER CICCIONE

Quanti abbiamo scelto l’Argentina come terra d’adozione, ci sentiamo gratificati per la riconoscenza del Paese nei confronti della nostra comunità, il cui contributo – assicurano – è stato fondamentale nella costruzione dell’identità nazionale.

Una gratitudine resa concreta con la legge dell’anno 1995, che il parlamento argentino approvò all’unanimità, decretando il “Giorno dell’Immigrante Italiano in Argentina”, da celebrare il 3 giugno, in coincidenza con il giorno della nascita di Manuel Belgrano, una delle personalità più decisive e apprezzate della storia argentina, figlio di Domenico Belgrano, un ligure stabilitosi nella seconda metà del ‘ 700 a Buenos Aires, dove era arrivato dalla natia Oneglia.

Un omaggio che ci onora, ancora di più, perché si tratta di un riconoscimento unico, visto che non è stato dato a nessun’altra tra le numerose comunità straniere che risiedono in terra argentina. Un gesto significativo che, però, non abbiamo ancora saputo valorizzare e meno ancora celebrare in tutta la sua dimensione.

Un privilegio che neanche il nostro paese d’origine ci ha concesso, visto che ad eccezione della “Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel Mondo”, stabilito su iniziativa dell’ex ministro Mirko Tremaglia in memoria dei minatori morti nella tragedia di Marcinelle (Belgio), sciagura dove persero la vita 260 emigrati, non esiste al giorno d’oggi un’altra data che renda omaggio all’epopea di coloro che partirono, lasciando spazio ad altri italiani, e che con le loro rimesse contribuirono alla conquista del “miracolo italiano”, negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso.

E’ senz’altro una disdicevole mancanza che in qualche modo conferma l’indifferenza dell’Italia nei confronti di milioni di suoi cittadini sparsi nel mondo, buona parte dei quali, ciò nonostante, mantengono un inalterato amore verso la terra d’origine, anche quando si tratta di un affetto non contraccambiato.

Alla vigilia di un nuovo anniversario della “nostra giornata“, affiora l’anelito o il desiderio, di evocare e rendere un semplice omaggio a quanti dovettero emigrare. Un fatto che riguarda anche questo cronista il quale, ancora bambino, fece parte dell’ultima ondata  che sbarcò al Plata negli anni ’50. Soci di avventura, personaggi anonimi le cui epopee sileziose pur se non hanno avuto l’eco dei grandi avvenimenti storici,  meritano di essere ricordati, dato che in loro possiamo ritrovare le immagini dei nostri nonni, zii, perfino dei nostri genitori.

L’ETERNO DILEMMA, EMIGRARE O RESTARE

L’emigrazione è un’esperienza che riguarda gli uomini e numerose specie animali. Un esperimento  sociale che segnò a fuoco il nostro passato recente.

Sopravvisuti all’inferno di una guerra spietata, e senza troppe alternative per il sostentamento, una delle opzioni per migliorare le condizioni di vita era, appunto, espatriare, e pur se il prezzo da pagare, a cominciare da quello emotivo, era molto alto – smembramento della famiglia, perdita di amici, valori e abitudini, tra gli altri – affrontarono la sfida con coraggio, sperando in un fututo migliore.

L’espatrio è anche un fenomeno ciclico, oggi focalizzato nei migranti clandestini, come quelli che dal Messico tentano di travalicare la frontiera con gli Stati Uniti, o come le migliaia di disperati che dalle coste del nord africano, cercano di raggiungere la penisola, scappando dalla miseria, dalla disoccupazione e dalle guerre,  lo sbarco in Lampedusa o in Sicilia, isole simbolo del paradiso nella Terra. Un sogno che spesso si tramuta in tragedia.

In questi tempi, per uno strano paradosso, l’Italia da paese di emigrazione è diventato terra d’immigrazione, si ricicla la tendenza di lasciare il Paese che oggi viene chiamata “fuga di cervelli” e che vede giovani laureati che vannno all’estero in cerca di opportunità.

E anche quando si svolge in un contesto diverso da quello vissuto dai loro antenati, “che partivano con la valigia di cartone” mentre oggi lo fanno col trolley zaino, la tablet e lo smartphone, e anche se questa generazione può comunicarsi più facilmente con la famiglia e gli amici rimasti in Italia, rispetto a quanto potevano fare gli emigrati di cinquanta anni fa, proveranno comunque la stessa malinconia e tristezza.

Emigrare è certamente una tra le decisioni più impegnative e trascendenti che può prendere una persona ed è per antonomasia intraprendere un lungo peregrinaggio in cerca di opportunità e di possibilità di raggiungere una vita migliore per se e per la famiglia. Una avventura che, oltre ad attese e speranze, implica anche sofferenze e paure

Solitudine, sradicamento, nostalgia e senso di colpa, per il fatto di partire, “abbandonando” i Cari che restano a casa, in attesa e preoccupati. E poi l’enorme responsabilità che implica arrivare in un posto diverso da quel che si è sognato, col rischio di vedere frustrati progetti e speranze.

Una decisione che ancora oggi nel Bel Paese su presta a controversie, tra quanti scelsero di emigrare e coloro che sono rimasti (forse “perché non hanno potuto, non hanno voluto o non hanno avuto il coraggio di farlo ”).

UNA DIVINA COMMEDIA

Sembra evidente che espatriare comporta un percorso imbarazzante nella cui descrizione molti cronisti usano espressioni quali “inferno”, “purgatorio” e “paradiso”, termini che, in modo istintivo, naturale, ci portano a pensare, fatte le dovute proporzioni, alla Divina Commedia, ll poema allegorico di Dante che, lungo i suoi cantici, ci porta in un percorso immaginario attraverso i tre piani biblici nei quali il poeta divide il mondo. 

Nel caso del migrante il tragitto è reale, acerbo, attraversando un inferno fatto dall’ assenza di speranza imposta da una guerra, con il suo buio e il suo seguito di distruzione e di morte, per poi  percorrere  i cerchi del purgatorio, per espiare chissà quali colpe e rimarginare le ferite. Anche l’esilio volontario, a bordo della nave, fu una specie di purgatorio, anticamera del paradiso che si voleva raggiungere. E se nel caso di Dante esso è stato l’incontro con Beatrice, quello del migrante è stato, appunto, arrivare nella terra promessa. 

Ma questa evocazione non sarebbe completa senza alcuni altri dettagli: ci fu un imbarco col conseguente triste addio ai familiari e al caro paese. E mentre la nave va, condividere a bordo giorni di riflessione, di introspezione, lo sguardo perso nell’orizzonte senza limiti, condividendo chiacchiere che, come in una specie di catarsi collettiva, ci rendeva più facile il consolarci   stimolando speranze e fantasie, fino al giorno in cui si intravedeva finalmente la destinazione, nel nostro caso Buenos Aires, che con i suoi grattacieli che ci stupiva.  Poi lo sbarco nel molo, l’indimenticabile “Dársena A”, nella quale migliaia di paesani e connazionali ci davano il benvenuto, agitando fazzoletti di ogni colore, tra i quali per noi, predominava il verde della speranza.

Nessuna destinazione è uguale ad un’altra, ma quanti abbiamo condiviso quella lunga traversata, portandoci addosso un bagaglio di sogni e consuetudini, abbiamo seguito strade parallele, per concludere ritrovandoci in questa terra generosa che abbiamo scelto come il nostro posto nel mondo, dove siamo stati accolti con i cuori aperti e da facce allegri e sorridenti. 

Per quanto riguarda quei 700 compagni di viaggio e le altre decine di migliaia che arrivarono in queste terre, alcuni hanno fatto l’America, i più hanno conquistato una vita dignitosa, costituito le loro famiglie, educato i figli  e visto crescere nipoti e pronipoti, che oggi li ricordano con ammirazione e gratitudine. 

 

                                                                       WALTER CICCIONE

                                                                      ciccioneg@speedy.com.ar

Walter (Giuseppe) Ciccione.

Nato a Pescara, classe 1939, emigrato nel 1950.

In Argentina :  Giornalista e scrittore  per la stampa locale. Creatore e conduttore  delle trasmissioni :“Di origine italiana” e “Buon giorno Argentina “in onda su Radio El Mundo di Buenos Aires.

Presidente del Centro Abruzzese di Buenos Aires (C.A.B.A.)

Premio della Camera di Commercio di Pescara  per la” Fedeltà al Lavoro ed al Progresso Economico” dei pescaresi emigrati in Argentina

 




MIA CARA CURITIBA, IN BRASILE L’ITALIA BELLA IN MOSTRA

29 maggio 2014

 

MIA CARA CURITIBA, IN BRASILE L’ITALIA BELLA IN MOSTRA

Nove giorni di cultura italiana, con uno spicchio d’Abruzzo, nella metropoli del Paranà

 

di Goffredo Palmerini

 

 

CURITIBA – Curitiba è una bella e amena città, capitale dello stato del Paranà, posta a 934 metri d’altitudine sul grande altopiano, ad un centinaio di chilometri dalla costa sull’Atlantico. Con quasi 1.850.000 abitanti è l’ottava città più popolata del Brasile e una delle più grandi della regione meridionale, raggiungendo con le 26 municipalità dell’area metropolitana una popolazione totale di circa 3.175.000 abitanti. Considerata la capitale con la migliore qualità della vita di tutto il Brasile,ha un polo industriale di tutto rispetto con produzioni assai diversificate, che ha determinato un forte sviluppo, tale da collocarla nel top delle città più economicamente avanzate dell’America Latina, in un’invidiabile quarta posizione. Alla posizione di rilievo in campo industriale, cui s’associa il settore agricolo specie nella produzione di caffè, si aggiunge un riconoscimento prestigioso, giacché da alcuni anni Curitiba è stimata come la città con la migliore qualità della vita di tutto il Brasile.

 

Fondata verso la fine del Seicento da coloni portoghesi, collegata con altre città specie sulla costa, Curitiba diventò presto un importante centro commerciale e poi industriale. Nel 1853 le venne riconosciuto il ruolo di capitale della provincia del Paranà e da quel momento la città conobbe una crescita vigorosa e costante, sebbene ordinata e senza convulsioni, grazie all’arrivo, specie nella seconda metà dell’Ottocento, di un consistente flusso d’immigrati dall’Europa, per la maggior parte tedeschi, italiani, polacchi e ucraini, che contribuì a renderla città culturalmente eterogenea, vivace e cosmopolita. Ragguardevole fu l’immigrazione italiana, a Curitiba e nel Paranà, come pure negli altri due stati del Sud, con punte immigratorie dal Veneto e dal Lazio, significative anche rispetto alla fenomenale immigrazione italiana a San Paolo e dintorni, che oggi distingue quella città come “la più grande città italiana”, essendo metà della popolazione di origine e discendenza italiana. Bene annota il fenomeno in un suo volume (Italiani nel paese verde-oro, Tau Editrice, 2013) un’attenta studiosa della Fondazione Migrantes, Delfina Licata, sottolineando peraltro come il Brasile oggi conti, in cifra assoluta, il maggior numero di oriundi italiani: ben 25 milioni.

 

Nel corso della sua storia recente Curitiba ha sperimentato con saggezza diversi piani urbanistici, mettendo in atto norme rigorose per contenere la crescita incontrollata della città, al punto da divenire famosa in tutto il mondo per le sue scelte innovative e per la cura dell’ambiente urbano. È inoltre la città con i più alti indici educativi del Brasile, vantando infatti bassissimi tassi d’analfabetismo ed un’alta qualità dell’istruzione. Ospita peraltro l’Università Federale del Paranà, fondata nel 1912 e ritenuta la prima università del Brasile. Nel 2010 è stata premiata come la città più ecosostenibile del mondo ai Globe Sustainable City Award, prestigioso riconoscimento per quelle città che si distinguono per il loro sviluppo urbano ecosostenibile. È infatti la “capitale” ecologica del Brasile, grazie ai 55 metri quadrati di area verde per abitante e all’efficiente rete di trasporti metropolitani. Qui è stata ideata negli anni Settanta del secolo scorso la prima isola pedonale del mondo. Curitiba rappresenta dunque un esempio vivente di città pulita ed ecosostenibile. Infatti, come in un vero e proprio laboratorio urbano, a Curitiba è stato testato un nuovo stile di vita non pianificato dall’alto, ma confrontato e condiviso con tutte le parti sociali, applicando la filosofia di sviluppo urbano che fu propugnata dal sindaco Jaime Lerner, architetto ed urbanista.

 

Fatta la necessaria premessa sulla storia civica, la città è davvero assai vivace. Va qui con orgoglio richiamato il ruolo sociale ed economico che in Curitiba la comunità italiana da sempre interpreta, particolarmente nella vita culturale. Una dimensione ragguardevole che la vede a livelli di prestigio e di forte apprezzamento nella pubblica opinione e da parte delle istituzioni. Tanto che naturale è stata l’ambizione di organizzare una vetrina tutta italiana che consentisse alla metropoli e all’intero stato del Paranà di apprezzare la cultura, lo stile, il gusto, la raffinatezza e le eccellenze dell’Italia. Da queste considerazioni è nata l’idea di realizzare un evento che mettesse in mostra il meglio dell’Italia, capace di rafforzare il già solido legame tra il Brasile e l’Italia, tra le culture dei due Paesi. E’ nato così il progetto “Mia cara Curitiba”, sulla spinta delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, che già dalla prima edizione realizzata nel 2013 ha visto collaborare strettamente il Consolato Generale d’Italia, la Municipalità di Curitiba, l’istituto turistico comunale e Canal mkt.

 

Cosicché, sulla brillante esperienza fatta della prima edizione, è stata organizzata ed è felicemente in corso la seconda edizione, con una ventaglio di eventi che dal 24 maggio si estende fino al 1° giugno 2014. Musica, teatro, mostre di fotografia e di arte figurative, seminari, rassegne cinematografiche, danza e gastronomia tra le attrazioni, e persino una cavalcata in bicicletta per le vie della città nell’ampio programma degli eventi. Una risposta efficace al proposito d’illustrare l’Italia, la cui cultura da sempre influenza sensibilmente il costume e l’indole della capitale paranaense, così presente nella quotidianità più di quanto possa essere immaginabile. Si  respira cultura italiana, quindi, con “Mia cara Curitiba”. Tutto il programma artistico dell’edizione 2014 è gratuito, realizzato con il concorso dell’Ambasciata d’Italia in Brasile e del Consolato Generale in Curitiba, con il sostegno del Ministero della Cultura del Brasile, integrato nel contesto delle iniziative di “Italia Cup”, che presenta in Brasile una serie di eventi culturali nel corso dell’anno e durante il Campionato mondiale di calcio.

 

Quelli che seguono sono gli eventi più significativi del ricco programma.  Evento d’apertura, il 24 maggio, è stato l’apprezzato concerto del singer Mario Biondi, con il suo mix di jazz e blues, al Teatro Guaira. Una giornata inaugurale arricchita da una fiera della gastronomia italiana e dall’opera comica “Gianni Schicchi” di Giacomo Puccini, diretta dal M° Alessandro Sangiorgi, con la scenografia di Julmar Leardini e con un cast di 40 musicisti e 15 cantanti. Gli appassionati di teatro possono godere lo spettacolo “Colonia Cecilia”, diretto da João Luiz Fiani al Teatro Fernanda Montenegro. L’umorismo sul palco si esprimerà con il comico italiano Gilbert Idonea, con una performance nell’auditorium del Museo Oscar Niemeyer. Un evento che unisce musica e comicità in uno spettacolo che vede la partecipazione della cantante Giovanna D’Angi. Le arti visive sono ampiamente rappresentate con una mostra italo-brasiliana con opere di Poty e Leila Pugnaloni.  Tecniche e stili diversi in una esposizione allestita presso il Solar Do Rosario. E ancora una bella “Bicicletada”per le vie centrali della città, mentre in Cattedrale daranno concerti Cori italiani. Sempre in Cattedrale “Mia cara Curitiba” chiuderà domenica 1 ° giugno, con il concerto del  pianista, compositore e direttore d’orchestra Carlo Alberto Neri con la Camerata Antiqua de Curitiba, nella Cappella di Santa Maria, con un repertorio assortito da brani di musica classica, con musiche da film e con partiture composte dal M° Neri.

 

Infine, ma non ultima per rilevanza, l’arte della Fotografia, celebrata con una grande mostra dal titolo “Italia Mon Amour” che dal 24 maggio si svilupperà fino al 30 giugno presso SESC Green Water, con le opere di cinque professionisti della nuova generazione italiana: Claudio di Francesco, Gabriele Menconi, Mongobì e il duo Simoncini -Tangi. La mostra è curata da Gaia Bindi. La curatrice, storica dell’arte, è nota per la sua capacità di rivelare nuovi talenti. Docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara, ha operato nel Museo Picasso di Parigi ed è stata consulente presso il Centro per l’Arte Contemporanea Sperimentale nel Parco Arte Vivente di Torino. Cambiamenti nel paesaggio urbano, operazioni di blindaggio di edifici e la realtà nel dettaglio l’impatto visivo ed emotivo delle opere esposte. Gabriele Menconi ama lavorare con l’estraneità e il disorientamento reflex. Registra paesaggi con uno specchio, riflettendo l’altro lato dell’immagine che viene generalmente escluso dalla fotografia. Mongobì, nome d’arte di Bibbiana Mele, lavora con collage di fotografie. Scene e texture sono sovrapposti con immagini femminili, le forze alleate della natura come animali e altri elementi. La sua produzione si muove tra il caos giocoso di immagini suggestive. Simoncini -Tangi lavorano con dettagli in foto che sfruttano piccoli universi. Daniela Simoncini e Pasquale Tangi hanno conquistato una certa dimensione in Italia con il progetto “Microcambiamenti”, enucleando in immagine piccoli cambiamenti e reinterpretazioni.

 

Tra i cinque valenti artisti della macchina fotografica mi permetto di focalizzare in particolare Claudio Di Francesco, per la singolare sua testimonianza dall’Abruzzo e significativamente dalla sua capitale, L’Aquila, devastata dal terremoto del 6 aprile 2009. Di Francesco, con la specialissima sensibilità che gli è propria, affida alle immagini la narrazione della tragedia. Il taglio astratto delle sue foto in bianco e nero rivelano che l’astrazione è solo forma estetica ed espressiva, di contro ad un’essenza autentica della sua arte che intinge nel pathos, nel dolore di una città fiera di bellezza e dilaniata nel suo patrimonio d’arte e di architetture. Una città che grida il suo dolore per le sue 309 vittime ma impasta la determinazione della sua rinascita, per tornare più bella di prima, come più volte ha fatto, nei tragici eventi sismici che hanno contrappuntato i quasi otto secoli della sua storia. E’ sempre risorta. Questo il grido che lancinano le immagini di Claudio Di Francesco, nelle selezioni di due suoi lavori: “Tubi” e “La processione della Madonna d’Appari a Paganica”. Da una serie lacerti di ponteggi di messa in sicurezza a monumenti insigni dell’Aquila, dall’altra “fotogrammi” di una tradizione religiosa di grande richiamo, a Paganica, popoloso centro aquilano tra quelli che fanno corona alla città capoluogo d’Abruzzo, anch’esso massacrato dal terremoto.

 

Nelle immagini la Madonna d’Appari, con il Cristo morto sulle ginocchia, traspare da un velo l’immensa pietà. Appare come l’icona della sofferenza morale e materiale di una città e dei suoi abitanti. Ma evoca anche il simbolo d’una Fede forte, che affonda le radici in secoli di vicende umane sempre sopravvissute, come sarà d’altronde con la rinascita dalle rovine del terremoto del 2009. Claudio Di Francesco è nato nel 1955 a San Martino sulla Marrucina, in provincia di Chieti. Da molti anni vive a Paganica, la più popolosa frazione dell’Aquila, distesa alle falde del Gran Sasso d’Italia, con il cuore del centro storico posto sul vestibolo della Valleverde lungo la quale s’inerpica la via che porta verso la vetta dell’Appennino, fino a Campo Imperatore. Sociologo, già dirigente d’azienda, Claudio Di Francesco ha da sempre coltivato la passione per la fotografia d’arte, impegnando la sua sensibilità per le vicende umane, talvolta le più drammatiche e dolorose, con un sincero trasporto di condivisione. La sua attenzione d’artista spesso sofferma l’obiettivo ristretto al particolare, al dettaglio, talvolta più pertinente e descrittivo d’una narrazione a tutto campo.

 




CONCLUSA CON SUCCESSO LA MISSIONE IN BELGIO DI ANFE SICILIA

 

Significative iniziative a Mons, Charleroi e Marcinelle, presente il Premier belga Elio Di Rupo

 

 

PALERMO – Si sono concluse con straordinario successo le attività dell’ANFE a Mons e Charleroi promosse dall’Assessorato Regionale al Lavoro, alle Politiche Sociali e alla Famiglia e finanziate ai sensi dell’art. 24 della L.R. 55/80 che hanno ricevuto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica. Il programma ha visto coinvolte istituzioni governative, le università di Mons e Palermo, ma soprattutto la comunità siciliana emigrata nella parte francofana del Belgio. Alle attività hanno preso parte l’Assessore regionale Giuseppe Bruno e il Rettore dell’Università di Palermo Roberto Lagalla.

 

Dopo 58 anni dalla tragedia avvenuta nella miniera di Bois du Cazier di Marcinelle, l’ANFE è ritornata sui luoghi che hanno fatto grande la storia dell’Associazione, apponendo la targa commemorativa alla presenza dell’Ambasciata Italiana, del Consolato a Charleroi, dell’Assessore Regionale Giuseppe Bruno, del Rettore dell’Università di Palermo Roberto Lagalla, del Presidente del Bois du Cazier. Momenti molto toccanti sono stati la deposizione delle due corone di fiori una della Regione Sicilia e l’altra dell’ANFE al monumento delle vittime della tragedia, il minuto di silenzio scandito dal suono delle campane e la visita al memoriale.

 

La serata è proseguita al Teatro di Charleroi, il Palais de Beaux Arts, dove si è raccolta la comunità di siciliani che risiede nelle province di La Louvrière, Mons-Borrinage e Charleroi alla presenza del Premier belga Elio Di Rupo e delle autorità locali. In quell’occasione l’Assessore Bruno ha consegnato le medaglie della Presidenza della Regione Siciliana alle Associazioni dei minatori in ricordo dei siciliani che hanno prestato il loro servizio nelle miniere belghe e per quelli vittime del disastro di Marcinelle. A conclusione della cerimonia istituzionale la serata è stata allietata dallo spettacolo musicale del gruppo siciliano “A noi ci piace Vintage” che ha riscosso uno straordinario successo tra il pubblico presente.

 

Mons è stata protagonista di diversi appuntamenti promossi da ANFE: la sottoscrizione del protocollo di collaborazione tra le Università di Mons e Palermo; l’incontro con gli studenti del corso di storia dell’emigrazione italiana alla presenza dei professori Mylena Piccinelli, Marcello Sajia e dei registi Giovanna Taviani e Luca Vullo; la proiezione di due documentari, il primo “Pane e Pregiudizio” della regista  Giovanna Taviani, realizzato dall’ANFE in occasione del 65° anno dalla sua fondazione, il secondo “Dallo Zolfo al Carbone” del regista  Luca Vullo alla presenza molto partecipata e commossa della comunità siciliana residente nella provincia di Mons che ha ripercorso una pagina della loro straziante storia di emigrazione in Belgio. Momento molto toccante è stato l’attimo in cui una delle spettatrici ha riconosciuto nel documentario di Luca Vullo il proprio padre defunto.

 

A conclusione della serata l’ANFE ha ricevuto un inaspettato quanto commovente riconoscimento da parte dell’Associazione di minatori A.M.C.W. (Amicale des Mineurs des Charbonnages de Wallonie) che alla presenza di un minatore ha donato un pezzo di carbone della miniera del Bois du Cazier e una lampada ad olio utilizzata dallo stesso durante i lavori in miniera. L’appuntamento principale delle attività in Belgio è stata la conferenza  sulla necessità di una revisione della Legge Regionale Siciliana n. 55/80 che si è tenuta presso l’Aula Magna del Rettorato dell’Università di Mons. Al dibattito sono intervenuti importanti esponenti del mondo accademico, della politica belga, il direttore della ricerca dello Svimez, i presidenti delle Associazioni dei siciliani di Charleroi e Mons, il presidente del Comites di Charleroi, don Bruno Ducoli, esperto di politiche migratorie e fondatore dell’Università Operaia a La Louvrière.

 

Lo Svimez ha fornito dati molto allarmanti per quanto riguarda il quadro economico e demografico a cui andrebbe incontro la Sicilia in assenza di politiche economiche. Si stima che entro i  prossimi 40 anni la Sicilia, in assenza di un cambiamento radicale con nuove norme che incidano sull’economia e sullo sviluppo dell’isola, perderebbe un Milione di abitanti. Secondo lo Svimez la Regione dovrebbe aggiornare la propria legislazione sulla mobilità per interpretare in modo efficiente efficace nonché produttivo il rapporto tra coloro che emigrano e l’economia e la società regionale. Consolidare i contatti e i legami tra la Regione e coloro che scelgono di spostarsi all’estero deve essere l’obiettivo prioritario della nuova legge al fine di tessere una rete di rapporti che creino valore.

 

Medesima posizione è stata espressa dalle Associazioni dei siciliani e dei Comites che considerano la legge 55/80 assolutamente superata e inadeguata oltre che totalmente disapplicata proprio da parte della Regione Sicilia.  Hanno pertanto chiesto una nuova e urgente legge che recuperi il tempo perduto ma soprattutto ricostruisca il rapporto di fiducia tra la Regione e la comunità emigrata attualmente messo in seria discussione. Infine grande apporto ai lavori è stato dato dall’intervento dell’Università di Palermo il cui Rettore Lagalla ha manifestato la disponibilità dell’università a collaborare alla stesura della nuova legge sull’emigrazione puntando moltissimo alla mobilità dei giovani, alle borse di studio, ai percorsi di lingua italiana per i figli di italiani emigrati, per concludere si ritiene che imprescindibile debba essere anche il coinvolgimento dell’ANCI Sicilia e del mondo dell’impresa regionale. Del convegno l’ANFE produrrà gli atti.

 

 

 




USA. Alfredo Di Mora, nato per creare auto da sogno, di Lino Manocchia.

L’Angolo acuto

di Lino Manocchia

Alfredo Di Mora, nato per creare auto da sogno

(C) www.giulianovailbelvedere.it

(C) Lino Manocchia

La genialità di origini abruzzesi

SANTA BARBARA, 23.4.2014 – Born to create, nato per creare. Fu l’ordine del Signore  per il nascituro dei coniugi Giovanni e Maria Di Mora (siciliano il padre, abruzzese di Vasto la madre) che risiede nello stato di New York. Il neonato fu battezzato Alfredo-John, un ragazzino vivace, desideroso di conoscere ciò che lo circondava e di cui non sapeva. All’età di dieci anni iniziò a lavorare in garage sino a quando, affascinato da automobili e motociclette, iniziò a costruire macchine lussuose nella famosa ditta Clenetparandca. Un giorno si dimostrò capace anche di ricostruire, come nuova, una Buick del 1939 bruciata, prima ancora che imparasse a guidare. Nel 1976 Di Mora venne a Santa Barbara in California e diede il via alla produzione di auto di lusso, come la Sceptre 6.6S, vincendo subito il premio per la migliore macchina in mostra all’Auto Show di Los Angeles. Ebbe inizio, così, una copiosa carriera per il dinamico enterpreneur, come dimostrano in numerosi show, le mostre, gli importanti  personaggi e le sagge decisioni, che gli permisero di raggiungere il Pantheon dei successi, rendendo il nome Di Mora il più ricercato degli Stati Uniti e non solo. Il suo successo fu tale che anche le autorità preposte, nel 2001, introdussero il siculo-abruzzese nel cavalierato della  “Knights of  Malta” nominandolo Vice Presidente. Inoltre, gli venne concessa l’onorificenza da parte della Finance of Envision Entertainement Producer per la produzione di vari film di prestigio, con attori del calibro di Robert De Niro, Nicolas Cage e John Cusack. Ovviamente, di fronte alla valanga di modelli creati dal 57enne artista-meccanico-produttore, viene da chiedere:

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Esiste una macchina, da lei creata, che ama maggiormente e perché?

«Indubbiamente la graziosa Clenet Serie 65.1 che iniziò ad essere venduta intorno al 1970, al prezzo di circa 100 mila dollari per sfondare prontamente, sui 150 mila dollari, mentre una Clenet  usata e riveduta oggi viene acquistata per circa 38 mila dollari. Se mi permette, vorrei dire – spiega Alfredo – che la Clenet è la più bella auto stilizzata mai costruita della serie. Ogni modello fu concepito, disegnato e prodotto da piccoli team di uomini e donne “educati” negli anni 70-80. E  nel 1986 questo modello venne selezionato nell’anno dell’apertura, da parte del Presidente Regan, del “Centenario della nascita delle auto spinte a benzina” e io, per l’occasione,  fui premiato dalla “Auto Hall of Fame del Michigan”»

 

L’Italia ha contribuito a rendere la macchina più elegante, e ricercata anche da personaggi di Hollywood?

«La bellezza della radica di noce italiana per il  cruscotto, i portacenere di vetro scolpito ed un cuoio straordinario, contribuiscono a dare maggior prestigio alla macchina, molto gradita dagli acquirenti, e parlo del King Hussein di Giordania e di grandi star di Hollywood, Silvester Stallone, Farrah Fowett, solo per citarne alcuni».

 

 

 

Alfredo, lei ha appena sfornato la classica decappottabile Vicci 6.2 Emperor  e la General Motor ha scelto di arricchire il modello con un suo motore 6.2 litri V8  e sospensioni indipendenti?

«La sportiva Vicci 6.2 e’ il risultato della fusione della tecnologia del secolo ventunesimo con l’eleganza ed il “flair” della classe 1930. Siamo così riusciti a ricollocarci in maniera innovativa sul mercato americano e globale. La Vicci 6.2 rappresenta, inoltre, il coronamento del connubio tra uno stile innovativo e il design classico degli anni ‘30, che riprende quello delle grandi “car” del passato, vedi: Talbot Lago, Bugatti, Jaguar, Alfa Romeo. E, anche in quest’ultimo modello, fanno sfoggio i pregiati prodotti italiani pocanzi menzionati. Come annunciato la nuova creazione debutterà entro il mese di aprile e, dopo la dimostrazione pubblica, parteciperà alla Taiwan Art Fair».

 

Ricordiamo altresì che tempo fa lei stava elaborando un super modello il cui prezzo si aggirava sui 2 milioni di dollari. A che punto siamo?

«Sarà una macchina “surprise”, esattamente un super modello. Un veicolo piacevole e gradevole a guidarsi grazie anche ad un design mai visto prima. Intanto, per ora, posso annunciare che la “Natalia SLS2” con motore “Volcano” V16, sarà capace di sviluppare 1200 HP e garantire al contempo un eccellente risparmio di carburante, grazie all’impiego di un sofisticato sistema computeristico».

 

Nel suo vagare tra disegni, colori e motori ha mai riservato un pensiero per la F.1?

«Nel mio studio, tra le montagne di disegni e progetti, c’è anche un “pensiero”, impresso su carta, riguardante proprio la F.1. sospinto da un grande desiderio di partecipare alla serie mondiale».

 

Da cosa trae l’ispirazione per i suoi modelli?

«Dalla volontà e dai desideri degli amanti di vetture di classe. Sono loro che ispirano, suggeriscono, chiedono. Io amo tutte le automobili, e questo è difficile a spiegarsi, ma si sappia che io voglio realizzare sempre qualcosa che contenga in sé caratteristiche di modernità».

 

Mi dica Alfredo: potendo, rifarebbe tutto quello che ha fatto sino ad oggi

«Con piacere, con maggiore lena e interesse. Questo e’ un campo ampio, che suggerisce novità; ogni momento della vita ed io ho sempre cercato di  completare i miei progetti con successo e seguendo il mio gusto personale».

Prima di tornare a New York, ricordiamo ad Alfredo il commento positivo di una rivista sportiva d’auto, che definisce il costruttore-artista come un “rivoluzionario dell’arte delle auto”. Ma il dinamico figlio di oriundi italiani si limita a commentare: «Io sono un “lavoratore” dell’arte automobilistica, ed il mio interesse e’ quello di offrire al pubblico il meglio della produzione sul mercato».

Auguri!




LA FEDAMO NELLA SUA PRIMA RIUNIONE DELL’ANNO SOLIDARIZZA CON IL CONSIGLIERE CRAM CAV. ENZO ALLOGGIA.

 

Nella città di Pergamino, a circa 230 chilometri da Buenos Aires, nello scorso sabato 29 marzo, la FEDAMO (Federazione delle Istituzioni Abruzzesi in Argentina) ha svolto la sua assemblea per illustrare tutte le attività eseguite nell’anno 2013 e programmare il 2014 con l’intento di aumentare la diffusione della cultura abruzzese in tutta l’Argentina.

La Presidente della Federazione Dott.sa Natalia Turanzas Marcos ha dato inizio alla riunione, presenti le Associazioni Abruzzesi in Argentina, dando la parola a Federico Mandl (Vicepresidente della Associazione Abruzzese di San Martin) che illustra un voto unanime di solidarietà della FEDAMO con il consigliere CRAM della Svizzera, Cav. Enzo Alloggia, per le sfortunate parole del Presidente della Regione Gianni Chiodi sugli abruzzesi all’estero. A seguire, i consiglieri CRAM dell’Argentina hanno relazionato sulla riunione del CRAM svolta nell’anno passato a Marcinelle in Belgio, dando risalto al fatto che ancora una volta il governo regionale, presieduto da Gianni Chiodi, non stanzierà, nel bilancio regionale, fondi per l’emigrazione così come avviene ormai da cinque anni. La Presidente informa l’assemblea sulla partecipazione, con ottimi risultati, alla manifestazione “Buenos Aires celebra Italia” con uno stand propositivo della gastronomia abruzzese, di conseguenza, i consiglieri Joaquin Negri e Maximiliano Manzo, presentano un progetto più corposo per la partecipazione della Federazione alla prossima edizione del “Buenos Aires celebra Italia”  con un evento cultural-gastronomico nell’ambito dello stand di cucina tipica abruzzese, portando a conoscenza anche le peculiarità del territorio abruzzese per promuoverlo a fini turistici.

Infine si designa la città di Campana per la prossima riunione di metà anno della FEDAMO, e si spera che per quella data sia già in carica il nuovo governo regionale dell’Abruzzo.




New York. Il Sogno del Primo Cittadino Cronaca di un evento: Matteo Renzi alla Festa del PD, Torino, Piazza d’Armi, 14 settembre 2013 di Argia Coppola *

 

 

 

NEW YORK – “Non si comincia finché quelli ai lati non sono seduti…in rispetto di quelli che sono qui dalle dieci della mattina…seduti, quindi”. Siamo a scuola? In Italia (ma forse in tutti quei paesi in cui il popolo non si è davvero scelto ma dopo secoli di dominazioni straniere, si è trovato fatto popolo), la giustizia deve sempre essere riaffermata, ribadita, ricordata. Non è un necessario modo di essere, una naturale inclinazione del cuore, ma una lotta di conquista, in cui la voce di un “padre” sorge dalla nidiata dei figli indisciplinati, li strattona, li mette in riga.

 

Ma questa nidiata di figli accorsi (è possibile che per il giovane rampante fiorentino Matteo Renzi si possano contare 5000 teste, oggi? Poche? Tante?) non si rimette più “alla parola del padre”; sono figli e figlie cresciuti che hanno scelto. E hanno bisogno di pensare, non solo di immaginare, un SOGNO per il proprio paese. E quindi all’arrivo di Renzi c’è esultanza, ma anche speranza. Una speranza procrastinata da troppo tempo, come le puntate eterne e irreversibili di “Holly e Bengy”, come la saga infinita e sfinente tra Brooke e Ridge di “Beautifull”. Sono accorgimenti spiritosi dello stesso sindaco di Firenze che in questo modo rompe il ghiaccio, ci fa ridere, ci fa distendere: “It’s ok, all will be fine”, sembra dire.

 

Ma quando sarà la data del prossimo congresso del PD? E’ la domanda eterna di questi giorni. Ma le domande in queste paese continuano a essere tante e sempre eternamente portate a un tempo in avanti, in avanti, come una bobina, che pur di non ascoltarla, la si mette sempre in FF. Stop, ff., stop, ff. E così, avanti, senza il coraggio di mettere su PLAY. Ma non ci lamentiamo perché Matteo Renzi oggi parla, al presente di questo momento, ha messo play, e non ha ricette ma ha una voce. Non è affatto la voce di uno show-man come alcuni hanno detto (nessun timbro di gola alla Grillo), non è quella di un rottamatore del vecchio, in seno al suo partito (un altro primo cittadino è avanzato dalla folla, tra un immediato applauso che lui stesso stoppa come a dire che è qui davvero in veste di cittadino, per ascoltare, per capire, per vedere; è il sindaco di Torino Piero Fassino che di solito si vede nella veste di oratore ma qui avanza con quella dinoccolata eleganza di un inglese…Beckett, Samuel Beckett camminava così, dicono le biografie).

 

La voce di Matteo Renzi è al momento duplice, ma potrebbe diventare anche triplice e estendersi ancora, modificarsi, essere pronta alle esigenze di un paese in crisi ma pieno di risorse. La voce è molto importante per un leader, ed è importante per chi ascolta. Chi ascolta non vuole essere convinto ma vuole essere capito, sostenuto e poi vuole vedere una strada: autonoma, libera, sicura, in cui poter fare la propria parte. Per ora la voce di Matteo Renzi oscilla liquida tra concreto e astratto, reale e ideale, raccoglie ogni sospiro, interiezione, amarezza, delusione della folla e la cambia di segno (se ironica, lui la fa diventare seria, se triste, allegra, se polemica, diventa poi propositiva).

 

I contenuti sono quelli di un sindaco che è tutti i giorni alle prese con problemi quotidiani, le aziende del suo territorio, le strutture, le tasse, l’istruzione. Lui vuole parlare di problemi concreti anche se le domande che gli pongono ricadono sempre sulla politica centrale, su Roma, sul suo partito, su gli altri partiti. Lui raccoglie richieste e provocazioni ma poi dirige il discorso dove lui vuole portarlo, perché pensa che sia quel discorso ad essere utile al paese e a lui stesso, come cittadino. Non si nasconde dietro moderata modestia e ribadisce l’importanza di vincere le elezioni per il suo partito.

 

Nel farlo individua il “virus” e la tacita presunzione di un modo di pensare tipico dei suoi… il “Tranquilli abbiamo già vinto”; sembra che si faccia autogol ma non è così, perché subito accelera e mette sul piatto, con franchezza, i fattori che servono per rilanciare il paese. 1.Affrontare i problemi veri (dati alla mano, specifici esempi che costringono chi non ci capisce molto o ha smesso di leggere i giornali, a ricominciare a farlo), 2. Evocare un sogno. Sì… qui non osa la citazione “I have a dream” che è tempo presente, cioè significa “Io ho un sogno, adesso”, cioè mi prendo io, ora, la responsabilità di quel sogno, anche per voi. Sta sul generico infinito di “evocare” (chi lo deve evocare questo sogno, io? Tu?). Ma non credo che questa platea gli permetterebbe un volo pindarico all’americana (troppo nostalgica è la nostra cultura), eppure lì la sua voce scalpita…ma ancora la trattiene, perché non è quello il momento, né il luogo. E’ una festa popolare e lui la platea non la sfida di certo. Ma la aspetta. Come una donna…che lo aspetta l’amante e nell’aspettarlo gli insegna a desiderarla. In fondo non dimentica di essere anche lui (come lei) parte di quella platea.

 

Il dibattito prosegue e i punti toccati sono diversi, quelli che si conoscono, quelli che sono il tema centrale di questi giorni e ormai di mesi (in tutti i talk-show televisivi). Perché in Italia le trasmissioni di politica superano di gran lunga quelle d’intrattenimento e cultura? Questi i termini: finanziamento pubblico ai partiti, nuova legge elettorale, come uscire dalla crisi occupazionale, riforma della giustizia dello stato, scommessa sull’istruzione, “101 pagina infame ma non decisiva”, cambiare il sistema del welfare, puntare sul…MERITO.

Una bella parola, no? Significa che se sei bravo, è giusto che ti venga riconosciuto, ti spetta, è un diritto. Ma c’è anche il dovere di riconoscere il merito degli altri. E’ difficile non andar via da questa festa senza il ricordo di parole come “bellezza, entusiasmo, fiducia, merito…” ma c’è anche il dubbio e l’ansia di non sapere se l’Italia e tutta la politica (che non è fatta solo di leader e discorsi alla piazza) ce la farà a sostenere con braccia forti e intenti alti, questo linguaggio.

 

*Columbia University Press, Italian Department