Abruzzo. Uno “scièf” abruzzese a Philadelphia Il ristoratore Gabriele Marrangoni al Gran Galà di beneficienza “Italian American Spirit”.

Uno “scièf” abruzzese a Philadelphia

Il ristoratore Gabriele Marrangoni

al Gran Galà di beneficienza “Italian American Spirit”.

Sabato 2 febbraio 2013 – Si è fatto carico di una buona causa il ristoratore di Mosciano Sant’Angelo Gabriele Marrangoni, patron e “scièf” (come ama scherzosamente definirsi) della country house Borgo Spoltino: il 27 gennaio 2013 ha cucinato abruzzese per i 300 partecipanti al Galà Abruzzo & Molise organizzato dall’associazione Italian American Spirit a Philadelphia.

La serata, organizzata nella maestosa cornice dei Franklin Apartments dal presidente dell’associazione Franco J. Costanzo, aveva un doppio scopo benefico: il ricavato è stato devoluto in parte al Centro Oncologico dell’ospedale pediatrico di Philadelphia (Cancer Center of the Children’s hospital of Philadelphia) e in parte alla Diocesi di Termoli-Larino per il progetto “Ricostruire la speranza” che ricorda le piccole vittime del sisma di dieci anni fa nel paese di San Giuliano di Puglia, in provincia di Campobasso.

Dall’Abruzzo il ristoratore teramano Gabriele Marrangoni ha portato con sé zafferano, pecorino canestrato di Castel del Monte e tartufo. I piatti più caratteristici serviti al Galà, e che hanno entusiasmato la platea, sono stati la trippa alla pennese, la pasta alla pecorara, la cipollata e il filetto con tartufo abruzzese. Agnello e pesce locali sono stati cucinati alla “nostra” maniera. Gabriele Marrangoni ha capitanato una squadra di oltre 20 persone: lo hanno affiancato in questa impresa la sua compagna e assistente Adriana Lonigro e il presidente dell’associazione “Pizz’Abruzzo doc” Nicola Salvatore, che si è occupato della pizza farcita con i prodotti tipici abruzzesi, tra cui lo zafferano, servita al buffet.

«Essere stato preso in considerazione e invitato a questo evento notevole è stato un onore per me – commenta Gabriele Marrangoni– a maggior ragione perché a beneficiarne sono stati i nostri fratelli molisani, regione che da sempre è unita a noi per analogie territoriali e storiche».




USA. Parlare di cosa ha bisogno l’italiano all’estero, non dei problemi tra candidati di Dom Serafini

Parlare di cosa ha bisogno l’italiano all’estero, non dei problemi tra candidati

di Dom Serafini

ADVDOMSERAFINI

Un detto molto saggio, afferma che se non si ha nulla nulla di buono da dire, non si dovrebbe dire nulla. In politica invece, quando non si hanno argomenti da proporre, si attaccano gli avversari. Ed é ció sta accadendo nella circoscrizione Nord e Centro America. Alcuni attaccano la stampa per mancanza di attenzione, altri attaccano i candidati ricchi della sinistra, altri, specialmente gli “indipendenti” reclamano le visioni alternative al centro-destra. Penso di essere uno dei pochi che invece “sticks to the issues”.

Le problematiche da risolvere per l’italiano all’estero sono tante. Ad esempio: perché la Francia ha un liceo in tutte le piú importanti cittá del Nord America, mentre l’Italia ha una sola scuola italiana a New York (senza appoggio governativo)?

Perché gli italiani all’estero protestano per la scarsa offerta Rai? Perché le pensioni in regime internazionale rimangono un osso duro? Perché i Comites non vengono messi in condizioni di servire bene la comunitá? Perché si sono tagliati i fondi che servivano ai Consolati per soddisfare le crescenti necessitá dei cittadini all’estero? Perché stampa e cultura italiana soffrono all’estero, mentre in Italia giornali con 3.000 copie di tiratura ricevono sussidi da nababbi? Perché un residente all’estero deve pagare il doppio della tassa sulla sua casa in Italia quando per un lungo periodo dell’anno nemmeno la fruisce, oltre a dover comunque pagare tassa dei rifiuti, canone Rai, etc. (e tra l’altro, questa Imu scoraggia qualsiasi investimento sugli immobili in Italia).

Potrei continuare per altre cinque pagine, ma mi fermo qui perché avrete colto il nocciolo della questione.

L’italiano all’estero ha bisogno di proposte chiare, di soluzioni adeguate, di impegno serio e di interesse vero da parte dei candidati al Parlamento.

Le diatribe fra candidati e partiti interessano poco. Pertanto, se non si ha nulla di concreto da dire, bisognerebbe tacere.




USA. I Dieci Comandamenti e Ben Hur i cult di Charlton Eston, di Lino Manocchia

I Dieci Comandamenti e Ben Hur i cult di Charlton Eston


NEW YORK, 10.1.2013 – Cinquantaquattro anni or sono, più esattamente il 18 Novembre il mitico film BEN HUR vedeva la luce sullo schermo del lussuoso cinema Lowes State di New York. Alla eccezionale serata erano presenti il protagonista principale Charlton Heston ed un compatto stuolo di divi giunti da Hollywood per il film ispirato dall’omonimo romanzo del generale Lew Wallace, e prodotto dallaMetro Goldwin Mayer. Heston, nato nell’Illinois, era da poco giunto dall’Italia dove aveva trascorso diversi mesi per la preparazione e riprese del film, imparando, abbastanza comprensibile, la nostra lingua.

Fu quella sera che con Charlton ebbi una interessante conversazione grazie alla quale imparai vari dettagli della produzione che vinse l’Oscar e un anno dopo venne presentata, fuori concorso, al Festival di Cannes.

“E’ stato indubbiamente il periodo più entusiasmante della mia vita che il tempo non riuscirà a cancellare. Ritorno a casa, portando quanto di più bello, storico, vivo l’Italia mi potesse donare. Ho lavorato come un forsennato – aggiunse Heston -, mi bruciavano le mani ed I piedi ma in quei momenti non me ne accorgevo. Sono ancora visibili i segni del lavoro, composto da giornate di 14-15 ore durante le quali imparavamo storia, usanze e tanti dettagli dell’amica Italia che col suo valido apporto ha reso lo show più naturale e bello. Un lasso di storia della grande Roma”.

L’indimenticabile scena della corsa delle bighe in “Ben Hur”

Charlton, vuol dirmi qualcosa delle comparse, delle bighe, delle Galee … del probabile pericolo di incidenti, durante le riprese?

“Posso dire che il regista William Wyler ordinò l’applicazione di un set di “contac lens” regolari onde evitare che durante la corsa i miei occhi fossero protetti da schegge, polvere ed altro. Ma più grandioso era l’apparato generale composto da galee romane che operavano in un lago artificiale allestito in Cinecittà, per le due più importanti battaglie navali (di 55 m. l’uno) furono trovate in un Museo nazionale, e grazie alla cooperazione di ricchi signori, potemmo far funzionare la Villa diQuintus Arrius, fornita di 45 fontane, che poi divenne luogo di turismo ospitando oltre 25 mila nobili e turisti al termine dei lavori. Tutto colossale degno di un grande film”

E quei magnifici cavalli da dove spuntarono?

“Dalla Sicilia e dalla Jugoslavia e trovammo ottimi allenatori che facilitarono il lavoro. Debbo dire, senza tema di smentite, che l’Italia nel film Ben Hur ha “recitato” un ruolo principale con Cinecittà, ed i luoghi e riferimenti dell’antica Roma, a molti ignari. In una parola potremmo considerare l’Italia come una ”madre putativa”, che ha retto con coraggio, il massimo della produzione, di fronte alla Francia, Messico, Spagna e Inghilterra. E’ stato come la vitamina per un figlio che faceva spendere molti più dollari, considerando la situazione economica mondiale del momento, tanto da costare 125 mila dollari per il solo smantellamento. E parlando di vitamine – diceva Eston – il regista, alquanto impressionato dal ritmo lavorativo, fece acquistare numerose fiale di Vitamina B Complex per iniezioni capaci di rifocillare i più deboli. E mi creda, questa non è una battuta spiritosa, ma la pura verità; come è vero che ho potuto imparare un po’ della dolce lingua madre e apprezzare l’affetto espresso dalla sua gente”.

Il suo curriculum annovera “La città nera” come il primo film (1950) della carriera. Soddisfatto dei risultati sino ad oggi ottenuti?

“Charlton Heston nella memorabile scena di Mosè che “apre” le acque del Mar Rosso ne I Dieci Comandamenti

Come primo approccio al cinematografo posso dirmi lieto del successo avuto da “Marco Antonio”, in tecnicolor, per giungere al “masterpiece” della mia carriera ”I dieci comandamenti”, il cui incasso iniziale, di 65 milioni di dollari, lo issarono in testa alla classifica dei film più seguiti, ricevendo sette Accademy Award nomination. Io lavorai con ardore anche per l’applaudito film “Il più grande spettacolo del mondo” e poco dopo giunse la mia magnifica fata con “I dieci comandamenti” per i quali il regista Cecil B De Milleriteneva che io incarnavo la statua di Mosè del Michelangelo”.

Per i suoi oltre cento film girati, Heston venne premiato con il Golden Globe e l’Award come miglior protagonista nel ruolo di Ramses, mentre il Presidente George Bush gli concedeva la Medaglia Presidenziale della Libertà.

Il nome di Charlton Heston subì un “rallenty” di successi quando nel 1998 l’attore, che possedeva una ricca dozzina di differenti fucili, divenne presidente dell’Associazione NRA (National Rifle Association, organizzazione che agisce in favore dei detentori di armi da fuoco degli Stati Uniti; ndr) che oggi conta oltre 3 milioni di iscritti in possesso di armi da fuoco, e a rendere la sua vita più penosa sopraggiunse il malaugurato morbo di Alzheimer che lo accompagnò sino all’ottantanovesimo anno di esistenza. L’imponente attore dalla voce baritonale, che ebbe una idilliaca giovinezza nel mondo della caccia e della pesca, il 5 aprile 2008 lasciò per sempre Lidia Clarke, la consorte di 64 anni, alternati da diversi divorzi e matrimoni, e venne cremato.

Lino Manocchia




USA. James Stewart, il Generale cowboy, intervistato da L. Manocchia

Ricevo e pubblico l’articolo del collega Lino Manocchia

James Stewart, il Generale cowboy

J. Stewart intervistato da L. Manocchia

articolo già pubblicato dal sito web giulianovailbelvedere.it


NEW YORK, 3.1.2013 – Dall’aspetto allampanato, altezza oltre i due metri per un fisico striminzito, era noto per il suo carattere diffidente ma deciso e risoluto. Papà Stewart era proprietario di magazzini e rivendite di ferramenta. «La famiglia Stewart – racconterà il divo –aveva profonde radici militari, entrambi i nonni avevano combattuto nella Guerra Civile, e mio padre aveva servito l’esercito sia nella Guerra ispano Americana sia nella Prima Guerra mondiale. In base a questi precedenti decisi di arruolarmi ma, diversamente, io scelsi di volare»

In qualità di pilota Stewart sarà particolarmente attratto dai film di aviazione e negli anni cinquanta ne fece tanti per continuare nel ‘70 e oltre. «Con la guerra del Vietnam in corso nel 1966, da Generale di Brigata, decisi di imbarcarmi come osservatore su un B-52 e di continuare avere un ruolo attivo anche in voli di combattimento»

Purtroppo il figlio adottivo, Ronald, morirà in Vietnam all’età di 24 anni.

Anche per via di questa tradizione interrotta tra le fila dell’esercitò che il vecchio padre di Stewart si risentì particolarmente da che il figlio scelse di recarsi a New York, dove avrebbe condiviso un appartamento con l’attore emergente Henry Fonda ed il regista-autore Joshua Logan: l’incontro fortuito gli procurò un primo assaggio di celebrità, con il ruolo di autista nella commedia “Goodbye Again”, dove pronunciava soltanto due battute. Con molti riscontri favorevoli a Broadway, Stewart attrasse l’interesse della MGM e firmò un contratto nel 1935.

Correvano gli anni ’60 e il nostro divo mieteva Oscar. Furono “La conquista del West” ed “Il grande Sentiero” a portare sempre più in alto il simpatico mancato architetto dell’Indiana. Fu appunto qui, che il cronista, con operatore e fonico a seguito, fu inviato dalla “Voice of America” nella miniera che sorgeva alla periferia della cittadina della Pensilvania, per filmare la vita degli italiani in quella miniera e per intervistare il “Grande Jimmy”.

Nella immensa sala gremita di star, c’è grande animazione ma il generale prosegue indisturbato i suoi racconti e dice:

«La mia vita è lunga più di me ed ha bisogno di spazio e tempo. Non credo che questa sera – nel corso di questa favolosa serata del New York Film Critic Award (al Sardi di New York – n.d.r) – io possa raccontarle tutti i più e i meno della mia carriera. Comunque, proviamo»

Allora, mister Stewart, debbo chiamarla Generale?

«Nemmeno per sogno. Io sono per tutti Jimmy, l’attore che per uno strano caso divenne cowboy, pur odiando le galoppate sulle zone montuose. Se mi chiede se ripeterei l’esperienza così com’è stato le dico subito di si, anche con i cow boy, ma dovrei dire a me stesso: ”Jimmy, cerca di svegliarti e muoviti più velocemente».

Ha lavorato con i più eccelsi direttori cinematografici, ha qualche preferenza?

«Ho lavorato per parecchi registi rinomati, ma I più importanti sono stati: Alfred HitchcookJohn FordBilly WilderAntony Mann: grazie a loro ho vinto moltissimi premi nell’industria hollywoodiana. Un grosso passo in avanti fu quello del 1938, quando iniziai una collaborazione di successo col regista Frank Capra. Mi “diedero in prestito” alla Columbia per recitare “L’eterna Illusione”, pellicola di buone intenzioni sulla Grande Depressione e vinsi l’Oscar insieme all’attrice preferita da Capra: Jean Arthur».

Nel contempo lei continuò ad intervenire in parecchie occasioni alla radio, vero?

«Esatto. Subito dopo Pearl Harbor recitai con Orson WellsEdward G. RobinsonWalter HoustonLionel Barrymore in un programma radio mentre passavo le notti ed i giorni a prepararmi per i test di volo.»

Jimmy, la critica considera gli anni ‘60-‘70 come i migliori della sua carriera. Ne conviene?

«Si, nel ‘60 vinsi un New York Film Critic Circle Award come migliore attore e ottenni la mia quinta nomination all’Oscar per il film di Otto Preminger “Anatomia di un omicidio”. Tornato al lavoro di attore tra la fine dei ‘70 e inizio degli anni ‘80 passai dai ruoli nel cinema a quelli in televisione, esperienza che mi regalò un Golden Globe come miglior attore»

Durante questi anni, apparve periodicamente al “Tonight show” di Johnny Carson recitando anche poesie scritte in diversi momenti della sua vita. I film western erano scomparsi?

«Niente affatto Tra le interpretazioni degli anni settanta, ricordo un ruolo importante nell’ultimo film di John Wayne: “Il pistolero”, poi “Airport ’77” e “La più bella avventura di Lassie.»

E’ apparso sovente nello spettacolo televisivo del cantante attore Dean Martin, insieme a schiere di attori di prim’ordine. Si trovava a disagio in quelle spesso rocambolesche sequenze di scene comiche?

«Ho accettato spesso gli inviti di Dean Martin, e a casa ho sempre guardato il suo show, osservandolo attentamente per vedere se quel simpaticone qualche volta cascasse in mezzo a tutto il trambusto. Ma lui non era veramente ubriaco come si diceva… faceva solo parte del copione».

Il record di lavoro del grande generale-attore parla di 91 film, spettacoli teatrali e televisivi: gli amanti del buon cinema lo ricorderanno per “E’ una vita meravigliosa”, “The spirit of San Louis”, “The Philadelfia story”, “Anatomy of Murder”… Jimmy, dopo investimenti nel mercato immobiliare nel petrolio e una compagnia aerea di voli charter, divenne miliardario, ma il 16 febbraio 1994 un cancro gli portò via la moglieGloria.

Jmmy Stewart ci lasciò il 2 luglio 1997 dopo una embolia polmonare, a un solo giorno dalla morte del suo collega Robert Mitchum. Venne seppellito al Forest Lawn Memorial Park di Glendale (California). Aveva 89 anni.

Lino Manocchia




USA. La Letterina alla Befana, la pace dopo la tempesta di Lino Manocchia

Riceviamo e pubblichiamo l’articolo del collega italoamericano Lino Manocchia, articolo già comparso sulla testata giornalista www.giulianovailbelvedere.it

Lino Manocchia

La Letterina alla Befana

La pace dopo la tempesta
di Lino Manocchia


NEW YORK, 1.1.2013Vorrei che quest’anno la Befana potesse avere lo stesso spirito, la stessa poesia dei miei anni più cari, poterle scrivere la letterina piena di pretese, andarmi ad infilare fra le coltri con l’inutile intenzione di dormire.

Vorrei essere capace di appendere alla cappa del camino una lunga calzetta (la più grande che si trovi nella casa) metterle il caffè in serbo, lasciarle il ‘ciocco’ acceso, vorrei infine addormentarmi solo quando il sonno mi avvolge insensibilmente come morbide spire di velluto e destarmi d’un tratto, come una reminiscenza, e combattere meravigliosamente fra l’impulso di correre in cucina, a piedi nudi e in camicia, e il timore di buscarmi un rimprovero dal babbo previdente che teme un forte raffreddore.

Tutto questo, vorrei, ma non lo posso più.

Perchè tutto è passato.

Passato il tempo in cui il cuore era poesia, passato il tempo di narrarsi delle fiabe.

Non c’è più la ”Infermiera di Tata”, non c’è più lo “Scrivano fiorentino” o “Cenerentola”, e non c’è più nemmeno la Befana. Anzi c’è, ma è malata.

Quel saggio tremendo positivismo, quel calcolo empirico, quella fredda lambiccatura cerebrale che possiede l’umanità di oggi, hanno inquinato perfino la Befana. Ed essa oggi, c’è ma è malata.

Malata di stanchezza, come ogni cosa di ieri.

Stanca è la Befana. Stanca di viaggiare per le stelle, stanca di entrare pei camini, stanca di tutto: dalle calze di lana casereccia, dalle lunghe e pietose letterine, stanca di correre pel mondo, oggi che il mondo non la crede.

Ha imparato ad entrare tra i tronconi delle case, per le porte e le finestre senza vetri. Ha imparato a non trovare il ”ciocco”, la Befana, e a non bere il caffè e poi ha imparato a contare. Tutte le case ha dovuto ricontare. E quante ne mancavano, tante che le è rimasto il sacco pieno di balocchi.

E forse li avrà portati al cimitero sulle tombe di fresco.

Povera tradita Befanuccia, quante ne hai sentite in poco tempo! Ti hanno chiamato la “Befana di Guerra”, ”la Befana Fascista”. Hai imparato ad avere tanti nomi. Nomi che tu non amavi e che ti stavano male.

Oggi però non ti devi adirare,”Befanuccia piccina piccina” che vai sopra una scopa per l’azzurro. Oggi pero’ non devi sorridere se ti chiamano la “Befana di Pace”, Befana di pace su questo mondo martoriato. Befana che segui una stella di pace che ti porta verso una capanna dove è nata la pace fra gli uomini. Befana che spargi la pace col sorriso d’un dono, non ti devi adirare.

Donacela! Donaci, Befana, quella pace per la quale tu vivi e per la quale viviamo.

Al bambino che ti chiede il suo trenino, a suo padre che ti chiede solo il pane quotidiano, anche al Sindaco che chiede delle case per il suo Paese, tu magari Befana non dar nulla o da di meno, ma da loro la Pace.

E forse con la pace gli uomini ritroveranno se stessi: l’”Infermiera di Tata”, per esempio, ed il “Piccolo scrivano fiorentino”.

Come una volta.

Una volta tanto bella.




USA. Da Manocchia a Manocchia: «Buon Natale, babbo», di Lino Manocchia

Da Manocchia a Manocchia: «Buon Natale, babbo»

di Lino Manocchia*

Francesco Manocchia, giornalista e scrittore
Francesco Manocchia, giornalista e scrittore

NEW YORK, 6.12.2012 – Francesco Manocchia, che Benito Mussolini e gli amici chiamavano cordialmente “Francescuccio“, era nato il 6 marzo 1889 da Lucia Macellaro e Pasquale Manocchia, di modeste condizioni sociali ed economiche. Se nostra nonna Lucia non lo avesse convinto a non andare in America, su richiamo dei miei due zii di Pittsburg (a papà premeva più la famiglia che una nuova vita nell’altro pianeta) e il consiglio della nonna non veniva accolto favorevolmente, l’intero complesso di casa Manocchia oggi sarebbe ben diverso…

Ritengo importante la descrizione del tragico avvenimento ricostruita dallo storico Sandro Galantini “il 29 febbraio 1944”, maledetto anno bisestile, il sole, malgrado la stagione, riscaldava Giulianova, paese abruzzese che all’una e un quarto veniva scosso da una inaudita ondata di bombe lanciate dagli aerei inglesi. In breve lasciavano resti di macerie fumanti di case e persone .”Tra questi poveri corpi senza vita, c’era anche il Cavaliere Francesco Manocchia, 55 anni, colpito alla fronte da una scheggia, e il fratello minore Benito, punteggiato da 13 schegge di proiettili lungo il corpo”.

Personalmente io ero in…vacanza (durata 3 anni) nei “lager” teutonici e non seppi nemmeno del bombardamento se non due anni dopo.

Il ritratto in rima dedicato dalla redazione del “Posillipo d’Abruzzo” al Direttore Francesco Manocchia

Francesco Manocchia, giornalista e scrittore giuliese
Francesco Manocchia, giornalista e scrittore giuliese

La vita di “Francescuccio” fu una cornucopia di vicende politiche, professionali che lo seguirono sino al suo tragico trapasso in quell’anno bisestile. Papà che amava la caccia sopratutto se erano beccacce e pernici, che andava a scoprire nelle montagne abruzzesi e nei fiumi, era nato con la penna da scrivere in mano. A 18 anni era redattore de “La Provincia”, settimanale politico amministrativo di Francesco Vicoli. Due anni dopo a Genova, in uniforme di sottufficiale di fanteria, svolgeva una intensa attività militare e sportiva, vincendo anche tre medaglie d’oro (scherma, salto e disco). In momenti particolarmente difficili, vendetti una delle medaglie all’orefice per 90 lire, che consegnai a mio padre il quale, sorpreso, fu pronto ad andare a comperare un bel torrone. Volontario in Libia, ritorna da Tobruck a Giulianova per abbracciare la mamma Lucia e quindi ripartire per il fronte. Nel giugno 1915 sulle colline di Selts, per atti di valore (anche il salvataggio della bandiera del reggimento) viene nominato ufficiale dal Maresciallo d’Italia Cadorna (che esprimeva anche sentimenti di sincera stima).

Francesco Manocchia deciso, coraggioso in trincea durante sanguinosi attacchi guidati dal capitano Aprosio, riportò ferite e, tra l’altro, perse l’amata sorella Ida, afflitta da un male incurabile. Per la sua convalescenza venne inviato ad Arezzo, San Giovanni Valdarno e Montepulciano dove scrisse “I comandamenti del 1918” stampato in oltre 25 mila esemplari, ed una commedia in tre atti che gli fece conoscere mia madre Filomena, la graziosa ragazza di origini senesi che sposerà a Torrita di Siena nel 1920. Quindi la “Signorina Bonella”, stampata in 6 mila esemplari, valse a mio padre il secondo posto nel Congresso Drammatico italiano con a capo il gigante della letteratura Luigi Pirandello.

Qualche anno dopo Giacomo Acerbo, deputato al parlamento, quindi Presidente del Consiglio, nonchè mio padrino di cresima, firmò la prefazione per il libro “Salmi della Patria”, dedicato ai giuliesi caduti nella Grande Guerra.
La carriera giornalistica di mio padre sembra non abbia mai fine. Oratore forbito, era una miscela esplosiva di estro, calcolo e impulsività.

Rifiutò incarichi politici salvo quello di segretario dei combattenti abruzzesi:

La sua coerenza praticata con l’ingenua costanza propria dell’intellettuale,offre una visione romantica della vita, tanto diffusa della vita, dallo scrittore Manocchia”, afferma Galantini, e crediamo abbia centrato meglio di ogni altra cosa il carattere, la tenacia, la volontà di arrivare di mio padre, sul cui capo mulinava un cervello che ignorava il riposo.

Babbo era un padre premuroso. Di ritorno dalla partita serale con gli amici, poneva sui nostri comodini cioccolatini, caramelle e paste delfamoso Germano. Era una magnifica “Befana” per tutte le stagioni.

Da bambino io nutrivo la speranza di diventare prete. Avevo anche un altarino dove spesso vi recitavo la Messa. Un giorno, mio padre, che a Roma era conosciuto dai “pezzi grossi”, aveva stretto amicizia col cardinale Ascalesi (del Trattato Lateranense) e confessò all’eminente Prelato il mio “pio” desiderio. Il Cardinale, su un suo biglietto personale, scrisse al Vescovo di Teramo di ammettermi gratis sino al raggiungimento del sacerdozio. “Francescuccio,” che il cardinale chiamava la “mitragliatrice”, non ci vide più. Voleva diventare il mio sacrestano. Studiai due anni in seminario ma ben presto il pensiero sfumò. Non ebbi mai modo di conoscere il suo disappunto…o soddisfazione sulla mia “debacle giovanile”…

Francesco Manocchia, riproduzione di Walter De Berardinis
Francesco Manocchia, riproduzione di Walter De Berardinis

Sprazzi di vita vissuta che riemergono alla mente sempre più piacevoli. Come il Natale, quando la mamma si arrabattava a cucinare il pollo e i maccheroni con la chitarra, per i quattro aquilotti, i quali si premuravano a preparare la letterina, da me vergata, da mettere sotto il piatto.

Ricordo che un giorno – avevo appena 18 anni- scrissi il mio primo “articolo” sulla Maggiorata di Giulianova. Purtroppo per mio padre fallii il colpo.

“L’hai mandato a qualcuno?”, mi chiese pietosamente. “Va là, cerca un’altra via. Il giornalismo non ti farà mai ricco”.

Vorrei tanto che mio padre da lassù, oggi, mi vedesse. Godrebbe, credo, senza dubbio del successo di suo figlio nella nazione che lo ospita ed ora – dopo 92 primavere – sta per intraprendere la lunga passeggiata verso l’altro Pianeta e raggiungere il traguardo della vita.

Chissà se nell’aldilà lo potrò incontrare. Avremmo tante cose da dirci. Buon Natale, babbo”

Lino Manocchia

(C) già pubblicato su giulianovailbelvedere.it




USA. Hillary Rodam Clinton, i volti di Eva. Di Lino Manocchia.

Hillary Rodam Clinton,i volti di Eva di Lino Manocchia

WASHINGTON, – Il calendario indica 65 anni. Appartengono ad una donna eccezionale, dal volto di Eva, che si tramuta come il sole e la pioggia, e di cui invano un milione di miglia percorsi intorno al mondo ha provato ad erodere le sembianze.

Madam Secretary” non teme il tempo che la porta nelle più impensate nazioni per emanare pace, eguaglianza e fratellanza.

Ecco Hillary Rodam Clinton (consorte del valido Bill, ex Presidente democratico degli Stati Uniti), 67° Segretario di Stato americano, dal 2008 al 2012, terza donna a ricoprire tale carica.

Conoscemmo con piacere, a Miami, la Signora Clinton, ospite d’onore dell’Unione sartotecnica femminile (GWU) durante uno dei Convegni che l’organizzazione allestiva, presenti i dirigenti e parte dei 350 mila iscritti.
Il cronista, allora direttore del periodico sindacale “Giustizia” (per 20 anni), ebbe modo di apprezzare l’intelligenza, la decisione e la soavità della senatrice desiderosa di raggiungere mete difficili, per fare del bene all’umanità sofferente.

Enumerare tutto quanto “Hillary” ha realizzato nei suoi 65 anni è compito dei biografi; noi vogliamo rievocare alcuni dettagli di vita vissuta, momenti, giorni di ansia e successi della “Eva”moderna, che ha lottato per il progresso dello status della “donna” negli Stati Uniti, e di quelle del resto del mondo.

Pochi sanno che la nostra rappresentante da ragazzina scrisse alla Nasa per sapere se poteva diventare astronauta, ma l’Agenzia rispose che ”loro non assumevano donne“.

La natia di Chicago ama l’avventura e tanto per restare in linea chiese, come testimonia ilNYTimes, di arruolarsi nei Marines, ma – ahimè! – l’aspirante“era anziana, non ci vedeva bene e poi era’ donna”.

Nelle aule giudiziarie la Clinton venne definita ”uno dei cento più influenti avvocati americani”.

La vita del Segretario di Stato ha avuto momenti vivaci, come quello che ha spiegato alla ABC News su come sposò Bill: ”Eravamo nel campus universitario ed io lo ammiccavo, altrettanto faceva lui. Dopo tre o quattro volte mi feci coraggio e mi presentai: ”Il mio nome è Hillary Rodam”. Fu la scintilla del matrimonio”. E aggiunge: ”Mi innamorai di lui perche’ Bill non aveva timore di me”.

Oggi l’eclettica “Madam Segretario di Stato”, dai diversi volti, è considerata la seconda donna più forte d’America, la 16ma persona più ammirata del mondo (la famosa attrice Meryl Streep è una delle sue più grandi “fans”).

Accanita viaggiatrice, si pettina come più le piace, anche se spesso criticata, e non teme di uscire di casa senza belletto. Ama l’avventura e non teme di sporcarsi le mani. Dopo il college nel 1969, la “Chicagoenne” si premurò di aprirsi un varco nella vita – in Alaska- lavando i piatti del Mount Mckiney Park e spellando i pesci nel conservificio locale.

Una vasta, encomiabile cornucopia di lavori e successi avvolge questa “Eva moderna”, la donna più ammirata, rispettata, memorabile che il futuro non impressiona.

In vista delle elezioni del 2012, vinta dal Presidente Barack Obama, la Clinton ha annunciato di volersi ritirare dall’incarico di Segretario di Stato, rinuncia che verrà formalizzata il 21 gennaio 2013. Fino ad allora, rimarrà nella sua sede istituzionale, in attesa di conoscere chi ne sarà il successore (si vocifera possa essere Susan Rice, Ambasciatrice Americana presso le Nazioni Unite, sulla quale i repubblicani capeggiati dall’anzianoJohn McCan – letteralmente ossessionato- tentano di fare breccia coprendosi dietro il paravento dell’attacco terroristico di Bengasi, oppure John Kerry, senatore e candidato democratico alle elezioni del 2004)

Quando le si domanda se intende tornare all’assalto della Presidenza degli Stati Uniti nel 2016, la Clinton risponde semplicemente: “Desidero riposarmi le membra. Se si avvererà, ci faremo un pensierino”.

Madam Secretary, congratulazioni!
LINO MANOCCHIA

Foto AP—Barrage




USA. Al nastro di partenza il network , una rivista e un programma televisivo dedicati alla “New York Italiana”

presentazione a New York di una duplice iniziativa editoriale
ispirata all’Italia e al mercato americano: la nascita del magazine mensile i-Italy/NY e un programma televisivo settimanale destinato
a tutto ciò che d’italiano c’è a New York e nella Tri State Area (New York – New Jersey – Connecticut).
Una nuova e grande sfida del network editoriale multicanale diretto da Letizia Airos.
Goffredo Palmerini

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Al nastro di partenza il network <i-Italy|NY>, una rivista e

un programma televisivo dedicati alla “New York Italiana”

Presentata venerdì scorso, presso il Consolato Generale d’Italia a New York, una duplice iniziativa editoriale ispirata all’Italia e dedicata al mercato statunitense e in particolare alla città di New York. Nascono infatti, con il nome i-Italy|NY, un magazine mensile e un programma televisivo settimanale su tutto ciò che c’è di italiano a New York.

Rigorosamente in lingua inglese e indirizzato al numerosissimo pubblico americano amante dell’Italia,

i-Italy|NY è uno spin-off di  www.i-Italy.org, il più grande portale multimediale dedicato a tematiche legate all’Italia che si pubblica online negli Stati Uniti dal 2008, e che si trasforma ora in un vero e proprio network editoriale multicanale che abbraccia il web, la stampa, la TV e il mobile.

Nel Consolato, gremito di pubblico, hanno accompagnato la presentazione con un dibattito sul concetto di italianità all’estero, insieme al Console Generale Natalia Quintavalle, il cantante Jovanotti, il famoso designer Massimo Vignelli, il direttore della Casa Italiana della New York University Stefano Albertini, il conduttore dello show televisivo i-Italy|NY Riccardo Costa, e ilDirettore Responsabile del network editoriale Letizia Airos.

Il dibattito è stato condotto dal noto giornalista e scrittore americano Fred Plotkin, profondo conoscitore dell’Italia e collaboratore di importanti testate newyorkesi. Plotkin ha condotto la serata con un format che ricordava quello del “Maurizio Costanzo Show”, girando tra le poltrone e i divani degli ospiti. Sottolineando il suo apprezzamento per le iniziative editoriali di i-Italy “che hanno sempre ‘stile’, fin dall’inizio”, Plotkin ha intervistato gli ospiti sul cuore di questo nuovo progetto editoriale: l’italianità a New York.

Jovanotti, raccontando se stesso cittadino newyorkese da qualche mese, ha detto di sentirsiorgoglioso e onorato di essere l’uomo-copertina del primo numero del magazine, oltre che l’intervista-chiave del secondo episodio dello show televisivo appena andato in onda. “Quando sono a New York mi sento molto più italiano di quando sono in Italia, perché questa è una città che favorisce incontri, diversità, contaminazioni, che mischia”. “Bisogna aprirsi – ha aggiunto con una vena di paradosso –

bisogna essere meno italiani per essere più italiani”.

Massimo Vignelli, decano del design italiano che vive da decenni a New York, ha sottolineato luci ed ombre di questa città e il grande contributo di stile che gli italiani vi hanno apportato. Per quanto si dica ormai favorevole più all’on-line che alla carta, Vignelli ha sottolineato che “la tempistica è tutto, e la tempistica per i-Italy|NY è quella giusta”. Una volta affermata la propria presenza online è giusto che

i-Italy tenda ora a radicarsi sul territorio e a rivolgersi ai media tradizionali. Con un capovolgimento coraggioso che va dal globale al locale.

Dal canto suo, già nell’invito alla stampa il Console Generale Natalia Quintavalle si era detta molto contenta di ospitare il lancio di un’inziativa appunto coraggiosa e molto importante per tutta la comunità italiana ed italo-americana come per tutti gli americani interessati all’Italia. Stefano Albertini ha ribadito l’importanza del lavoro di i-Italy anche per un’istituzione come la Casa Italiana della New York University, consolidata da tempo come una delle più presenti istituzioni che trasmettono lo spirito di questa italianità culturale al mondo americano. “Collaboriamo con i-Italy fin dalla sua nascita, ed ora questa nuova iniziativa lo conferma il media-partner ideale per portare l’Italia agli americani”.

“Stay Foolish. Stay Hungry.” Ricordando le parole di Steve Jobs, Letizia Airos ha sintetizzato lo spirito che tutte le persone che lavorano al progetto e in particolare dei giovani collaboratori della redazione. Non a caso il nome stesso di i-Italy è stato concepito, fin dal 2008, come un omaggio ad uno dei più grandi innovatori della nostra epoca. Letizia Airos ha anche rivolto un ringraziamento speciale ad Anthony J. Tamburri, Preside del Calandra Italian American Institute della CUNY che ha sostenuto il progetto i-Italy dal primo giorno, quando ancora pochi credevano nella sua fattibilità.

Tra i più illustri sostenitori del progetto anche Giovanni Colavita e John Profaci (Colavita USA) che hanno sponsorizzato la prima stagione dello show televisivo e Nicola Farinetti e Dino Borri di Eataly, il megastore di gourmet italiano sulla 5th Avenue, che è uno dei più importanti nodi locali di distribuzione del magazine. Il numero di lancio del magazine i-Italy|NY è distribuito gratuitamente in 50.000 copie presso Eataly ed altri luoghi “italiani” della città: librerie, gallerie italiane di Soho, ristoranti, pub, scuole, centri universitari ed istituzioni.

In questo numero interviste esclusive con il cantante Jovanotti, i registi Paolo ed Emilio Taviani, il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, oltre a interventi di esperti di cibo, musica, e cultura italiane, con le colonne di Fred PlotkinCharles e Michele ScicoloneRobert ViscusiAnthony Tamburri ed altri. A ciò si affiancano segnalazioni sulla “New York italiana”, con un calendario eventi dettagliatissimo di mostre, concerti, e spettacoli, indicazioni e recensioni di ristoranti italiani (il numero è dedicato alla cucina a base di pesce), idee per lo shopping Made in Italy e una sezione speciale dedicata al turismo (la Puglia è stata scelta per il numero di lancio).

La maggior parte dei contenuti del magazine sono fruibili anche in video. Piccoli segmenti video sono visualizzabili immediatamente puntando uno smartphone sui “QR code” stampati accanto ad articoli e interviste. Il resto si può seguire settimanalmente attraverso il “gemello” televisivo della rivista, trasmesso su NYC Life – Channell 25, la stazione TV ufficiale del Comune di New York che trasmette ad un bacino d’utenza di 18 milioni di persone nell’area metropolitana di New York e in gran parte della Tri-State area.

Link su Youtube alla seconda puntata andata in onda sabato e domenica scorsi >>
Link alla versione elettronica del nostro magazine. >>

Il programma e l’intera guida alla New York italiana verranno diffusi anche via web e iPhone (e saranno quindi visibili anche dall’Italia), nonchè attraverso i device IPTV di nuova generazione più diffusi in America, come Samsung SmartTV, Roku e AppleTV (via iPhone).




L’ANFE CELEBRA CON UN CONVEGNO ALLA CAMERA IL SUO 65° ANNIVERSARIO

27 novembre 2012

L’ANFE CELEBRA CON UN CONVEGNO ALLA CAMERA IL SUO 65° ANNIVERSARIO

L’associazione, fondata nel 1947 dall’aquilana Maria Federici, presidio operoso per il mondo dell’emigrazione. Riconoscimenti al Primo Ministro belga Elio Di Rupo,

al ministro Giulio Terzi di Sant’Agata, a Matilda Cuomo e Mohamed Abdalla Tailmaun.

Presentazione trailer del film documentario di Giovanna Taviani  “Pane e pregiudizio”.

ROMA – L’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (ANFE), il 30 novembre prossimo dalle ore 15,

con una solenne cerimonia alla Camera dei Deputati, Palazzo Montecitorio – Sala della Regina, celebra il 65° anniversario dalla sua fondazione, avvenuta nel 1947 a Roma ad opera dell’on. Maria Agamben Federici,  parlamentare aquilana nell’Assemblea Costituente. “Pane e pregiudizio. Storie di migrazioni. 65 anni dell’ANFE dalla sua fondazione”, questo il tema del Convegno sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, con il Patrocinio di Camera e Senato, che vedrà la partecipazione del Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, del Presidente del Comitato d’onore del 65° ANFE, on. Emma Bonino, del Presidente Nazionale dell’ANFE, Paolo Genco, con le relazioni introduttive e gli interventi del Primo Ministro belga, Elio Di Rupo, del Ministro degli Affari Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, della Presidente Mentoring Usa-Italia, Matilda Raffa Cuomo, del Portavoce Rete G2 – Seconde Generazioni, Mohamed Abdalla Tailmaun. Il direttore nazionale ANFE, Gaetano Calà, consegnerà agli illustri relatori la medaglia d’onore commemorativa del 65° di Fondazione e riconoscimenti ai rappresentanti dell’associazione convenuti dalle sedi ANFE all’estero (Argentina, Australia, Brasile, Canada, Repubblica Dominicana, Usa e Tunisia) e da tutte le regioni d’Italia.

Nel corso della cerimonia, verrà proiettato un trailer del film documentario sull’ANFE e le migrazioni, regia di Giovanna Taviani, la storia dell’associazione con testimonianze del Presidente onorario sen. Learco Saporito, di Maddalena Bonauro, “storica” dirigente nazionale dell’associazione, infine con una testimonianza dall’Aquila, città natale della fondatrice Maria Federici, dove la regista ha girato riprese presso la casa natale della fondatrice, in via Accursio, nel centro storico della città lacerata dal terremoto, e alla cappella di famiglia, nel cimitero monumentale. L’intero evento sarà trasmesso in diretta sulla webtv di Montecitorio (http://webtv.camera.it) e in diretta streaming sul sito www.anfe.it. Le manifestazioni del 65° di fondazione il 28 novembre avranno una significativa anteprima, con il ricevimento all’Udienza di Papa Benedetto XVI, alla Sala Nervi, di un’ampia delegazione dell’ANFE guidata dal Presidente nazionale, Paolo Genco, mentre il 29 novembre l’Assemblea Generale dei Delegati regionali, dei Presidenti provinciali e dei Rappresentanti delle sedi all’estero dell’ANFE delibererà, tra l’altro, importanti modifiche allo Statuto tendenti a rafforzare i campi di attività dell’associazione, in Italia e nel mondo.

L’ANFE si avvia dunque ad una rinnovata stagione d’impegno sui temi e sui problemi delle migrazioni, poggiando le fondamenta su una storia lunga di 65 anni d’esperienza su ogni aspetto dell’emigrazione italiana nel mondo e, da diversi anni a questa parte, sull’attualità delle questioni che riguardano l’immigrazione. Un cospicuo patrimonio di attività e conoscenze, quello della più antica associazione italiana impegnata nel mondo dell’emigrazione, a disposizione dell’intero Paese. Un patrimonio che si deve alla lungimiranza ed alla tenacia di una delle donne più significative del Novecento, la fondatrice dell’ANFE Maria Agamben Federici, che ha segnato dall’inizio la storia della nostra Repubblica, nell’Assemblea Costituente e poi alla Camera dei deputati, nella prima Legislatura. Nata a L’Aquila il 19 settembre 1899, famiglia benestante, laureata in lettere, insegnante e giornalista, Maria Agamben sposa nel 1926 Mario Federici, anch’egli aquilano, drammaturgo ed affermato critico letterario, tra le personalità più insigni del teatro e della cultura abruzzese. Da Roma, negli anni del fascismo, Maria Agamben Federici si trasferisce con il marito all’estero, dove continua ad insegnare presso gli Istituti italiani di cultura, dapprima a Sofia, poi in Egitto ed infine a Parigi. Cattolica impegnata, profonda fede nei valori di libertà e di democrazia, la Federici matura la sua formazione influenzata dal pensiero cristiano sociale (Emmanuel Mounier e Jacques Maritain) che avrebbe connotato profondamente la filosofia dello scorso secolo.

Esperienza significativa, quella vissuta all’estero dalla Federici, cresciuta nella consapevolezza del valore della giustizia sociale e del ruolo essenziale della donna, non solo nella famiglia, ma anche in politica e nella società. Al rientro in Italia, nel 1939, mette pienamente a frutto tali convinzioni con un intenso impegno sociale e d’apostolato laico. A Roma è attiva nella Resistenza, organizzando un centro d’assistenza per profughi e reduci. Maria Federici è davvero un esempio ante litteram d’emancipazione femminile, con trent’anni d’anticipo sui movimenti poi nati in Europa. Nel 1944 è tra i fondatori delle Acli, poi del Centro Italiano Femminile (Cif) del quale diventa prima Presidente, dal 1945 al ’50. Ma sopratutto è una delle figure più importanti della nuova Repubblica democratica. Deputato all’Assemblea Costituente per la Democrazia Cristiana, dal 19 luglio 1946 al 31 gennaio 1948, contribuisce a scrivere le regole fondamentali della nostra Costituzione. Insieme alla collega di partito Angela Gotelli (Dc), a Nilde Iotti e Teresa Noce (Pci), a Lina Merlin (Psi), Maria Federici è tra le cinque donne entrate nella Commissione Speciale dei 75 che elaborò il progetto di Costituzione, poi discusso in aula dall’Assemblea ed approvato il 22 dicembre ’47. Promulgata il 27 dicembre dal Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, la Carta costituzionale entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Maria Federici fu poi eletta alla Camera nella prima Legislatura (1948-1953), nel collegio di Perugia, nelle liste della Dc.

Frattanto, l’8 di marzo del 1947, Maria Federici aveva fondato l’ANFE. Presidente dell’ente sin dalla fondazione, lo rimarrà fino al 1981. Sotto la sua guida sicura, con infaticabile impulso, l’associazione si espande con sedi in ogni provincia e nei comuni a più alta emigrazione, presente sempre laddove esistono i problemi, in Italia o nel nuovo mondo. Anche in quei lontani continenti, come pure nel vecchio continente, nascono sedi dell’ANFE, una rete capillare di strutture che diventano punti decisivi d’assistenza per i nostri emigrati, per la soluzione d’ogni problema sociale, burocratico ma anche psicologico nell’integrazione nelle nuove realtà. Dunque, un’opera notevole quella svolta dall’associazione, nella formazione professionale, nel sostegno alle famiglie ed a difesa della loro integrità, nella crescita culturale, sociale e civile dei nostri emigrati. Insomma, le meritorie attività dell’ANFE, riconosciuta Ente morale nel 1968, ne hanno fatto un insostituibile partner nei più alti organismi internazionali per l’emigrazione e l’immigrazione, grazie al suo enorme bagaglio di esperienze. Merito appunto di Maria Federici, tra i più fulgidi esempi femminili d’impegno civile e politico della nostra Italia. E’ scomparsa il 28 luglio 1984 a L’Aquila. E tuttavia il suo insegnamento è il cespite su cui l’Associazione fa affidamento per svolgere efficacemente il suo prezioso servizio sociale nel terzo millennio. L’opera di Maria Federici, il suo pensiero illuminato, il contatto diretto con persone e problemi, il suo stile di vita restano un esempio notevole nel tempo incerto che viviamo, un riferimento luminoso per migliorare il rapporto tra Istituzioni e cittadini, per recuperare la necessaria credibilità della politica, per costruire nel reciproco rispetto il futuro del nostro Paese.

Goffredo Palmerini




Argentina. RINNOVATO IL DIRETTIVO DELL’ASSOCIAZIONE ABRUZZESE “VILLA SAN VINCENZO DI GUARDIAGRELE” IN SAN MARTIN, ARGENTINA

RINNOVATO IL DIRETTIVO DELL’ASSOCIAZIONE ABRUZZESE “VILLA SAN VINCENZO DI GUARDIAGRELE” IN SAN MARTIN, ARGENTINA

BUENOS AIRES – Il 10 novembre scorso, presso la sede dell’Associazione Abruzzese “Villa San Vincenzo di Guardiagrele”, nella città di San Martin della Grande Buenos Aires, si è provveduto al rinnovo della Commissione direttiva dell’associazione. Nel corso di una fraterna conviviale, il presidente uscente Mario Taraborrelli ha relazionato sugli ultimi 4 anni, congratulandosi con tutti i presenti per l’instancabile lavoro messo in campo sotto la sua presidenza. Un lungo applauso ha raccolto la relazione del Presidente uscente, con accanto il vicepresidente Julio Desiderioscioli.

E’ stata quindi presentata la nuova Commissione Direttiva, eletta dagli associati, e composta da Elio Garzarella (Presidente), Federico Mandl (vice Presidente), Paulino Verna (Tesoriere), Matias Mandl (vice Tesoriere), Natalia Turanzas Marcos (Segretario), Lidia Desiderioscioli (vice Segretario), Julio Desiderioscioli, Florencia Verna, Diego Verna (Consiglieri titolari), Mauricio Verna, Mirtha Carosella, Estela Carosella (Consiglieri supplenti), Maria Pili, Patricia Trappa, Mario Taraborrelli (Revisori dei Conti).

Il nuovo Segretario, dr. Natalia Turanzas Marcos, che in passato ha ricoperto brillantemente la presidenza del sodalizio, ha salutato e invitato sul palco e il nuovo Presidente dell’Associazione, Elio Garzarella. Figlio d’uno dei fondatori dell’associazione, 49 anni, diventa Presidente sotto lo sguardo orgoglioso di suo padre Adamo Garzarella, che quasi 30 anni fa, con un gruppo di corregionali emigrati, cominciò ad accarezzare l’idea di fondare l’associazione che in quegli anni prendeva forma, poi seguita dall’acquisto, con i contributi raccolti tra i soci, del terreno su cui furono costruiti i primi due locali e il giardino, e successivamente la bella sede attuale migliorata man mano con altre opere. Gli Abruzzesi di San Martin sono orgogliosi di queste opere, realizzate con grande sacrificio nel corso degli anni, con l’alternarsi alla Presidenza di anziani di grande esperienza e di giovani, spesso in posizioni chiave della Commissione direttiva dell’associazione.

E’ così che il Presidente dirige l’Associazione per due anni, mandato rinnovabile solo per un altro biennio, in modo da offrire spazio ai giovani, come l’attuale rinnovo dimostra con la vice Presidenza affidata al giovane Federico Mandl, 26 anni, peraltro anche Segretario della Fedamo (Federazione delle Associazioni Abruzzesi in Argentina) presieduta dall’avv. Alicia Carosella, componente del CRAM. Inoltre, gran parte dei componente la Commissione direttiva sono giovani tra 20 e 30 anni di età, costituendo così una bella combinazione che coniuga l’esperienza degli anziani con la forza e l’entusiasmo dei giovani. La conviviale si è conclusa a tarda será con un festoso brindisi augurale per il Presidente Elio Garzarella e per la Commissione direttiva all’inizio del loro mandato, ricco di promesse e di impegno operoso, a beneficio di tutti gli Abruzzesi di San Martin.