Italiani vs stranieri: vespe o formiche?

Italiani vs stranieri: vespe o formiche?

Immigrazione e territorio: lo spazio con/diviso

Arriva nelle librerie l’interessante volume di Flavia Cristaldi, Pàtron Editore

ROMA – Quali strategie territoriali attuiamo quando gli stranieri entrano nelle nostre comunità? Li accogliamo nelle nostre città condividendo con loro lo spazio e li consideriamo un’opportunità di crescita economica e sociale o li espelliamo dal gruppo relegandoli ai margini del sistema come fossero degli intrusi pericolosi? Affittiamo loro appartamenti nei quartieri benestanti delle città o cerchiamo di nasconderli negli scantinati o nelle mansarde degli edifici più fatiscenti? Il territorio è un luogo di ritrovo o di scontro?

Il libro “Immigrazione e territorio: lo spazio con/diviso“ (Pàtron Editore) di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle Migrazioni presso la Sapienza, Università di Roma, affronta nel dettaglio queste problematiche ed offre indicazioni utili sia al cittadino, desideroso di riflettere sulle nuove forme di convivenza, che al politico e al pianificatore i quali, proprio partendo dalla reale conoscenza del territorio, devono pianificare gli interventi sul territorio.

Utilizzando metaforicamente le recenti scoperte in campo etologico, Flavia Cristaldi ricorda le strategie utilizzate dalle formiche e dalle vespe e le paragona a quelle messe in campo dalla società civile: se alcune formiche del Borneo si fanno letteralmente esplodere per uccidere gli intrusi che cercano di entrare nel formicaio, le vespe di Panama, al contrario, accolgono gli stranieri nell’alveare dividendo con loro il lavoro quotidiano.

Avvalendosi di dati statistici, rappresentati con chiare carte tematiche, e dei risultati di numerose interviste, l’Autrice accompagna agevolmente  il lettore lungo un percorso nazionale e internazionale alla ricerca delle strategie territoriali che scaturiscono nella società multiculturale. Arricchendo l’analisi con testimonianze raccolte anche nella letteratura, Flavia Cristaldi conclude il suo interessante volume con la speranza che i cittadini di oggi utilizzino le strategie delle vespe di Panama per la costruzione di una società interculturale nella quale lo spazio sia realmente condiviso.




USA. IL SALTO IPERBOLICO DI LUISA LUCIANI di Lino Manocchia

Riceviamo

IL SALTO IPERBOLICO  DI LUISA LUCIANI

di Lino Manocchia


LUISA LUCIANI:ovvero la storia di un “cervello” italiano lanciato a sconfiggere la leukemia. “E’ l’avventura” spirituale, fisica e materiale di una

trentenne, nata a Pescara da genitori-laureati- che hanno preferito aver cura di una splendida campagna, alla periferia della citta’ adriatica, alle varie

cattedre sparse nello stivale.  Diplomata con massimi voti allo scientifico Galilei di Pescara e laurea con lode all’Universita’ di  Bologna.

Luisa Luciani e’ bella, affabile, intelligente,allergica alle pose,all’enfasi, ha

talento e  carisma tanto che un importante ematologo del mitico Memorial Sloan-Kettering Cancer Center,  l’ha subito invitata  a venire nella Grande Mela per far parte del reparto ricerche onde continuare, con i colleghi, a lottare  il cancro.

Pensate:Pescara-New York : salto iperbolico, sfiorando l’Atlantico, per la giovane laureata,in biotecnologie, compiuto con spirito sereno, tanta volonta’ e decisione.

Son trascorsi 365 giorni dal suo arrivo e Luisa offre l’impressione di una

ragazza americana a cui  la lingua non mette sgambetti, come molto spesso accade.”

Parlando con Luisa la nostra prima domanda-dettata un po’ dalla curiosita-e’ caduta subito sul nemico di milioni di persone: il cancro.

Conferma che la Neoplasia e’ la proliferazione anomala e incontrollata di cellule in un tessuto o in un organo del corpo che risulta nella formazione di masse (piu’ o meno) distinte dalla zona in cui ha origine, e che il termine neoplasia e’ usato come sinonimo  di tumore.?

Si, possiamo utilizzare il termine neoplasia come sinonimo di cancro o tumore. Quando si trovano delle masse tumorali in siti del corpo diversi da quello in cui la massa si è originata, allora parliamo di metastasi.

Mi dica, quante forme di leucemia possono essere menzionate?

Una prima distinzione può essere fatta tra la leucemia mieloide cronica e la leucemia mieloide acuta, entrambe a carico del midollo osseo. Io mi occupo dell’individuazione dei meccanismi genetici alla base della leucemia mieloide acuta.

A proposito, che c’e’ in lei di abruzzese?

Un pregio delle mie origini abruzzesi è la cordialità e il buonumore…un difetto la testardaggine. Noi abruzzesi siamo molto aperti a stabilire nuove amicizie.

Cos’e’ per lei la vita?

Vivere significa per me svegliarmi la mattina ed essere contenta di me stessa, convinta delle mie scelte, e soprattutto sapere di avere la mia famiglia e i miei amici sempre presenti.

Cosa l’ha spinta alla  oncologia?

La necessità di lasciare una piccola traccia in questa vita. Mi sono sempre detta che la cosa che mi riusciva meglio era studiare, quindi perché non fare qualcosa per gli altri?

L’oncologia per lei e’ piu’ una passione o una missione?

L’oncologia per me è sia una passione, mi affascina avere la possibilità di capire perché una cellula impazzisce e inizia a proliferare, ma anche una missione. Ogni volta che entro in ospedale, letteralmente sento una stretta allo stomaco nel vedere i pazienti.

Crede nella Provvidenza?

Credo che bisogna essere al posto giusto nel momento giusto. Ci vuole un pizzico di fortuna, ma la maggior parte del lavoro spetta a noi.

Si e’ mai sentita sconfitta?

Signor Lino, quando si fa ricerca ci si sente stupidi e sconfitti praticamente ogni giorno. E’ questa la parte più difficile del nostro lavoro, essere coscienti del fatto che se stiamo cercando di scoprire qualcosa di nuovo, dipende dal fatto che è così complicato da farci sentire inadeguati.

E’ suprestiziosa?

No, non sono superstiziosa. Niente amuleti o portafortuna.

Femminista?

E perché dovrei esserlo? Credo che uomini e donne abbiano le stesse capacità di eccellere nella ricerca, come in altri campi. Dipende sempre dalla nostra dedizione.

Ha lasciato l’Italia con rimpianto?

Più che l’Italia ho lasciato la mia famiglia con rimpianto. Sono molto felice a NY, ma la malinconia di avere i miei genitori, mia sorella e mio fratello lontani fa da sottofondo.

Crede che presto la fuga dei” cervelli” italiani si fermera’? Su questo aspetto nello specifico in Italia,  come e’ messa sullo scenario mondiale?

Mi dispiace dirlo, ma la fuga dei cervelli non penso si fermerà così presto. All’estero ci sono troppe possibilità di crescita, di lavorare al massimo. In italia è tutto rallentato, immobile. E allo stesso tempo penso che per molti di noi che sono all’estero, tornare in Italia significherà rinunciare a tanto in termini lavorativi.

Che chiedono i giovani?

I giovani italiani chiedono una possibilità per applicare lavorativamente quello che il nostro ottimo sistema scolastico ci ha insegnato. Questo può dare la prospettiva di un futuro felice in Italia.

Cosa le manca a New York, e cosa le piace della Mela?

A New York mi manca uscire il sabato mattina con mia sorella o le mie amiche, il cornetto e il cappuccino al bar. Mi manca la telefonata dei miei genitori alle 8:30pm (che ho ricevuto ogni giorno da quando ho lasciato casa per studiare a Bologna a 19 anni). Con il fuso orario e i miei ritmi lavorativi ci sentiamo solo nel weekend. Mi manca il mare d’estate. Cosa mi piace della Mela? La sensazione di poter fare tutto, si respira nell’aria che è una città vibrante. Mi piace uscire con i miei nuovi amici, sperimentare nuovi ristoranti o locali, andare alle gallerie d’arte o semplicemente perdermi a Central park. Mi piace tantissimo fare brunch…mi ricorda un po il pranzo della domenica. Adoro le palestre, aperte dalle 5.30am alle 11.30pm.

Il piatto preferito?

Adoro i piatti freddi. Prosciutto e mozzarella, bresaola e rucola. Devo ammettere che è un po difficile trovare una buona mozzarella di bufala a NY. In compenso ci sono delle pizzerie ottime che mi fanno sentire a casa.

Rifarebbe tutto quello che ha fatto?

Si, sono convinta delle mie scelte. Tutto quello che ho fatto è sempre stato dettato dalla passione. Dal primo momento che ho messo piede a NY, ho sentito che era stata la scelta giusta, con tutti quei piccolo sacrifici che ovviamente ha richiesto ricominciare tutto dall’inizio. Adesso però, a distanza di un anno, posso dire che ne è valsa la pena fare il grande salto!




“VITE RITROVATE”, PRESENTAZIONE A ROMA AL CENTRO STUDI EMIGRAZIONE Il volume di Gianni Paoletti è una pubblicazione del Museo dell’Emigrazione “Pietro Conti”

“VITE RITROVATE”, PRESENTAZIONE A ROMA AL CENTRO STUDI EMIGRAZIONE

Il volume di Gianni Paoletti è una pubblicazione del Museo dell’Emigrazione “Pietro Conti”

Giovedì 26 Gennaio 2012, alle ore 17.30, presso il Centro Studi Emigrazione a Roma (www.cser.it) si terrà presentazione del volume “Vite ritrovate, Emigrazione e letteratura italiana di Otto e Novecento” di Gianni Paoletti. Il testo è edito dalla Editoriale Umbra di Foligno per la collana “I Quaderni del Museo dell’Emigrazione” (www.emigrazione.it). Introdurranno René Manenti, dello CSER e Catia Monacelli, Direttore del Museo Regionale dell’Emigrazione “Pietro Conti” di Gualdo Tadino. Il volume sarà illustrato dallo scrittore e giornalista Francesco Durante e dallo stesso Autore del volume Gianni Paoletti.

Il libro ricostruisce il manifestarsi letterario, spesso “marginale”, disperso ma acuto, di un evento per molti versi fondante della storia nazionale, dalla fine del secolo XIX fino a quanto uscito negli ultimi due decenni, durante i quali un’autentica fioritura di titoli ha rinnovato un interesse specifico per la figura del migrante. Gli scrittori italiani che compongono un ideale canone letterario classico fra Ottocento e Novecento si sono soffermati solo parzialmente o episodicamente sull’emigrazione italiana. Un oblio – una certa rimozione persino – che non ha, tuttavia, impedito la comparsa di romanzi e racconti di grande finezza su questa enorme esperienza collettiva, che è anche uno dei nodi di maggiore momento della vicenda storica italiana.

Da De Amicis a Pavese, da Pirandello a Gadda, da Pasolini a Sciascia, passando per Silone, Calvino, Jovine, Piovene, Levi, Soldati, Borgese, Sgorlon, e per diverse altre notevoli voci della narrativa contemporanea, gli emigranti sono comparsi in pagine talora bellissime, e sovente assai difformi per stile, moventi ed esiti. Il libro ricostruisce questo manifestarsi letterario, spesso “marginale”, disperso ma acuto, di un evento per molti versi fondante della storia nazionale, dalla fine del secolo XIX fino a quanto uscito negli ultimi due decenni, durante i quali un’autentica fioritura di titoli ha rinnovato un interesse specifico per la figura del migrante.

Ne risulta un cammino, diviso in una topografia più che in una cronologia, fra immagini letterarie suggestive, che seguono ispirazioni e stili differenti: il racconto, il diario di viaggio, il romanzo, il frammento autobiografico, l’indagine critica, il reportage. Cercando fra le pagine dei grandi scrittori, emerge un quadro perspicuo e acuto di una diaspora umana e storica lunghissima. Forse, mai conclusa. Durante l’evento, a cura dell’Associazione Culturale Passato e Presente (Sezione Italiana Vintage Fashion & Costume Jewelry Club www.bijouxamericani.it), sarà presentata una selezione di Canti dei migranti, che verranno eseguiti da Lavinia Mancusi, e di testi letterari tratti dal volume in presentazione, che saranno letti da Antonio Palmitessa.




Elio Di Rupo, primo ministro del Belgio, figlio di un minatore abruzzese nel 1947 da www.italiaitaly.eu

Elio Di Rupo, primo ministro del Belgio, figlio di un minatore abruzzese nel 1947

da www.italiaitaly.eu

C’è l’eco di Marcinelle, con i sacrifici degli italiani che hanno dovuto lasciare il nostro Paese per la ricerca di un futuro migliore, nella figura del nuovo Primo ministro del Belgio. Alla guida del Governo di Bruxelles è stato scelto Elio Di Rupo, figlio di un minatore italiano che con la famiglia ha lasciato l’Abruzzo per trasferirsi a Morlanwelz. Al termine di una lunghissima crisi, durata 541 giorni, re Alberto II ha affidato l’incarico di premier a Di Rupo, dal 1999 presidente del Partito socialista. La crisi internazionale e le difficoltà economiche interne, sancite dall’abbassamento dell’affidabilità da parte delle agenzie di rating, hanno portato all’accordo tra fiamminghi e valloni e alla formazione di un Governo di coalizione con tredici ministri e sei sottosegretari.

Era il 1947, quando papà Di Rupo lasciò San Valentino in Abruzzo Superiore, in provincia di Pescara, per andare a lavorare in miniera in Belgio. Quattro anni dopo … nasceva il piccolo Elio, che aveva solo un anno quando suo papà morì in un incidente stradale, lasciando la madre a cavarsela con sette figli. Era l’epoca quando alle vetrine dei negozi belgi si poteva leggere: “Vietato l’ingresso ai cani a agli italiani”: da allora i figli degli emigrati ne hanno fatto di strada e ora a uno di loro è stato affidato il compito di guidare il Belgio.

Elio Di Rupo si è laureato in chimica e poi ha ottenuto il dottorato presso l’Università di Mons; si è quindi specializzato a Leeds e intanto si appassionava alla politica. Nel 1982 è stato eletto alla Camera dei rappresentanti  e poi è stato sempre rieletto al Parlamento belga. E’ stato sindaco di Mons e per tre anni presidente della Vallonia. Divenuto leader del gruppo socialista francofono, ora è capo di un Governo che ha forti sfide da affrontare.




Ferdinando Ferella, giornalista e reporter, per missione Il capo Redattore di Voice of America, di origini abruzzesi, di recente scomparso a Washington DC

Ferdinando Ferella, giornalista e reporter, per missione

Il capo Redattore di Voice of America, di origini abruzzesi, di recente scomparso a Washington DC

di Raffaele Alloggia

L’AQUILA – Il 13 dicembre scorso è scomparso a Washington, dopo una dura battaglia contro un cancro al polmone condotta al George Washington University Hospital, il giornalista e reporter Ferdinando Ferella, 59 anni, figlio di emigranti abruzzesi di Paganica, la più grande frazione dell’Aquila. Nato nel 1952, a Rouen, dove i genitori erano emigrati, Ferdinando completa gli studi universitari iniziati in Francia, specializzandosi in giornalismo all’Università di Montreal, in Canada, dove sposa una canadese. Successivamente si trasferisce negli USA, a Washington, dove ha risieduto fino al 13 dicembre 2011. Dal 1980 al 1986 Ferdinando Ferella ha lavorato a Radio Canada International, per poi entrare come reporter in Voice of America (VOA) – radio governativa americana – dove per un quarto di secolo ha raccontato agli Americani le più grandi tragedie di quel periodo nel continente africano, tra le quali la guerra civile in Burundi e nel Camerun in occasione delle elezioni politiche, le guerre nella Repubblica del Congo e il genocidio del 1994 in Ruanda.

E’ stato uno dei giornalisti più famosi ed apprezzati in Africa Centrale ed in particolare in Congo, dove tornò nel 2006 per seguire le prime elezioni democratiche nel Repubblica Democratica del Congo.  Ferdinando Ferella, nella sua carriera giornalistica, ha intervistato tutti i più importanti presidenti e dittatori dei paesi di quella parte del continente africano. Nella Repubblica Democratica del Congo, a Goma, Ferella ha peraltro formato centinaia di giornalisti congolesi, con i quali era molto esigente e meticoloso, controllando il loro lavoro attentamente e aiutandoli ad affinare le abilità, conscio che avrebbero dovuto lavorare in un ambiente a volte molto pericoloso ed esplosivo. Alla sua morte, in ricordo, Voice of America in Africa ha predisposto una pagina commemorativa in francese sul suo sito web, dove sono subito pervenuti e pubblicati numerosi commenti, sia in inglese che in francese, insieme a contributi audio e video, nonché foto della sua carriera.

Come dicevo all’inizio, Ferdinando Ferella è d’origine paganichese. Ricordo bene quando da ragazzo egli tornava con i genitori a Paganica per passare le vacanze con i nonni. In quei giorni giocavamo insieme, alle aie del Colle. Per decenni poi ci siamo persi di vista, fino al 2004, quando tornò in ferie a Paganica, dopo che dal Congo era passato in Canada a prendere il figlio e in Francia a prendere sua madre. In uno dei quei giorni fu nostro ospite a pranzo, rilasciando anche una lunga ed interessante intervista al mensile d’attualità paganichese “Il Punto”.  In quelle poche ore tornarono in mente tutti i ricordi di gioventù. Gli raccontai, tra l’altro, che qualche anno prima avevo scritto una storia vissuta da suo nonno Ferdinando, che di seguito trascrivo.

Nel 1977 la Sezione Donatori di Sangue di Paganica ristrutturò una stanza dell’ex Carcere mandamentale, per utilizzarla come sede sociale. Un giorno Ferdinando, ormai vecchio, mi chiese se avrebbe potuto visitare il “camerone”, così lo chiamavano chi come lui vi era stato detenuto durante il Ventennio. Mentre salivamo verso il Castello, con il passo appesantito dagli anni, cominciò a raccontarmi le sue storie, fermandoci davanti al portone giusto il tempo di girare la chiave nella toppa ed aprire quella stessa porta dalla quale, quasi cinquant’anni prima, egli era uscito senza voltarsi indietro. Mi confessò che gli tremavano le gambe. Cercai di sdrammatizzare, ma capii bene che doveva essere forte la sua emozione mentre ripensava al suo passato. Varcato il breve tratto dell’androne, ci trovammo sul ballatoio in cima alle scale. Alla vista del cortile interno, dove i reclusi passavano l’ora d’aria, iniziò a raccontare, quasi un fiume in piena, come i reclusi trascorrevano quelle giornate, fino a quando un groppo in gola gl’impedì di proseguire. Entrammo nel “camerone”e, di nuovo, fu assalito dai ricordi. Scrutava il pavimento come se avesse perduto qualcosa, fin quando fissò lo sguardo su un punto dove era graffito il suo nome, inciso sulla pietra con un chiodo durante la sua detenzione. Solo un gesto, le parole si smorzarono e la sua commozione prese anche me. Poi altri nomi, altre vicende umane che sono parte della nostra storia, con il loro triste bagaglio di sofferenza e privazione del bene più alto, quello della libertà, duro da digerire, per piccole responsabilità in diatribe tra poveri cristi. Conclusa la visita, prima di uscire in strada, egli cacciò la mano nella ”mariola” tirando fuori una bottiglietta da un quarto, quella della gassosa di una volta, piena di vino. Trasse da una tasca un bicchiere di vetro ottagonale e volle che bevessi prima di lui alla salute di tutti i donatori di sangue. Espresse, così, tutta la sua gratitudine verso i donatori di sangue, per aver trasformato quel “camerone” da luogo di sofferenza e repressione, anche in ragione delle idee politiche odiate e perseguite durante il Ventennio, a luogo d’incontro e d’impegno sociale. Ero a stomaco vuoto, ma non me la sentii di rifiutare – dopo quella lezione di vita vissuta – quel bicchiere di vino che, anche se a digiuno, mi fece veramente bene”.

Mentre raccontavo questa storia al Ferdinando giornalista e Capo redattore di Voice of America, egli guardava sua madre, attonito. Le chiese conferma dei fatti che gli avevo raccontato ed il perché lei non gliene avesse mai parlato. In risposta la madre gli disse che all’epoca emigrarono in Francia proprio perché in tal modo intesero cancellare dalla memoria quel passato, poiché tante furono le ripercussioni che ne ebbe suo nonno. Il nostro concittadino reporter, a quel punto, volle vedere assieme al figlio sedicenne quella pietra incisa. Suo figlio non conosceva la nostra lingua, ma quando vide il nome “Ferdinando” inciso sul pavimento, sbalordito ne chiese il perché. Il padre gli tradusse ciò che aveva appena sentito per la prima volta. A quel punto, abbracciati, piansero a lungo su quella pietra, evitando di calpestarla come fosse una lapide. Prima di ripartire, chiesi a Ferdinando di mandarmi i suoi articoli, senza curarsi della traduzione. Più tardi mi scrisse un’e-mail di ringraziamento, tra l’altro grato per avergli fatto conoscere una storia importante della sua famiglia, della quale altrimenti mai sarebbe venuto a conoscenza. Anche se da allora eravamo rimasti in frequente contatto, mi aveva sempre tenuto nascosto quel terribile male. Da un po’ di tempo non rispondeva più alle mie e-mail, così come non aveva risposto agli Auguri di Natale che gli avevo inviato all’inizio di dicembre, proprio mentre la sua vita se ne stava per andare.

alloggiaraffaele@gmail.com

Intervista al Presidente del Congo

Ferdinando Ferella

Ferdinando con un paganichese

Ferdinando con gli aspiranti giornalisti Congolesi




USA. REMO DE LUCA: IL “LUPO ITALIANO” DI SANGUE ABRUZZESE di Lino Manocchia


Si fa presto a dire “Guerra”,pensare ad un inferno di ferro e fuoco, di corpi umani straziati.La Guerra sembra lontana, purtroppo pero’ e’ sempre in agguato’ e disponibile come una poltrona di un cinema.

Di guerre  si legge dappertutto, mediante manifesti, giornali, foto e….libri; come” “The ITALIAN WOLF”  di  Remo De Luca,scritto,con il coautore Vito Lo Presti, presenta in maniera limpida e credibile dal figlio Antony V.De Luca,, diplomato dal College of Pharmacy and Healt Sciences del Massachusetts, autore e produttore di libri e documentari  cinematografici, il quale ha dato il suo autorevole apporto al testo del libro  del padre: la storia vera di un soldato e due guerre,” che vedra’ la luce a breve distanza.

Chi in Guerra e’ stato,trovera’. nel libro, che cosa ha spinto De Luca a mettere

sulla carta episodi, momenti, giorni,sofferenze  che resero il giovane teramano,

sempre piu’forte e gentile come il suo Abruzzo.

De Luca crebbe nel tumultuoso periodo della Seconda Guerra mondiale.Giovane fascista ,   Remo ebbe luogo di incontrare “rispettabili nazisti”,e  “fascisti asassini”, .Dopo aver lottato con i Partigiani, per cacciare i teutonici soldati dall’Italia , De Luca emigro’ in America. Ottenuta la cittadinanza americana,  fu

chiamato alle armi ed inviato –cecchino-in Korea dove “incontro” infamia e orrore confermando quanto conosceva:”La guerra offre sempre   qualcosa di buono, ma molto di male.”

Giustamente e coscentemente il grande generale Dwight Eisenhower affermava: “Odio la Guerra  soltanto come soldato  che ha vissuto,come chi ha visto , le sue brutalita’ e la sua stupidita’.”

Per suo berneficio, Remo De Luca chiuse l’odissea coreana dopo un intenso “love “affair” con Momoko,  una ricca  magnifica giapponese che “lo aiuto’ tra l’altro, a dimenticare le esperienze vissute e comprendere sia l’amore  che  i tradimenti “,

Tornato nella Patria adottiva si dedico’ al “business, e alle poesia.

“Dedico questo libro alla memoria di mio padre Romolo De Luca,multi decorato veteranodella Prima Guerra Mondiale e quella Libica. Mio padre visse parte della sua esistenza nelle Americhe, senza mai dfimenticare il forte amore per la famiglia  che libero’ dalla schiavitu’ del Fascismo, durante la Seconda Guerra Mondiale.”

L’AUTORE

Ha vinto il Premio di narrativa, dell’ottava edizione del Premio Maiella diventando, per un anno, ambasciatore degli autori italiani nel mondo.

Vulcanico,dalla mente fresca,teramano settantenne guida il suo veloce fuoribordo ancorato in Florida dove trascorre meta’ dell’anno freddo,per far ritorno d’estate,a Rockaway nello stato del New Jersey dove vive con la consorte, gentile signora Anna Martinez.

Miscela esplosiva di estro e calcolo,il teramano-americano puo’ benissimo appartenere alla lunga lista dei figli migliori di nostra terra..

Ha il gusto dell’avventura e si vede,ama l’Abruzzo,e si vede,

Se chiedete a Remo “Che c’e’ in te di Abruzzese? Vi dira’: L’orgoglio della mia terra, della mia gente che ho seminato nel mondo. E’ il sentimento delle mie radici,della mia origine,”

Remo De Luca e’ “il Lupo italiano”, nel titolo del libro, nei sentimenti,nella volonta’ di vivere.

Auguri vecchio Lupo della Maiella.
(Foto De Luca ed il nipotino Romolo, come il nonno paterno.)

LINO MANOCCHIA




Tunisia. L’ANFE Tunisie per una migliore integrazione dei flussi migratori

L’ANFE Tunisie per una migliore integrazione dei flussi migratori

di Fabio GHIA *

TUNISI – Dopo tre anni di battagli burocratiche non indifferenti, finalmente l’ANFE Tunisie (www.anfetunisie.com) ha aperto i battenti. Associazione senza fini di lucro, a statuto giuridico tunisino, a similitudine della paritetica Organizzazione italiana con 15 Sedi Regionali e 16 all’estero, l’ANFE Tunisie agisce a sostegno delle famiglie degli emigranti, per favorirne l’integrazione preservandone la cultura di origine, i valori di base della società di riferimento e gli interessi degli italiani all’estero. Alla base di tutto l’ANFE pone la famiglia intesa come base di sviluppo dell’intera società, a prescindere dal paese di provenienza.  Dovunque si vada, non si può, infatti, dimenticare le proprie origini. In particolare, per noi italiani, dimenticare le nostre origini ci rende più vulnerabili, indebolendo sempre più quei principi non derogabili della nostra civiltà.

La realtà di oggi in particolare in Europa, ci pone di fronte ad un “tentativo di cambiamento” imposto da una civiltà ben diversa dalla nostra. I musulmani in Europa sono in costante crescita (il doppio delle altre confessioni monoteiste e, a partire dal 2030, ne è prevista una escalation iperbolica) e l’Islam impone ai propri adepti comportamenti e tradizioni sociali che spesso sono in completa antitesi con le nostre. E’ il caso del “matrimonio”, della “condizione femminile” e delle “responsabilità del padre in ambito familiare”. La diversa interpretazione che l’Islam dà, in particolare, del concetto di “famiglia” (basti considerare la poligamia, ancora in uso in molti Stati arabi e il contesto patriarcale in ambito familiare) si manifesta in Italia sia nel tessuto sociale locale, con i fatti quotidiani di violenze, sequestri e obblighi comportamentali, sia all’estero nei numerosi casi di matrimoni interreligiosi tra una cristiana e un musulmano. Di questi, l’80% è destinato a un triste divorzio nei primi dieci anni di matrimonio, con inevitabile trasferimento e assegnazione dei figli al padre di religione musulmana. Sul dialogo interculturale con le comunità musulmane, io credo che, nel pieno rispetto delle differenti culture di origine, una migliore integrazione dei musulmani in Italia possa avvenire solo attraverso una più approfondita conoscenza dei differenti valori che sono alla base della società italiana.

Ecco quindi e in definitiva, la necessità di riconoscere il valore portante dell’interpretazione data dall’ANFE Tunisie alla “famiglia”, attraverso la difesa dei migliori valori della nostra identità, anche in settori quali l’assistenza alle famiglie musulmane in Italia sulle “violazioni ai diritti dell’uomo” (violenze e altro sulle donne), nonché sulle cittadine italiani che incorrono in esito negativo di un matrimonio interreligioso.  Oltre questo obiettivo culturale ritenuto fondamentale, l’ANFE Tunisie si prefigge anche di “creare dei riscontri efficaci tra il fenomeno della migrazione e lo sviluppo dei paesi di origine, di destinazione e di transito”, l’ANFE ha intravisto la possibilità di meglio coordinare l’afflusso di mano d’opera tunisina in Europa, organizzando in accordo con le Istituzioni locali (ANFE locale, Comuni, Regioni, ecc.) degli appositi “corsi formativi” (lingua italiana, educazione civica, differenze di retaggio culturale, previdenza/assistenza, ecc) sul luogo di origine dei flussi migratori, ancor prima che il migrante inizi il suo  nuovo percorso”.

Nella sostanza, l’ANFE Tunisie è la prima ONG che si prefigge di facilitare il dialogo interculturale, in particolare tra italiani e tunisini, sviluppandone lo spirito di solidarietà e promovendo attività culturali e professionali per una migliore integrazione nei paesi di residenza dei nuovi immigrati.  Fornisce, inoltre, assistenza nei contenziosi giuridico – legali, sia di natura commerciale che del diritto di famiglia, anche in termini extragiudiziali, per un utile comune risultato basato sulla mutua comprensione ed il rispetto delle differenze culturali e sociali delle diverse comunità di appartenenza. Per qualsiasi approfondimento e informazione, consultare il sito: www.anfetunisie.com.

*Presidente ANFE Tunisia




USA. L’Abruzzo ha perso il suo pilastro in California: Giulio Inglese di Dom Serafini

Ap – Abruzzesi nel mondo


L’Abruzzo ha perso

il suo pilastro in California:

Giulio Inglese

di Dom Serafini

Ai primi di dicembre è deceduto a Los Angeles Giulio Inglese, uno dei pilastri della comunità abruzzese della California. Il 25 dicembre avrebbe compiuto 78 anni. Sempre pronto ad aiutare a realizzare progetti, Giulio era il punto di riferimento per qualsiasi cosa abruzzese.

Alcuni lettori avranno familiarità con vari articoli sulla sua formidabile raccolta di fichi da due piante che aveva importato nel sud della California dalla nativa Sulmona (Aq) nel 1962, oppure sui resoconti della sua attività come componente del Consiglio Regionale degli Abruzzesi nel Mondo dal 2000 al 2008.

Ma ci sono altre cose su Giulio (Steve per gli amici americani che altrimenti lo avrebbero chiamato Ghuilio) che, purtroppo, fanno notizia solamente dopo la sua scomparsa.
Poco dopo essere arrivato a Los Angeles nel 1955 per raggiungere I fratelli Ennio e Bart, si mise subito a disposizione della comunità italiana per la realizzazione della Casa Italiana presso la chiesa di St. Peter. In seguito aiutò a fondare Villa Scalabrini, la casa di riposo per gli italiani anziani. Quindi, prima come vice presidente, poi come presidente, Giulio ha servito la filiale 67 dell’Italian Catholic Federation per ben 12 anni a partire dal 1959. In seguito Giulio co-fondó l’Associazione Abruzzesi e Molisani della California, dove ha servito come vice presidente e tesoriere.

Seppur primariamente per l’Abruzzo, le sue attività erano rivolte a tutti gli italiani come organizzatore delle feste di Columbus Day, tesoriere del Club Italia e di Santa Lucia
Society, e socio di varie associazioni italo-americane, tra cui Unico. Ci racconta il suo amico Tony Ghezzo che per arrivare negli Usa, Giulio era passato attraverso il Venezuela dove era emigrato all’etá di 16 anni, dopo soli due anni di scuola superiore, per raggiungere suo padre. Quattro anni dopo, come caposquadra meccanico impegnato a modernizzare il sistema ferroviario di Caracas, era già in grado di aiutare altri immigrati italiani a trovare lavoro. Arrivato negli Usa volle completare gli studi, ma due anni dopo fu chiamato alle armi dove ottenne il grado di sergente e quindi riuscì a laurearsi come ingegnere meccanico solamente dopo sei anni. Nel 1971 venne assunto da DW&P, la societá fornitrice di acqua ed elettricità a Los Angeles dalla quale é pensionato nel 1998.

Raggiunto al telefono per aiutare a fare un sondaggio fra gli italiani, Giulio aveva detto:

«Dom, sto andando all’ospedale per la chemioterapia. Appena torno, mi metto al lavoro.»

Non é più tornato. Giulio lascia la moglie Mercede ed i figli Roberto e Davide.

Nella foto: Giulio Inglese con il figlio Roberto, la moglie Karen e le nipote gemelle.




USA. LA COMUNITA’ ITALIANA DI CALIFORNIA IN LUTTO PER LA PERDITA DI STEVE GIULIO INGLESE

LA COMUNITA’ ITALIANA DI CALIFORNIA IN LUTTO PER LA PERDITA DI STEVE GIULIO INGLESE

di Tony Ghezzo

LOS ANGELES – Spesso la perdita di un caro amico causa gran dolore e angoscia alle persone che lo conoscevano, lo stimavano ed erano parte della sua vita. Specialmente nel caso di Steve  Giulio Inglese, molte sono le persone che sono rimaste paralizzate dal dolore quando hanno saputo della sua improvvisa scomparsa. Steve era amato da tutti coloro che avendolo conosciuto di persona lo apprezzavano intensamente per la sua sincerità e per il suo modo palese di affrontare i problemi. Era amato da tutti coloro che lo conoscevano per il modo semplice e sincero di conversare. Steve, probabilmente per il fatto che fin da giovane si era dovuto adattare ad una vita molto complessa, aveva un’attitudine semplice e genuina verso i problemi di ogni genere, per Steve era importante risolvere i problemi non di ricercarne le cause. E lo faceva sempre con pazienza e con una congenita disinvoltura. Tutti coloro che avevano avuto la fortuna di conoscerlo di persona, sono rimasti profondamente addolorati quando hanno saputo della sua morte. La comunità italiana lo ha sempre considerato un pilastro sul quale potevano contare fiduciosi e costruirci sopra un edificio. Steve aveva una famiglia modello, grazie anche alla moralità di Mercede, la moglie adorata; insieme avevano insegnato ai loro figli la via della rettitudine e dell’onore. Stefano era anche una persona intelligentissima ed umile allo stesso tempo, una persona ben preparata avendo saputo imparare dall’esperienza della vita. Steve era anche una persona pratica che con l’aiuto di arnesi era capace di costruire nel suo garage qualsiasi oggetto o qualsiasi strumento.

Ricordo quando qualche anno fa Steve mi accennò che entro due settimane sarebbe partito per il Cile quale delegato del CRAM della Regione Abruzzo per rappresentare gli Abruzzesi della California nella convenzione internazionale di Santiago. Mi spiegò che nella capitale del Cile avrebbe incontrato i delegati abruzzesi di 32 nazioni allo scopo di consolidare non solo i rapporti tra le varie comunità abruzzesi di differenti parti del mondo, ma di escogitare il modo più effettivo per sovvenzionare le sedi più bisognose in paesi poveri e costruire scuole dove i figli di emigranti italiani potessero studiare ed imparare la gloriosa storia della madre patria, l’Italia. Il soggetto m’interessò subito, per cui gli feci una serie di domande, concludendo che avrei avuto piacere di partecipare al viaggio a Santiago. Steve mi disse che la Regione Abruzzo avrebbe provveduto a coprire le spese di viaggio e di soggiorno ma solo per lui; Mercede invece, avrebbe dovuto pagare tutte le spese, compreso il viaggio in aereo. Dissi a Steve che se mi fossi unito a loro avrei provveduto a pagarmi il viaggio al completo, incluse le spese di soggiorno in hotel ed altre eventuali. Avendo ottenuto il consenso di di unirmi a loro nel viaggio in Cile, Steve ed io ci recammo ad un’agenzia turistica in Pasadena, agenzia specializzata in viaggi nel Sud America. L’agenzia è ubicata nel Colorado Blvd e la titolare dell’agenzia era una simpatica signora nativa dell’Argentina la quale fu la persona ideale per preparare una raccolta di informazioni che avrebbe compreso la prenotazione degli alberghi e delle escursioni, molto interessanti, incluso un soggiorno di qualche giorno a Buenos Aires in Argentina, uno a Rio di Janeiro in Brasile ed un’escursione delle famose cascate di Iguazu, le più grandi cascate nel mondo ed una fantastica crociera sul fiume Iguazu. Tutto insieme fu un viaggio meraviglioso che rimarrà sempre nella nostra memoria. Sono contento che Steve acconsentì a fare quel viaggio in Sud America perché quello fu in verità il suo ultimo viaggio turistico, prima di lasciare per sempre la famiglia e gli amici.

Steve Giulio Inglese era nato a Sulmona, in Abruzzo, il 25 dicembre 1933. Frequentò le scuole locali dove completò due anni di scuole medie-superiori. Nel 1949, all’età di 16 anni, emigrò a Caracas, nel Venezuela, dove il padre lavorava già da qualche anno. Steve fu assunto in una fabbrica meccanica e nel 1953 fu promosso supervisore. Successivamente, lavorando in tandem con il caporeparto, ebbe l’opportunità di ottenere un importante contratto con l’agenzia governativa responsabile per la modernizzazione delle ferrovie nel Venezuela. Steve, che è sempre stato un genio per la costruzione di strumenti nuovi, inventò uno scambio ferroviario che fu istallato immediatamente in tutte le ferrovie venezuelane. Durante questo periodo, avendo conosciuto di persona dei funzionari italiani, riuscì con il loro consenso ad aprire un’agenzia di collocamento per emigranti italiani appena giunti dall’Italia. Nel 1955 Steve emigrò negli USA, a Los Angeles, dove si riunì finalmente con i suoi due fratelli Ennio e Bart. Motivato dal desiderio di migliorare il suo grado d’istruzione, nel febbraio del 1956, Steve si iscrisse all’Università di Valley College di Los Angeles, dove riuscì a frequentare solo un anno prima che il governo lo reclutasse nell’esercito americano, nell’aprile del 1957. Dopo due anni nel US Army fu congedato con il grado di sergente e fu felice di tornare a studiare al Valley College di Los Angeles, dove ottenne un diploma (bachelor) in ingegneria meccanica e di computer processing.

Verso la fine del 1959 divenne membro dell’ICF (Federazione Cattolica Italiana) #67, quando Fr. Luigi Donanzan divenne Pastore della Chiesa di San Pietro in Los Angeles. Divenuto presidente della ICF #67, fu scelto a far parte della Commissione per generare fondi per la costruzione della CASA ITALIANA che fu costruita nell’adiacenza della Chiesa di San Pietro ed alcuni anni dopo per la costruzione della VILLA SCALABRINI, per ospitare persone anziane d’origine italiana. Successivamente, divenuto membro della Federated, fu eletto Assistente V.P. per la celebrazione dell’Anniversario di Cristoforo Colombo. Nel 2002 fu membro di Unico, della  Società Santa Lucia, del Club Italia, fu fiduciario dell’Associazione Abruzzesi & Molisani di California, co-fondatore e presidente della Commissione delle Città Gemelle e delegato US del Consiglio Regionale degli Abruzzesi nel Mondo (CRAM).

Nel 1971 Steve fu impiegato nella Società dell’Acqua e dell’Elettricità di Los Angeles (L.A. Department of Water & Power) dove si distinse con onore per 27 anni; durante gli ultimi 18 anni in qualità di Caporeparto. Negli ultimi mesi del 2000 Steve fu eletto Delegato US del Consiglio Regionale dell’Emigrazione e dell’Immigrazione in Abruzzo e, nel 2005, Delegato US del Consiglio Regionale degli Abruzzesi nel Mondo. In questa veste, autorizzato dalla Regione, ha viaggiato in diverse nazioni del mondo per partecipare a conferenze internazionali allo scopo di migliorare i rapporti con la Regione e per provvedere aiuti economici e assicurazione sulla salute agli Abruzzesi residenti in paesi poveri.

Nel 1999, per conto degli Abruzzesi & Molisani di California, Steve ebbe un ruolo importante nello tessere rapporti di amicizia tra il Sindaco John Greiner della città di San Juan Capistrano in California ed il Sindaco Nemo Di Fiore di Capestrano, in Abruzzo, al fine di promuovere il gemellaggio tra le due città che presto divenne una realtà ufficialmente sancita nella Missione di San Juan Capistrano il 23 ottobre 2000 con la partecipazione del Console Generale d’Italia a Los Angeles, Massimo Roscigno e dell’Assistente Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, Rubens Piovano. Nell’ottobre 2003 Steve fu onorato dalla città di Capestrano, in provincia dell’Aquila, con un riconoscimento per il suo impegno nel portare a compimento il progetto delle Città Gemelle e riconosciuto con onore dalla Federazione delle Associazioni Abruzzesi in USA (FAA-USA) con il “Distintivo D’Oro” (Golden Pin Award) in riconoscimento del lavoro fatto per mettere in luce il programma degli Abruzzesi & Molisani di California e per aver rappresentato con onore le Associazioni Abruzzesi negli USA nel Consiglio Regionale degli Abruzzesi nel Mondo.

Nel 1965, 46 anni fa, Steve a Pescara aveva  conosciuto Mercede, donna attraente e sensibile che due mesi dopo sposò a Sulmona. Dalla loro unione nacquero due figli, Roberto e David. Oggi essi hanno tre figli ciascuno. Roberto è sposato a Karen e dal loro matrimonio sono nati Miranda, Nicola e Gianna. David è sposato a Cristina (ex Miss El Salvador) ed hanno un maschietto e due bambine gemelle. La comunità della California desidera estendere a Mercede Inglese, ai figli Roberto e David e alle rispettive famiglie sincere condoglianze per la perdita del nostro amato Steve, come pure a Bart, fratello minore di Steve, e alla sua famiglia. Steve Giulio Inglese lascia nella comunità italiana di California una grande eredità di affetti e di buon esempio. Egli ha davvero reso onore, con la sua vita, alla città natale di Sulmona, all’Abruzzo e all’Italia.

tony.ghezzo@charter.net




Argentina. I GIOVANI, CIFRA DELLA FEDAMO RIUNITA A ENSENADA

I GIOVANI, CIFRA DELLA FEDAMO RIUNITA A ENSENADA

BUENOS AIRES – Il 26 novembre la città di Ensenada ha ospitato la riunione di fine anno della FEDAMO (la Federazione di Istituzioni Abruzzesi in Argentina). Diversi i temi trattati: l’analisi delle attività portate avanti nel 2011 dalla Federazione e la programmazione di quelle da intraprendere nel nuovo anno. Tra i progetti futuri la realizzazione del 3° Congresso Internazionale dei Giovani Abruzzesi, dopo il grande successo raccolto nelle due precedenti edizioni svoltesi a livello nazionale a Mar del Plata grazie all’organizzazione del consigliere Cram, Joaquin Negri.

Nel corso della riunione si è discusso anche dell’incontro CRAM 2011 tenutosi a Pescara e della possibilità di pubblicizzare il turismo abruzzese in Argentina: il primo passo sarà l’organizzazione, per il prossimo anno, di un viaggio in Italia con particolare interesse verso alcune zone dell’Abruzzo. L’incontro si è concluso con un brindisi per l’anno trascorso e per la constatazione del gran numero di giovani che attualmente fanno parte della FEDAMO. Al tavolo della riunione i partecipanti erano per metà adulti e per metà giovani: elemento raro e significativo per una Federazione che vuole rappresentare le radici di una regione. Infatti sono pochi i le comunità abruzzesi  nei vari Paesi del mondo che possono vantare una tale forza di giovani, che prendono parte attivamente alle decisioni insieme ai membri più adulti.

Questa gioventù, che si impegna perché sempre più giovani entrino nella Federazione, è capitanata da Joaquin Negri, Ana Cordoba, Maximiliano Manzo, Jeronimo Traglia, Federico Mandl, Mariano Stenta, Florencia Verna, Marcos Ramundi, Cecilia Malatesta, Mauricio Verna e molti altri ancora. Tutti,  in ognuna delle associazioni della FEDAMO, lavorano duro per dimostrare che non bisogna essere adulti per far parte del direttivo e di conseguenza per avere voce nelle decisioni della Federazione.

Tutto ciò è possibile solo grazie ai molti anni di forte impegno, come si può constatare grazie alle relazioni dei vari delegati presenti alla riunione: durante gli anni ’90, infatti, i pochi giovani che cercavano di avvicinarsi alla FEDAMO erano frenati dal carattere conservatore dei dirigenti del tempo; col  passare degli anni però, soprattutto grazie alla spinta di Fabio Marraffini (ex consigliere Cram) e Natalia Turanzas Marcos (ex presidente dell’Associazione Abruzzese “ Villa San Vincenzo di Guardiagrele”, San Martin) si è giunti ad un’importante conquista: ogni associazione deve essere rappresentata da un giovane in ogni riunione della FEDAMO.

Successivamente, sotto la presidenza di Giovanni Scenna e di Alicia Carosella, oggi, per i giovani è diventato molto più facile partecipare, tanto che per ogni progetto presentato, la Federazione non fa altro che aiutarli nella realizzazione. L’incontro si è protratto fino a tarda notte e tutti i delegati delle associazioni abruzzesi si sono intrattenuti a ritmo delle canzoni abruzzesi di Maximiliano Manzo.

Federico Mandl