Un italiano a New York nel XIX secolo: spettacolo evento per ricordare Lorenzo Da Ponte

Un italiano a New York nel XIX secolo: spettacolo evento per ricordare Lorenzo Da Ponte

Il personaggio è stato interpretato dal drammaturgo Mario Fratti, nelle inconsuete vesti d’attore

NEW YORK – L’Istituto di Cultura Italiana di New York ha celebrato nella vecchia Cattedrale di St. Patrick di downtown il 175° anniversario della morte di Lorenzo Da Ponte, librettista, poeta e drammaturgo italiano. Lo spettacolo evento di sabato 9 Novembre, a base di musica, poesia e teatro, è nato dalla collaborazione tra Divaria Production – prestigiosa casa di produzione che da anni lavora per la diffusione della musica lirica – l’Istituto di Cultura Italiana e la Basilica di St. Patrick Old Cathedral, dove proprio al suo interno si svolsero i funerali  dell’artista. Il personaggio di Da Ponte è interpretato dal drammaturgo contemporaneo Mario Fratti, che con calore e trasporto ha raccontato ai presenti le avventure e le disavventure di un poeta italiano a New York.

Si dice che Lorenzo Da Ponte sia morto nel 1838, ma questo non è vero … io sono ancora qui, perché gli scrittori non muoiono mai.” Inizia così la curiosa narrazione sulla vita di Lorenzo Da Ponte, in cui possiamo scorgere alcuni aspetti biografici anche dello stesso Fratti:  entrambi scrittori e infaticabili lavoratori, amanti della lingua, della cultura italiana, i due hanno vissuto vittorie e sconfitte nella città di New York che li ha accolti in epoche diverse.

Ci commuoviamo quando viene raccontato delle difficoltà di far conoscere la cultura italiana negli Stati Uniti: dall’apertura del primo teatro d’opera a New York nel 1825 – chiuso dopo pochi anni perché l’opera non era ancora sufficientemente apprezzata – alla necessità che Da Ponte ebbe di aprire un negozio di grocery, visto che la sua prima impresa di aprire un negozio di libri era fallita: “nessuno comprava libri a quei tempi –  racconta Frattile cose non sono molto cambiate: chi compra libri oggi?”,  fino a raccontare dei riconoscimenti raggiunti da Da Ponte come insegnante,  «the giver»  colui che dona la conoscenza agli altri.

La storia del librettista si articola tra l’Europa e l’America, costellata di collaborazioni interessanti. La corte di Vienna, il fortunato incontro con Salieri e la grande intesa con il compositore, la collaborazione con Mozart. E poi l’amicizia con Casanova, l’ammirazione e l’amore per le donne: le tappe della vita del librettista sono percorse attraverso gli episodi proposti da Fratti con il contributo del professor Felice Beneduce, del Dipartimento di Italianistica della Columbia University, grazie al quale l’evento si arricchisce di tratti di grande interesse sul contesto storico e culturale in cui si muove Lorenzo Da Ponte. Il poeta rivive poi attraverso i libretti che ha scritto (28 opere per 11 diversi compositori)  per Mozart, Rossini, Bellini e Salieri; ma soprattutto grazie al concerto musicale che accompagna la performance di Fratti.

Si inizia con “Le Nozze di Figaro”, con il Duettino “Cinque… dieci… venti …” interpretato dal soprano Asheley Bell e dal baritono Vladimir Tselebrovsky che si esibisce anche con “Fin ch’han dal vino” dal “Don Giovanni” di Mozart e nella celebre aria “Largo al Factotum”  da “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini. La musica è affidata al quintetto d’archi Salomè Chamber Orchestra (Stefania Collins – violino, Francesca Dardani – violino, Leah Korchemmy – viola, Hiro Matuso – violoncello e Yanni Burton – contrabbasso) che accompagna poi il tenore David Guzman per “Da la sua Pace la mia dipende” –  sempre dal  “Don Giovanni” – e il soprano Andrea del Giudice per l’aria  “Col Sorriso D’Innocenza” da “Il Pirata” di Bellini. Il direttore e organista della Basilica di St. Patrick, Jared Lamenzo,  ha chiuso la serata suonando l’Ouverture da “Le Nozze di Figaro” di Mozart. Il leitmotiv dell’evento è racchiuso in una citazione di Da Ponte, che Mario Fratti richiama più volte nel corso della serata: “La semplicità è la più alta forma di sofisticazione”. Così ci appare ancora oggi la poesia racchiusa nei suoi libretti, semplice e altamente sofisticata.

Chiara Macinai




bob & John Kennedy, binomio storico

b0b & John Kennedy, binomio storico
Nel 50°anniversario della morte di JFK, caduta il 22 Novembre 1963, il nostro Manocchia ricorda un’intervista con il di lui fratello Robert   due giorni prima che questi fosse ucciso a sua volta. Sull’attentato a John, il Kennedy minore non ha mai detto “Ha ucciso mio fratello…” riferendosi all’assassino Shiran K. Shiran,  bensì  “the day they killed my brother…”(“il giorno che hanno ucciso mio fratello…” ), convinto del complotto ordito a danno di JFK.

NEW YORK, 22.11.2012 –Correva l’anno 1968, Robert Kennedy, il minore della favolosa famiglia del Massachusset,  avrebbe tentato la corsa verso  la presidenza degli Stati Uniti dopo  l’assassinio del fratello John Fietzegerald avvenuta il 22 novembre 1963, 50 anni fa, ad opera  di Lee  Harvey Osvald, con l’aiuto di Russia,  Cuba ed altri gruppi criminali organizzati

Robert, familiarmente chiamato “Bob”, aveva trascorso vari anni sotto la guida del Presidente degli Stati Uniti nelle posizioni  più importanti del governo americano, e portava molta esperienza nel settore umano di cui la nazione aveva bisogno.

Premetto che il  cronista, allora corrispondente di diversi quotati quotidiani italiani, aveva avuto modo di intervistare, per la “Voice of America”, l’allora Presidente Usa JFK in occasione dell’inaugurazione di un suo busto in bronzo nel parco di Brooklyn.

Col Presidente parlammo dell’Italia, del gioco del calcio e della lotta che la “Voce dell’America” svolgeva su scala nazionale onde convincere gli italiani a… ignorare i comunisti… Fu un interessante scambio  che non è da tutti i giorni, che si concluse con una “elettrizzante” stretta di mano del cronista col Capo della Nazione.

Purtroppo il destino crudele aveva posato la sua micidiale mano sulla famiglia Kennedy, amata e stimata da tutti.

Tre anni dopo l’omicidio di Lee Osvald, infatti, qualcosa mulinava nell’atmosfera politica.

I primi di giugno del ’68 Bob Kennedy, più che mai deciso a vendicare la morte del fratello, intensificò la sua campagna elettorale e scese a New York, dove l’attendeva una colonna umana di sostenitori attraverso le principali Avenue della Grande Mela. Aiutato  dall’amico Lino Guglielmo, della Rai, che reggeva il mio registratore e grazie allo speciale Pass, ebbi modo di avvicinarmi a Bob col quale intavolai una “conversazione viaggiante”.

La prima domanda che mi chiese fu: ”In Italia tutti giocano al football, e tu giochi al calcio?”

Mi permisi di rispondere si, poichè  nelle scuole medie  io ero un veloce centometrista,

Bastò questa frase per aprire una discussione calcistica che coinvolse l’Italia e l’Irlanda, patria del senatore.

“Allora conosci Meazza e Pele?  E Nuvolari’ e Carnera? Sono  gli atleti  che vorrei poter incontrare” confessò il candidato democratico.

“Io amo  giocare al calcio e vorrei poter diventare un asso. Ma la Presidenza mi ostacola”. Dallo sport Bob passò alla politica, per parlare della schiavitù, della discriminazione che annovera milioni di anime in povertà e della critica verso la giustizia umana imperfetta: “Il futuro… – esclamava Bob -. Il futuro non appartiene a chi è contento con l’oggi e gli apatici, e il nostro futuro forse si porta dietro la nostra visione, ragione e coraggio”

La preziosa lezione politica durò sino a quando marciando a passo accorciato  il senatore salì sul palco per discutere la sua candidatura alla Presidenza, non dimenticando di rispondere  prima alla mia domanda se era mai stato in Italia e cosa ne pensava: ”Sì, sono stato una volta  nel Lago di Como, ho visitato i centri dove le Forze armate americane e italiane difesero la nazione dall’invasione tedesca. Debbo dire che l’Italia è una nazione fortunata per la sua popolazione, per lo sport, per la fantastica storia  di penne, oratori e poeti  di grande portata, ma certo, dovrebbe eliminare il Partito Rosso”.
Dopo la Sua elezione, senatore,  ritornerà in Italia?

“Se il destino non cambia, gli italiani mi saluteranno Mister President”

”Bo chiorno” (“buongiorno”, il politico irlandese-inglese-americano  stentava a pronunciare qualche bella parola italiana; nd.r.).

Robert Kennedy era un personaggio incredibile, ispirazionale, ideologico, sospinto, al pari del grande fratello JFK, che sognava di cambiare il mondo.

A questo punto il cronista salì su una veloce macchina diretto all’aeroporto Kennedy, da dove partiva un aereo dell’Alitalia e l’indomani avrebbe consegnato il nastro al quotidiano Stadio

A Bologna, l’allora direttore, Luciano Parisini, diede sfogo alla sua verve giornalistica  stampando una intera pagina con l’intervista esclusiva di Bob Kennedy,  due giorni prima dell’omicidio del senatore.

La storia ricorda che Kennedy era ritornato nel West per arrotondare  l’elezione di Capo della Nazione, dopo aver conquistato seggi dappertutto, e nell’Ambassador Hotel di Los Angeles aveva incontrato i suoi sostenitori per festeggiare la vittoria elettorale conseguita nelle Primarie della California.

Dopo il discorso di saluto, mentre Kennedy veniva fatto allontanare dall’hotel attraverso un passaggio delle cucine, vennero esplosi colpi di pistola contro di lui sotto gli occhi dei reporter e dei telespettatori che lo seguivano.

L’assassino fu subito arrestato e poi condannato. Si trattava di Shiran B. Shiran, un giordano di origine palestinese, ma alcune conseguenze emerse durante il processo  hanno dato adito a dubbi sulle responsabilità della morte di RFK. Tre anni dopo quella del fratello Presidente JFK.




L’Abruzzo protagonista a Community Una settimana del programma Rai per gli Italiani all’estero dedicata alla regione

L’Abruzzo protagonista a Community

Una settimana del programma Rai per gli Italiani all’estero dedicata alla regione

Un’intera settimana di Community interamente dedicata all’Abruzzo, alle sue eccellenze e agli Abruzzesi nel mondo. A partire dal prossimo 25 novembre, fino al 29, negli studi del programma condotto da Benedetta Rinaldi (anche lei orgogliosa delle sue origini abruzzesi), si alterneranno ospiti abruzzesi che racconteranno la loro regione, ricorderanno i corregionali all’estero e quanto di grandioso hanno realizzato in ogni angolo del mondo.

Subito dopo la testimonianza straordinaria di Padre Renato Chiera, missionario e fondatore di “Casa do Menor” in Brasile, che ha dedicato la sua vita ai più poveri, aprirà lo spazio dedicato alla terra di D’Annunzio, Croce e Silone, Goffredo Palmerini, membro dell’Osservatorio per l’Emigrazione della Regione Abruzzo, nonché vero e proprio punto di riferimento per tanti abruzzesi all’estero, e autore di diversi libri dedicati all’Abruzzo, come ricordato dalla stessa Benedetta Rinaldi (il prossimo, “L’Italia dei sogni” uscirà in questi giorni). Palmerini si soffermerà sull’entità della presenza abruzzese nel mondo e sui paesi meta preferita di questa emigrazione. Con Palmerini, parteciperà Mauro Tedeschini, direttore del quotidiano abruzzese “Il Centro” che farà il punto sulla sua lodevole iniziativa “Abruzzesi ovunque nel mondo” che sta dimostrando, per la quantità di contatti, quanto forte sia il desiderio, il bisogno, di rimanere legati alla propria terra.

Non mancherà un ricordo alle vittime del terremoto e alla gara di solidarietà, rimarcata da Palmerini, che si è immediatamente attivata proprio tra le comunità abruzzesi nel mondo, e alle conseguenze che, anche in termini di emigrazione, ha prodotto. Ma anche storie vincenti, di coraggio, come quella di Marzia Buzzanca, “la pazza di Via Leosini”, nonché chef e pizzaiola doc, che ha voluto subito riaprire a distanza di pochissimi giorni dal sisma, per ricominciare, per riaccendere le speranze, così come hanno fatto Stefano Biasini e Michele Morelli, che apriranno tra qualche mese il “Gran Caffè L’Aquila” anche a Philadelphia, negli States.

Ospiti delle altre puntate, Serafina Marconetti che racconterà una storia emblematica per gran parte degli italiani all’estero e un’intera famiglia, Emiliano, Lia ed Enrico Giancristofaro, che hanno dedicato la loro vita professionale agli abruzzesi nel mondo. Emiliano Giancristofaro, studioso dell’emigrazione (che ha trasmesso la sua passione anche ai figli), parlerà del suo libro “Cara moglia. Lettere a casa degli abruzzesi”; Lia, antropologa dell’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti e direttore della Rivista Abruzzese, ed Enrico Giancristofaro, regista del documentario “Una terra e due anime” girato in Argentina.

Franco Santellocco Gargano, come Vice Presidente del Consiglio Regionale degli Abruzzesi nel Mondo nonché Presidente dell’Associazione Abruzzesi d’Algeria, si soffermerà sugli abruzzesi che, partiti dal nulla, sono arrivati a lasciare un’impronta nella storia e anche nella toponomastica, come Raffaele Alfidi, cui si deve lo sviluppo della TAC, omaggiato dalla sua città, Luco dei Marsi, con una piazza a lui dedicata, e Alfred Zampa, originario di Ortucchio, cui la California ha dedicato un ponte e il suo Ortucchio una piazza.

Giovanna Di Lello, direttore artistico del Festival “John Fante” ricorderà quanto ci sia dell’Abruzzo nei romanzi del grande scrittore italoamericano, il cui padre “Nick” era partito dalla sua Torricella Peligna per gli Stati Uniti. E non potevano mancare le “eccellenze”, dal tenore conosciuto in tutto il mondo, Piero Mazzocchetti, definito il “nuovo Pavarotti”, a Sergio Parisse, giocatore di rugby e capitano della nazionale italiana, nato in Argentina da genitori aquilani (figlio d’arte con il padre Sergio senior campione dell’Aquila Rugby, vincitore di due scudetti), e Lorenzo Di Giacomo pugile originario di Montesilvano in provincia di Pescara, con cui si ricorderà anche un’altra “stella” abruzzese: Rocky Marciano.

Infine, protagonisti anche le eccellenze dell’enogastronomia – il Montepulciano d’Abruzzo e la ventricina – e i prodotti diventati vera e propria bandiera” dell’Abruzzo, come lo zafferano dell’altipiano di Navelli e i Confetti Pelino di Sulmona.

COMMUNITY

Programma quotidiano (lunedì-venerdì, fascia pomeridiana) condotto in studio da Benedetta Rinaldi, con i personaggi, le storie, gli eventi, i filmati dalle comunità italiane in tutto il mondo.

E poi ancora: la lingua italiana, le canzoni più famose in tutto il mondo, lo sportello al servizio dei nostri connazionali nei cinque continenti e i protagonisti delle eccellenze italiane.

• Dal Lunedì al Venerdì

(New York e Toronto h .5,00 pm);

(Buenos Aires h. 6,00 pm );

(Pechino e Perth h 4,15 pm);

(Sydney h 6,15 pm);

(Johannesburg h 3,30 pm);




L’Aquila. L’amore di Goffredo Palmerini per l’altra Italia di Salvatore Bizzarro *

Con questo secondo contributo termina il percorso di approssimazione all’uscita del volume di Goffredo Palmerini “L’Italia dei Sogni” (One Group Edizioni), attesa per fine mese di novembre. Questa interessante nota d’introduzione al volume è stata scritta da Salvatore Bizzarro, docente in un’università del Colorado (Usa). La pubblichiamo con l’autorizzazione dell’editore, che ci ha fornito anche un profilo biografico del prof. Bizzarro.

L’amore di Goffredo Palmerini per l’altra Italia

di Salvatore Bizzarro *

Il racconto di Dino Buzzati (da I sette messaggeri), che narra il cammino di vari messaggeri verso una meta poco precisa, mi fa pensare agli emigrati italiani che avevano la certezza del punto di partenza, mentre quello d’arrivo rimaneva per loro indefinito, anche se pieno di timori e di speranze. La ‘nostalgia’ che il principe scopre, nel racconto buzzatiano, diventa simbolo di solitudine. Quella stessa che ognuno di noi, lasciando il proprio paese, ha provato. Proprio Goffredo Palmerini scrive che gli emigrati si sono confrontati con una “storia di sofferenza e di dolore per affrancarsi da indicibili pregiudizi e diffidenze, per poter conquistare rispetto e stima nella società d’accoglienza con il lavoro, il talento e la creatività, oggi motivo di affermazione e di successo”.

Quando io stesso nel 1954, all’età di quindici anni e mezzo, arrivai a New York su una nave poco stabile, mi sentii come Colombo nell’atto di baciare la terra di un nuovo mondo, pieno di speranza e di volontà. Ci sono voluti tanti anni prima che io capissi compiutamente il lungo processo per diventare ‘americano’. In Italia mi consideravano ‘americano’, benché cercassi di rimanere italiano, e in America mi consideravano italiano, e peggio ancora immigrato, senza mai considerarmi integrato in una società che non mi accettava pienamente. Vedevo le mie origini napoletane con emozioni confuse, con una certa sensazione d’aver perduto valori importanti. Non mi sentivo più come Colombo, ma come Gulliver mentre si sveglia legato con le corde che lo tengono prigioniero.

L’Italia dei Sogni non è propriamente detto un trattato accademico, ma un compendio. e tuttavia questo libro riesce a rendere con rara efficacia, come in un compendio, le peripezie degli emigrati italiani, le loro storie, dove le esperienze umane emergono grazie alla ricchezza d’una narrazione nitida e intrigante, attenta ai particolari, propria di un osservatore meticoloso e paziente, qual è Goffredo Palmerini. Con riguardo e amore professionale, Palmerini rende infatti un grande tributo alla sua città, L’Aquila, al suo Abruzzo, alla sua Italia, con un orgoglio già messo in evidenza in altri suoi libri, specialmente in L’Aquila nel Mondo e L’Altra Italia. Ne L’Italia dei Sogni si trovano ricordi, cronache, successi, resoconti, storie e anche rimpianti del personalissimo mondo degli emigrati, evocati dell’autore con acute osservazioni.

Gli scritti contenuti in questo volume, che con gli altri due citati realizza una perfetta trilogia, riguardano storie, eventi, personaggi e reportages da cinque continenti e riescono a creare un legame forte tra gli espatriati e i quasi sessantuno milioni d’italiani in Italia. Un saggio delle esperienze degli emigrati, insieme ad altre storie singolari degli italiani dentro i confini, sono raccolte in questo volume dal titolo poetico da un aquilano che è riuscito a stabilire rapporti intensi ed assidui con tanti italiani nel mondo, abruzzesi in particolare. Aldilà del testo in sé, questo nuovo libro ci fornisce una moltitudine d’immagini e illustrazioni che evocano, anch’esse, emozioni diverse che ci fanno sognare. Sembra che Palmerini si sia innamorato delle avventure degli italiani all’estero, che con entusiasmo raccontano dei successi e delle loro storie di vita, con le proprie voci. Gli emigrati, espatriati in Paesi con altre culture a volte poco comprensibili, avendo a che fare con lingue per loro nuove e non tutte relativamente facili come lo spagnolo o il portoghese, non immaginavano fin dove potessero arrivare nelle nuove società, quali ruoli avrebbero potuto conquistare.

Il nostro, infatti, era un definitivo trapianto, senza sapere cosa ci riservasse nel futuro, sapendo ciascuno per proprio conto che la comprensione della parola parlata e scritta era essenziale per sopravvivere. Circondati dalla indeterminatezza di uno spazio economico vago, direi quasi surreale, c’era in noi la speranza-attesa di una vita migliore, sempre legata all’archetipo buzzatiano dell’errante che ci faceva “girare su noi stessi”, senza mai aumentare la distanza che ci separava dall’Italia, pieni di solitudine e di nostalgia per la terra natale, gli amici ed i parenti lasciati. Ma cosa c’è in questo volume di così vasto interesse umano per gli innumerevoli lettori italiani sparsi per il mondo? Per cominciare, abbiamo un’idea precisa della stampa italiana all’estero e della sua preziosa funzione.

Uno dei riferimenti ricorrenti e principali è il terribile terremoto del 2009 che ha devastato L’Aquila, una delle città più belle d’Italia e la mia prediletta. Città entrata nel cuore di tutti gli italiani all’estero, in modo speciale dopo il doloroso dramma del 6 aprile, rimbalzato sulla stampa da New York a Sydney, da Toronto a Buenos Aires, da São Paulo a Tokio, e in tutti gli altri giornali pubblicati all’estero da oriundi italiani. Anche se non sempre esplicito, un filo costante sembra legare gli argomenti del libro, talvolta apparentemente distanti, con un riferimento dominante alla tragedia che ha sconvolto una città meravigliosa e la vita della sua gente. e tuttavia questo richiamo, sia quando è espresso come pure quando è tacito, manifesta sempre una grande dignità, un coraggio consapevole e una certezza nella ricostruzione materiale e morale dell’Aquila e del suo futuro.

L’Italia dei Sogni inizia con uno scritto sul Santuario dedicato a Giovanni Paolo II e sulla Perdonanza, il primo giubileo istituito da Papa Celestino V. Una breve descrizione ci conduce nell’incantevole villaggio di San Pietro della Jenca e nell’omonima chiesetta medievale. In quel luogo si ricordano tre papi: San Pietro apostolo, Celestino V – che, con la Perdonanza, cancellò il commercio dalle indulgenze – e Giovanni Paolo II, cui è stato dedicato il Santuario di San Pietro della Jenca. Quest’inizio di volume ci fa conoscere un Palmerini profondo conoscitore di aspetti religiosi, mentre narra la storia di Celestino V e di Collemaggio.

D’altronde, come fece con i miei studenti nell’estate 2012, in occasione d’una giornata all’Aquila. Eravamo lì per visitare la città terremotata e Palmerini ci fece rivivere la storia del 1294, di quell’anno memorabile per la città, come fosse qualcosa della nostra stessa memoria. C’era stata in quell’anno di oltre sette secoli fa l’elezione di Celestino V, un papa ancorato alla terra d’Abruzzo e ai suoi eremi, c’erano stati i cinque mesi del suo papato, prima del “gran rifiuto”, o meglio della sua rinuncia. Palmerini ci fece entrare nel clima politico e spirituale di quel tempo, in un contesto straordinario quale può essere la Basilica di Collemaggio. Il capitolo su San Pietro della Jenca si conclude con una invocazione ai pubblici poteri a voler comprendere fino in fondo il messaggio spirituale e civile della Perdonanza, che è poi quel che occorre per la ricostruzione dell’Aquila.

Altri capitoli parlano di eventi culturali, in Italia e all’estero, di un eccellente ospedale di Torino guidato da un abruzzese, classificato tra i primi dieci d’Italia, della fitta rete della stampa italiana nel mondo, cattolica e laica, di radio SBS in Australia che diffonde programmi in più di sessanta lingue, della missione culturale di Palmerini nel nordest d’Italia e di tanti altri eventi che l’autore testimonia con dettagliati resoconti, che non mancano mai di incuriosire il lettore. Il libro rende tributi anche all’arte, al teatro e al cinema italiano, sempre contenendo in sé un grande rispetto per la cultura italiana, l’orgoglio per le bellezze e le tradizioni, l’attenzione per la religiosità del nostro Paese. I riferimenti alla spiritualità sono onnipresenti e danno un volto talvolta quasi mistico a questa raccolta di pensieri e voci dei tanti italiani sparsi nei cinque continenti.

La Bibbia per taluno diventa il libro per il futuro dell’Europa. Qual è il significato di questa nuova unità europea, e dell’abbandono della moneta nazionale per l’euro? Significa controllare in altra maniera il mondo meno sviluppato? E questo mondo sarà meglio dell’altro? Certo è che questo sogno di un’Europa unita è anch’esso parte de L’Italia dei Sogni, un lungo viaggio metaforico verso nuovi orizzonti. Sarà interpretato e re-intepretato come il viaggio di tanti italiani che sono emigrati all’estero. Quest’Europa sarà parte di un nuovo mondo globale, complessivo, dove una nuova esperienza democratica ci farà ricordare il legame che abbiamo con Colombo, quell’italiano che osò veleggiare verso una nuova frontiera piena di speranza e di ricchezza, sia geografica sia spirituale. Un’Europa che si è messa in cammino per raggiungere un altro confine indefinito, non dissimile da quello del principe del racconto di Buzzati, così come fece Colombo nel 1492.

La scoperta dell’America e il ruolo della comunità italiana negli States sono il motivo conduttore di due interessanti reportages da Filadelfia e New York, con le annuali celebrazioni del Columbus Day che si tengono nelle più importanti città degli Stati Uniti, e sopra tutto nella Grande Mela, con la parata dei ‘Knights of Columbus’. Il volume è pieno di storie di abruzzesi di talento che si muovono con successo in tutto il mondo, come il drammaturgo Mario Fratti, lo scrittore Dan Fante – figlio di John Fante che qui in Colorado, a Denver, era nato nel 1909 da un emigrato abruzzese e da un’oriunda lucana -, la compositrice Ada Gentile, l’artista Raffaella Cascella, l’attrice e scrittrice Daniela Musini, il cantante Giò Di Tonno, il musicista Tiero Pezzuti, storie tutte raccontate con una scrittura di rango elevato che si segnala per la precisione e la ricchezza dell’idioma.

E poi ci sono le immersioni nella feconda realtà della nostra emigrazione che, ovunque nel mondo, ha dato e dà lustro all’Italia con testimonianze di vita esemplari. Anche se Palmerini in realtà non lo fa, non potendolo per le date del libro e per il tempo successivo dello storico avvenimento, sembra che le pagine di questo volume simbolicamente lo evochino. Parlo d’un altro straordinario figlio di emigrati italiani: Jorge Mario Bergoglio, nato a Buenos Aires nel 1936, ora Papa Francesco, elevato al soglio di Pietro dopo la rinuncia di Benedetto XVI. Suo padre lasciò il Piemonte e Torino per cercar fortuna in Argentina, come ferroviere. Un figlio dell’altra Italia, dunque, che diventa il primo Papa latinoamericano, il primo gesuita – ordine religioso che ha dato decine di migliaia di altri ‘messaggeri’ per l’evangelizzazione del mondo – che prepara la sua ‘valigia dei sogni’ e riporta il papato “a casa”. Sembra proprio che Papa Francesco stia in questo nuovo libro di Palmerini, che tratta di persone che come lui stanno dentro la storia della nostra emigrazione. La Chiesa, come la recente Europa, dovrà affrontare vecchi e nuovi problemi. Ma in questo caso Papa Francesco, figlio di emigrati, dovrà ritrovare la sua via del ritorno, come capo di più d’un miliardo di cattolici, sparsi, come gli emigrati, in tutte le parti del pianeta.

Con questo nuovo tomo Goffredo Palmerini conferma un amore profondo per la sua città, la sua terra d’Abruzzo, per l’Italia e per gli italiani, dentro e fuori i confini del Paese. Con la sua esuberante fantasia, sorretta da una solida conoscenza della nostra storia e della nostra cultura, con un orgoglio tutto italico, segna il cammino della memoria. il volume L’Italia dei Sogni costituisce pertanto un ulteriore apporto al grande giacimento di valori e di memoria collettiva di un Paese come l’Italia che, nella sua storia lontana e recente, ha dato un consistente contributo alle migrazioni, e in fondo alla civiltà del nostro mondo. Dalla sua lettura possiamo renderci conto che veramente ciascuno di noi

ha il diritto di sognare.

* docente di Letteratura italiana e latinoamericana al Colorado College (Colorado Springs, Usa)

Salvatore Bizzarro è professore di spagnolo e italiano presso l’università del Colorado College, a Colorado Springs (USA), dove insegna letteratura italiana e latinoamericana, corsi sul cinema italiano e sulla letteratura della rivoluzione messicana. Dal 1989 al 2011 ha svolto la funzione di direttore del programma Italian in Italy. Ha scritto un importante volume sul poeta Pablo Neruda, Pablo Neruda/All Poets The Poet, pubblicato nel 1979 da Scarecrow Press. Ha contribuito, come autore ed editore associato, al libro Latin America During Nixon’s Second Term (American College in Paris Publishers, 1976). Il prof. Bizzarro, oriundo napoletano, ha scritto numerosi articoli sull’America latina, contributi per enciclopedie e uno sul 500° Anniversario della scoperta dell’America (1992). Ha fatto gli studi universitari a New York, presso la Fordham University, dove nel 1964 ha conseguito la laurea Bachelor of Arts. Nel 1965, alla Stanford University, in California, ha preso un master in Hispanic American and Luso Brazilian Studies e, nel medesimo ateneo, nel 1969 ha conseguito il Dottorato (Ph.D.) in letteratura latinoamericana. Professore ordinario di spagnolo e poi d’italiano presso il Colorado College, è stato per ben quattro volte, tra il 1980 e il 2000, preside della Facoltà di lingue romanze, per periodi da due a quattro anni. Ha dato avvio a numerosi programmi di studio in Messico, Italia e Cile. Attualmente è Chairman del Faculty Advancement and Advisory Committee del Colorado College, dove rappresenta la facoltà e le sue esigenze per i programmi accademici. Nel 1972 ha pubblicato il primo volume della serie degli Historical Dictionary dei paesi latinoamericani sul Cile. La seconda edizione del suo Historical Dictionary of Chile è stata pubblicata nel 1986, la terza nel 2005 e la quarta è adesso in preparazione, con la pubblicazione prevista per dicembre 2014 (Scarecrow Press: Rowman and Littlefield Publishing Group). Recentemente ha scritto un capitolo del libro The Power of Place, sulla Mandragola di Machiavelli e la città di Firenze a quei tempi (Chicago, Acm Press, 2012). Il prof. Bizzarro negli ultimi dieci anni ha insegnato a Santiago del Cile con Antonio Skármeta, autore del romanzo “El cartero de Neruda” da cui è stato tratto il film Il Postino. Nel primo anniversario della morte di Massimo Troisi il prof. Bizzarro è stato invitato, dalla sorella dell’attore, a partecipare come membro della Giuria al primo Festival internazionale di Cinema di San Giorgio a Cremano. Ha anche partecipato al Premio Flaiano, nel 2008, nominando Skármeta che ricevette il premio nel 2010. Nel 2009 è stato invitato in Spagna ad una tavola rotonda nell’ambito della Settimana d’Autore di Madrid, dedicata a Skármeta, e vi ha partecipato con lo scrittore argentino di discendenza italiana, Mempo Giardinello, con il critico inglese Nial Binns, con la spagnola Fanny Rubio e con il regista del film Il Postino, Michael Redford. Il prof. Bizzarro ha insegnato a Firenze negli anni accademici 1986/’87 e 2001/’02, in programmi di studi sul Rinascimento, come direttore di 18 università americane (Associated Colleges of The Midwest). Anche quest’anno, come già nel 2012, insegna a studenti americani e canadesi in un corso sul cinema italiano a Sulmona.




Piccola Basilicata, il Grande Sud conquista la Grande Mela. Bill e Charles, quando il sogno americano diventa realtà 10 novembre 2013 alle ore 8.43

Piccola Basilicata, il Grande Sud conquista la Grande Mela.

Bill e Charles, quando il sogno americano diventa realtà

10 novembre 2013 alle ore 8.43

Piccola Basilicata,grande madre di emigranti che hanno fatto fortuna nel mondo ed hanno conquistato

anche la Grande Mela. “Scorre sangue lucano nelle vene del nuovo sindaco”, ha scritto “il Quotidiano” all’indomani della plebiscitaria elezione di Bill de Blasio (nonna di Grassano, in provincia di Matera; nonno di Sant’Agata dei Goti, in provincia di Benevento). L’orgoglio delle origini. Il Sud dell’Italia tanto denigrato, finalmente esaltato, anche dalla grande stampa del Nord. ”Bill de Blasio conosce la lingua italiana, lo deve all’orgoglio che nutre per le sue origini, tra Campania e Basilicata, e chissà, forse, anche per quella vezzosa “d” nobilmente minuscola del cognome della madre che ha scelto di portare”, ha scritto l’inviato a New York del “Corriere della Sera” Giuseppe Guastella, giornalista abruzzese di Sulmona che ha mosso i primi passi nella piccola provincia: redattore all’Ansa dell’Aquila, poi Milano, per passare infine al Corriere della Sera. Brillante carriera. Grandi inchieste nella metropoli lombarda. Da qualche tempo l’esaltante esperienza a New York. Ennesima conferma del ruolo insostituibile dell’informazione locale nella formazione dei buoni giornalisti.

Ma ritorniamo al nuovo sindaco di New York. ”Più che un segno di differenza – commenta l’inviato del Corriere – l’italianità per de Blasio è un modo per ricordare che anche lui fa parte di una delle tante minoranze etniche dell’ America”. Quindi riporta il commento di una ragazza afroamericana come la moglie del neosindaco: ”Rappresenta per noi la classe lavoratrice e la voglia di cambiare, ma sappiamo che conosce le differenze tra la gente perché le ha in casa sua. Quello che ha fatto a casa sua, può farlo a New York “. C’è tanto entusiasmo ed ottimismo per l’azione che dovrà svolgere  il nuovo sindaco della Grande Mela, ripensando a Fiorello La Guardia. Un grande italiano che è stato al fianco dei connazionali e che ha sostenuto quanti hanno contributo al successo americano. Tra questi  “un genio costruttivo “ come definì Charles Paterno, il grande imprenditore emigrato a sette anni da Castelmezzano, che con la sua creatività fece fortuna in America. Il suo viaggio della speranza verso la terra promessa è stato recentemente raccontato da Renato Cantore nel romanzo “Il Castello sull’ Hudson, Charles Paterno e il sogno americano” (Rubbettino editore).

Scrive Cantore: ”A New York City, in occasione della cerimonia di inaugurazione del Castle Village il 6 giugno 1939, il sindaco visitò tutta l’area del cantiere e rimase impressionato favorevolmente. Ai giornalisti che gli chiedevano le prime impressioni, spiegò di essere convinto che Charles Paterno avesse fatto due grandi regali alla città di New York. Proprio trent’anni prima, ricordò il sindaco, era stato un pioniere nella costruzione di palazzi sempre più alti, grazie all’utilizzo di moderni, veloci e affidabili ascensori elettrici. Aveva contribuito a cambiare una prima volta il modo di vivere di migliaia di famiglie. E ora regalava ai newyorkesi questa nuova visione della vita in città:un magnifico complesso edilizio dall’aria molto europea,frutto dell’idea straordinaria di “offrire la luce,il panorama e i comfort di una residenza da milionari a gente che non ha redditi milionari”.

Della straordinaria figura di Paterno si è recentemente parlato in un convegno che si è svolto al Centro Studi Americano di Roma. Una interessante serata di riflessioni sul ruolo degli italiani d’ America dell’Ottocento, del Novecento e del nuovo millennio. I lavori sono stati moderati dall’ambasciatore Guido Lenzi. Vi hanno preso parte la parlamentare Fucsia Nissoli, eletta in Centro e Nord America, il prof. Giampaolo D’Andrea, il prof. Umberto Gentiloni, il corrispondente Rai da New York, Gerardo Greco, il Presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, il direttore editoriale della Rubbettino, Luigi Franco e l’autore Renato Cantore. Sala gremitissima.”Il libro racconta una storia di cui possiamo essere orgogliosi, non solo noi italiani d’America ma ogni italiano che condivide lo spirito di dedizione e l’umanesimo che ci contraddistingue ovunque“, ha detto l’on. Fucsia Nissoli, in apertura dei lavori. E nei successivi interventi l’orgoglio italiano è stato ulteriormente irrobustito da valutazioni storiche come quelle del prof.D’Andrea e del prof. Gentiloni, nonché dalle testimonianze di chi negli Stati Uniti  ha vissuto a lungo, come il giornalista Greco e l’ambasciatore Lenzi. La preziosa opera dei lucani nel mondo è stata poi sottolineata dal presidente De Filippo, mentre il direttore editoriale della Rubbettino, Luigi Franco, ha confermato l’attenzione della casa editrice calabrese verso il mondo della grande emigrazione di ieri e di oggi. L’importanza della conoscenza, che deve essere anche riconoscenza.

L’ambasciatore Lenzi ha auspicato l’avvio negli Stati Uniti di iniziative concrete per  la traduzione del romanzo in lingua inglese. Diffondere i buono esempi. L’elezione a New York di un sindaco di origine lucana potrebbe favorire la concretizzazione della bella idea di far entrare nelle biblioteche d’oltre Oceano la storia del  “sognatore Charles”. Paterno guardava sempre molto lontano. Senza limiti. Diceva spesso: ”Sono nato in un paesino di montagna, con i tetti delle case che sembravano toccare il cielo. E mi è rimasta dentro, come un dono di natura, una certa voglia di infinito”.

Domenico Logozzo

(da il Quotidiano della Basilicata del 10 novembre 2013)

Bill de Blasio, nuovo sindaco di New York,i nonni sono emigrati dalla Basilicata e dalla Campania

Il lucano Charles Paterno nel secolo scorso con le sue innovative realizzazioni cambiò il modo di costruire a New York




Dov’è finita l’Europa in Mediterraneo? di Fabio GHIA

Dov’è finita l’Europa in Mediterraneo?

di Fabio GHIA

TUNISI – L’Unione Europea ha sospeso la settimana scorsa, seppur per soli due giorni, i negoziati con Ankara per il proseguimento del percorso d’ingresso nell’Unione Europea della Turchia, a causa del tentativo del Governo d’intervenire sulla privacy dei cittadini. Il motivo della sospensione non è affatto da sottovalutare. Il Premier Recep Erdogàn, infatti, intende vietare nei campus universitari l’attuale convivenza, seppur in fabbricati separati, di studenti di sesso diverso; in particolare, ha in corso la stesura di una direttiva per isolare completamente il settore femminile dal resto del campus in ambito universitario. Il motivo è di ordine “morale”, conformemente a quanto prescrive il Corano sulla “riservatezza” della donna. La maggioranza laica del popolo turco, così come fece nell’estate scorsa, al solo apprendere la possibilità di messa in atto della direttiva è sceso per le strade per una manifestazione di “dissenso”. Ancora una volta, quindi, l’ennesimo tentativo di Erdogàn di instaurare costumi islamici in una società che, grazie a Ataturk, sin dal 1926 è stata educata ad una scuola Mediterranea, anzi per l’esattezza: Svizzera.  Ataturk, infatti, impose uno stato laico e moderno attraverso l’adozione del Codice Civile Svizzero e introducendo nella Costituzione (ancora in vigore, a causa della mancanza di maggioranza assoluta del partito di Erdogàn) una rigida separazione tra la religione e le istituzioni del paese, affidandone ai militari la tutela della legittimità esecutiva.

La voglia di islamizzare la Turchia da parte di Erdogàn e del suo partito, l’AKP – Partito per la giustizia e lo sviluppo, è senza dubbio una certezza. Basti citare che da iniziale amico e sostenitore del siriano Al Assad, dopo alcuni contatti avuti nel maggio 2011, attraverso gli Stati Uniti, con l’Arabia Saudita e il Qatar, il Governo Erdogàn è divenuto fermo oppositore del Regime siriano e si è schierato a supporto del ESL, l’Esercito di Liberazione, e ne ospita la Dirigenza della Coalizione Nazionale Siriana. Erdogàn ha giustificato questo cambio di strategia a causa dell’eccesivo orientamento laico del “Dittatore” Al Assad, e delle devianze del Partito Baath, cui lo stesso Presidente appartiene, di orientamento religioso alauita, una branca dello sciismo iraniano! Nel mese di maggio scorso, inoltre, proprio in uno dei momenti di massima crisi tra Siria e Occidente (quasi imposizione della ‘no fly zone’), un attentato “autobomba” a Reyhanlı, che ha causato quarantasei morti, ha innescato un’escalation con un dispiegamento di forze corazzate turche che hanno fatto pensare a un’imminente offensiva turca in Siria. Ma, i retroscena dell’attentato terroristico sono alquanto raccapriccianti, così come la matrice dell’azione dubbia e senza riscontri. Fonti locali indicano che le auto siano partite da oltreconfine, da un’area sotto controllo dall’Esercito Siriano Libero. In particolare la zona è dominata dagli jihadisti di Jabhat al-Nusra (di orientamento al Qaeda), che con ogni probabilità hanno gestito il passaggio di 200 chili di esplosivo attraverso in confine, con il tacito consenso di Ankara, allo scopo di creare giustificativi per un possibile intervento dei turchi sul territorio siriano.

Le stesse connivenze tra Turchia e Jihadisti (libici e Tunisini) in Siria si sono riscontrate nelle zone a preminenza Curda, dove nel luglio scorso si è aperto un nuovo fronte della guerra civile tra Jihadisti e Curdi. Nei mesi successivi, inoltre, grazie anche all’intervento di Hezbollah al fianco delle Forze regolari e delle subentrate pressioni internazionali dovute all’imprimatur di Putin a Obama sul “non intervento” armato in Siria, il fronte dei ribelli si è indebolito e, tra l’ESL e i miliziani jihadisti le divergenze sull’amministrazione dei territori conquistati degenerano in scontro aperto. Grazie all’appoggio della Turchia e dell’Arabia Saudita nasce un nuovo gruppo jihadista composto esclusivamente da non-siriani: lo Stato Islamico di Iraq e Sham (SIIS).

Partendo dalla semplice insinuazione sulle intenzioni di Erdogàn a dare maggiore moralità ed etica islamica di comportamento alla gioventù turca, la deriva islamica (cioè stato teocratico!) che Erdogàn ha instaurato nel paese appare sempre più evidente. Dal punto di vista geostrategico le cose, però, non si stanno mettendo tanto bene per la Turchia, proprio perché la Siria, così com’è apparso sin dall’inizio, è divenuta una pedina dello scacchiere mediterraneo di interesse vitale per entrambi i “rami” dell’Islam: quello Sunnita e lo Sciita. A causa della posizione strategica della Siria, il perdurare della guerra civile, ha coinvolto i paesi confinanti e l’intera comunità internazionale. Anche se quanto mai difficile comprendere la cultura araba – islamica, oggi appare sempre più evidente che sia l’Iran sia l’Iraq cercano di sostenere il Presidente Al Assad, in modo da poter creare una macroregione che arriva fino al Libano degli Hezbollah. Il fronte dei ribelli è invece tuttora sostenuto dalla Turchia e dai Paesi sunniti del Golfo, in particolare Arabia Saudita e Qatar. Gli Stati Uniti, che sino a ieri sono apparsi sempre al fianco dell’Arabia Saudita e del Qatar, dopo l’intervento della Russia, sono sempre più orientati ad applicare i lineamenti strategici di Obama sul “leading from behind”, cioè non apparire mai in prima persona, ma fornire solo finanziamenti di appoggio all’opposizione siriana.

Nel contempo però, sul fronte interno in Siria, la guerra civile oltre alla contrapposizione Regolari – Opposizione, vede aprirsi un secondo fronte ben più complesso di quello ufficiale: Jihadisti contro Opposizione. Il futuro della Siria? Difficile da prevedere, ma certamente al momento non di importanza prioritaria.

Visto, infatti, che l’articolo inizia con un intervento dell’Unione Europea, nasce spontanea la domanda: ma oltre alle ramanzine della Commissione, l’Europa in Mediterraneo che fine ha fatto?

A guardare non solo quanto accade in Turchia e in Siria, ma anche tutte le altre nazioni oggetto di sconvolgimenti istituzionali: Egitto, Libia, Tunisia, ci si rende conto che il vero problema dell’intera area è il “confronto culturale” che emerge sempre più, talvolta divenendo “scontro” all’interno stesso delle fazioni più radicali, tra una maggioranza conservatrice moderata, di estrazione culturale Mediterranea, e la cultura islamica dell’Origine del mondo arabo-islamico, che per contro si rifà a modelli di vita sociale ante – medioevo. L’urgenza primaria dell’intera area mediterranea del nord Africa e Medio Oriente non è, dunque, trovare un partner commerciale o aiuti militari o quant’altro di finanziario o materiale, bensì un’Europa altrettanto Mediterranea che aiuti queste nazioni ad aprirsi al “dialogo interculturale”, in modo tale da poter ritrovare la propria identità scegliendo chiaramente tra sistemi di Governo di matrice “teocratica” o le forme di democrazia multi identitarie.

Si, si parla soprattutto d’Europa perché gli USA, da tempo ormai, hanno ampiamente dimostrato che i loro interessi primari vanno sempre di più verso il Pacifico. Per il Mediterraneo hanno già indicato i loro partner privilegiati: l’Arabia Saudita e il Qatar da una parte e Israele dall’altra, valutando, forse impropriamente, che l’Europa ormai deve fare soprattutto da sola!




ARGENTINA, UN NUOVO PRESIDENTE PER GLI ABRUZZESI DI ROSARIO

ARGENTINA, UN NUOVO PRESIDENTE PER GLI ABRUZZESI DI ROSARIO

ROSARIO – Alle soglie del cinquantesimo anniversario dalla fondazione, l’Associazione Famiglia Abruzzese di Rosario ha eletto il suo nuovo presidente. Durante l’assemblea generale ordinaria dei soci, tenutasi lo scorso sabato 27 ottobre, è stata rinnovata la metà degli organi direttivi. Il presidente neo eletto é il Cav. Marcelo Castello-Zaccagnini, di madre abruzzese nata a San Valentino, in provincia di Pescara. Egli gestirà il destino dell’associazione per i prossimi due anni. Inizia così un nuovo periodo per gli abruzzesi di Rosario, consegnando la loro sorte a una nuova generazione, nata e cresciuta nel cuore di questo sodalizio.

Il fiammante presidente, nel suo discorso inaugurale, ha esortato giovani ed anziani a lavorare insieme in armonia e con dedizione per dimostrare quanto siano “Forti e Gentili” gli abruzzesi di Rosario. L’Associazione Famiglia Abruzzese di Rosario inizia così un anno di grande fermento e pieno di attività che raggiungeranno il momento culminante nell’ Agosto 2014 con i festeggiamenti per il suo 50° anniversario. Una sfida da raccogliere e un momento importante nella storia, non solo di questa istituzione, ma anche della collettività italiana della città, culla della bandiera argentina.

Il nuovo consiglio direttivo 2013- 2014 è composto da Cav. Marcelo Castello-Zaccagnini (Presidente), Domingo Lalla (vice Presidente), Héctor Fonzo (Segretario), ing. José Di Renzo (pro Segretario), prof. Mariana Mastroianni (Segretaria dei verbali), Natalio Pascual Bucciarelli (Tesoriere), Juan José Ranieri (pro Tesoriere). Consiglieri titolari: Federico Gabriel Valentini, Luciano Scopino, Mauricio Nanni, On. Giuseppe Angeli, Cav. Lidia Sartori de Angeli, Domingo Paone, Pablo Marcelo Mastroianni, Alberto Comanzo. Consiglieri supplenti: Diego Landrein, David Antonio Scopino, Luciano Sarubbi, Heraldo Mastrodicasa, Darío Abdala, Marcelo Garaycoechea. Sindaco titolare: Luis Carlucci. Sindaco supplente: Pablo Ignacio Mastroberardino.




L’Aquila. Le Valigie di Goffredo Palmerini di Errico Centofanti *

Le Valigie di Goffredo Palmerini

di Errico Centofanti *

Manhattan: al 23 di Lexington Avenue c’era un vecchio albergo, il George Washington, a pochi passi dal Central Park. Non so se ancora esista o se anche lui sia stato ingoiato dall’ennesimo grattacielo imposto dagli incessanti mutamenti della Grande Mela. Per la mia prima volta a New York avevo voluto abitare lì, affascinato dal potermi muovere negli stessi ambienti in cui erano stati di casa Auden, Isherwood e tanti altri protagonisti dell’intellettualità newyorkese, tra i quali gli architetti delle tragiche torri gemelle del World Trade Center.

Che sarebbe finita come effettivamente finì me l’ero immaginato, sebbene la fantasia, al solito, seppe essere assai meno immaginativa della realtà. Io sono uno di quei tantissimi abruzzesi che nelle famiglie d’origine e in quelle acquisite hanno alle spalle non meno di un emigrato in terre lontane. Avevo stabilito che con lo zio d’America – anch’io ne avevo uno – mi sarei fatto vivo non prima del terzo giorno di libera esplorazione delle meraviglie di New York. Così, feci in tempo a godermi il Metropolitan e la Carnegie Hall, a sbalordirmi con le preziosità esibite lungo la rampa elicoidale del Guggenheim di Wright, a inebriarmi di librerie, coffee shop e gallerie d’arte, a lasciarmi soggiogare dall’excelsior capitalistico della Grand Central Station e della foresta di grattacieli. Alla domanda “Quando posso venire a salutarti?” seguì un incontrastabile “Tu vieni a stare da noi! Prepara i bagagli! Vengo a prenderti tra due ore!”. Giù il telefono e da lì a due ore baci&abbracci e subito dentro l’automobile dello zio.

Abitava a Long Island. la piccola villa in perfetto stile New England era il suo ben meritato cavalierato, dopo i tanti e affaticati anni dei caseggiati di Brooklyn. Ci fu una sosta, però, prima d’arrivarci. Pensavo a una qualche incombenza da sbrigare in una delle eleganti botteghe che vedevo tutt’intorno. Invece, lo zio mi prese sottobraccio e mi depositò su una poltrona del suo barbiere di fiducia: “Qui non puoi andare in giro con quella roba sulla testa!”. Io ero troppo giovane, troppo in debito d’affetto e troppo intimidito, per opporre resistenza. Del resto, lo si poteva capire, mio zio. Eravamo sul finire degli anni Sessanta e la lunghezza dei capelli misurava le appartenenze politiche. Più lunghi i capelli, più a sinistra le coscienze. Non c’era giorno che da una scuola non venissero cacciati ragazzi colpevoli solo d’aver lasciato crescere un po’ troppo i capelli. La stessa parola “capelli”, cioè “hair” in inglese, stava diventando un pericoloso paradigma sovversivo, sull’onda del travolgente successo con cui aveva da poco cominciato a navigare verso l’immortalità “Hair”, il musical che racconta la storia di un gruppo di capelloni in lotta contro il predominio culturale del conservatorismo e contro la chiamata alle armi per la guerra del Viet Nam. Bisogna capire come stavano le cose.

In Hair si cantavano cose come «dammi una testa con capelli, con capelli lunghi, belli, luminosi, splendenti, ondeggianti, biondi, vaporosi», addirittura si osava dire «My hair like Jesus wore it. Halleluja, I adore it! Halleluja, Mary loved her son. Why don’t my mother love me?» (i miei capelli sono come li portava Gesù. Alleluia, mi piace! Alleluia, maria amava suo figlio. Perché mia madre non ama me?). Gli stessi personaggi che inneggiavano alla bellezza del capello-lungo pugnalavano il quieto vivere perbenista cantando «la chiamata alle armi significa che dei bianchi di pelle mandano dei neri di pelle a fare la guerra contro dei gialli di pelle, per difendere la terra che loro hanno rubato a dei rossi di pelle».

Non che fosse fascista, mio zio, vergogna mai allignata nella nostra famiglia. Ma conservatore, sì, tanto. Conservatore strutturale e indefettibile, qual è in buona sostanza gran parte degli italiani trapiantati negli States. Altrove, gli orientamenti sono assai più articolati. Ma, negli States non è facile incontrare gente d’ascendenza italiana schierata con i progressisti. Intendiamoci, son tutte persone dabbene: non è come in Italia, dove purtroppo difettiamo di una Destra rispettabile e i conservatori sono per lo più una mescola di citrulli, cinici affaristi, gente di malaffare e povericristi abbagliati da una mitologia ingannatrice.

D’altra parte, per gli emigrati, la percezione dell’Italia non è stata al passo con i tempi e spesso è tuttora inadeguata. Quasi nessuno sapeva dell’Italia rifiorita dopo il verminaio fascista e gli sconquassi della guerra. e quelli che ne avevano notizia, per lo più, si mantenevano increduli. Nei miei anni da scolaro, i pacchi che ricevevo da mio zio contenevano flaconi di vitamine, cioccolate, matite, gomme per cancellare, sacchetti di elastici, scatoline di fermagli, astucci portapenne di bachelite, pastelli di cera. La prima volta che tornò, all’inizio degli anni Sessanta, rimase di stucco nel constatare l’ottimo stato di nutrizione dei ragazzi italiani e la presenza nelle nostre case di frigoriferi e lavatrici.

Poi, lentamente, molte cose sono andate cambiando, come io stesso ho potuto verificare in giro per il mondo. I bistrattati emigrati di un tempo sono in gran parte diventati ammirati cittadini delle loro nuove patrie, le loro rimesse di valute pregiate hanno perduto l’importanza che per decenni avevano avuto nell’aiutare sia i familiari rimasti in Italia sia l’intera dinamica economica del Paese, l’Italia è a sua volta diventata terra d’immigrazione. Molte altre cose, però, non sono cambiate. Per esempio, caratteri e ruolo dell’informazione: in Italia quanto alla variegata realtà dell’emigrazione; nei Paesi d’immigrazione a proposito della quotidianità italiana. Gli emigrati e i loro discendenti, anche quanti di loro vengono spesso in Italia, hanno idee piuttosto superficiali e lacunose su di noi. D’altra parte, noi sappiamo poco e male di loro, dei loro successi, dei loro problemi, delle loro aspettative.

Perciò, adempie a una funzione di straordinario spessore il lavoro che Goffredo Palmerini svolge da anni mediante la diffusione di notizie attraverso il circuito mondiale di contatti da lui costruito con appassionata meticolosità. Non si tratta di un’attività da agenzia di stampa. Goffredo produce reportages dettagliati, precisi, accuratamente documentati, su avvenimenti e persone di entrambi i fronti: parla delle cose italiane che possono suscitare l’interesse di chi vive altrove e a noi racconta quel che mai verremmo a sapere di quell’altra Italia fatta di decine di milioni di uomini e donne che vivono all’estero e nelle cui arterie scorre sangue d’origine italiana. Quei reportages circolano in Italia e in dozzine d’altri Paesi attraverso la rete internet, entrano nelle case e nelle sedi di associazioni, vengono ripresi da testate on line e cartacee, dando luogo a un incrocio di informazioni e riflessioni con cui si accrescono ogni giorno la consapevolezza della realtà e l’attitudine a sviluppare fattori di progresso.

Può parere una cosa semplice da fare e opinabile quanto a utilità. non è così: le fonti bisogna cercarsele, dispiegando acuminato ingegno e sapiente curiosità, perché le notizie da riferire e le storie da raccontare quasi mai appartengono all’ordinario circuito dell’informazione; l’utilità di tutto questo, poi, sta nel semplice fatto in sé, se è vero, com’è vero, che senza conoscenza non può svilupparsi consapevolezza e che la consapevolezza è il motore di qualsiasi atteggiamento d’opinione e d’azione. Così, lentamente ma senza tregua, giorno dopo giorno, Goffredo va irrobustendo il ponte di cui v’è necessità per scavalcare quel burrone di reciproca indifferenza che decenni di disinformazione e cattiva informazione hanno scavato tra gli italiani d’Italia e gli italiani dell’Italia fuori d’Italia.

Dalla gran mole dei suoi reportages, Goffredo estrae ogni anno quanto basta per dar corpo a un volume pensato in forma d’una sorta di sorvolo panoramico su quanto ci si è appena lasciato alle spalle. Giunto al quinto anno, questo appuntamento ha ormai assunto la veste di una tradizione alla quale in molti non vorremmo rinunciare, offrendoci essa piacevolezza di lettura e opportunità conoscitiva. Inoltre, questi libri di Goffredo costituiscono un repertorio prezioso per chi adesso e nel futuro voglia disporre di materiale raro e di prima mano per qualsiasi studio sul gigantesco e complesso fenomeno dell’emigrazione italiana e dei suoi influssi su economia e cultura di una impressionante quantità di Paesi.

A prescindere dalle motivazioni che ne supportano la scelta da parte dell’autore, il titolo di questo quinto volume, L’Italia dei Sogni, come già quelli dei quattro libri precedenti (Oltre confine, Abruzzo Gran Riserva, L’Aquila nel mondo, L’Altra Italia), evoca due immagini che subito eccitano la fantasia: le valigie vere e proprie e la valigia metaforica. La prima immagine coincide ovviamente con quella del bagaglio che ogni emigrante si portava appresso: un bagaglio stivato delle poche cose di cui ciascuno poteva disporre, ma anche gonfio di tante speranze, ansie, aspirazioni e di quei sogni che si sperava di coronare grazie alla fatica e all’ingegno necessari per affrontare il destino da cui avrebbe dovuto scaturire un futuro per se stessi e le famiglie. La valigia metaforica è quella di Goffredo.

Pare di vederlo lui, Goffredo, che affonda le mani nell’immateriale baule in cui va stivando i frutti del suo scrivere e poi tira fuori quanto basta per riempire ogni tanto una valigia fatta dei sogni altrui, di quegli emigranti che egli racconta e di quei fatti nostri che egli agli emigrati riversa. Si tratta di un genere particolare di sogni, però, perché questi son sogni realizzati, sogni che scaldano il cuore, anche se dietro di essi s’intravedono le ombre dei sogni non realizzati. Anche quelli sono tanti e lasciano intuire il dolore che sempre fa compagnia alla durezza del migrare, come adesso possiamo ben constatare specchiandoci negli occhi velati d’affanno e solitudine degli immigrati nella nostra bella e finora non abbastanza accogliente Italia.

Nasce da tutto questo un affresco disteso lungo le pagine del libro, un affresco che materializza la valigia metaforica di Goffredo e aiuta a stabilire un approccio finalmente non banale e non artificioso con quel mondo degli “zii d’America” oggetto di sprovvedute fantasie per gran parte degli italiani e invece denso d’una realtà, drammatica e entusiasmante, fin troppo a lungo rimasta ignota o mal conosciuta.

*Giornalista e scrittore

Errico Centofanti è nato all’Aquila nel 1940. Ha intrapreso l’attività di giornalista, autore di eventi   culturali e scrittore quando studiava filologia romanza all’Università Orientale di Napoli. Con Peppino Giampaola e Luciano Fabiani ha fondato il Teatro Stabile dell’Aquila, curandone la direzione dal 1963 al 1982. Per il Comune dell’Aquila ha ideato nel 1983 Perdonanza festival, del quale è stato Soprintendente fino al 1992. È stato docente di storia del teatro all’Accademia Sharoff di Roma e alla Scuola di Cultura Drammatica dell’Aquila, della quale è stato anche direttore. È stato consigliere e assessore al Comune dell’Aquila, dal 1971 al 1980. Insieme con Andrea Vitali, ha ideato e curato la direzione artistica dei festival internazionali “Urbino Rinascimenti”, per la città di Urbino (dal 1995 al 1997), e “Castel dei Mondi”, per la città di Andria (dal 1997 al 2000), e è stato direttore artistico della rassegna di spettacolo “Il Suono di Dante”

per il “Settembre Dantesco” di Ravenna (dal 1998 al 2007), e del festival internazionale collegato allo “Sposalizio del Mare” di Cervia (dal 2001 al 2007). Ha curato progetti culturali in Australia, Canada e est europeo nonché ideazione e drammaturgia per gli eventi di numerose città d’arte e centri storici, tra cui Ascoli Piceno, Bologna, Brisighella, Castelnuovo di San Pio delle Camere, Fabriano, Fossanova di Priverno, Monteveglio, Offagna, San Gimignano. Dal 2005 cura la direzione artistica delle Giornate Dantesche del Canadian Centre for Italian Culture and Education di Toronto. Ha curato i testi per composizioni musicali di Luis Bacalov e Ennio Morricone e per spettacoli interpretati, tra gli altri, da Flavio Bucci, Riccardo Cucciolla, Piera Degli Esposti, Arnoldo Foà, Giampiero Fortebraccio, Paola Gassman, Andrea Giordana, Renzo Giovampietro, Leo Gullotta, Ugo Pagliai. Autore di saggi e opere narrative per diversi editori e periodici specializzati, collabora tuttora con diverse testate. Tra le sue opere saggistiche e letterarie: Un sogno ancora da sognare, 1994 – Perché “dell’Aquila”, 1995 – Le Dimissioni, 1998 – L’Emiciclo, 1999 – Storie da Caminetto, 1999 – Italiani nel mondo, 2002 – La festa crudele, 2003 – Introduzione al Polittico Abruzzese e i lemmi Abruzzo e Giornalismo per The Gadda encyclopedia dell’Università di Edimburgo, 2004 – Gadda inviato speciale in Abruzzo, 2004 – L’Anima dell’Aquila, 2007 – La Gran Cornata, 2009 – Quel Ramo di Mandorlo, 2011. È coautore/curatore di: La Provincia dei Parchi, 1997 – Gli Eremi di Roccamorice, 2000 – Il Palazzo degli Occhi, 2004 – Breviario del Gran Sasso, 2005 – La Basilica di Collemaggio, 2005 – La Stagione degli Scioperi a Rovescio, 2007 – Con l’Opra in Man Cantando, 2007 – In memoria di Tullio de Rubeis, 2008. È autore degli apparati critici per Piero Ventura, un rivoluzionario di professione, di Eude Cicerone, 1985 – Meraviglie d’Abruzzo, di Carlo Emilio Gadda, 2001 – La mia grande avventura, di Louis Carrozzi, 2006 – Dizionario di pensieri e sentenze, di Niccolò Persichetti, 2006.




Vigneux (91) Il primo « Carrefour Culturel, Associatif et Economique Italien ».

Il 9 novembre 2013, dalle 9h00 alle 18h00, si svolgerà a Vigneux (91)

Il primo « Carrefour Culturel, Associatif et Economique Italien ».

Molte associazioni e imprese presenteranno le loro attività.

Resta ancora qualche posto…. perché non venite ad esporre?

Uno stand de LA VOCE presenterà la nostra attività e offrirà alcune animazioni.

Il pubblico è desideroso di conoscere questa giornata del Dinamismo italiano

L’entrata è gratuita

Dopo lo sforzo… in serata, potrete prendere parte alla cena danzante
Il prezzo è di 35€.
Attenzione: riservazione obbligatoria perché i posti sono limitati

Partecipate a questa bella giornata di convivialità.
Ritroviamoci sullo stand de LA VOCE – A presto

Patrice GASPARI

Tél. 06 09 78 55 05 – Info@lavoce.com

17, rue du Colonel Oudot – 75012 PARIS

Tél. 01 43 45 87 55 – FAX 0143458402




Le falsità di Letta su Immigrazione e Rifugiati a cura di Fabio GHIA

Le falsità di Letta su Immigrazione e Rifugiati

a cura di Fabio GHIA

Il Presidente Letta ha dato lettura, ieri alla Camera, degli intenti del Governo per il Consiglio Capi di Stato e di Governo UE dei prossimi giorni. Grandi parole, recitate con grande umano sentimento, ma nell’insieme ne emerge un quadro di sola emergenza, dove sono venute a mancare le fondamentali valutazioni sia sul quadro internazionale, sia le previsioni a medio e lungo termine e, ancor di più, nessuna concreta soluzione di cosa fare nel prossimo futuro.

Chissà che quel “Vergogna” tanto urlato da Papa Francesco non fosse indirizzato anche alle Istituzioni italiane che hanno concorso a prepararle il suo discorso. Non c’è, infatti, da dimenticare che a settembre dell’anno scorso, in molto similare occasione, morirono affogati 64 emigranti a trecento metri dalla costa di Lampedusa. E in un anno, a prescindere dalle brillanti dichiarazioni d’intenti non è cambiato assolutamente nulla, se non un maggior scaricabarile sulle responsabilità Europee.

Il problema dell’immigrazione sta assumendo una dimensione catastrofica e le sue parole non celano altro che la paura di raccontare agli italiani che cosa sta veramente accadendo in Mediterraneo, in particolare, e nel mondo.

Perché non si fa mai nessun accenno alla reale situazione degli emigrati in Europa, chiarendo che l’Italia è solo la quarta nazione come numero di immigrati “ospiti”, preceduta da Germania, Francia, Inghilterra e di poco distanziata dal Belgio. Non sarebbe stato meglio evidenziare i dati Eurostat sui flussi migratori, in particolare quanti dei “clandestini/rifugiati” che approdano in Italia permangono sul territorio e quanti altri decidono per altri lidi europei. In questa maniera si sarebbe maggiormente capito che il problema non è solo italiano ma soprattutto europeo.

E qui nasce la prima grande incognita, mai svelata, di questa tragedia. La maggior parte dei clandestini/rifugiati sono di provenienza da paesi Musulmani. Paesi che ben rappresentati nel complesso della Lega Araba, hanno trovato un riferimento di rilievo se non fondamentale, sia dal punto di vista etico-politico, che soprattutto finanziario, in altri paesi di maggiore interesse strategico. Mi riferisco agli Stati del Golfo, in particolare l’Arabia Saudita e il Qatar. E’ possibile che queste nazioni, con ben due milioni di “sfollati” dalla Siria, continuino imperterriti a non consentire un minimo di assistenza ai propri fratelli Musulmani?

Il problema è giustamente orientato verso l’Europa; mi chiedo, però, perché l’Europa, con l’Italia del Ministro Bonino in testa, non incomincia a puntare i piedi in ambito Nazioni Unite? Si, la stessa sede dove non più di due giorni fa l’Arabia Saudita ha rifiutato il posto assegnatole presso il Consiglio di Sicurezza, per “protesta contro il mancato intervento militare in Siria”! Perché non si convocano gli ambasciatori di questi Stati per coinvolgerli in quel progetto che Letta ha lanciato per “integrare le questioni migratorie negli accordi di cooperazione, concludere partenariati per la mobilità e la sicurezza con gli Stati della sponda sud, favorire il ritorno e il reinsediamento dei migranti nei Paesi di origine e di transito”. A tal proposito e per non ripetere gli errori del passato, aggiungo che già nel 2011 l’allora Ministro Maroni, nella sua brillante politica dei “respingimenti” attuò programmi di cooperazione, fornendo ai Governi (Tunisia) di origine 800€ per il reinsediamento dei clandestini rimpatriati nei luoghi di origine. L’effetto fu un immediato flusso di nuovi migranti clandestini, questa volta pagati dallo Stato Italiano!

Ma, ancor di più, è il mondo intero che è stufo di vedere il complesso d’insieme internazionale, tacitamente silente su questi problemi. La politica del “Leading from Behind” di Obama, e il suo brillante discorso di apertura ai fratelli Musulmani del febbraio 2009, sono a capo di tutto questo sconquasso realizzato in Mediterraneo. Probabilmente quando Obama ha ipotizzato il behind sul quale poggiare, non ha avuto dubbi: l’Europa. Peccato che ancora nessuno ci ha avvisati che si sta giocando con il nostro behind!

Sempre in politica estera, nel mese di novembre è prevista la Conferenza internazionale sulla Siria a Ginevra. Se veramente Letta avesse carattere, proporrebbe all’UE di portare in agenda anche questo argomento, perché la responsabilità dell’aumentato flusso dei migranti è solo ed esclusivamente di chi ha fomentato il “riordino” democratico del Mediterraneo: Stati Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Paesi del Golfo. Volendo ci si può aggiungere anche l’Iran, ma solo a margine, per il supporto dato a Hezbollah per il loro intervento in Siria. Una ragione in più, dunque, per portare in ambito Internazionale la necessità di aprire al “dialogo” sui flussi migratori anche i Paesi Arabi Mediorientali e, perché no, gli Stati Uniti che invece di spendere soldi in armamenti ultratecnologici, non si sa  a quale fine e per quale guerra futura, o per ascoltare le conversazioni del Presidente Hollande, farebbe bene a dedicarsi a ridare una casa ai 2Milioni di sfollati siriani e, soprattutto, a pensare che cosa ne dovrà fare dei 18.000 Jihadisti tunisini, libici e altro, il giorno in cui (speriamo presto) la pace tornerà in Siria!

Non va, infine, dimenticato “Schengen” e le storture prodotte dalle nostre Istituzioni per le procedure da attuare per la concessione di visti turistici. Come mai differiscono al tal punto che i clandestini arrivano in Svezia o nei paesi bassi in aereo o via mare con tanto di visto turistico, mentre sulla sponda sud i passaggi per la “morte” diventano sempre più esosi? In un contesto, quale quello Euro Mediterraneo, potenzialmente estremamente cambiato, manterrebbe la sua piena validità rivedere integralmente i parametri di Schengen sulla sicurezza delle frontiere, nel particolare della concessione di Visti turistici alle nazioni del fronte sud del 5+5 con una maggiore apertura alla libera circolazione dei popoli rivieraschi.

E se questo vale per fermare o diminuire i flussi migratori per l’Italia, consiglierei al Presidente Letta di chiedere chiarimenti alla Presidente Boldrini, visti i suoi tanto pubblicizzati pregressi, sulle pecche attualmente esistenti nel sistema delle nazioni Unite per l’assistenza ai Rifugiati (UNHCR). Anche lei fu interessata l’anno scorso per il campo profughi di Chouscha, in Tunisia, dove circa duecento libici, sfuggiti alla guerra “tribale”, ancora in corso), avevano difficoltà a farsi riconoscere lo status di “rifugiato”. Rassicuri pure la Presidente Boldrini; non c’è più bisogno di preoccuparsi per i libici: la maggior parte di loro sono morti annegati nel tentativo di raggiungere l’Italia!

Molto sinteticamente, anche in questo settore, sarebbe auspicabile uniformare le procedure di assegnazione dello status di Rifugiato, svincolandole completamente dalle normative delle singole nazioni. Per fare un esempio su tutti. I siriani sfollati (2Milioni!) sono attualmente accolti in campi profughi in Giordania, Iraq, Libano etc., dove godono dello Status di Rifugiato. Dal momento in cui lasciano il territorio della nazione che gli ha rilasciato tale status, diventano clandestini. Sono quindi costretti a entrare nelle maglie della delinquenza organizzata alla ricerca di un passaggio della “morte” per l’Italia. Giunti in Italia (quando gli va bene), gli viene nuovamente assegnato lo status di Rifugiato. Non sarebbe meglio valutare all’origine la reale destinazione richiesta dal Rifugiato?

Presidente Letta e tutti quei grandi burocrati che sono all’origine di questo scempio, io non sono Papa Francesco, quindi non ho né il potere né la voglia di urlare ingiunzioni o quant’altro, ma un suggerimento è d’obbligo da parte mia: L’immigrazione deve essere trattata come un fenomeno strutturale di lunga durata, con una strategia complessiva di lungo periodo, orientata alla progressiva attenuazione dei “pusher factors” nei principali Paesi originatori di flussi migratori ed all’ottimizzazione dell’utilità socio-economica dei movimenti migratori residui, sia per gli Stati d’origine che per quelli di destinazione.

Per il resto, di tutte le belle parole lette dal Presidente Letta, il vento ben presto non lascerà traccia e, se non si interverrà in tempo e concretamente, l’anno avvenire i morti non saranno più 300, ma molti, molti di più!