Argentina, Il monumento a Cristoforo Colombo: Variazioni sullo stesso tema Cronaca dell’assurdo di Walter Ciccione

Buenos Aires, 12 Febbraio 2014

 

                                           

Il monumento a Cristoforo Colombo: Variazioni sullo stesso tema

 

Cronaca dell’assurdo  

                                                 

                                                                           

                    

 

BUENOS AIRES – Gli italiani, che fin dagli inizi degli anni ‘50 si sono stabiliti in questo “paese lontano, quasi alla fine del mondo” che è l’Argentina, ci siamo congedati da un 2013 tutto particolare, tra i più conflittuali degli ultimi tempi. Un breve racconto ci indica un dicembre insopportabile, col primato storico di caldo, con la crisi energetica e gli abituali picchetti chiudendo le strade, ogni giorno. Difficoltà alle quali, alla fine di gennaio si sono aggiunte la crisi valutaria, che abbiamo seguito col nostro ossessivo attaccamento al valore del dollaro, il cui tasso di cambio raggiunse sette tipi diversi di quotazione, prima di sopportare una grande svalutazione, e inoltre l’inflazione senza soste.

 

Sono i componenti di una specie di “tempesta perfetta” che si abbatte su  questo paese, ricco di risorse naturali e umane che gli hanno consentito in passato di rimontare precedenti crisi e come al solito, oltre alle brutte notizie pesa l’incertezza. Anche se i media usano fare il tradizionale bilancio dell’anno su fatti e personaggi, nel nostro caso vogliamo sottolineare due notizie dello scorso marzo. La prima, il giorno 13, col celebre annuncio:“Habemus Papam”, con l’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio al soglio di Pietro, evento che oltre alla sorpresa, ci ha provocato una smisurata allegria, trattandosi di “uno dei nostri”, il figlio degli emigrati del Piemonte che ritorna al Bel Paese col nome di “Francesco di Buenos Aires”. L’altra notizia, di tutt’altro tenore, la conferma della volontà del governo  Kirchner di togliere il monumento a Colombo e di collocare nel suo posto un’altro, dedicato a Juana Azurduy, eroina dell’Indipendenza Latinoamericana.

 

LE NOSTRE “IDI DI MARZO”

 

Fatte salve le dovute distanze di tempi e di circostanze, gli eventi indicati ci portano in mente le storie dell’antica Roma dove, secondo le tradizioni popolari le “idi di marzo” erano giornate di notizie  liete – nel nostro casoBergoglio Papa – . La storia pero’ racconta un evento tragico lo stesso mese dell’anno 44 a.C. – l’uccisione di Giulio Cesare – fatto che capovolse l’originale significato di buon presagio che in questo caso, naturalmente senza raggiungere la drammaticità storica del citato magnicidio, è stata la rimozione del monumento donato dalla  comunità. Una decisione che ha provocato in noi sentimenti di tristezza, di rabbia e di impotenza.

 

IL VALORE DI UN’IMMAGINE

 

E’ evidente che i media di tutto il mondo si sono prodigati sul “Papa Argentino,” dedicandogli migliaia di servizi sulla sua personalità e le sue iniziative per cui è difficile  aggiungere altro materiale originale. Invece il caso del monumento a Colombo, ha avuto una presenza spasmodica e tutto sommato scarsa sulla stampa, ragioneche in qualche modo ci induce a fare alcune considerazioni al riguardo. Naturalmente il monumento a Colomboper noi riveste  un profondo significato  per diverse ragioni, non ultima il fatto che sia stato pagato con una raccolta di fondi tra gli emigrati italiani agli inizi del XX secolo, alla quale parteciparono connazionali di ogni condizione e di tutta l’Argentina, e che  in uno stupendo gesto di generosità lo donarono al popolo argentino, aderendo alle manifestazioni del primo centenario della “Revoluciòn de Mayo”. Provavano loro e proviamo noi una grande soddisfazione perchè questa deferenza , diventata icona per la nostra collettività, viene considerato uno tra i più belli al mondo e l’unico nell’America Latina con iscritto il nome nell’originale italiano“A Cristoforo Colombo” e anche perchè costituisce uno dei monumenti  emblematici della Capitale  argentina.

 

UNA DECISIONE CONTROVERSA

 

Non è un mistero che il governo  K si identifica con l’ideologia bolivariana dello scomparso Hugo Chavez e che tra l’identità di vedute, entrambi esprimono loro ripudio a quanto “lo scopritore dell’America” rappresenta, e il monumento diventa “il capro espiatorio”  di quella fobia. Ma mentre a Caracas i “chavistas” tendono a distruggerli, qui a Buenos Aires, per liberarsi di una “così molesta presenza”, il governo adoperò una tattica indiretta: smontarlo per mandarlo via, una procedura che per adesso ha provocato incrinature e altri danni che ne compromettono seriamente l’integrità.

 

Sicuramente il “Colombo coricato” è diventato una metafora di questi tempi, dell’impronta che il Governo K sembra assegnare all’eredità italiana e mentre  assaggia i frutti di una vittoria che sembra sul punto di conquistare, sulla  controversa decisione piovono critiche, da parte di chi considera ridicolo l’aver suscitato questa sorte di “guerra delle statue” – Colombo contro Azurduy – ma anche  dalla società la quale, nonostante una certa indifferenza sulle  peripezie del monumento, considera il trasloco una spesa innecessaria e assurda. Nel frattempo cresceva la disputa politica con il Governo della Città,il quale considera il monumento a Colombo parte indiscutibile del suo  patrimonio, e anche il malcontento di un ampio settore della nostra comunità che si sente offesa per la decisione di spostare l’opera donata un secolo fa, uno smacco che in un certo senso coinvolge tutti i cittadini, anche senza radici italiane, ma che sono discendenti di europei.

 

Non c’è dubbio che come comunità percorriamo strade complicate nelle quali si sente che “c’è qualcosa che non va” e le ragioni vanno ricercate nel difficile periodo di transizione che stiamo attraversando, con un imperioso bisogno di rinnovo di dirigenti, molti dei quali già veterani, parte dell’ultima ondata migratoria del dopoguerra, che pur se possono esibire importanti successi nel passato, oggi dovrebbero cedere il passo, accompagnando le nuove generazioni le quali, comunque, dovrebbero prioritariamente mettersi al lavoro per elaborare un nuovo progetto di comunità. 

 

Intanto dobbiamo sopportare una serie di assurdità e paradossi subiti col monumento a Colombo, che comprendono tra gli altri, che sia stato espropriato, incarcerato e condannato all’esilio. Che la statua, in modo alquanto insolito, sia stata rimossa dal piedistallo e fatta scendere, condannata a dormire la siesta nei giardini della Casa Rosada e che il “bello addormentato della piazza” sia diventata un’immagine entrata nella galleria delle balordaggini. Ad esse si aggiungono i paradossi, come il fatto che una scultura innalzata per esprimere i sentimenti di fratellanza verso un paese che ci ha accolto a braccia aperte, sia diventato il monumento della discordia e il dissidio. E il paradosso che il 12 ottobre, data con la quale l’Argentina celebra la “Giornata del rispetto della diversità culturale”, si verifichi nei nostri riguardi una evidente mancanza di rispetto per la nostra cultura.

 

A completamento di questa melodrammatica situazione, sono stati presentati diversi ricorsi alla giustizia, allo scopo di ottenere una tregua e di evitare il trasloco del monumento, la cui destinazione finale è al momento incerta e imprevedibile. Dicono che il peggio di non affrontare la realtà dell’assurdo è finire per abituarsi, arrendersi per farla diventare una realtè alternativa, accettabile e possibile. Da noi dipende evitare che questa sentenza diventi esecutiva.

 

 

                                                                                                                                                         WALTER CICCIONE

                                                                                                                                                     ciccioneg@speedy.com.ar

fonte Tribuna Italiana –

 




Paulownia tomentosa

Paulownia tomentosa

 

L’articolo che segue era destinato – come  gli altri d’altronde – alla mia rubrica personale di storie minime; nello stesso tempo però è proposta di soggetto culturale e esercizio di pratica consapevole di lingua parlata.  Scritta per l’occasione.

Dovete sapere … Per non farvela lunga, abbrevio.

Prima  di trasferirmi in Alto Adige, paesaggio di montagne e regione ricca di varia vegetazione, avevo preso l’abitudine di portare la famiglia in vacanza dalle parti del Lago Maggiore: per l’esattezza nella Valle Strona, tra il Lago d’Orta e il Lago Maggiore (o, meglio, il piccolo Lago Mergozzo), all’epoca provincia di Novara, con di fronte il Mottarone.

Per me, che fino a quel momento ero convinto che la vacanza fosse un lusso, essa divenne una necessità dopo la nascita in tre anni di numero tre figli. Si era nell’anno successivo alla pubblicazione del romanzo-racconto di Gianni Rodari: “C’era due volte il barone Lamberto, ovvero i misteri dell’isola di San Giulio” (1978).

Di G. Rodari, i miei figli avevano già cominciato a ricevere alcuni libri, dono da parte del loro zio e di altri amici intellettuali; e pertanto già avevano ascoltato dalla voce della mamma i racconti e le poesie. Quell’anno, con l’uscita del Barone Lamberto, sentirono anche la lettura di alcune sue pagine (lo dico adesso: molto interessante l’incipit), e, nonostante la tenera età, erano in  grado di percepirne la verve, lo spirito, lo scherzo. Inoltre, sempre attraverso la lettura che gliene faceva la mamma avevano già appreso alcune delle “filastrocche in cielo e in terra” o delle “favole al telefono” (due delle preziose opere del citato autore), o dei ricercati e vivaci limerick, o dei dissacranti e saggi componimenti del “libro degli errori” (altra importante opera). Sicché per la vacanza di quell’estate 1979 sembrò inevitabile, quasi un obbligo, oltre che visitare Omegna, città natale di Rodari, che già conoscevamo per averla visitata negli anni precedenti, fare questa volta anche un’escursione sull’isola di San Giulio, al centro del lago d’Orta, sede di quei “misteri” di cui si narravano le meraviglie nel nuovo romanzo.

Tra le altre stranezza che ci capitò di elencare, come il piccolo approdo nelle prossimità della chiesa; la brevità della passeggiata per percorrere l’intera isola; la bellissima chiesa romanica col pulpito in pietra nera locale; la foresteria di una piccola comunità di suore di clausura che dava direttamente sul lago, di fronte all’imbarcadero di Orta; l’esiguità del numero di costruzioni; la stessa mancanza di persone circolanti che facevano sembrare l’isola disabitata; notammo una curiosa vegetazione, ancora più strana per noi abituati alla macchia mediterranea, agli orti, ai giardini di frutta, alle estese coltivazioni. Ci colpì in particolare una pianta: un albero massiccio che presentava dei frutti a grappolo dalla forma di mandorle essiccate, un po’ più bruni, più gonfi, più appuntiti, e, data la stagione, più secchi. Nel raccoglierne da terra qualche esemplare ci accorgemmo che si trattava di gusci legnosi, leggermente aperti verso la punta. Per il fatto che ci fossero estranei e sconosciuti, Patrizia ed io ne deducemmo che si trattasse di una peculiare vegetazione lacustre.

La vacanza, molto interessate, riposante, ristoratrice, purtroppo breve, finì. E così si ritornò al Sud. All’epoca, pur abitando noi a Roma, poiché i bambini non erano ancora in età scolare, insieme alla mamma trascorrevamo lunghi periodi a casa di mia suocera a Torre Annunziata, dove la nonna Iolanda, li accoglieva con grande gioia. Quando a fine settimana, dopo il lavoro, rientravo da Roma anch’io, una mezza giornata si faceva visita a mia madre, la nonna Elia, a Pompei.

Quell’anno sul finire della stagione, di ritorno dalla vacanza in Piemonte, trovammo mia madre alle prese col un problema.  Rami di un albero molto rigoglioso, data la stagione, le occupavano il vano della finestra, impedendo alla serranda di srotolarsi. Per la verità quella non era la prima volta che era costretta a potare l’estremità di quei rami che le ostacolavano, oltre che la vista, lo stesso regolare uso dell’infisso. E ce ne eravamo accorti. La povera donna frequentemente era costretta a strappare foglie e frasche, più o meno lunghe, per liberarsi dall’invadenza esterna e dall’ulteriore rischio di eventuali danni. Osservato il suo affanno, questa volta ci accingemmo ad aiutarla, mia moglie ed io, prima per sollevarla dall’inconveniente, ma anche perché operando sarebbe stato più facile tagliare l’estremità dei rami inopportuni, una reggendoli, l’altro strappandoli.

Grande fu lo stupore quando ci accorgemmo che quell’albero era della stessa specie di quelli che avevamo conosciuti – o creduto di aver conosciuto – quell’estate nell’isola di San Giulio. Eppure con quella pianta ci eravamo convissuti da almeno dieci anni, cioè da quando mia madre si era trasferita in quella casa una decina d’anni prima.

Per quell’estate la cosa finì lì. Ma non era finita. Alla fine della stagione estiva, nuovi eventi e nuove decisioni ci portarono ad optare per un trasferimento della residenza della famiglia  in Alto Adige.  Iniziava una nuova fase della nostra vita. Io avevo cambiato lavoro. La famiglia, cambiate abitudini. Fortunatamente i bambini non avevano ancora fatto esperienza di scuola a Roma. Questo trasferimento comportò che da quell’anno si preferissero le vacanze al mare, e per restare più vicini alle nonne si ritornò al mare di Napoli, il mare nostro. La nonna Iolanda, come aveva sempre fatto, continuò a mantenere per noi la cabina al mare, la stessa che aveva sempre riservato da quando portava i suoi figli ai bagni di mare. E così dalle parti di Omegna  non si ritornò più.

Ma veniamo alle nuove abitudini alle quali dovemmo assuefarci, con nostro compiacimento in verità. I bimbi per quanto piccoli si recavano a scuola da soli. Alcuni anche in bicicletta. Tralascio gli altri vantaggi che ci capitò di apprezzare un po’ per volta. Solo voglio registrare il fatto che recandomi quotidianamente a Bolzano per motivi di lavoro, imparai a notare che tutti gli alberi dei parchi pubblici, e i filari che costeggiano le strade, erano contrassegnati da una targhetta col nome volgare (italiano e tedesco) e il corrispondente nome scientifico della pianta. In quella manifestazione non pensavo tanto alla correttezza amministrativa o al livello di senso civico, ma evidenziai solo la funzione pedagogica verso i ragazzi della scuola, e più ancora verso la popolazione in genere.

Dopo qualche mese, la stessa emozione la provai quando in visita al Museo (ex palazzo vescovile) di Bressanone, lungo l’antico fossato ci imbattemmo in un magnifico, colossale, albero secolare,  identico sia a quelli che avevo visto nell’isola di San Giulio sia a quello del cortile dell’abitazione di mia madre a Pompei, il quale portava la sua brava targhetta dove, insieme alla data dalla quale ne era documentava la presenza in quel sito, anche il nome della pianta :  Paulownia  Tomentosa.  Così ho conosciuto la Paulonia.

Che cosa c’entra questa esperienza con l’attività di sensibilizzazione e di educazione promossa dai naturalisti e dalle Civiche Amministrazioni?  E che cosa ha a che fare questo racconto con la cultura?

Io dico che ci serve innanzitutto per capire. Nell’uno e nell’altro campo d’azione o di interessi. E mi viene in mente il racconto biblico – cerco di ricordare alla men peggio – in cui Dio, dopo aver creato il mondo universo compresa la coppia umana, chiama Adamo a dare i nomi alle cose?  Ecco, quale che sia l’esegesi che ne fanno i dotti, io credo di cogliere proprio questo fatto, cioè che l’uomo è chiamato [da Dio] a sviluppare il linguaggio e ad organizzare il pensiero servendosi delle cose create; in altre parole attraverso la sua diretta esperienza. Da piccoli, ci insegnavano che questo racconto rappresenta il dominio dell’uomo sul creato.

Ebbene, sono disposto ad accettare questa spiegazione, solo però nel senso che ho detto prima: “L’uomo, padrone del mondo sì; ma attraverso il linguaggio e guidato dalla ragione; partendo dalla esperienza”.

Luigi  Casale

 ( Paulownia tomentosa: Testo e foto ã 2014 Luigi Casale )




Un «Grande Progetto Italia» per l’Arte e lo Sviluppo Economico

Un «Grande Progetto Italia» per l’Arte e lo Sviluppo Economico

                                             

 

 

Italia Italy – Tutto il bello del Bel Paese lancia il Grande Progetto Italia per l’Arte e lo Sviluppo Economico, una petizione popolare che sarà inviata al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dei Beni Culturali, al Parlamento Italiano, alla Commissione Cultura del Parlamento Europeo. L’iniziativa si propone di stimolare istituzioni pubbliche e operatori privati per la valorizzazione dei musei e dei luoghi d’arte, con un vasto piano di iniziative, collaborazioni, assunzioni, ampliamento dei servizi e degli orari di apertura, per un forte rilancio della cultura, del turismo e dell’economia. Per lo sviluppo economico dell’Italia occorre una corsia privilegiata per la valorizzazione delle bellezze artistiche, architettoniche e storiche. Il ricchissimo e inestimabile patrimonio deve essere il motore del rilancio e di una vasta programmazione a partire dalle ricchezze esclusive che il nostro Paese ha e che nel passato hanno fatto dell’Italia la meta preferita di studiosi, artisti, semplici appassionati del bello. Basti pensare al Grand tour, che per secoli ha portato in Italia innumerevoli visitatori, da Goethe a Byron, da Stendhal a Dupaty, a Brydone, al conte di Sunderland Henry Spencer, facendo nascere una vera e propria “italiamania”. Il viaggio in Italia era una tappa indispensabile del percorso culturale di ogni europeo. E proprio dall’arte e dalla ricca tradizione culturale sono nati la grande sensibilità, l’eleganza, la raffinatezza e il fascino del made in Italy.

 

 

Lo stato di degrado e i rischi di danni irreparabili al sito archeologico di Pompei hanno fatto scattare l’allarme dell’Unesco e la sensibilità dell’Unione Europea, ed è stato avviato il Grande Progetto Pompei. Ora con il Grande Progetto Italia si mira a porre in primo piano le innumerevoli bellezze artistiche disseminate nel nostro Paese; molte opere di grandissimo pregio sono ancora nascoste in scantinati e siti interrati, altre frequentemente trafugate e dirette a collezioni e musei stranieri. Occorre estendere l’attenzione a tutto il patrimonio artistico e storico nazionale, valorizzarlo pienamente, per lo sviluppo della cultura ma anche per un forte rilancio dell’economia. Le visite ai musei e alle città d’arte sono un potente volano per lo sviluppo economico con un indotto attualmente molto limitato ma con prospettive eccezionali. Trasporti, strutture di accoglienza, ristorazione, editoria sono alcune delle realtà che beneficiano direttamente del movimento turistico legato alle bellezze artistiche e che fanno da traino anche per attività e produzioni apparentemente lontane dall’ambito artistico. C’è chi cerca di ridurre la forte tradizione umanistica del nostro Paese, che appassiona molti giovani e che andrebbe invece valorizzata, anche con la creazione di molti posti di lavoro presso le strutture d’arte. Rincorriamo produzioni in cui altri paesi sono molto più forti di noi, anche per le minori tutele del lavoro, e purtroppo non valorizziamo pienamente la nostra principale “materia prima”, che è proprio il patrimonio artistico, storico e naturalistico. Nello stesso ambito artistico non siamo in grado di attivare iniziative di sistema-paese e perdiamo eccezionali opportunità. I confronti con i grandi paesi europei, che hanno un patrimonio artistico di gran langa inferiore a quello dell’Italia, sono impietosi: basti pensare che il Louvre di Parigi ha un numero di visitatori ben sei volte superiore a quello degli Uffizi di Firenze, ricchissimo di opere d’arte di primissimo piano.

 

Per l’attuazione del Grande Progetto Italia occorre una immediata messa a punto di un vasto progetto di iniziative, collaborazioni, assunzioni di personale qualificato, orari prolungati di apertura dei musei e dei siti d’arte, coinvolgimento del volontariato; necessaria anche l’istituzione di una Scuola di alta specializzazione per professionisti specializzati nei diversi ambiti dell’arte, una qualificata promozione dei nostri tesori anche all’estero, un’educazione all’arte che dovrebbe essere presente nei programmi scolastici di tutti gli indirizzi. La scuola ha un ruolo essenziale nella conoscenza dell’arte e nell’educazione al bello, che hanno positivi riflessi anche in tutte le altre discipline, e dovrebbe impegnarsi per eliminare gli spettacoli penosi di comitive di studenti che si aggirano per i musei annoiati, distratti e chiassosi.

E’ urgente mettere a punto un grande piano nazionale per l’arte e il turismo. Occorre mobilitarsi per reperire fondi, ma ci sono anche innovazioni a costo zero, e non è possibile nascondersi dietro l’alibi delle scarse risorse disponibili. Le risorse vanno cercate nel bilancio nazionale (l’Italia è al penultimo posto negli investimenti per la cultura fra i paesi dell’Ocse), nei fondi europei, nel coinvolgimento di sponsor anche in campo internazionale, nella collaborazione di enti locali, tour operator, agenzie turistiche, operatori commerciali, che ricevono i maggiori e più diretti benefici economici dal movimento turistico. Per la riuscita dell’iniziativa sono necessarie norme trasparenti e rigorose per appalti, assunzioni e ogni operazione legata al Grande Progetto Italia. Insieme a un forte impegno educativo e informativo occorrono severi controlli, precise responsabilità individuali, chiare sanzioni per inadempimenti. Il futuro può passare anche attraverso un Grande Progetto Italia, nel segno della cultura e della legalità.

 

Per firmare la petizione cliccare sull’immagine centrale di  Italia Italywww.italiaitaly.eu

 

oppure all’indirizzo web: http://www.petizionepubblica.it/PeticaoVer.aspx?pi=Ital2014      

 

Felice d’Adamo




Washington (USA). L’aquilana Laura Benedetti premiata “THREE WISE WOMEN”

A WASHINGTON, CONFERITO IL PREMIO NOIAW “THREE WISE WOMEN”

Insignite del prestigioso riconoscimento Anita Botti, Carol Acinapura Trawick e Laura Benedetti

di Goffredo Palmerini

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WASHINGTON – Grande soddisfazione nella comunità abruzzese negli States per il prestigioso riconoscimento “Three Wise Women” che l’Organizzazione Nazionale Donne Italo Americane (NOIAW) ha conferito il 15 gennaio scorso ad Anita Botti, Carol Acinapura Trawick e all’aquilana Laura Benedetti, nel corso dell’Epifania Celebration, un evento molto partecipato tenutosi a Washington, nella grande Sala meeting del Maggiano’s Restaurant, situato sulla Wisconsin Avenue direzione Bethesda. Queste, dunque, le tre donne italo-americane insignite del titolo di “Sagge” per i risultati raggiunti nelle rispettive professioni: Carol Acinapura Trawick, presidente della Trawick Foundation, Anita Botti, direttore dell’Office of Global Women’s Issues presso il Dipartimento di Stato Usa, e Laura Benedetti, direttore del Dipartimento di Italiano della Georgetown University. Hanno ricevuto l’ambito riconoscimento dalle mani di Diana Femia, presidente della Sezione NOIAW di Washington, e da Constance Morella, già deputata al Congresso degli Stati Uniti ed ex ambasciatore Usa presso l’OCSE.

 

Motivando il conferimento del premio, Diana Femia ha sottolineato non solo i risultati raggiunti da Laura Benedetti nella critica letteraria, ma anche la sua instancabile attività di promozione della cultura italiana. Nel suo discorso di ringraziamento Laura Benedetti ha richiamato la particolarità di non essere nata italo-americana, al contrario delle altre due premiate, ma di esserlo diventata durante un ricco percorso di esperienze umane e professionali che l’hanno portata dall’Aquila agli Stati Uniti attraverso lunghi soggiorni in Canada e in Francia. La sua visione della cultura italiana ne è stata profondamente trasformata. In particolare, la critica di genere nord-americana l’ha portata a riservare grande attenzione al ruolo delle donne nella letteratura, tanto come personaggi, quanto come autrici. È da questa attenzione che sono scaturiti i suoi lavori più significativi, come “La sconfitta di Diana. Un percorso per la Gerusalemme liberata”, “The Tigress in the Snow. Motherhood and Literature in Twentieth-Century Italy “(vincitore, a Pescara, del Premio Internazionale Flaiano per l’Italianistica) e la sua ultima fatica, la traduzione inglese delle “Esortazioni alle donne e agli altri se a loro saranno a grado” di Lucrezia Marinella (1571-1653). Corredato da un’introduzione e da oltre quattrocento note esplicative, il volume “Exhortations to Women and to Others if They Please” costituisce l’unica edizione moderna, in qualsiasi lingua, del rarissimo lavoro di Marinella, sopravvissuto in sole tre copie e mai ripubblicato dopo la princeps , la prima edizione del 1645. Laura Benedetti, tra l’altro, si è anche detta particolarmente felice “… di essere la prima rappresentante del mondo accademico a ricevere il premio, e di considerare questo onore quale riconoscimento dell’importanza del lavoro che l’intero Dipartimento di Italiano della Georgetown University svolge perché la cultura italiana continui a costituire parte vitale dell’identità americana”.

Laura Benedetti è nata a L’Aquila. Nella sua amata città coltiva amicizie e relazioni, per quanto le è possibile con gli impegni accademici negli Stati Uniti. I suoi fratelli Francesco Benedetti, affermato notaio, e Natalino Benedetti, vice prefetto dell’Aquila, conservano alta la stima che la famiglia ha sempre goduto nel capoluogo e nei borghi d’origine degli avi, San Benedetto in Perillis e Navelli, situati sull’altipiano dove si raccoglie l’oro rosso, il migliore zafferano (crocus sativus) del mondo che per diversi secoli contribuì all’economia e alla grande storia dell’Aquila, sin dalla fondazione, nel 1254. Laura Benedetti si è laureata con il massimo dei voti all’Università “La Sapienza” di Roma con una tesi su Luigi Pirandello. Ha poi continuato gli studi all’University of Alberta (Edmonton, Canada) dove l’incoraggiamento del prof. Enrico Musacchio, unito alle temperature polari, le hanno ispirato una tesi di Master sul tema del giardino nella poesia epico-cavalleresca. Questo duplice interesse per il Rinascimento e per la letteratura moderna ha contraddistinto le tappe del suo successivo percorso, che l’hanno vista poi conseguire un Ph.D. alla Johns Hopkins University (Baltimora, Usa) e svolgere per otto anni attività d’insegnamento e di ricerca alla Harvard University (Cambridge, Usa). Ha pubblicato, tra l’altro, oltre alle opere già sopra citate, gli atti di due convegni (Gendered Contexts: New Perspectives in Italian Cultural Studies) e l’edizione di un trattato rinascimentale di Giovambattista Giraldi Cinzio, “Discorso dei romanzi”.

 

Intensa l’attività pubblicistica. I suoi articoli spaziano dalla letteratura medievale alla produzione narrativa più recente, che ha seguito da vicino per dieci anni quale curatrice della voce “letteratura italiana” per l’Encyclopedia Britannica Year in Review. Nel corso della sua carriera ha organizzato numerosi incontri, seminari e convegni, tra i quali “Dopo la caduta: memoria e futuro”, che si è svolto a L’Aquila il 5 e 6 giugno 2010. Studiosi e scrittori provenienti dall’Italia e dagli Stati Uniti si sono alternati a rappresentanti del mondo culturale cittadino nell’esame dell’impatto psicologico e sociale del terremoto del 6 aprile 2009 e di eventi simili, della funzione terapeutica della letteratura e del ruolo che la cultura è chiamata a svolgere per ripristinare il senso di appartenenza e di comunità. Prescelta come prima titolare della cattedra in cultura italiana contemporanea intitolata a “Laura e Gaetano De Sole”, Laura Benedetti è attualmente professore ordinario e direttore del dipartimento di italiano presso la Georgetown University di Washington. Per la sua università cura peraltro un programma estivo in Italia, che quest’anno tornerà a L’Aquila dopo quattro anni di sospensione a causa del sisma del 2009. Numerose e di alto profilo le attività culturali che il Dipartimento diretto da Laura Benedetti conduce, in collaborazione con l’Istituto italiano di Cultura e con l’Ambasciata italiana a Washington.

 

Ma ora che siamo in argomento credo sia opportuno dare anche qualche cenno d’informazione sulla NOIAW, la prestigiosa Organizzazione Nazionale delle Donne Italo-Americane che tra le sue attività d’istituto vanta il Premio “Three Wise Women” per celebrare l’eccellenza femminile italiana. Ogni anno, infatti, conferisce il riconoscimento a tre donne italo-americane che si sono particolarmente distinte nel loro campo professionale. Si diceva del prestigio della NOIAW. Basta infatti scorrere la composizione del Distinguished Board Members (i membri illustri ed onorari del sodalizio) per apprezzare ruolo e rango dell’ente. Ecco le personalità onorarie che vi hanno prestato la loro opera: Nancy Pelosi, deputata al Congresso e già Speaker (Presidente) della Camera Usa, peraltro d’origini paterne abruzzesi (il nonno Tommaso Fedele D’Alessando era di Monterodomo, in provincia di Chieti); Geraldine Anne Ferraro, già deputata al Congresso, poi ambasciatore presso un’organizzazione dell’Onu. E’ scomparsa nel 2011, a Boston; Marie L. Garibaldi, giudice alla Corte Suprema del New Jersey dal 1982 al 2000, la prima donna a ricoprire quel ruolo; Patricia DeStacy, presidente e amministratore delegato della CPB, finanziaria della radio-tv pubblica americana; Rosa L. DeLauro, deputata al Congresso; Lidia Matticchio Bastianich, famosissima cuoca, scrittrice e personaggio televisivo; Matilda Raffa Cuomo, moglie di Mario Cuomo, ex Governatore dello stato di New York, fondatrice del Mentoring Usa-Italia, onlus di solidarietà; Barbara DeBuono, docente alla George Washington University, presidente di Orbis International, organizzazione sanitaria che aiuta a curare e prevenire la cecità; infine, la baronessa Mariuccia Zerilli-Marimò, molto attiva nelle attività filantropiche e componente della delegazione Permanente della Santa Sede presso l’Onu. Vedova di Guido Zerilli-Marimò, ha donato alla New York University la Casa Zerilli-Marimò, dove ora ha sede il Dipartimento di Studi italiani dell’ateneo privato più grande d’America. La baronessa è  membro del Consiglio di Amministrazione della NYU, della Scuola italiana Guglielmo Marconi e della NIAF.

 

La NOIAW è la prima organizzazione di donne negli States impegnata a salvaguardare il patrimonio linguistico e culturale italiano, promuovendo e sostenendo l’eccellenza femminile di origine italiana. La NOIAW è al servizio dei suoi associati attraverso programmi culturali ed opportunità di networking e sostiene le giovani donne attraverso borse di studio nazionali, tutor e programmi di scambio culturale. L’organizzazione conta sull’associazione di molte donne provenienti da diverse esperienze professionali. Le componenti dell’associazione sono medici, avvocati, artiste, scienziate, infermiere, donne d’affari, educatrici, scrittrici, giudici e casalinghe. E’ l’unica organizzazione femminile negli Stati Uniti nata da e per le donne di origine italiana. La NOIAW promuove attività e sostiene eventi educativi, culturali e sociali, che riguardano temi d’interesse per le donne. Lo scopo sociale è quello di riconoscere i successi delle donne d’origine italiana, così come viene pure esaltato il contributo dato dall’universo femminile italiano in Usa per custodire e promuovere la nostra cultura. Borse di studio vengono assegnate ogni anno a donne italo-americane per aiutarle a completare la loro istruzione. La NOIAW è stata fondata nel 1980 per iniziativa di Aileen Riotto Sirey e d’un gruppo di donne italo-americane – tra le quali Geraldine Ferraro, Matilda Raffa Cuomo, Donna DeMatteo, Constance Mandina e Roseanne Coletti – che hanno cercato di creare una rete nazionale per combattere stereotipi e pregiudizi etnici, promuovendo modelli positivi. L’Organizzazione, in Usa, ha giurisdizione federale, ma conta Sezioni in numerosi Stati americani. Attualmente la NOIAW si è trasformata in un’organizzazione internazionale che tiene collegamenti attraverso eventi e conferenze tra donne d’origine italiana in America, Argentina, Australia e ovviamente con donne in Italia.

 

L’organismo di governo della NOIAW è il Consiglio Direttivo Nazionale. E’ composto da un team di donne italo-americane davvero di grande valore. Questa è l’attuale formazione: Aileen Riotta Sirey, fondatrice e presidente emerita (Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana, Medaglia d’onore Ellis Island); Betty Santangelo, presidente dell’Assemblea dei Soci (è uno dei migliori avvocati d’America, vincitrice del Burton Award 2008); Maria T. Vullo, vice presidente (avvocato, è stata vice Procuratore Generale nello Stato di New York); Diana Femia, Tesoriere (è stata senior Director per il New York Mercantile Exchange per più di 23 anni); Cristina Matera, componente (affermato medico endocrinologo, insegna alla Columbia University); Donna DeMatteo, componente, è una dei soci fondatori dell’organizzazione (drammaturga, è direttore esecutivo della Fondazione Herbert Berghof – Drammaturghi e teatro); Patricia A. Martone, componente (avvocato, è specializzata in diritto dei brevetti, tra i migliori avvocati del settore negli States); Mary Ann Mattone, componente (è stata Director of Nursing presso la Columbia University. Lasciato il mondo accademico, ha lavorato come broker a Wall Street);  Angela Mazzarelli, componente (è stata giudice alla Corte Suprema dello Stato di New York); Maryrose Barranco Morris, componente (ha insegnato ed è stata direttore accademico del Centro di Formazione TC della Columbia University); Angela T. Sculti, componente (è stata direttore della Corporate & Community Relations); Jo Ann Daddio Larsen, componente (è un’affermata dirigente di marketing, comunicazione, pubblicità nel settore bancario); Anne Marie D’Attelo, componente (avvocato, attualmente opera nel settore delle assicurazioni); Maria Tamburri, direttore esecutivo. Ora, non sembri, questa appena fatta di NOIAW, una descrizione pedante. Ho inteso solo dare un’informativa per sintesi  sulla qualità della classe dirigente dell’organizzazione, anche per farne comprendere il prestigio e la stima di cui gode. In fondo è il riconoscimento del ruolo e dell’affermazione che nella società americana le donne italo-americane si sono conquistata. Un vero orgoglio per la comunità italiana in America e un grande orgoglio per l’Italia, per l’onore che le donne italo-americane rendono al Paese delle loro radici.

 

 

 

 

 

 




INCONTRO CON LA COMPAGNIA TEATRALE “ESPERIENTE”

INCONTRO CON LA COMPAGNIA TEATRALE “ESPERIENTE”

Direttore Artistico: Alberto Macchi

Ogni Venerdì, h. 17-20, presso la Galleria Freta (via Freta 39, nel centro storico di Varsavia). Ingresso libero. Tel. 696.896.553

 

SPOTKANIA GRUPY TEATRALNEJ “ESPERIENTE”

Dyrektor Atystyczny: Alberto Macchi

W każdy piątek, godz. 17-20, w Galerii Freta (ul. Freta 39 w historycznym centrum Warszawy). Wstęp otwarty dla wszystkich. Tel. 696.896.553 
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La “Scena degli Elfi”

 

invita

 

domenica 12 e 19 gennaio 2014 alle ore 12,00

 

bambini e genitori da 0 a 100 anni allo spettacolo del teatro delle marionette

 

“PASTORALE”

Tre atti in lingua polacca, in rima, con musica e canti natalizi tutti insieme con tanta gioia!

 

Prenotazioni: 608 044 315 (telefono e sms)

 


Alberto Macchi

Stowarzyszenie – Associazione “Italiani In Polonia”
Warszawa – Polska

+48.696.89.65.53

teatro@italianiinpolonia.org
www.italianiinpolonia.org




Al Manhattan Center di New York una mostra sul Volto di Gesù ispirata al Volto Santo di Manoppello

 

di Antonio Bini

 

 

Logo della mostra

 

 

Fino a 10-15 anni fa soltanto non erano molti a conoscere il Volto Santo,  custodito dai frati cappuccini a Manoppello (Pescara), nell’Italia centrale. Poi alcuni studiosi tedeschi hanno affermato che quel velo finissimo, in cui è impressa una immagine inspiegabile, viva e sofferente,  identificabile con  la leggendaria Veronica (vera–ikon) un tempo venerata a Roma. Si tratta di una immagine acheropita (non fatta da mani d’uomo) che anche papa Benedetto XVI ha voluto vedere personalmente, facendosi pellegrino a Manoppello il primo settembre 2006, in coincidenza con le celebrazioni del cinquecentesimo anniversario dell’arrivo del Velo, secondo tradizione.

 

Una mostra su questa straordinaria immagine sarà esposta presso il Manhattan Center di New York dal 17 al 19 gennaio 2014 nell’ambito di “New Yorker Encounter 2014”, manifestazione diretta ai giovani cattolici americani, con un fitto programma di concerti, incontri, concerti, dibatti e mostre.  Tra queste ultime si segnala la mostra ‘THE FACE OF JESUS: FROM THAT GAZE, THE HUMAN PERSON IS BORN (Il Volto di Gesu’: da questo sguardo nasce l’io), che ripropone la storia millenaria dell’immagine di Cristo, assumendo a modello di riferimento il Volto Santo di Manoppello (cfr.   http://www.newyorkencounter.org/exhibits/2014/1/17/the-face-of-jesus-from-that-gaze-the-human-person ).

 

La milanese Raffaella Zardoni, curatrice della mostra che è stata presentata per la prima volta al Meeting di Rimini nell’agosto 2013, prima di partire per gli Stati Uniti ha dichiarato:

Nel 2010 mi sono imbattuta nel Volto Santo di Manoppello. Stupita di non averne mai sentito parlare, in attesa che ulteriori esami scientifici rispondano alle tante domande che l’enigmatico velo suscita, ho desiderato verificare l’ipotesi di padre Heinrich Pfeiffer rispetto alla quale il Velo di Manoppello sia l’antica Veronica perduta. Per questo abbiamo creato un team di storici dell’arte e ricercatori in collaborazione coi Cappuccini e con tutti coloro che da anni studiavano il velo abruzzese come padre Pfeiffer, suor Blandina Schlömer, Paul Badde. A livello iconografico abbiamo voluto verificare l’affermazione ricorrente che nell’Europa medievale erano innumerevoli le riproduzioni della reliquia romana. Abbiamo creato una mappa su Google Earth e il sito Veronica Route con quasi 1500 riproduzioni della Veronica ordinate storicamente. È stata la quantità e la bellezza delle immagini che ci sono giunte lo spunto decisivo che ci ha mossi a realizzare la mostra che in questi giorni è riproposta a New York col titolo ‘Il volto di Gesu’: da questo sguardo nasce l’io’. In questo momento di profondi cambiamenti abbiamo  desiderato far conoscere il movimento e l’affetto per il volto di Cristo che ha caratterizzato la nostra storia europea.

 

L’edizione in inglese del catalogo della mostra presenta l’introduzione di Sean O’Malley, cardinale di Boston, al quale il rettore del Santuario di Manoppello, p. Carmine Cucinelli, ha rivolto nei giorni scorsi il proprio ringraziamento per la condivisione dei contenuti della mostra, invitandono a recarsi a Manoppello, in occasione di un prossimo viaggio in Italia.

O’Malley, ritenuto tra i candidati più autorevoli alla successione di Papa Benedetto XVI, è l’unico cardinale espressione dell’Ordine dei Cappuccini, lo stesso ordine dei frati di Manoppello. Negli ultimi cinque anni è emergente l’interesse per il Volto Santo anche negli USA. Si segnala il documentato blog curato da Raynold Frost di San Francisco http://holyfaceofmanoppello.blogspot.it/, mentre diversi sono i libri pubblicati sull’argomento. Qui di seguito ne segnaliamo alcuni.

 

P. Badde, The Face of God: The Rediscovery Of The True Face of Jesus, Ignatius Press, 2010;

J. Jannone, The Three Cloths of Christ: The Emerging Treasures of Christianity, Lulu Press, 2011;

P. Badde, The True Icon: From the Shroud of Turin to the Veil of Manoppello, Ignatius Press, 2012;

G.Górny e J. Rosikon, Witnesses to Mystery: Investigations Into Christ’s Relics, Ignatius Press, 2013.

 

Di taglio diverso il libro della giornalista Linda Stasi del New York Post, che imposta la sua storia con Ie caratteristiche di un giallo tipo Don Brown, alludendo alla sesta stazione della via crucis, che riproduce l’immagine della Veronica: cfr. L. Stasi, The sixth station, Forge Books, 2013.

 




Toronto. LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REGIONE ABRUZZO GIANNI CHIODI

 

Toronto, 7 Gennaio 2014

Presidente Chiodi,

ho ascoltato il Suo discorso di presentazione del bilancio regionale nella parte relativa al CRAM ed ho sentito la necessità di scriverLe.

Mi chiamo  Ivana Santacroce Fracasso. Sono presidente della Federazione Abruzzese  di Toronto, consultrice CRAM e ideatrice e conduttrice del programma radio “L’eco d’Abruzzo”  in onda ogni giovedì sera, da ben 19 anni,  sulla stazione radio CHIN di questa città. Tengo a precisare che le onde di questa stazione radio raggiungono, oltre le città dell’Ontario: Hamilton, Niagara, St. Catharines ecc, anche città  Nord-Orientali degli Stati Uniti d’America.

Ho ascoltato con  tristezza le Sue affermazioni sul CRAM, soprattutto il modo duro con cui si è rivolto a noi.  Sono rimasta senza parole.                                                                                                                                           Mi ero prefissa di non far alcun commento, però non sempre è possibile far tacere il nostro cuore e la nostra ragione di fronte a chi vuole vedere il male anche dove c’è soltanto del bene.

Sì, il bene, proprio così. Quello che noi abruzzesi all’estero nutriamo per la  nostra terra è stato da Lei interpretato come un modo di volerne approfittare.  Approfittare di cosa, di un viaggio o di una “gita”, come Lei dice? Ma scherza, Presidente.  Sinceramente Le dico che ha parlato in modo non conforme  alla carica che ricopre, e questo non Le fa onore.                                                                                                                              Indipendentemente dal discorso sul CRAM, che può essere accettato o meno, io ho percepito un Suo disinteresse o, ancor di più, una mancanza di rispetto verso gli abruzzesi emigrati.  Questa è stata la mia forte impressione.

Peccato che Lei non sappia (o forse preferisce non sapere?) ciò che noi abruzzesi all’estero siamo stati capaci di fare all’indomani dal tragico terremoto de L’Aquila, per non considerare anche quanto fatto per la rinascita della nostra Regione nel dopoguerra.                                                                                                                                                       Le voglio dare in proposito qualche “piccola” notizia.                                                                                                                       Una è questa: a Toronto la nostra Federazione Abruzzese, che racchiude 23 Club ed Associazioni affiliati, in collaborazione con l’Ordine dei Cavalieri di Malta, ha raccolto ben 700mila dollari, arrivati in Abruzzo fino all’ultimo centesimo.                                                                                                                                                  Grazie alla grande sensibilità della nostra gente e all’immenso lavoro da noi svolto in tutte le fasi della raccolta dei fondi, il reparto Immuno-Trasfusionale e il Reparto di Brachiterapia dell’Ospedale San Salvatore de L’Aquila sono stati, il primo aiutato nella ristrutturazione e il secondo nella dotazione  di un impianto all’avanguardia, unico in Abruzzo, per la terapia del tumore alla prostata, al seno e alla cervice uterina.                                                                                                                                                                               Abbiamo, inoltre, collaborato sia con la Federazione Abruzzese della città di Hamilton anch’essa generosa nella  raccolta della ingente somma di 350mila dollari, sia con le diverse comunità abruzzesi sparse in questa vasta nostra terra di adozione facenti parte della Confederazione Abruzzese del Canada.

La informo, inoltre, che per coordinare i progetti da realizzare in Abruzzo con i fondi raccolti e per partecipare all’inaugurazione dei Reparti dell’Ospedale San Salvatore de L’Aquila,  abbiamo tutti lavorato completamente a nostre spese.

Dalla Regione nessuna nota di apprezzamento o di gratitudine per tutto questo.  Non era certo obbligatorio farlo ma sarebbe lodevolmente rientrato  nell’etica professionale e morale di chi della Regione ne è il Governatore.

Le Sue parole che arrivano come un sonoro schiaffo morale, inducono molti a chiedersi se il nostro continuo prodigarci verso la terra d’origine valga la pena.                                                                                      Io e tutti quelli che lavorano con me nell’Associazionismo “puro”  abbiamo i nostri sani principi e riteniamo che, indipendentemente dal Suo giudizio negativo nei nostri confronti, continueremo a fare ciò che abbiamo fatto finora. Del resto noi non lavoriamo per i politici in Abruzzo o per richiedere favori; lavoriamo di volontariato a beneficio della nostra comunità e della brava e onesta gente che ci apprezza e che ci pregiamo di rappresentare.

Per concludere mi viene spontanea una riflessione:                                                                                                   Lei ha detto, sempre riferendosi al  CRAM:  “sono finite le gite per i nostri e per loro”.                                                  Ma Lei, Presidente Chiodi, non era già pronto a venire a Toronto con la Sua delegazione il 16 Novembre u.s.  per partecipare alla Cena di Gala, invitato da un Club che festeggiava  10 anni di fondazione e il Suo Ufficio di Segreteria faceva passare tutto  questo come “Visita Istituzionale del Presidente Chiodi in Canada”?  Non voglio entrare  nel merito.  Spero solo che Lei sia venuto a conoscenza  della corrispondenza intercorsa tra me e la Sua Segreteria nello scorso  Ottobre.  Non mi risulta che il viaggio sia stato cancellato, gli ultimi giorni, perchè “le gite sono finite per i nostri  e per loro”, ma per tutt’altre ragioni.

Queste  favole, Signor Presidente, non  si raccontano nemmeno la notte di Natale.

La saluto distintamente.

Ivana Santacroce Fracasso

P.S. Il Suo discorso: http://www.youtube.com/watch?v=VhKwEumBpig

 

 

 




L’Aquila. LE SCONCERTANTI DICHIARAZIONI DEL PRESIDENTE CHIODI SULLE “GITE” DEL CRAM

 

L’impeccabile risposta di Luciano Mastracci, presidente dell’Associazione Abruzzesi di Svezia

 

di Goffredo Palmerini *

 

 

 

L’AQUILA – Alcuni giorni fa, a margine dell’approvazione del bilancio regionale, il presidente della Regione Gianni Chiodi, in una conferenza stampa tenuta assieme all’assessore Carlo Masci, ha espresso dichiarazioni sconcertanti sul CRAM (Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo), sulle “gite” ed altre situazioni a suo parere censurabili, chiosando su un’email a lui inviata dal Cav. Enzo Alloggia, emigrato in Svizzera e componente del CRAM, che lo richiamava alla responsabilità di non aver appostato nel bilancio di previsione 2014 neanche un euro per le politiche dell’emigrazione. Ha usato verso Alloggia, infaticabile componente del CRAM, riferimenti d’insofferenza, con altre annotazioni che dimostrano – dispiace rilevarlo – una scarsissima conoscenza del mondo dell’emigrazione, per usare un eufemismo. Intanto il presidente Chiodi avrebbe avuto 5 anni, con i poteri a sua disposizione, per accertare quanto egli presume e denuncia. Non l’ha fatto. E’ un peccato, perché avrebbe forse potuto scoprire che altre sono le criticità, le “gite” senza costrutto della Regione, non certo un viaggio l’anno dei circa 40 delegati delle comunità abruzzesi nel mondo per tenere la loro assemblea, che sia in Abruzzo o in uno dei Paesi della nostra emigrazione. Peraltro, la sua Amministrazione si è distinta per aver azzerato, nei cinque anni del mandato, lo stanziamento per le politiche dell’emigrazione, facendo poi salti mortali ogni anno per una variazione al bilancio, su proposta dei tre consiglieri regionali nel CRAM (Franco Caramanico, Riccardo Chiavaroli, Antonio Prospero), per destinare qualche decina di migliaia di euro per le minute spese e per consentire lo svolgimento dell’annuale assemblea dell’organo rappresentativo degli Abruzzesi nel mondo. Tre giorni intensi di lavori, le assemblee del CRAM, che in questo quinquennio si sono tenute per tre volte in Abruzzo, poi nel 2012 in Canada e nel settembre scorso in Belgio (a Charleroi, Bruxelles, Marcinelle). Non aggiungo una parola in più sulle sue dichiarazioni, il filmato è di per sé eloquente.

http://www.youtube.com/watch?v=VhKwEumBpig

 

Vorrei solo annotare, senza dilungarmi a ricordare il contributo dato dagli emigrati alla ricostruzione del Paese dopo la guerra con le loro rimesse, quanto attualmente gli Abruzzesi nel mondo fanno per la loro regione, promuovendo il turismo di ritorno e non, le eccellenze della nostra enogastronomia, tenendo viva la cultura delle radici, investendo nel restauro delle case di proprietà nei tanti borghi d’Abruzzo, pagando per esse imposte e tasse. E quanto ancora di più potrebbero fare se soltanto avessero amministratori regionali con la lungimiranza di conoscere a fondo questo straordinario “altro Abruzzo” nel mondo e di investire con politiche mirate sulla loro capacità di promuovere l’Abruzzo, di penetrare i mercati dei Paesi dove risiedono che meglio di qualunque altro promoter essi conoscono. Non sono state una cosa bella, per niente, queste dichiarazioni avventate e poco rispettose per gli Abruzzesi nel mondo. Quegli stessi Abruzzesi che hanno dato una straordinaria prova di vicinanza e solidarietà alle popolazioni colpite dal terremoto del 2009, con l’attenzione ai bisogni dell’emergenza e con i loro aiuti materiali, che hanno superato i 100 milioni di euro. Quegli Abruzzesi cui spesso non è pervenuta neanche una lettera di ringraziamento. Per conoscere questo mondo dell’emigrazione ci vuole umiltà, studio delle realtà, sensibilità, disposizione e curiosità intellettuale. Si scoprono comunità tenaci e coese in tutto il mondo, talenti e personalità di vaglia che illustrano la loro terra d’origine, dando onore e prestigio all’Italia e all’Abruzzo. Primeggiano nel lavoro, nelle professioni, nell’imprenditoria, nelle università, nei centri di ricerca, nei Parlamenti. Basta voler conoscere questo mondo, con predisposizione, per accorgersi di quest’altro Abruzzo.

 

 Antonio Prospero, Luciano Mastracci, Franco Caramanico e Franco Santellocco, nell'assemblea CRAM a Charleroi (Belgio)
Antonio Prospero, Luciano Mastracci, Franco Caramanico e Franco Santellocco, nell’assemblea CRAM a Charleroi (Belgio)

La Regione ne ha tutte le possibilità e gli strumenti, se vuole, per  farlo come si deve. Il CRAM può dare, come ha fatto in questi anni quasi inascoltato, il suo contributo. Chi scrive lo ha fatto attraverso il CRAM, con scritti e articoli sulla stampa, girando il mondo – a sue spese – per conoscere da vicino le nostre comunità e per poterne poi parlare con consapevolezza e coscienza informata in giro per l’Italia, negli incontri e nei convegni sull’emigrazione. Mi auguro davvero che la nostra Regione lo scopra quest’altro Abruzzo, senza supponenze e paternalismi, ma con dedizione e volontà. E che lo rispetti e lo valorizzi come un patrimonio intellettuale ed umano di sicura caratura. Ecco perché le dichiarazioni del presidente Chiodi sono sconcertanti. Né era pensabile che rimanessero confinate nel nostro Abruzzo. Hanno immediatamente fatto il giro del mondo e acceso un vespaio tra le nostre comunità. E infatti le risposte cominciano ad arrivare anche fuori dal circuito istituzionale, come questa lettera, apparsa su Facebook, che Luciano Mastracci, presidente dell’Associazione Abruzzesi in Svezia, ha inviato da Stoccolma al presidente Chiodi non appena ha visto ed ascoltato le dichiarazioni sul CRAM, girate sui social network. Con il consenso di Mastracci, qui di seguito trascrivo la sua lettera al presidente della Regione Abruzzo: una pennellata, anche nello stile.

 Luciano Mastracci e Goffredo Palmerini al Parlamento europeo, a Bruxelles
Luciano Mastracci e Goffredo Palmerini al Parlamento europeo, a Bruxelles

 

Signor Chiodi,

 

mi chiamo Luciano Mastracci e sono il presidente dell’AAIS (Associazione Abruzzesi in Svezia). Ho visto il video in cui spiega agli abruzzesi perché ha voluto ridurre a zero euro i contributi al CRAM. L’ho vista prendere il cellulare per leggerci il nome di una persona che ha criticato la sua decisione come a voler fare intendere “una, due o tre voci tra la folla” allora ho deciso d’inviarle la presente, così adesso sa che ce se n’è affiancata un’altra.


Sempre riferendosi a quella persona dice che la bombarda con richieste di soldi. Ho letto le mail che le ha inviato e mi risulta che si sia espressa in altri termini. Mi risulta anche che dal 2009, cioè da quando ha avuto inizio il suo mandato, le associazioni all’estero non abbiano ricevuto individualmente contributi di sorta per il fatto che bisognava ripagare un mutuo per risanare le casse della regione. Adesso, che quel debito è stato azzerato, magari qualche associazione ha osato sperare che da quest’anno avrebbe avuto un aiuto nell’organizzazione di eventi nel paese dove risiede e non doverci rimettere di tasca propria come è spesso avvenuto ultimamente.

 

Invece e inaspettatamente ci arriva una doccia fredda da lei che vuole farci apparire come dei parassiti che stanno soltanto aspettando soldi da sperperare. Ha usato la parola “gita” riferendosi al viaggio annuale che facciamo per incontrarci in un convegno. Lei non ci va ai convegni? Anzi, visto che questa lettera ho intenzione di pubblicarla anche su Facebook, vorrei invitare chi mi legge a riflettere un istante se vede una differenza fra i suoi viaggi di lavoro (a quanti convegni presenzia ogni anno?) e le nostre gite. Nel mondo ci sono unmilioneduecentomila abruzzesi.


Sono andato a Bruxelles in settembre, alla riunione di quest’anno, fresco di un’operazione alla schiena, con stampelle e zaino e le assicuro che è stata una grossa sfacchinata, altro che gita! Ma volevo andarci perché era la prima volta per me e volevo conoscere, ascoltare, imparare ed anche presentare i quattro gatti abruzzesi in Svezia che rappresento.


Ho incontrato i delegati di una trentina di associazioni, ho sentito cosa hanno fatto, le difficoltà che hanno dovuto affrontare, i risultati ottenuti a vantaggio anche e soprattutto economico per l’Abruzzo; i progetti e tutto. E unicamente per amore della nostra regione. Ho avuto anche l’opportunità di far sentire la mia voce e sono tornato a casa pieno d’entusiasmo e ricco di suggerimenti su come poter realizzare in pratica certe idee per attivare uno scambio Svezia-Abruzzo in diversi settori.


Ci si alzava presto, ma non per andare in spiaggia o a teatro, e si tornava a casa spossati. Naturalmente abbiamo passato anche dei bellissimi momenti durante pause, pranzi, cene ma perché no? E poi, anche lì, in maniera più rilassata e senza neanche averne l’impressione, si seguitava a lavorare, visto che era sempre l’Abruzzo l’argomento di centro.


Signor Presidente, ha ripetuto la parola “gita” cinque volte. Se uno per far valere le sue ragioni deve ricorrere a spicciole soluzioni come la denigrazione e l’alterazione della realtà, il tutto contornato dalla battutina finale per far ridere significa che scarseggia di argomenti validi da esporre. Per convincere della validità della sua decisione ha inoltre parlato di cose poco chiare successe in Brasile anni fa. Non c’ero e non ne sono a conoscenza, mi risulta però che lì oggi stiano lavorando bene. In ogni caso, non è giusto mettere centinaia di rispettabili associazioni alla stregua di una che sbaglia.


Vabbè, cos’altro possiamo fare oltre a manifestare il nostro dissenso per convincerla a tornare sulle decisioni prese? Non dimentichi che noi, come lei, vogliamo bene all’Abruzzo e non le chiediamo altro che di darci la possibilità di riunirci una volta all’anno per poter lavorare meglio. Il CRAM che ci coordina fa del suo meglio per sostenerci, ma senza soldi, solo con le parole, non si va lontano.

Con simpatia (nonostante tutto)


Luciano

 

Magari il presidente Chiodi, di solito persona equilibrata e assai garbata, avrà anche modo di correggere il tiro delle sue dichiarazioni. Come è giusto che sia. Resta il fatto che le ha rilasciate e che depongono malamente sulla conoscenza e sulla considerazione delle comunità abruzzesi nel mondo. Mi dispiace davvero scrivere questa nota, per il rispetto che ho verso le Istituzioni e chi le rappresenta. Verso la Regione, in particolare, della quale attraverso il CRAM mi sento d’essere servitore fedele ed impegnato, contribuendo come meglio posso a migliorare il rapporto tra l’Abruzzo dentro i confini e l’altro Abruzzo nel mondo. Ma sarà opportuno che la classe politica prenda finalmente coscienza del valore delle comunità abruzzesi all’estero – e degli Italiani nel mondo – e si regoli di conseguenza. C’è una parte di classe dirigente che è consapevole di tale patrimonio, sensibile ed attenta alle questioni del mondo dell’emigrazione. Anche nella Regione Abruzzo. Ma è purtroppo una minoranza. In larga parte invalgono ancora stereotipi, pregiudizi e un deficit di conoscenza del fenomeno migratorio italiano assai pesante. Vale, questa considerazione, per la classe politica latamente intesa, dal Parlamento alle Regioni agli Enti locali. Lo rilevo con amarezza. Purtroppo l’emigrazione italiana ancora non entra, come invece dovrebbe per tutti i suoi aspetti economici sociali e culturali, nella Storia d’Italia. Ma non è ancora entrata, come altrettanto dovrebbe, nella coscienza civile delle classi dirigenti che, ai diversi livelli, governano il Paese.

 

 

* componente del CRAM per l’Osservatorio dell’Emigrazione 




“ Celebrato a Bolzano il Natale degli Abruzzesi del Trentino Alto Adige con la porchetta elogiata e codificata da Margherita d’Austria“

“ Celebrato a Bolzano il Natale degli Abruzzesi del Trentino Alto Adige

con la porchetta elogiata e codificata da Margherita d’Austria“

La Libera Associazione degli Abruzzesi del Trentino Alto Adige, presieduta da Sergio Paolo Sciullo della Rocca, ha celebrato a Bolzano il Natale Abruzzese, alla presenza del Dott. Sandro Repetto delegato dal Comune di Bolzano presso la Chiesa della Visitazione dove nella preghiera sono stati ricordati i minatori abruzzesi deceduti nelle miniere di Monteve. La Santa Messa è stata officiata da Don Daniele Ambrosini e allietata dalle voci del Coro Laurino di Bolzano diretto da Werner Redolfi, alla presenza di oltre duecento abruzzesi e familiari provenienti dalle località di Trento, Riva del Garda, Borgo Valsugana, Merano e Vipiteno. Al termine della celebrazione, il presidente Sciullo della Rocca, ha formulato gli auguri ai convenuti, ritenendosi soddisfatto della compattezza dei soci che rende testimonianza in ambito regionale di laboriosità e di ottima convivenza con le realtà culturali locali. L’incontro è proseguito poi nei locali del sodalizio con un Vin d’Honneur augurale organizzato con abile maestria dai soci Mario Timperio Maria Di Francesco, Eustachio e Franco Carfagnini, Antonietta Nannarone, Vittorio Ambrosini, Salvino D’Aurelio, Antonietta Lavillotti e Liliana Mannella, coordinati dallo chef Mirco Ambrosini. Molto apprezzati sono risultati il vino Montepulciano della terra di Aligi, il formaggio pecorino di Lucoli e la porchetta di Sant’Eufemia a Maiella preparata nel pieno rispetto delle antiche tradizioni che vedono la ricetta abruzzese di cottura codificata persino in vecchi statuti comunali del 1575, rinnovati poi per opera di Margherita d’Austria, che contenevano numerose indicazioni sull’uso, la vendita e la cottura della porchetta, da sempre considerata la migliore in ambito italiano come anche da recente affermazione nel concorso gastronomico di Venezia.




“Terramatta”, il film protagonista a Los Angeles e in Australia

“Terramatta”, il film protagonista a Los Angeles e in Australia

Agli incontri in Australia anche Roberto Nobile, Chiara Ottaviano, Luca Ricci e Giovanni Rabito

Un vero e proprio “giro del mondo” quello che il film di Costanza Quatriglio sta facendo in questi ultimi tempi.  Sceneggiato e prodotto da Chiara Ottaviano per Cliomedia Officina in coproduzione con Cinecittà Luce,  “Terramatta. Il Novecento Italiano di Vincenzo Rabito analfabeta sicilianoè stato proiettato a Los Angeles nell’ambito del festival “Cinema Italian Style”, promosso da Cinecittà Luce e American Cinematheque con il supporto dell’Istituto Italiano di Cultura e del Ministero per i Beni e le Attività culturali – Direzione generale per il Cinema. Dopo la prima mondiale al Festival del Cinema di Venezia lo scorso anno, e numerose proiezioni in Italia e all’estero, Terramatta è stato inserito nel nutrito programma allestito in occasione delle celebrazioni dell’Anno della Cultura italiana negli Stati Uniti che ha visto protagoniste le migliori voci del nostro panorama culturale in tutte le sue espressioni.

Ora, senza neanche una sosta, Terramatta, “un film che mancava nel nostro Paese smemorato” (Il Messaggero), si appresta a conquistare anche il pubblico australiano grazie ad una serie di proiezioni organizzate da Università, Istituti di Cultura e dall’ACIS (Australasian Centre for Italian Studies). “Sono molto felice per l’interesse e l’attenzione che continua a crescere intorno a  Terramatta sia in Italia sia all’estero a più di un anno dalla sua prima visione a Venezia”, ha dichiarato Chiara Ottaviano alla vigilia della partenza per l’Australia dove prenderà parte, oltre alle varie serate di presentazione del film,  al Congresso di Adelaide dell’ACIS, l’associazione che riunisce gli studiosi australiani e asiatici interessati alla storia e alla cultura italiana. “Coglierò questa occasione  anche per fare conoscere il nuovo progetto a cui tengo molto, l’Archivio degli Iblei, anch’esso ispirato dalla lettura di Rabito”. Con questo Archivio, Chiara Ottaviano intende valorizzare il patrimonio artistico e storico degli Iblei a cui si può collaborare attraverso il sito  www.archiviodegliiblei.it condividendo foto, documenti, ricordi affinché questo patrimonio abbia una visibilità oltre i confini nazionali.

Vincenzo Rabito, nato a Chiaromonte Gulfi (Ragusa) nel 1899, ha raccolto le sue “avventure” in 1027 pagine, perché “se all’uomo in questa vita non ci incontro aventure, non ave niente darracontare”. A dar vita al film, sono proprio le immagini di queste pagine, ben strette tra spirali d’acciaio e spago, come per timore che quelle parole “che hanno inventato una nuova lingua” avessero anche il potere, la forza di scappare via. Una sorta di Omero dei nostri giorni, Vincenzo Rabito, contadino, soldato, carpentiere ma soprattutto “scrittore”, visto che ha raccontato quasi un secolo di vita. Scrittore… che ha imparato a leggere sui libri di scuola della sorella, e poi l’opera dei Pupi e “il libro del Querino il Meschino”, e a 30 anni ha conquistato la licenza elementare “che mi ha parso un sogno”. Vincenzo Rabito è morto nel 1981 e le sue memorie sono diventate un sorprendente caso letterario, tanto da essere premiate nel 2000 al concorso diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano e pubblicate nel 2007 da Einaudi.

Dal libro, è nato il film Terramatta che ha ottenuto diversi riconoscimenti, a partire dal Nastro d’Argento (assegnato dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani, è il più antico premio cinematografico del mondo preceduto solo dall’Academy Award) come miglior documentario nel 2013. Alla 69^ Mostra del Cinema di Venezia ha vinto il Premio “Civitas Vitae”. E poi ancora, il “Film della critica”, l’Efebo d’argento, il “Premio Federico II”  e il “Premio Bufalino. L’enfant du paradis”. Riconoscimenti anche all’estero, definito “l’opera più personale, originale e ambiziosa”, al Festival del Cinema di Madrid ha ottenuto il Primo Premio nella sezione documentari.

E’ grazie a Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo, che il manoscritto è diventato prima un libro e poi il film. Giovanni ha portato con sé, a Bologna, quelle pagine piene di parole e punteggiatura, scolpite nella carta con tutti i colori disponibili del nastro della Olivetti, per farle leggere, consapevole, forse, di essere al cospetto di un patrimonio di memorie da dover condividere. Vincenzo non ha mai chiesto che fine avessero fatto i suoi ricordi. Ed imperterrito, ha ricominciato a scrivere. La stessa, identica storia, le stesse identiche “cose che mi avevino incontrato in vita mia”.

Nel film, le parole di Rabito si trasformano in “immagini”, come a voler concretizzare quei ricordi resi immortali all’insaputa di tutti. Ricordi portati alla luce nel chiuso di una stanza, scanditi solo dal suono dei tasti dell’Olivetti. E a dare vita alle parole di Rabito, ad amplificarne le emozioni, il dolore e la felicità, la voce di Roberto Nobile. Di origini ragusane, Roberto Nobile è uno dei volti più apprezzati del nostro cinema (ha lavorato con registi come Pupi Avati, Tornatore, Nanni Moretti, Rob Marshall), del teatro e della televisione (La Piovra, Don Matteo,  Nero Wolfe e Una grande famiglia), è lui il giornalista Nicolò Zito, amico del Commissario Montalbano. Parola dopo parola, la voce di Roberto Nobile accompagna lo spettatore nel racconto “della bella vita che ho fatto. Il sottoscritto Vincenzo Rabito…”.

Il primo degli incontri in programma in Australia si svolgerà a Melbourne il prossimo 3 dicembre all’Istituto Italiano di cultura, seguiranno gli eventi del 4 e 5 dicembre ad Adelaide; ultima proiezione di Terramatta il 9 dicembre all’Istituto Italiano di Cultura a Sydney. Ad Adelaide numerosi i relatori che interverranno sul caso editoriale e cinematografico di Terramatta. Alle diverse presentazioni e al convegno di Adelaide, oltre a Chiara Ottaviano, saranno presenti anche Roberto Nobile, Luca Ricci, che con Evelina Santangelo ha curato l’edizione del volume Einaudi, e Giovanni Rabito, ultimo dei tre figli di Vincenzo. Alla proiezione di Sydney parteciperanno il senatore Francesco Giacobbe, eletto nella circoscrizione Estero, e la linguista Antonia Rubino, Capo del dipartimento di italianistica all’Università di Sydney.

Giovanna Chiarilli