Missione USA / Canada – Report Anche quest’ anno abbiamo incontrato le comunità di italiani all’ estero

Missione USA / Canada –    Report

Anche quest’ anno abbiamo incontrato le comunità di italiani all’ estero, per la quarta volta, dopo oramai sei edizioni della rassegna “Giornate dell’ Emigrazione”.   E’ importante far partire i progetti, pensarli, avviarli. Ma forse ancora più difficile è consolidarli, evitare che evaporino come fumo nell’ aria. E dopo sei edizioni di successo, attraverso tantissimi momenti in Italia ed incontri in U.S.A. , Argentina, Brasile, Canada, possiamo dire senza presunzione di vivere una realtà consolidata.

Siamo da poco rientrati da New York, Toronto e Montreal. La delegazione Asmef, guidata da chi scrive, assieme a Valeria Vaiano, Alessandra Laricchia, Mariangela Petruzzelli, ed altri (nove in totale), ha partecipato al Columbus Day, organizzato una bellissima mostra in collaborazione con Entropyart e all’ artista Anna Maria Pugliese che ci accompagnava, presso il prestigioso Columbus Center di Toronto, incontrato comunità ed associazioni a Montreal. Confermati gli incontri ufficiali previsti dal programma, con i consoli Natalia Quintavalle ( New York ), Gianni Bardini ( Toronto ) , Giulio Picheca ( Montreal ) .

Qualche considerazione.

Anticipo subito di aver rilevato differenze abissali tra i due Paesi. Ho trovato gli americani nervosi, in difficoltà con sé stessi, poco fiduciosi nella vita e nel futuro. Tanti problemi ben noti alle cronache si toccano con mano. Intanto una forte imposizione di regole comportamentali, alle quali i cittadini da una parte mediamente credono; ma dall’ altra si vedono costretti a fuggire per difficoltà oggettive. E quindi ecco controlli rigidi già in aeroporto, confermati in strada; ma poi vedi tanti che ti chiedono dollari in tutti i modi, ai limiti della legalità (mance in qualche modo “ imposte” , addebiti tutti da verificare, piccoli furti nei negozi, etc.). Insomma una società in affanno. Tutti vogliono vendere di tutto, per far soldi. Soldi che evidentemente non ci sono. Ci si chiede: chi ha prosciugato le casse del globo? Sai, finché sei in Italia, i problemi li addebiti a Craxi, piuttosto che allo IOR, o all’ incapacità di chi governa ( e magari alla grande capacità di chi specula! ). Ma quando vedi l’America senza soldi, la grande mamma di tutti, paradiso nell’immaginario di ognuno e meta di milioni di migranti … Beh, allora davvero ti chiedi chi abbia prosciugato le casse del mondo. Ce la faranno a volare di nuovo? Non lo so, ma d’ istinto son portato a sperarlo, per il bene loro, ma credo anche di noi tutti. Resta commovente il Columbus Day. Ormai gli italo- americani qui sono americani. Dimenticate la Little- Italy, la valigia di cartone, leggende, canzoni, folklore. Tanto folklore lo vedi in una giornata come questa; ma lo devi leggere come rievocazione storica, non come vita quotidiana. Come dire, resta il senso di appartenenza, e la memoria. Ma se c’ è da mangiare spaghetti o hot- dog, magari si opta per il secondo. Del resto la maggior parte degli iscritti alle associazioni di campani incontrate, sono di età avanzata. Qualche lacrimuccia scappa ancora, ma i giovani sono altrove. Rimane la grande epopea della storia dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti. Ma è, appunto, storia. La realtà è un’ altra.

Poi c’è il Canada. Prego leggere quanto sopra, capovolgere i contenuti, e la descrizione è già fatta. Non mi riferisco agli emigrati, per i quali i discorsi sono analoghi. Ma alla società in sé. Per avere un’ idea, chi le abbia visitate provi ad immaginare le principali città del Nord Europa: ottimo welfare, pulizia urbana e sociale, economia stabile. Questo è il Canada. Ma proprio per questo è difficile entrare a farne parte, in pratica emigrarvi. Bisogna avere un contratto di lavoro già in mano, disponibilità economica, e cose del genere. Di fatto il Paese ospita “ Gens sana in corpore sano”, e diffidano di chi possa in qualche modo turbare equilibri più che soddisfacenti. Un episodio mi ha colpito. Eravamo al Columbus Center a Toronto, per la mostra di cui parlavo. Verso le 19,00 (noi stavamo per andare altrove) il direttore del centro Pal Di Iulio mi dice che sta attendendo il Primo Ministro per cena, e se avessi aspettato me lo avrebbe presentato. Così, come un ospite di riguardo, o poco più. In Italia ci sarebbero state sette auto blu, dieci guardie del corpo, otto veline, e poi richiesta di tremila referenze per chi doveva incontrarlo (problema che poi magari risolveva Lele Mora!). Con la differenza che a Toronto lo scenario esterno è una società sana, in piena crescita. Da noi,… beh, fate voi.

Chiudo elogiando l’ efficienza delle associazioni di italiani, come Comites e altri, bravi, disponibili, sorridenti. Anche loro italiani dentro, ma ormai canadesi di fatto.

Salvo Iavarone / Presidente Asmef / presidenza@asmef.it




Poesia: ancora un riconoscimento per la silloge “Senza sponde” di Tiziana Grassi Tra le diverse poesie dedicate al precariato, anche un omaggio a chi è emigrato

ecco un breve comunicato sul riconoscimento a Tiziana Grassi – giornalista, scrittrice, poetessa e studiosa di emigrazione – del Premio “Terzo Millennio” per la silloge “Senza sponde” . Il premio sarà consegnato sabato 22 ottobre nella Sala del Teatro dei Dioscuri a Roma.
Tiziana Grassi è autrice, con Mina Cappussi, del primo Dizionario dell’Emigrazione Italiana.
Con viva cordialità

Goffredo Palmerini

Poesia: ancora un riconoscimento per la silloge “Senza sponde” di Tiziana Grassi
Tra le diverse poesie dedicate al precariato, anche un omaggio a chi è emigrato

ROMA – La giornalista e studiosa di migrazioni Tiziana Grassi, autrice e curatrice del primo “Dizionario dell’Emigrazione italiana” con Mina
Cappussi
, è la vincitrice dell’11^ edizione del Premio “Terzo Millennio” per la sezione Poesia edita con la silloge “Senza sponde
(uscita nel 2010), versi di denuncia sociale sul precariato.

Il riconoscimento, promosso dalla Confederazione di Azione Popolare Italiana – CAPIT, verrà assegnato sabato 22 ottobre nella Sala del Teatro dei Dioscuri a Roma. Tra le personalità del Comitato d’Onore del “Terzo Millennio” il Presidente del Senato della Repubblica Renato Schifani, il Presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, il Direttore
Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Maurizio Fallace.

Sempre per il volume “Senza sponde” (Edizioni Nemapress), che comprende anche le poesie “I segni di un’identità, tra appartenenza e lontananza” e “In terra straniera“, dedicate a che ha vissuto l’esperienza dell’emigrazione, Tiziana Grassi ha già ottenuto il Primo Premio Internazionale di letteratura “Toscana in Poesia” assegnato lo scorso 15 maggio a Viareggio.

Il prossimo 23 ottobre 2011, presso la Sala Congressi dell’Hotel della Baia di Porto Venere (SP), Tiziana Grassi riceverà un ulteriore riconoscimento con il primo Premio internazionale di Letteratura, sezione Poesia edita, “Terre di Liguria“.




COLUMBUS DAY, MANIFESTAZIONE DELL’ORGOGLIO ITALIANO A NEW YORK La grande sfilata sulla Quinta Avenue, vissuta con la delegazione italiana dell’ANFE di Goffredo Palmerini

COLUMBUS DAY, MANIFESTAZIONE DELL’ORGOGLIO ITALIANO A NEW YORK

La grande sfilata sulla Quinta Avenue, vissuta con la delegazione italiana dell’ANFE

di Goffredo Palmerini

NEW YORK – Corrono 519 anni da quel 12 ottobre 1492 quando Cristoforo Colombo scopri’ l’America, il nuovo mondo. Sono invece 67 anni che qui a New York si commemora l’impresa del navigatore genovese e il contributo degli immigrati italiani allo sviluppo della nazione americana. Fu infatti Generoso Pope, un italiano della Grande Mela ad iniziare, nel 1929, la celebrazione del Columbus Day con una parata che da East Harlem scendeva fino al monumento dedicato a Cristoforo Colombo, al Columbus Circle, l’angolo sud di Central Park che guarda l’Ottava Avenue. Sin dall’origine il Columbus Day e’ la manifestazione dell’orgoglio italiano per eccellenza, qui a New York come in tutti gli States, mantenendo l’originario spirito solidaristico verso i connazionali bisognosi che Pope impresse alla manifestazione e che oggi si traduce in una cospicua raccolta di fondi da parte della Columbus Citizens Foundation, destinati in gran parte a borse di studio per mantenere vive in America le radici della nostra cultura, l’italian heritage. Dunque, non una manifestazione di folclore italiano, come a prima vista talvolta potrebbe apparire, ma davvero un’occasione annuale per esprimere l’orgoglio della comunita’ italiana, le eccellenza della nostra cultura, il contributo italiano alla crescita e alla storia degli Stati Uniti d’America. Tutti elementi che nel Columbus Day si fondono, in un caleidoscopio d’emozioni profonde, palpabili.

Quest’anno chi scrive puo’ raccontarle non da spettatore, ma dal di dentro, quale componente della delegazione italiana dell’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (ANFE), ente morale fondato nel 1947 dall’aquilana Maria Federici, deputata nell’Assemblea Costituente. L’ANFE ha un posto di rilievo nel Columbus Day, per lo stretto rapporto che da anni lega l’associazione alla Columbus Foundation, la fondazione che organizza l’annuale evento oltre a tant’altre attivita’ sociali e culturali. Guida la delegazione il sen. Learco Saporito, presidente onorario dell’ANFE, con il direttore generale, Gaetano Cala’, con Fabio Ghia, delegato della Tunisia, chi scrive, delegato dell’Abruzzo, e Anthony Tufano, delegato Usa e coordinatore delle sedi ANFE all’estero, che qui e’ anche Console onorario d’Italia a Mineola, nello Stato di New York. L’ANFE e’ una delle associazioni storiche dell’emigrazione italiana, certamente la piu’ importante per la dimensione dell’opera sviluppata sin dalla sua fondazione. Presente in Italia con sedi in quasi tutte le province, l’ANFE ha una rete di rappresentanze all’estero nei principali Paesi a forte emigrazione.

Ma ora torniamo alla cronaca del Columbus Day, che tiene la Parata sempre nel Lunedi’ piu’ vicino al 12 ottobre. Quest’anno cade il 10. Sono le 9 di mattina, quando raggiungo la Cattedrale di St. Patrick. Gia’ dietro le transenne, sulla Quinta Avenue, il pubblico comincia a prendere posizione, mentre lungo la piu’ famosa ed esclusiva strada di New York c’e’ gia’ il viavai del servizio organizzativo, i poliziotti agli incroci, i vari gruppi che si dirigono ai luoghi d’ammassamento, tra la 45^ e 46^ Street. Gran fermento davanti alla Cattedrale, dove mi unisco alla delegazione. L’annuale Messa solenne del Columbus Day, celebrata dall,’arcivescovo di New York, è un’occasione di riflessione sui milioni di uomini, donne e bambini che sono giunti in America alla ricerca di liberta’ e di migliori opportunita’ di vita e sulla fede che li ha aiutati a superare sacrifici ed avversita’. Riconoscibile dai due svettanti campanili, la Cattedrale di St. Patrick e’ un monumento assai visitato. E’ la più grande chiesa degli Stati Uniti, decorata in stile neogotico. Fin dalla posa della prima pietra, avvenuta nel 1858, la cattedrale è stata al centro della vita di New York, anche se la gente riteneva che sorgesse troppo a nord dell’allora centro residenziale e commerciale della città. Oltre allo splendore della struttura architettonica, la cattedrale vanta vetrate colorate eseguite a Chartres, Birmingham e Boston, mentre il rosone è di Charles Connick, forse il più grande artista di questo genere nella storia americana. Gli altari di St. Michael e St. Louis furono progettati da Tiffany & Co, mentre quello di St. Elizabeth è di Paolo Medici di Roma.

Si e’ in attesa dell’ingresso al tempio, per la Messa solenne. Alle porte c’e’ un rigoroso controllo degli inviti e all’interno del rispetto dei posti assegnati, nelle due file centrali: le personalita’ americane, i dirigenti della Columbus Foundation, gli esponenti della comunita’ italiana di New York, gli invitati delle delegazioni giunte dall’Italia. Alle 9 e mezza in punto inizia la celebrazione, con un lungo processionale di chierici, sacerdoti, vescovi e prelati concelebranti, tra cui il Nunzio apostolico mons. Francis Chullikan, osservatore permanente della Santa Sede all’ONU, e il cardinale Edward Egan, arcivescovo emerito di New York. Presiede la celebrazione mons. Timothy Dolan, arcivescovo di New York. L’organo suona le note possenti del Preludio, l’andante dalla Sonata Op. 65 di Felix Mendelssohn, cui segue l’inno d’ingresso cantato dal Coro della Cattedrale. Alternate in inglese e italiano le letture. L’omelia e’ affidata a mons. Peter Vaghi, dell’Arcidiocesi di Washington DC. E’ un’intensa celebrazione. Joseph Sciame, esponente di spicco della comunita’ italiana e presidente dell’Italian Heritage and Culture Month Committee, a fine Messa saluta l’arcivescovo. Il sacro rito, sorprendentemente per me, si conclude cantando gli inni nazionali italiano e americano. Poi le belle parole dell’arcivescovo Dolan rivolte alla comunita’ italoamericana, quindi il saluto che egli porta con una calorosa stretta di mano al nostro Ambasciatore a Washington, Giulio Terzi di Sant’Agata,  che del Columbus Day ha seguito i principali eventi, insieme al Console generale di New York, Natalia Quintavalle, da poco alla guida dell’importante sede consolare.

Le manifestazioni del Columbus Day avevano avuto un’anteprima sabato sera con il Gran Gala al Waldorf Astoria, presenti il nostro Ambasciatore e il Console generale, il Governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, l’ex Governatore Mario Cuomo, il vescovo di Brooklyn, Nicholas Di Marzio, il generale Leonardo Leso, consigliere presso la nostra missione all’Onu, il Commissioner del Dipartimento dei Vigili Fuoco, Salvatore Cassano, origini campane, e molti altri. Ovviamente, tutti gli esponenti della Columbus Foundation, in primis il presidente Frank Fusaro, il Grand Marshall della Columbus Day Parade, Joseph Plumeri, e Louis Tallarini, Chairman del Board of Governors. Molte le personalita’ di rilievo della nostra comunita’ a New York presenti al Gala, lungo sarebbe citarle. Oltre mille, riportano le cronache, gli invitati all’evento che contribuisce a raccogliere fondi per le attivita’ filantropiche della Fondazione, tra cui ben 500 borse di studio a studenti meritevoli che altrimenti non potrebbero continuare gli studi. Numerosi i messaggi d’augurio giunti per il Columbus Day, a cominciare dalla “Proclamation” pronunciata dal presidente Barack Obama. Nel corso del Gala Frank Fusaro ha voluto richiamare i messaggi del Governatore Andrew Cuomo e del Sindaco di New York Michael Bloomberg, il quale ha messo in evidenza  l’impulso dato alla citta’ da italo-americani come La Guardia, Di Maggio, Cuomo e Giuliani. Domenica mattina l’edizione n. 67 del Columbus Day era iniziata con la tradizionale deposizione della corona sotto la stele di Colombo al Columbus Circle, con l’Ambasciatore, Giulio Terzi Sant’Agata, il Console generale, Natalia Quintavalle, il presidente della Columbus Foundation, Frank Fusaro, il Grand Marshall, Joseph Plumeri, il Chairman Louis Tallarini. e Joseph Guagliardo, presidente del National Council of Columbian Associations in Civil Service. Presente alla cerimonia anche una delegazione di Vigili del Fuoco italiani, guidata da Robert Triozzi, comandante per le Nazioni Unite del “Fire Rescue Developement Program“, con sede in Roma. Nel pomeriggio un magnifico concerto al Lincoln Center con l’Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari, diretta dal Maestro Alberto Veronesi.

E’ quasi l’ora della sfilata. Intorno a mezzogiorno, di solito, muove la testa del corteo. Siamo in attesa all’incrocio con la 45th Street. E’ un fermento incredibile di gente che si prepara. Le bande dei College, centinaia e centinaia di giovani nelle loro lustre divise, sono prese dal ruolo, e’ un grande onore sfilare. Piu’ tranquilli i musicisti delle bande militari, aduse a queste cerimonie. Le bande sono quasi un centinaio. E’ una sarabanda di dimensioni inimmaginabili quel che si muove nelle retrovie, 35 mila persone che s’approntano a sfilare, ciascuna rappresentanza al suo turno, talvolta dopo ore di attesa, se si pensa che la Parata si conclude quasi alle cinque del pomeriggio. Eppure tutto e’ regolato secondo un canone sperimentato dal rigido cerimoniale degli organizzatori, tutto gira come un orologio, almeno cosi’ appare. Ormai la marea di spettatori, intorno al milione, e’ ordinatamente assiepata dietro le transenne, sui due lati della Quinta Avenue. Gente d’ogni eta’, molti con bandierine tricolori, spesso con i vessilli americano ed italiano. Ecco, si parte, e’ mezzogiorno. E’ il Sindaco Michael Bloomberg ad aprire la sfilata, con accanto il Grand Marshall Joseph Plumeri e il Commissioner della Polizia di New York, Raymond Kelly. Sfila il Governatore Andrew Cuomo, con i suoi sostenitori. E’ un tripudio di consensi, il Governatore si ferma con il pubblico lungo il percorso, stringe mani. La famiglia Cuomo ha dato e sta dando un notevole contributo nelle istituzioni americane, che fa onore alle origini italiane. Passa il carro della Columbus Foundation, una specie di caravella tricolore su ruote con un grande busto di Cristoforo Colombo. Bimbi festosi agitano le loro bandierine. Poi la numerosa rappresentanza in fascia tricolore della Fondazione, guidata dal presidente Frank Fusaro, dai Governors e dai tanti esponenti del sodalizio che si occupano dei vari campi d’attivita’. Passano orgogliose macchine d’epoca italiane, poi una sequela di Ferrari e Maserati di piu’ recente costruzione. Sfilano il nostro Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata e, in fascia tricolore d’ordinanza, il Console generale Natalia Quintavalle, al suo battesimo di folla nella Big Apple. E’ il turno della Polizia di Stato italiana, una delegazione con numerose donne in divisa. Molti gli applausi. Passa la banda d’un College, volenterosa, ma nulla di paragonabile a quella splendida banda militare, immagino della Marina americana, che ha aperto la Parata. Ancora alcuni gruppi, in costume.

Ecco che sfilano i  Vigili del Fuoco di New York, numerosi quelli d’origine italiana, gli amati eroi di tante operazioni di soccorso, ma sopra tutto alle Twin Towers, dove persero la vita 343 pompieri. Nel 2004 andai con una delegazione guidata dal Sindaco dell’Aquila alla sede del Dipartimento, a Brooklyn, per portare l’omaggio della citta’ capoluogo d’Abruzzo e dei Vigili del Fuoco aquilani ai Pompieri di New York. Ci ricevette con molta cordialita’ l’allora comandante in capo, ora Commissioner, Salvatore Cassano. Nella hall del grande palazzo una lastra di bronzo riportava i nomi dei pompieri caduti l’11 settembre alle Torri Gemelle. L’ampiezza di quella targa bronzea resta nella memoria a misura dell’immane sacrificio dei pompieri di New York deceduti a Ground Zero. Ora ci passano davanti con una storica autopompa Magirus rossa, con maniglierie d’ottone lucidate a specchio, carica di bimbi. Segue un’ordinata compagnia di pompieri a passo militare, con le insegne del corpo. Poi ancora un moderno rosso automezzo di dotazione, tutte luci intermittenti e cromature. Ancora una banda giovanile, poi e’ il turno del reparto dei Vigili del Fuoco d’Italia, provenienti da varie province. Marciano perfetti, raccogliendo molti applausi dal pubblico. Mi emoziono, esprimo gratitudine profonda con l’applauso, non potro’ mai dimenticare quanto straordinariamente generosa infaticabile ed appasionata e’ stata l’opera dei Vigili del Fuoco in soccorso dell’Aquila, la mia citta’, colpita dal terremoto del 6 aprile 2009.

Ora e’ il turno dell’ANFE. Siamo tra i primi gruppi a sfilare, a motivo dello stretto rapporto che l’associazione ha con la Columbus Foundation. Tony Tufano ci invita ad esser pronti, mentre fa dispiegare lo striscione con il logo del nostro ente morale. Ospitiamo sotto le nostre insegne il presidente dell’ASMEF, Salvo Iavarone, presente con la sua associazione a New York e poi Toronto per alcune iniziative sull’emigrazione, nonche’ il sindaco di Tarquinia, Mauro Mazzola, venuto in America con una delegazione municipale per promuovere turisticamente la sua citta’. Non e’ semplice partecipare alla Parata del Columbus Day, se non si ha un aggancio solido. L’ANFE e’ stato per loro un eccellente traino. Da questo momento viviamo le emozioni direttamente. Il presidente Saporito e’ al centro della nostra fila, gli sono accanto da un lato Gaetano Cala’ e chi scrive, dall’altro Fabio Ghia e Tony Tufano. E’ con noi un gruppo di volontari dell’ANFE Usa. Non abbiamo da raccontare molto se non le cose che vediamo lungo i 3 chilometri di percorso tra la 46^ Strada e le tribune d’arrivo, nei pressi della 69^. Il pubblico applaude, gli italiani oltre le transenne fanno domande e apprezzamenti, e’ davvero una festa, un’ostentazione generosa d’attaccamento all’unita’ nazionale, all’italianita’. L’arcivescovo Timothy Dolan, con altri prelati e religiosi davanti la Cattedrale di St. Patrick, saluta con gesti di cordialita’ i vari gruppi che sfilano man mano. Dev’essere dotato d’una forte capacita’ comunicativa e relazionale, d’una empatia fuori dagli schemi, davvero molto americana rispetto alle compunte abitudini dei suoi colleghi in Italia.

La sfilata avanza, tra stop and go. Si hanno poche cose da riferire quando la Parata del Columbus Day si vive dall’interno, se non l’emozioni che si provano. Manca l’osservazione di quella multiforme congerie di colori e vivacita’ che della Parata e’ l’aspetto piu’ pittoresco e spettacolare, invece godibile da spettatore. Arriviamo a Grand Army Plaza, che si apre su Central Park. Il corteo ora s’avvia verso l’ombra gradevole della rigogliosa vegetazione del parco, sulla sinistra. Eppure a destra  richiama l’attenzione il grande cubo bianco dell’Apple Store, diventato dopo l’immatura morte di Steve Jobs un luogo di memoria e omaggio all’uomo. Sulla bianca parete della recinzione sono attaccati migliaia di post-it, messaggi d’amicizia e gratitudine verso l’uomo che in tre decenni ha  cambiato il mondo, nella comunicazione, nella tecnologia informatica e nel design delle sue straordinarie creazioni. Tanti i fiori posati accanto al cubo, molte le mele, a richiamo del famoso simbolo della Apple.  La sfilata procede, dopo quasi due ore dalla partenza raggiungiamo le tribune. Numerose reti televisive riprendono la Parata. Un gran lavoro di riprese e documentazione dell’evento ha fatto anche la troupe di i-Italy, sotto l’efficiente direzione di Letizia Airos, editor del network piu’ qualificato e attento nel descrivere l’attuale realta’ della societa’ italoamericana.

Artisti italoamericani s’alternano sul palcoscenico approntato davanti alle tribune. Applauditissima Pia Toscano, la giovane e bella cantante italoamericana – e’ nata nel 1988 a Howard Beach, NY – baciata da un grande successo, come pure e’ assai apprezzato un gruppo di cantanti ballerini nell’esecuzione di “Be italian“, uno dei brani piu’ noti del famoso musical “Nine” tratto dal testo teatrale di Mario Fratti. Tagliamo il traguardo, la delegazione ANFE ha compiuto la sua missione, almeno riguardo la Parata del Columbus Day 2011. L’indomani, martedi’, ci riceve il Console generale d’Italia. Ognuno e’ libero, oggi nel pomeriggio. Sto tornando a casa, sulla 55^ strada. Sono quasi le due e mezza, quando incrocio il corteo, devo attraversare la Quinta Avenue. Ma stanno passando gli Alpini, una lunga fila di gruppi dall’Italia e anche dall’estero. Aspetto, sono alpino anch’io. Davanti a me sostano gli Alpini della Sezione ANA di Hamilton, in Canada. Incredibile! Accanto al vessillo della Sezione un alpino mi chiama per nome. Lo riconosco, e’ il presidente della Sezione Fausto Chiocchio. Il pizzetto sul mento e’ un po’ piu’ bianco di dieci anni fa, quando andai ad Hamilton con il Coro della Portella, in rappresentanza della Municipalita’ aquilana. Viene verso le transenne, ci abbracciamo. “Che fai a New York?”. Gli rispondo che con l’ANFE ho appena concluso la sfilata. E’ proprio piccolo il mondo, talvolta riserva incredibili sorprese!

Martedi 11 ottobre, mattina. Il Consolato si trova al 690 di Park Avenue, di fronte all’Hunter College. Arrivo a piedi, ci troviamo puntuali tutti noi della delegazione ANFE, eccetto il sen. Saporito che e’ ripartito per Roma. Il Consolato e l’Istituto Italiano di Cultura stanno in un bel palazzo in mattoni rossi, di proprieta’ dello stato italiano, dichiarato dalla Landmark Preservation Commission edificio storico. All’orario fissato il ministro Natalia Quintavalle, Console generale a New York,  ci riceve nel suo studio al primo piano, con grande cordialita’. Nativa di Pietrasanta, in provincia di Lucca, e’ giunta da poco piu’ d’un mese a New York, una delle sedi consolari piu’ complesse e prestigiose del mondo, per la presenza d’una comunita’ italiana numerosa e di spiccato livello, come pure di realta’ culturali rilevanti, come Casa Zerilli Marimo’ della NYU, del Calandra Institute della CUNY e dell’Italian Academy della Columbia University, verso le quali dimostra un grande interesse. D’altronde il suo e’ un ritorno a New York. Avevo tratto preziose informazioni da una bella intervista che Letizia Airos ha di recente realizzato con Natalia Quintavalle, che ne rivelano bene il pensiero, i propositi e le doti umane e professionali Tanto mi conferma il colloquio.

Peraltro, anche Letizia ci raggiunge in Consolato, quando Gaetano Cala’ sta illustrando al Console generale – accanto il Console Laura Aghilarre – le molteplici iniziative che ANFE Sicilia ha realizzato a New York negli ultimi anni, con la collaborazione del Consolato e dell’Istituto di Cultura, tutte di notevole respiro culturale, come quella in preparazione per il 2012 che lumeggera’ il contributo recato dai musicisti italiani al Jazz. Quindi si fa cenno al Console Generale delle altre iniziative che l’ANFE sta promuovendo su importanti tematiche, come la cittadinanza, sulle quali si ha modo di parlare nel corso d’un incontro assai ricco di spunti, durato oltre un’ora. Siamo davvero molto grati al Console generale, mentre ci congeda, per l’accoglienza e per il proficuo colloquio intrattenuto. Rientro in casa Fratti a mezzogiorno. Trovo il drammaturgo nel suo studio mentre conversa di teatro con Claudio Angelini, gia’ corrispondente della Rai, per alcuni anni valente direttore dell’Istituto Italiano di Cultura ed ora presidente della Dante Alighieri di New York.  Della nostra missione nella Grande Mela devo ancora citare la partecipazione, la sera dell’8 ottobre, ad una conviviale della Federazione delle Associazioni Siciliane del New Jersey, con quasi 450 ospiti. Ho avuto possibilita’ di svolgere un breve intervento, nel corso della serata. Ho ringraziato con tutto il cuore la comunita’ siciliana per la vicinanza e l’affetto dimostrati con gesti di solidarieta’ verso le popolazioni aquilane colpite dal terremoto. Proprio da loro il comune di Villa S. Angelo ha ricevuto una donazione di 450 mila dollari per la realizzazione d’una struttura di aggregazione sociale. Ci vedremo dunque a Villa S. Angelo, questa la promessa, quando s’inaugurera’ l’opera edificata con il frutto della loro generosita’.




A Toronto la mostra “Femminilizzazione dei Flussi Migranti” di Anna Maria Pugliese.

A Toronto la mostra “Femminilizzazione dei Flussi Migranti” di Anna Maria Pugliese.

di Massimiliano Galassi

Anna Maria Pugliese ha orientato il suo sguardo su uno degli eventi storici più dolorosi dell’emigrazione italiana che, in Canada, trova la sua massima espressione nelle vicissitudini degli italo-canadesi rinchiusi nei campi di concentramento, dal ’39 al ‘46, per il solo fatto di essere italiani e potenziali nemici del governo inglese durante il secondo conflitto mondiale.

USA. UNA GIORNATA CON LA COMUNITA’ ITALIANA DI FILADELFIA Proclamation Ceremony con il Sindaco Nutter e un pomeriggio con il prof. Nestico

10 ottobre 2011

Gentile direttore,
se puo’ essere di qualche interesse, ecco una mia nota reportage su una giornata speciale passata con la comunita’ italiana
di Filadelfia, negli States. Nella mattinata del 7 ottobre, nell’aula consiliare del Municipio, la cerimonia di proclamazione che ha aperto il Columbus Day, presieduta dal sindaco Michael Nutter, presenti gli esponenti della comunita’ italiana della grande citta’ della Pennsylvania. Nel pomeriggio,
l’incontro con il prof. Pasquale Nestico, personalita’ italiana di spicco in America, cardiologo di fama internazionale, componente del
CGIE, fondatore e presidente di Filitalia International. Una storia personale avvincente ed una biografia di assoluto rilievo. Tutti i dettagli
nella nota. Con viva cordialita’.

Goffredo Palmerini

UNA GIORNATA CON LA COMUNITA’ ITALIANA DI FILADELFIA

Proclamation Ceremony con il Sindaco Nutter e un pomeriggio con il prof. Nestico

di Goffredo Palmerini

Aerial View of the Philadelphia Skyline
Aerial View of the Philadelphia Skyline


NEW YORK – Era un formicaio Pennsylvania Station, il 7 ottobre scorso. Un venerdi mattina di tran tran, nella Grande Mela, come sempre. Viaggiatori in arrivo dall’hinterland, solerti e premurosi di guadagnare le uscite. Altri, come noi, in ordinata attesa dell’indicazione, sul grande tabellone orario, del binario di partenza del treno. Mario Fratti ed io siamo in attesa anche noi del treno con destinazione Harrisburg, capitale della Pennsylvania, anche se scendiamo prima, a Filadelfia (Philadelphia). Finalmente il tabellone a schede scrive truck 12. Si forma una fila ordinata per l’accesso, similmente ad un gate d’aeroporto. Il treno dell’Amtrak proveniente da Boston riempie quasi tutti i suoi posti. Brilla l’acciaio delle carrozze, strisciate di rosso e blu. Pulizia e decoro all’interno. Si parte in orario, sono le 9 e mezza. Il treno in sotterraneo va man mano guadagnando la luce, all’aperto. L’ineguagliabile profilo di Manhattan s’allontana, i binari corrono lungo una teoria di specchi d’acqua. Poi il treno s’infila tra gli alberi che, in questa stagione, ostentano uno straordinario ventaglio di colori dal verde al giallo, dall’ocra al porpora, dal rosso al ruggine. Tutte le cromie dell’autunno,sebbene in questi giorni resistano scampoli di tepore d’una estate indisponibile a cedere il passo. E’ bella la natura in questa parte d’America che affaccia all’East Coast, a cavallo tra la Grande Mela, New Jersey e Pennsylvania. Si supera Trenton, piccola citta’, capitale del New Jersey. Ancora mezz’ora e saremo a Filadelfia. Un’ora e un quarto per 155 chilometri che separano la metropoli dalla citta’ americana piu’ ricca di storia.

Michael Nutter, sindaco Filadelfia
Michael Nutter, sindaco Filadelfia

Filadelfia e’ la quinta citta’ piu’ popolosa degli States, la piu’ importante dello stato della Pennsylvania. Conta oltre un milione e mezzo d’abitanti e la sua area metropolitana supera abbondantemente i 5 milioni di residenti. E’ una delle piu’ antiche citta’ degli States. Nel 1681 re Carlo II d’Inghilterra concesse al quacchero William Penn una vasta area adiacente al Delaware River, sulla quale un anno dopo, con un buon piano urbanistico, egli fondo’ Filadelfia – il cui nome dal greco significa “citta’ dell’amore fraterno” – con l’intenzione di sperimentarvi i principi di liberta’, secondo un giusto equilibrio tra tolleranza religiosa e politica liberale. Peraltro, Penn si dimostro’ subito assai aperto anche con le popolazioni indigene dei nativi, acquistando il terreno piuttosto che occuparlo d’imperio, secondo le violente abitudini dei colonizzatori. Per due secoli Filadelfia fu la citta’ piu’ grande degli Stati Uniti, teatro degli eventi storici piu’ significativi della Rivoluzione americana e dell’Unione, essendovi stata proclamata il 4 luglio 1776 la dichiarazione d’Indipendenza e nel 1787 votata dall’Assemblea la prima Costituzione americana.  La bella palazzina con l’Indipendence Hall, tra i primi monumenti storici americani, e’ meta obbligata per chi voglia ripercorrere la storia degli Stati Uniti d’America. La citta’ sorge sulla riva occidentale del fiume Deleware che, con l’affluente Skuylkill River, la delimita nel suo centro storico. Essendo il Delaware River navigabile anche da navi di grossa stazza, Filadelfia è sempre stata un porto importante che ne ha connotato lo sviluppo industriale e l’economia.

philadelphia
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L’area, dunque, e’ stata un forte polo d’immigrazione sopra tutto dall’Europa, nell’ordine da irlandesi, italiani, tedeschi e polacchi. Successivamente anche ispanici ed asiatici. Numerosa e significativa e’ quindi la comunita’ italiana, organizzata in molte associazioni regionali. Si stimano in 150 mila gli italiani delle varie generazioni dell’emigrazione residenti nell’area di Filadelfia, che vanno quasi a raddoppiarsi nell’intero territorio della Pennsylvania, con altre presenze di rilievo nell’area di Pittsburgh. Cospicua e’ la comunita’ abruzzese, organizzata in tre Associazioni, presiedute da Nicholas Rapagnani, Claudio Cifoni e Josephine (Jody) Della Barba – e in una Federazione, diretta da Vincenzo Centofanti, che e’ anche un componente del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE). Non a caso la citta’ di Filadelfia ha un rapporto di gemellaggio con l’Abruzzo, per il rilievo che nella citta’ ha assunto la comunita’ abruzzese, stimata e ben integrata. E’ con Jody Della Barba che qualche giorno fa ho stabilito il contatto, per visitare e conoscere la nostra comunita’ di Filadelfia. E’ stata felice d’invitarmi in una giornata particolare, ma sopra tutto onorata di ricevere una delle personalita’ piu’ insigni della cultura italiana in America, il drammaturgo aquilano Mario Fratti, conosciuto da tutti per il grande successo che ha accompagnato una delle sue opere teatrali, il famoso musical Nine che, per oltre vent’anni, ha spopolato nei teatri di Broadway e in quelli di mezzo mondo.

Giornata particolare, si diceva, per la comunita’ italiana. Il 7 ottobre, infatti, a mezzogiorno in Municipio si tiene la “Proclamation Ceremony” che apre le manifestazioni del Columbus Day a Filadelfia. Arriviamo con mezz’ora d’anticipo davanti alla City Hall, un possente palazzo in pietra dalle imponenti architetture, sormontato da una robusta torre. Ovunque, nei quattro lati, vessilli a stelle e strisce. La giornata e’ luminosa e assolata. La citta’ e’ bella, a dimensione umana, i grattacieli del downtown si sposano bene con le curate architetture dei palazzi d’epoca. Il centro storico della citta’ e’ incantevole, trapunto di larghi viali alberati e giardini ordinati, con molti teatri, tra i quali orgogliosamente spicca il primo d’America, nato nel 1809. Famosa la tradizione musicale, che trova la massima espressione nell’Orchestra Filarmonica che il nostro Riccardo Muti ha diretto per dodici anni, fino al 1992. Saliamo al quarto piano, un addetto ci accompagna nell’aula del Consiglio comunale, un’ampia sala con un alto soffitto a cassettone dipinto, dal quale pendono vistosi lampadari. Siamo i primi ad entrare. Dopo alcuni minuti ci viene incontro Jody a salutarci con calore. Man mano ci presenta gli esponenti della comunita’ abruzzese: Claudio Cifoni, Anna Mattei, Bernadette Di Pasquale. Poi gli altri esponenti della comunita’ italiana. Fa quindi la nostra presentazione ad Anna Cibotti Verna, in tre secoli di storia municipale la prima donna Presidente del Consiglio comunale di Filadelfia, origini abruzzesi, democratica. Ha un moto di commozione quando conosce la nostra provenienza dall’Aquila.

Pasquale Nestico
Pasquale Nestico

Ha inizio la cerimonia di proclamazione del Columbus Day, con l’introduzione di John Di Giorgio, gli inni nazionali americano e italiano, l’invocazione di Padre James Rodia. Quindi gli indirizzi di saluto di Pete Ciarrocchi, del Comitato organizzatore delle manifestazioni, della Presidente del City Council, Anna Verna, che cita la nostra presenza in sala, quindi del Sindaco, Michael Nutter, democratico, di colore, molto amato e percio’ destinato ad una quasi certa rielezione, nel prossimo novembre, che dopo il suo saluto proclama aperto il Columbus Day 2011. Seguono le annotazioni del Console Generale d’Italia, Luigi Scotto, e la brillante allocuzione conclusiva di Annette Rizzo, origini italiane, giudice presso la Corte del primo distretto di Pennsylvania, che nel suo intervento ha sottolineato il ruolo rilevante della comunita’ e della cultura italiana in America. Il brindisi d’onore ci consente di conoscere e fare i complimenti alla giudice Rizzo per il magnifico discorso e di intrattenerci con gli esponenti della comunita’ italiana, che ci segnalano tra l’altro la straordinaria opera di Frank Rizzo, sindaco dal 1972 al 1980, di origini calabresi, del quale si ricordano ancora le qualita’ umane e politiche. Ci invitano a tornare a Filadelfia per parlare dell’Aquila e dell’Abruzzo, impegnando il prof. Fratti a tenere, appena possibile dai suoi molteplici impegni, una conferenza sul teatro italiano.

Nel pomeriggio abbiamo un incontro concordato grazie alla disponibilita’ ed all’estrema cortesia d’un italiano davvero speciale. Conosciuto de relato attraverso Mina Cappussi, direttore del magazine “Un mondo d’italiani“, che ne aveva parlato in un suo articolo a proposito d’un recente convegno sulla “fuga dei cervelli”, tenutosi in Molise, avevo curiosita’ di conoscere direttamente Pasquale Nestico, una delle personalita’ di spicco della comunita’ italiana negli Stati Uniti, membro del CGIE presso il Ministero degli Esteri, cardiologo di fama internazionale, fondatore e presidente di Filitalia, associazione culturale di Filadelfia con sedi in cinque Paesi. Nonostante gli impegni accademici, professionali ed istituzionali – per l’imminente partenza per l’Italia per i lavori del CGIE in programma a Roma dal 10 al 12 ottobre – il prof. Nestico ci ha messo a disposizione l’intero pomeriggio per incontrarci. Andiamo da lui alle quattro in punto, in una bella palazzina di tre piani sulla Oregon Avenue. E’ una struttura medica all’avanguardia, creata dal prof. Nestico che la dirige con uno staff di valenti collaboratori, dove operano a turno un’ottantina di specialisti. Ci accoglie nel suo studio, con calorosa cordialita’. Il clima diventa subito familiare, senza formalita’. Richiama con orgoglio le sue umili origini, in un paesino della Calabria. Molto interessato all’attivita’ letteraria di Mario Fratti, gli chiede del suo arrivo in America e della sua prestigiosa attivita’ di scrittore. Il tratto e la bonomia di Nestico sono proprie della cultura contadina, che ha somiglianza in ogni latitudine e non fa differenza tra Calabria e Abruzzo, se non nell’inflessione. Voglio saperne di piu’ di questo personaggio, un altro esempio significativo di quell’altra Italia che onora all’estero il nostro Paese. Il prestigio conquistato connota un’ennesima storia di rilievo, un italiano self made man in terra straniera. Dopo essersi informato su come ora vanno le cose all’Aquila, citta’ che per la sua bellezza ha visitatao piu’ volte, parliamo a lungo della sua avventura. Gli chiedo di tutto, annoto con puntiglio ogni dettaglio, mentre scopro che le mie domande non l’infastidiscono. D’altronde il prof. Nestico si dimostra molto informato della mia attivita’ di documentazione sull’emigrazione italiana. Ha navigato sul web. La sua e’ davvero una storia straordinaria che vale la pena di raccontare, per intero.

Pasquale Nestico nasce il 6 maggio 1945 a Isca sullo Ionio, in provincia di Catanzaro. Il padre e’ un bravo muratore, di quella vaglia d’artigiani che una volta si chiamavano “mastri“, in senso di maestri del mestiere. E infatti Aurelio Nestico, nel suo paese natale, lega il suo nome alla costruzione degli edifici di riguardo, quali possono essere a Isca la scuola e la caserma dei Carabinieri. Anche Pasquale, a 13 anni, lavora con il padre nell’edilizia, dal ’58 al ’62. In quegli anni il lavoro non ha eta’, specie nel sud, per aiutare la famiglia ad andare avanti. Eppure il giovane Pasquale, tra calce e cazzuola, pensa anche agli studi, studia musica e suona il clarinetto, di notte legge libri. Studi medi all’Avviamento commerciale, poi l’Istituto Tecnico Industriale, intanto che papa’ Aurelio, con la famiglia, emigra in America dove gia’ la figlia Elvira vive, sposata ad un italo-americano. Pasquale resta da solo, in Italia, finquando consegue il diploma di Perito elettrotecnico, con la migliore votazione di tutta la scuola. Era il 1967. Avrebbe voluto continuare gli studi in Italia, ma tutta la famiglia (papa’, mamma e le due sorelle) sta a Filadelfia. Arriva quindi in Pennsylvania anche il giovane Pasquale, digiuno della lingua inglese. Dopo il lavoro, in un laboratorio di motori elettrici,  studia la lingua. Studio e lavoro diventano una costante della vita di Nestico. La multinazionale Westinghouse l’assume come disegnatore. Nel 1969 Pasquale s’iscrive alla Facolta’ d’ingegneria della Villanova University. Di giorno si lavora, la sera e spesso la notte si passano sui libri. Una volonta’ di ferro, unita ad un talento innato, sebbene in condizioni cosi’ dure, danno presto risultati eccezionali, come il conseguimento in soli tre anni e mezzo della laurea in Ingegneria elettrotecnica, nel 1972.

Ancora studi in due corsi di business, quindi l’iscrizione alla Facolta’ di Medicina nella Temple University di Filadelfia, nel 1976, conquistando uno dei 180 posti disponibili su 5000 concorrenti, dopo aver praticato un lungo volontariato ospedaliero. Quello e’ anche l’anno del matrimonio con Anna Miriello, da cui nasceranno Aurelio, Concetta e Saverio. La seconda laurea, in Medicina, arriva nel 1980, con il massimo dei voti, da albo d’oro dell’ateneo. Si iscrive quindi alla Hahnemann University, dove in tre anni si specializza in Medicina Interna, vincendo i due premi a disposizione, il primo quale migliore residente, il secondo quale miglior ricercatore per lavori di ricerca in Cardiologia durante il corso di specializzazione. Dall’83 all’85 Nestico consegue presso la stessa universita’ la specializzazione in Cardiologia, mentre le sue tesi e i risultati delle sue ricerche vengono pubblicati sulle piu’ importanti riviste mediche. Insomma, questi sono gli anni che rivelano Pasquale Nestico come personalita’ d’alto profilo nel mondo scientifico americano, del quale sono  noti il rigore e la severita’ delle valutazioni. Non ancora quarantenne, per la mole e la qualita’ delle sue ricerche, il dr. Nestico puo’ fregiarsi del titolo di Professore Clinico in medicina interna e cardiologia. Nel 1990 e’ Professore Associato, nel 1996 arriva la promozione alla massima carica di docenza, traguardo per il quale occorrono decenni ma che Pasquale Nestico raggiunge grazie agli esiti delle sue ricerche, delle pubblicazioni scientifiche, alla partecipazione a congressi, all’eccellenza dei rapporti in campo professionale e con i pazienti, alla qualita’ dell’insegnamento praticato al St. Agnes Medical Center e all’Hahnemann University, dove per tre anni consecutivi e’ stato eletto “miglior professore dell’anno” su 500 docenti. Pasquale Nestico vanta un centinaio di pubblicazioni e trattati di medicina interna, cardiologia e sistema cardiovascolare.

Ma l’impegno del prof. Nestico non si esaurisce nella sua pur brillante professione medica e accademica. Notevole e’ l’attivita’ sociale e culturale nell’ambito della comunita’ italo-americana, nella solidarieta’ e nel volontariato. Numerose le iniziative, lungo sarebbe citarle in dettaglio. Si annota per brevita’ solo la fondazione, nel 1987, dell’associazione non-profit Filitalia, per la promozione e lo sviluppo della cultura italiana, diventata internazionale nel 2007.  Oggi Filitalia International conta 11 Chapters (Capitoli) negli Usa, due in Canada (Toronto e Montreal), uno in Germania (Kaiserslautern), uno in Svizzera (Lugano) e 7 in Italia (Roma, Milano, Como, Imperia, Cosenza, Catania e Campobasso), con altre sedi in corso di costituzione. Di Filitalia International il dr. Nestico, oltre che fondatore, e’ stato presidente per complessivi vent’anni. Con il motto “Umilta’, Onesta’, Giustizia“, l’associazione si dedica alla missione di promuovere “Lingua, Cultura italiana e Servizi agli altri“, esprimendo cosi’ attaccamento ed affetto verso l’Italia, esaltando radici e tradizione della nostra terra.

Eletto nel 1997 nel Comites del distretto di Filadelfia, che ha giurisdizione su sette stati, Pasquale Nestico ne diviene il Presidente, partecipando nel dicembre del 2000 a Roma alla prima Conferenza degli Italiani nel mondo. Nel 2004 viene eletto nel CGIE (primo degli eletti in Usa), dove presiede l’VIII Commissione (Tutela della Salute). Ha il grado di Tenente Colonnello medico dell’Army Reserve degli Usa e nel 2005 ha prestato servizio per tre mesi in Germania, nell’ospedale militare di Londistul, curando i soldati feriti provenienti dall’Iraq e dall’Afghanistan. Numerosi e prestigiosi i riconoscimenti e premi che a vario titolo gli sono stati tributati, in campo professionale e sociale. Sarebbe lungo citarli tutti, in dettaglio. Si citano qui solo il Lifetime Achievement Award, conferitogli nel 2010 dall’OSIA, e nello stesso anno del titolo di “Uomo dell’Anno” dalla Justinian Society del Delaware. Il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, gli ha conferito l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Stella della Solidarieta’ (2004), mentre il Presidente Giorgio Napolitano gli ha conferito il titolo di Commendatore (2007) e Grande Ufficiale (2009).

Il culto dellafamiglia e il rispetto verso gli anziani segnalano il profilo morale di Pasquale Nestico. Sono impegni assidui la visita alla mamma Concetta, 92 anni, e al papa’ Aurelio, 97 anni, con il quale coltiva un intenso dialogo. Dal lungo colloquio con il prof. Nestico – ha voluto insistentemente che lo chiamassi semplicemente Pasquale – ho sunteggiato la biografia non per farne motivo di vanto, per quanto mediato. Anzi, ad esser sincero, ho dovuto molto insistere per autorizzarne l’inserimento in un articolo di stampa, solo come narrazione d’una storia di successo, tra le tante degli italiani nel mondo, emblematica dell’impegno, della determinazione e del talento che all’Italia portano prestigio e stima in ogni continente. Il prof. Nestico, dopo la nostra conversazione, ci accompagna nella sede di Filitalia International, nel cuore della vecchia Filadelfia, in Passyunk Avenue, quartiere ricco di bei locali e ristoranti tipici. La sede si sviluppa su quattro piani, quasi 400 metri quadrati. Il piano rialzato ha uffici, una cucina e un bel salone dove si tengono le riunioni, si fanno lezioni d’italiano e all’occorrenza le conviviali. Per noi e’ riservata un’agape fraterna, con alcuni esponenti del direttivo dell’associazione. Cucina calabrese (zita con cime di broccoletti, soppressata e mozzarella, salsicce con peperoni, salmone dell’Oceano al pomodoro), preparata dalle tenaci donne dirigenti di Filitalia (Anna Di Paola, Rosetta Miriello e Anna Miriello Nestico). Al desco ci raggiungono altri dirigenti di Filitalia: Joseph Rollo, avvocato siciliano, e il medico molisano Anthony Colavita. Una bella serata di sentimento e di generose emozioni. Mario Fratti racconta storie come solo un uomo di teatro sa fare. Purtroppo arriva l’ora del rientro. Pasquale Nestico ci accompagna in stazione, lasciandoci con un forte abbraccio e la promessa di rivederci presto. Il treno per New York parte alle 21:09. On time.




USA. PALMERINI IN MISSIONE NEGLI STATES CON L’ANFE, PER IL COLUMBUS DAY Un’ intensa settimana tra New York, Filadelfia e Princeton nel Mese della Cultura italiana

PALMERINI IN MISSIONE NEGLI STATES CON L’ANFE, PER IL COLUMBUS DAY

Un’ intensa settimana tra New York, Filadelfia e Princeton nel Mese della Cultura italiana

L’AQUILA – Parte domani per gli States, fino al 14 ottobre, per un’intensa settimana di impegni a New York, Filadelfia e Princeton, il delegato per l’Abruzzo dell’Associazione Nazionale Famiglie Emigranti (ANFE), Goffredo Palmerini. Fa parte della rappresentanza italiana dell’associazione, con sedi in tutto il mondo, fondata nel 1947 dall’aquilana Maria Federici, deputata alla Costituente. L’ANFE è  invitata alle manifestazioni ufficiali del Columbus Day, in programma dal 9 al 12 ottobre. La delegazione ANFE, guidata dal presidente nazionale dr. Paolo Genco, avrà un posto d’onore nell’ambito delle manifestazioni, presente il coordinatore ANFE per gli Usa, Anthony Tufano, affiancato dai rappresentanti d’area Teresa Nascimbeni (Michigan), Giulio Picolli (Pennsylvania) e Franco Curci (California).

Ma gli impegni per Goffredo Palmerini, che è anche un componente del Consiglio regionale degli Abruzzesi nel Mondo (CRAM), non si limitano al Columbus Day. Ospite di Mario Fratti, drammaturgo aquilano che dal 1963 vive in America, parteciperà con l’illustre concittadino a diversi eventi in programma a New York che in ottobre celebra il Mese della Cultura italiana. Il 7 ottobre sarà a Filadelfia, in Pennsylvania, per incontrare il dr. Pasquale Nestico, famoso cardiochirurgo del Thomas Jefferson University Hospital, una delle personalità di spicco della comunità italiana negli States insignito della Stella per la Solidarietà dal Presidente Giorgio Napolitano, componente del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE) presso la Farnesina, dove presiede la Commissione Sanità. Il dr. Nestico, di origini calabresi, nel 1987 ha fondato a Filadelfia FILITALIA International (www.filitaliainternational.com), associazione non profit culturale e filantropica con sedi in cinque Paesi, di cui attualmente è Presidente. Nel pomeriggio l’incontro con l’intero consiglio direttivo dell’associazione.

Nella mattinata, alle 12, è previsto un incontro dell’Associazione Regionale Abruzzese di Filadelfia con la Municipalità – Filadelfia è gemellata con l’Abruzzo, la cui comunità in Pennsylvania è molto numerosa – al quale Palmerini è stato invitato dalla presidente Jody Della Barba.  Sarà ancora a Filadelfia il 13 ottobre per il concerto che il gruppo etnico abruzzese Discanto terrà nella città, considerata un po’ la capitale internazionale della musica folk. Discanto è davvero di casa, ormai, in questa parte d’America, dove ogni anno viene in tournée con grande successo. Quest’anno il tour del gruppo (Michele Avolio, Sara Ciancone, Antonello Di Matteo e Germana Rossi) toccherà gli Stati di Pennsylvania, Ohio e New Jersey con sette concerti.

Il programma di Palmerini prevede inoltre una puntata a Princeton, per incontrare la comunità italiana e per un primo contatto con il dipartimento di studi italiani del famoso ateneo americano, diretto dal prof. Pietro Frassica. A New York ancora l’incontro con Letizia Airos, direttore del network i-Italy.org, e con lo staff redazionale della brillante testata multimediale che ha la propria sede presso il John D. Calandra Italian American Institute del Queens College, diretto dal prof. Anthony Tamburri. Il rientro in Abruzzo il 15 ottobre.

L’AQUILA – Parte domani per gli States, fino al 14 ottobre, per un’intensa settimana di impegni a New York, Filadelfia e Princeton, il delegato per l’Abruzzo dell’Associazione Nazionale Famiglie Emigranti (ANFE), Goffredo Palmerini. Fa parte della rappresentanza italiana dell’associazione, con sedi in tutto il mondo, fondata nel 1947 dall’aquilana Maria Federici, deputata alla Costituente. L’ANFE è  invitata alle manifestazioni ufficiali del Columbus Day, in programma dal 9 al 12 ottobre. La delegazione ANFE, guidata dal presidente nazionale dr. Paolo Genco, avrà un posto d’onore nell’ambito delle manifestazioni, presente il coordinatore ANFE per gli Usa, Anthony Tufano, affiancato dai rappresentanti d’area Teresa Nascimbeni (Michigan), Giulio Picolli (Pennsylvania) e Franco Curci (California).

Ma gli impegni per Goffredo Palmerini, che è anche un componente del Consiglio regionale degli Abruzzesi nel Mondo (CRAM), non si limitano al Columbus Day. Ospite di Mario Fratti, drammaturgo aquilano che dal 1963 vive in America, parteciperà con l’illustre concittadino a diversi eventi in programma a New York che in ottobre celebra il Mese della Cultura italiana. Il 7 ottobre sarà a Filadelfia, in Pennsylvania, per incontrare il dr. Pasquale Nestico, famoso cardiochirurgo del Thomas Jefferson University Hospital, una delle personalità di spicco della comunità italiana negli States insignito della Stella per la Solidarietà dal Presidente Giorgio Napolitano, componente del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE) presso la Farnesina, dove presiede la Commissione Sanità. Il dr. Nestico, di origini calabresi, nel 1987 ha fondato a Filadelfia FILITALIA International (www.filitaliainternational.com), associazione non profit culturale e filantropica con sedi in cinque Paesi, di cui attualmente è Presidente. Nel pomeriggio l’incontro con l’intero consiglio direttivo dell’associazione.

Nella mattinata, alle 12, è previsto un incontro dell’Associazione Regionale Abruzzese di Filadelfia con la Municipalità – Filadelfia è gemellata con l’Abruzzo, la cui comunità in Pennsylvania è molto numerosa – al quale Palmerini è stato invitato dalla presidente Jody Della Barba.  Sarà ancora a Filadelfia il 13 ottobre per il concerto che il gruppo etnico abruzzese Discanto terrà nella città, considerata un po’ la capitale internazionale della musica folk. Discanto è davvero di casa, ormai, in questa parte d’America, dove ogni anno viene in tournée con grande successo. Quest’anno il tour del gruppo (Michele Avolio, Sara Ciancone, Antonello Di Matteo e Germana Rossi) toccherà gli Stati di Pennsylvania, Ohio e New Jersey con sette concerti.

Il programma di Palmerini prevede inoltre una puntata a Princeton, per incontrare la comunità italiana e per un primo contatto con il dipartimento di studi italiani del famoso ateneo americano, diretto dal prof. Pietro Frassica. A New York ancora l’incontro con Letizia Airos, direttore del network i-Italy.org, e con lo staff redazionale della brillante testata multimediale che ha la propria sede presso il John D. Calandra Italian American Institute del Queens College, diretto dal prof. Anthony Tamburri. Il rientro in Abruzzo il 15 ottobre.




Londra. La vita dietro quella porta Blu’ (Un giorno nel reparto di Rianimazione dell’ospedale di Cisanello di Pisa) di filippo baglini (www.italoeuropeo.com)

La vita dietro quella porta Blu’

(Un giorno  nel reparto di Rianimazione dell’ospedale di Cisanello di Pisa)

di filippo baglini (www.italoeuropeo.com)

Ci sono luoghi al mondo sospesi  tra la vita e la morte. Luoghi, dove non vorresti mai entrare, posti che tu pensi lontani dalla vita quotidiana, dalle urla, da quegli orgogli che riempiono le noie delle nostre vite. E invece quei luoghi sono anch’essi parte della vita, perché stranamente per un buffo scherzo del destino ci si puo’ ritrovare lì, in un luogo sconosciuto,  in un abisso talmente fondo che non riesci a capire quanto sia profondo il tuo mare.

Il reparto di rianimazione dell’ospedale di Cisanello di Pisa è uno di questi luoghi. Per apprezzare la vita forse bisognerebbe sostare anche solo per un giorno come spettatore in quel profondo abisso dove corpi sorretti da zattere metalliche galleggiano vicino alle sponde della morte, ancorati a tubi e alla vera essenza di essere umano.

Salendo le scale al primo piano dell’edificio 31B sopra il pronto soccorso di Cisanello, si ha subito l’impressione di entrare in una dimensione estranea alla nostra vita. Ci sentiamo spaesati lungo quei corridoi interminabili a scacchiera, si capisce subito che non siamo in un normale reparto di una corsia di degenza, ma in un posto silenzioso e isolato. Ci si ferma davanti a una sala di attesa piccola ma accogliente. Le sedie sono occupate da persone, altre hanno ancora l’orma calda di chi vi ha sostato. Alle pareti pendono ritagli di giornale e lettere di ringraziamento di persone che hanno affrontato quell’abisso, c’è anche un’ informativa per i familiari dove si spiegano i macchinari usati per i loro parenti che devono affrontare quel viaggio oscuro, spesso senza ritorno.

E poi davanti a te c’e un porta Blu.

Guardando e leggendo le carte alle pareti, ti viene da pensare che chi lavora in questo posto  non sta pensando solo ai malati, ma  anche  ai familiari, spiegando loro cosa li aspetta, proprio come una di quelle guide che si trovano ai musei, soltanto che qui si descrivono macchinari a cui sono attaccati i malati. Cosi, molte persone , spaesate e impaurite, si fermano a leggere su come e perché viene usato  quel particolare ventilatore artificiale per l’ossigeno o quella determinata pompa per infondere alimenti e farmaci. Un nobile tentativo di avvicinare il mondo da cui si viene al mondo dietro quella porta blu.

Questa sala di attesa io la identifico come un purgatorio, perche’, li ci facciamo tutti un esame di coscienza sulla vita in generale, ed e’ qui che si purgano i nostri egoismi e i nostri errori. Nella saletta  ci sono persone sconosciute, alcune sedute con lo sguardo confinato in un viso stanco, severo, immobile di chi  e’ mesi che frequenta quella stanza, altre persone invece aspettano fuori nel corridoio, intimidite, spaventate, con il viso irrequieto perche’ non sanno ancora nulla, sono i familiari dell’ultima urgenza. Poco dopo per una strana energia che si e’ creata, i familiari iniziano  a parlare, a sfogare il loro male e iniziano a consolarsi a vicenda, uniti dal solito filo di dolore, dalla solita sofferenza silenziosa, di avere un parente in coma, e le relazioni che si instaurano in questi posti difficilmente si dimenticano. Molti sono diventati amici per il resto della loro vita. Ecco che il dolore  come un coltello che si infila nel burro, taglia e pareggia tutto, e tutti si ritrovano ogni girno alla solita ora, nella solita stanza, a consolarsi, a chiedere notizie l’uno dell’altro,  chi per una figlia di sedici anni,  chi per il figlio di trentasei anni, chi per un marito,  e tutti appesi come delle marionette immobili tra la vita e la morte  a fili, tubi e cateteri.

Li in quel purgatorio, si capisce cosa conta veramente nella vita: la vita stessa. Lo sappiamo  tutti che la vita e’ importante, ma in quel posto lo si ricorda veramente e non solo con la mente ma con la sincerita’ del cuore. Li si parla poco, e quando si parla si usano solo le necessarie parole, perche’ e’ li che si percepisce l’odore amaro della morte.

In quella stanza, il lento scorrere del tempo logora. Si puo’ leggere sugli occhi di tutti quei familiari, l’orrore e la disperazione di essere stati inondati da uno  tsunami, il piu’ terribile, il piu’ inaspettato, perche’ quando un malato entra in rianimazione, il destino non ha colpito solo lui, ma anche la sua famiglia, che come cristo si deve prendere la croce sulle spalle e iniziare il suo calvario.

E chi lavora in questo luogo lo sa bene, e si preoccupa di informare e assistere non solo i pazienti lesi, ma anche i loro parenti che diventano a sua volta dei pazienti, molto spesso piu’ dei primi, visto le lunghe attese della malattia.

Poi ecco che un infermiere della tribu’ degli zoccoli, apre la porta blu’, e in fila come dei condannati i familiari eseguono il rito del lavarsi le mani, per non infettare, per non essere portatori sani di batteri killer. Pochi istanti e siamo dentro l’abisso.

Non tutte le rianimazioni permettono ai familiari di entrare e di dare una carezza al proprio caro. Quella in cui siamo  si chiama rianimazione aperta, voluta e cercata, dal suo capitano e dal coordinatore, il primo, e’il  primario il Dott. Paolo Malacarne, un uomo barbuto, silenzioso, apparentemente freddo, ma di una visione verso il malato e i suoi familiari rara e profonda. L’altro una persona poliedrica ,il Dott Nunzio DeFeo, di alta statura, energico, coordina ma senza imporre, l’uno si integra con l’altro, per armonizzare il gruppo, per creare un ambiente sereno nell’inferno quotidiano.

Ci siamo, è ora delle visite, la porta sia apre, si entra.

Per chi è la prima volta, ha l’impressione di entrare dentro una astronave, la scena sembra presa da un film di Stanley Kubrick, Odissea nello spazio, in realta’, qui e’ l’odissea in terra. L’abisso è davanti a noi in tutta la sua profondità anche se non lo vediamo fino in fondo. Ci sono dodici zattere con dei corpi sopra, ognuno attaccato ai propri macchinari che monitorizzano il viaggio, ma non ne danno le coordinate reali di dove sono, dove sono le loro menti, se hanno emozioni, se sentono o cosa sentono. Tutto sembra fermo, il tempo nella rianimazione si dilata e quasi non esiste, non si misurano piu’ le ore, ma per quei corpi il metro di misura sono i mesi e  gli anni. Tutto si distorce come in un’ equaizione di Einsten, soltanto che lo spazio e il tempo si dilatano o si accorciano senza una precisa costante, senza un preciso senso razionale.

Il colore blu e celeste abbonda ovunque anche sulle divise  dei medici ed infermieri tutti uguali, tutti in divisa blu, indistingubili, nessuno ha il camice bianco neanche il capitano barbuto, infondo come ho già detto questo non è un reparto come gli altri.

Questo è un reparto speciale sotto ogni punto di vista, unico nel suo genere, si fa rianimazione  ma in un modo umano, rilassato, sereno, nonostante sia questo un reparto dove i malati stanno in un limbo sconosciuto, in un’intersezione, che non so come la definirebbe Dante, ma io quell’intersezione la definisco, luogo della non vita e della non morte.

Un paziente in coma o semi vigile, attaccato ad un respiratore e’ in un luogo ignoto, in un abisso dove la scienza ancora non è arrivata. L’impressione che si ha è che abbiamo l’essenza di un corpo che imprigiona ogni volere, per i familiari è come vedere il proprio caro trasformato in una regressione mentale e fisica tanto da ridurre il corpo di un uomo a un bambino di pochi mesi.

Ti guardi intorno e vedi un continuo e perpetuo lavoro di infermieri e medici, tutti dediti su quei corpi,  un infermiere a letto, e ogni infermiere ha due pazienti , li lavano quotidianamente, li puliscono, li improfumano, per dare anche in quello stato una dignita’, sono sempre e comunque persone, anche in quello stato.

La straordiaria squadra  blu lotta ogni istante per la vita del paziente, per mantenerlo in vita, per ridargli una speranza di vita.

Vita mi direte voi? Che vita c’e’ dentro un reparto di rianimazione?

Vi rispondo dicendo che c’e’piu’ vita in quel reparto, dietro quella porta blu, che in una discoteca il sabato sera.

Qui si ha il rispetto per la vita, anche se e’ attaccata ad un respiratore, anche se il paziente apre gli occhi ma non e’ connesso con l’esterno, perche’ ancora ancorato in quel mondo sconosciuto, anche se c’e’ un’ora di vita, si lotta per farla diventare un giorno in piu’, e quei medici tutti insieme si stringono per farsi forza e fare forza al paziente e ai familiari.

Ed ecco che allora una bambina si aggrava, non c’e piu nulla da fare, ma si deve tentare  anche l’impossibile perche’ tra le mani di quei sanitari c’e’ un corpo, che ha sorriso, pensato, pianto, e la missione e’ di provare a ridare un sorriso a quel corpo. Non c’e’ piaga piu’ atroce e sollievo piu’ grande, vedere un padre che piange singhiozzando per sua figlia che sta muorendo, e dopo poco sentirsi dire, -e’ ancora in vita grave ma in vita-, e rivedere il solito podre, abbracciare e piangere tra le braccia dei medici. La speraza la dove si puo’ dare si deve dare.

In questo particolare reparto di rianimazione di Pisa non ci sono medici e infermieri piu’  bravi di altri, la cultura medica più o meno è la stessa di tutti. Nemmeno  si credono di essere Dio, nonostante abbiamo la vita delle persone in mano tutti i giorni, ed e’ proprio per questo che sono ben consapevoli dei limiti umani.

La loro straordinaria bravura stà nell’approccio con cui curano i pazienti, nella passione con cui fanno il proprio lavoro, e questo non si impara da nessuna parte, in nessun libro di medicina,  lo si ha dentro nel cuore, forse lo si eredita dall’albero familiare, ma il più delle volte si ha dentro, e un’ottimo coordinamento  di un gruppo fa si che questa passione e dedizione possa venire fuori e collimare perfettamente con la rigida e tradizionale medicina verso il paziente.

Ed ecco allora che un reparto di rianimazione diventa un luogo aperto, un posto nel quale si convive bene con la vita e la morte, un’oasi dove i familiari non sono lasciati in quella solitudine logorroica e carnefice che porta alla distruzione prima interiore e poi fisica, ma diventano parte integrante della rianimazione. Vengono tenuti aggiornati costantemente della situazione dei loro parenti e sono liberi di interagire con i medici e infermieri anche nel raccontare loro chi era prima quella pesona, cosa faceva, le sue emozioni, le sue passioni.

Nella rianimazione del pronto soccorso di Pisa non si curano solo i pazienti ma ci si preoccupa anche dei loro familiari, li si accompagna dentro la malattia, li preparano a convivere  con essa e alle conseguenze drastiche che essa può portare nel futuro, li si fanno capire che si può, anzi si deve, continuare a vivere anche nella malattia. E quindi non stupisce se un padre con gli occhi lucidi abbraccia il medico per più di un minuto e  bacia un’infermiera se gli salvano per un giorno in più la sua bambina.

In questo reparto colpisce l’umanità.  Non ho mai visto un malato lasciato solo più di cinque minuti, c’è sempre qualcuno che ronza in quell’isola infelice, ma nella quale c’è spazio per un caffè, per un sorriso, per un dialogo sereno tra colleghi, e il tutto naturalmente davanti ai malati appesi ai tubi. Dico naturalmente perché questo è il modo naturale  con cui si svolge la giornata in questo reparto diretto da Malacarne, uomo di poche parole certo,  ma quando le usa sono ben pesate, mirate e concrete proprio come facevano i profeti di un tempo,  un primario che ascolta e viene ascoltato ma non solo per la sua autorevolezza, ma proprio per la sua capacità di tendere un orecchio, e ben  consapevole di avere un gruppo straordinario, preparato e umano.

L’efficienza di questo reparto lo pone tra i migliori d’Europa, e il migliore di Italia, per il numero di posti letto, per il  rapporto tra medici e familiari,  per il clima che si respira nonostante la gravità delle situazioni che si vivono su quei letti.

Mi guardo intorno, i malati sembrano dormire, tutti tracheotomizzati, il movimento dei tubi scandisce il ritmo dei respiri, ad un tratto si sente un suono, un- bip – che spaventa  un familiare i loro occhi cercano pace in un infermiere che subito arriva come un santo a placare una normalità  tecnica, poche parole per una spiegazione e sul viso preoccupato della donna ritorna una espressione serena,  e lo sguardo pietoso ritorna su suo marito apparentemente dormiente da oltre un mese, in realtà in coma per un incidente stradale. Un uomo grosso immobilizzato  con il corpo legnoso, una vita immobilizzata, muta, inespressiva, sua moglie lo chiama, ma lui sembra essere lontano, in un’altro posto, l’unica cosa che si muove è il petto animato dall’ossigeno forzato dentro ai tubi.

Un autore scrive nel suo libro, che in rianimazione -la vita è lunga quanto il tubo che ti connette ad un respiratore-, ed è proprio così,  questa è la verità, qui  sta tutta l’essenza in tutta la sua crudeltà. E davanti a quell’uomo mi chiedo che vita e’ quella.

Molte volte mi ero fatto questa domanda quando leggevo articoli dei miei colleghi che parlavano di malati terminali, non ho mai trovato una vera risposta perché non avevo mai visto con i miei occhi. Ora sono lì, davanti a quell’uomo, lo guardo,  avverto tutta l’angoscia di quel malato grave, la leggo sul monitor  e la vedo nei respiri lenti e sul volto di sua moglie.

Qui penso alla vita e al suo senso, mi viene naturale questo filosofico pensiero, perché non so se davanti a me ho una vita o un’altra cosa, e se un’altra cosa, che cosa? Cosa si intende per vita? Un respiro soltanto, o la capacità di comunicare, parlare, ridere.  Se si parla di respiri  quelli ci sono sempre, cambiano le componenti, che in un caso sono molte nell’altro sono poche, quasi nulle.  E allora? E’ vita stare attaccati ad un respiratore con la dignità pur curata, ma ridotta al minimo?

Qui non siamo in situazione di accanimento terapeutico o di casi di eutanasia estremi, eppure anche quei corpi fanno rabbia, tristezza, c’e la voglia di gridare – basta, facciamola la finita- la nostra impotenza li davanti, ci farebbe staccare la spina, perche’ anche nella speranza in questi casi c’e sempre l’amarezza dell’abbandono e il non desiderio di vedere in quello stato un familiare. E allora?

Mi sono risposto con un’altra domanda, se i medici lottano per dare anche quella minima dignità, con tutta la determinazione e passione , se non avesse senso, cosa lo farebbero a fare? Mi sono convinto che anche in quella infernale situazione  la vita sembra essere più forte della morte, quei fili e tubi trattengono con forza la vita come un cane trattiene il suo osso tra i denti.

Il cuore batte, i polmoni reggono, anche se il cervello non è presente, ma nessuno sa realmente se qualcosa passa di là dal muro, nessuno sa se in quel forzato dormire cosa si percepisce e come si percepisce.  Il dubbio logora la ragione, e la ragione vorrebbe soffocare la speranza in questi casi, vorresti lasciare quel corpo andare alla deriva, ma non lo si fa, almeno in questo caso, si lotta, si cerca di fare del pensiero della morte una speranza di vita.

Sono pochi quelli che tornano con le proprie gambe a ritrovare gli angeli blu del reparto, ma quei pochi sicuramente non avrebbero potuto ritornare se erano lasciati andare alla deriva. Le situazione critiche, le diagnosi di persone che rimangono in stato vegetativo o su una sedia a rotelle dopo aver passato la rianimazione, sono i casi più frequenti e terribili che farebbero pensare che sia giusto staccare tutto prima, perché un corpo perso in un letto non è vita, ma quello che ho capito in questo reparto, sarà il clima speciale  che trabocca dal gruppo e dal suo coordinatore, e’ il senso della vita anche sul punto  di morte.

Sono stato una giornata intera dentro una rianimazione, più vicino alla morte di quanto fossi mai stato prima, ho visto anche morire, e nonostante tutto ho confermato che la vita va vissuta fino in fondo anche attaccato ad un respiratore perché la vita è degna anche in quel momento, finche il tamburo battente suona la sua musica, bisogna lottare. E per quanto riguarda la morte, bé, potrebbe sembrare uno spreco, ma come diceva la Fallaci, anche senza quello spreco di morte non ci sarebbe la vita.

Dedico questo articolo al primario di rianimazione di Cisanello di Pisa il Dr. Paolo Malacarne, al  coodinatore Dr. Nunzio De Feo, al Dr. Paolo Maremmani, alla Dr.ssa Marzia Corini, – Beati Tiziano,Bergamasco Stefano,Bertolini RobertaGiusti Ferdinando, Maggini Chiara, Martelli Maria,Peci Carmela,Pini Silvia,Pozzi Elena (incarico T.D.), Sbarbaro Catia,Simoni Piero Viaggi Bruno

Agli infermieri Barbara zampetti, Alessandro Taccini, Alberto Manfredi, Carmen Franzè, Alessandro Ciattaglia, Simona Sanfratello, Cristina Ballantini, Fabio Giannelli, Massimo De Felice, Cristina Galardini, Ilaria Maggini, Roberto Vierucci, Ilaria Ali, Nicoletta Bertelli, Sonia Barsotti, Paola Lupi, Antonio Patalani, Gianni Selvaggio, Cristina Pizzi, Cristina Lencioni, Carla Fiorentini, Federico Stefani, Marco Santerini, Veronica Panetti, Cinzia De Cusatis, Cristiano Cappelli, Simona Collegiani, Cristina Cannavò, Mara Ceccarelli.

Agli operatori di Supporto Fabio Lazzereschi, Rossi Monica, Pinto Pia.

Filippo Baglini direttore del magazine italoeuropeo di Londra

Dedico questo articolo al primario di rianimazione di Cisanello di Pisa il Dr. Paolo Malacarne, al  coodinatore Dr. Nunzio De Feo, e a Tutto il personale medico ed infermieristico che ha curato e assistito il paziente BAGLINI ORLANDO e gli hanno fatto rivedere il mondo.

– Filippo Baglini -Cinzia Cerbino (www.italoeuropeo.com magazine in London)-




Piero Angela e Gian Antonio Stella per il Concorso Video “Memorie Migranti”

Piero Angela e Gian Antonio Stella

per il Concorso Video “Memorie Migranti”
L’emigrazione italiana torna ad essere un argomento di grande attualità
GUALDO TADINO (Perugia) – Giunge all’VIII edizione il Concorso Video “Memorie Migranti”, nato per recuperare la memoria storica dell’emigrazione italiana nel mondo e favorire un’attività di ricerca e di studio sugli aspetti sociali, storici ed economici legati al grande esodo. Promosso dal Museo dell’Emigrazione “Pietro Conti” con la partecipazione di Rai Internazionale e dell’Isuc, si fregia di due testimonial d’eccezione, i giornalisti Piero Angela e Gian Antonio Stella. “L’emigrazione italiana, per anni oscurata anche negli studi storici”, spiega il giornalista Piero Angela, “torna ad essere un tema di grande attualità, poiché diventa momento di riflessione e di confronto con le migrazioni che riguardano l’Italia ed il mondo oggi”. Per Gian Antonio Stella “i grandi paesi come l’America sono il frutto dell’incontro tra diverse culture, tra cui anche quella italiana. Agli immigrati italiani è stato spesso riservato un atteggiamento ostile e xenofobo. Vittime anch’essi, come i neri, dell’aparthaid. Un concorso come questo è un’operazione culturale fondamentale per aiutarci a riflettere sull’emigrazione italiana dello scorso secolo e sulle “orde” di immigrati che arrivano oggi in Italia, suscitando ondate di xenofobia”. “I valori universali e trasversali”, continua Stella “come l’accoglienza, il confronto, la conoscenza non hanno connotazioni politiche. Per essere aperti al confronto occorre sicuramente conoscere la propria identità culturale, rinsaldare i legami con la terra che ci ha generati, esprimere buon senso e valori quali la coerenza”.  “Il Concorso prevede”, aggiunge Catia Monacelli, curatrice e Direttore del Museo “l’ideazione e la produzione di un audiovisivo che trae spunto dalla tematica migratoria italiana. In questi anni il progetto ha visto la partecipazione sia di giovani registi che di giornalisti affermati, che hanno dedicato a questa pagina della storia pellicole eccellenti. I preziosi lavori grazie alla pubblicazione Memorie Migranti hanno raggiunto le platee di tutto il mondo”. Il premio consiste, infatti, sia nella pubblicazione dei lavori vincitori e finalisti all’interno dell’VIII edizione del cofanetto DVD “Memorie Migranti”, sia nell’assegnazione di una somma complessiva di 2.000,00 euro. Per maggiori informazioni è possibile contattare la segreteria organizzativa allo 0759142445, oppure scrivere ad info@emigrazione.it. Il bando di concorso e la scheda tecnica di partecipazione si possono reperire aprendo il link http://www.emigrazione.it/pag=concorso_video_memorie_migranti.html.



I Concept Chevrolet Miray e Colorado Rally di Lino Manocchia

Chieti, 19 Settem. ’11, Lunedì, S. Gennaro- Anno XXX n. 312 –  www.abruzzopress.infoabruzzopress@yahoo.it – Tr. Ch 1/81

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I Concept Chevrolet Miray e Colorado Rally

di   Lino  Manocchia

Nei cento anni della sua storia, Chevrolet ha creato e definito una serie di vetture dal design indimenticabile. Alcune sono diventate vere e proprie leggende della strada, come la Belair, la Suburban, la Corvette o la Camaro. Le vetture Chevrolet hanno un aspetto molto diverso, che ne riflette i vari utilizzi, ma condividono il design e il DNA del marchio e una serie di caratteristiche di carrozzeria e abitacolo che le distinguono dalla concorrenza.

Tra i più evidenti stilemi del moderno design globale Chevrolet c’è una tensione dinamica che si ritrova nell’intera gamma. Che si tratti di una citycar come la Spark o di un SUV come la Captiva, il design di Chevrolet è espressivo e vivace, ed evoca una sensazione di energia e forza trattenuta. Contemporaneamente le vetture Chevrolet si rifanno a una tradizione che ha reso grande il marchio, rielaborando idee del passato senza restare prigioniere di un aspetto rétro. La Chevrolet Miray e il Colorado Rally, due Concept che vengono  presentati in anteprima europea a Francoforte, incarnano questi principi  stilistici e portano nel futuro le tendenze attuali dei rispettivi segmenti.

Il potente Colorado Rally anticipa la prossima generazione di pickup di dimensioni medie, e la futuristica Chevrolet Miray si caratterizza per un abitacolo di ispirazione aeronautica e una tecnologia ibrida avanzata. Chevrolet Colorado: proporzioni ampie. Ogni centimetro  della carrozzeria del Concept Colorado Rally con cabina doppia e telaio a trazione integrale, presentato al Salone Internazionale dell’Auto di Buenos Aires, è un messaggio di forza. Intende comunicare la massima autenticità ed è stato progettato tenendo a mente la categoria rally.

«Chevrolet costruisce truck dall’inizio della sua storia ed essi costituiscono una parte essenziale del nostro marchio. Grazie a un design originale, alla sua eleganza e all’assenza di compromessi in termini di prestazioni, il Concept Colorado Rally reinterpreta una tradizione di cui siamo tutti orgogliosi,» ha dichiarato Wayne Brannon, Presidente e  Amministratore Delegato di Chevrolet Europe.

Il Colorado Rally Concept monta un motore turbodiesel da 2.8 litri e due verricelli da 5,5 cv inseriti nei paraurti anteriori e  posteriori. La carrozzeria di Colorado è verniciata con tre strati di bianco perla e spruzzi di particelle ‘dorate’, mentre tetto e paraurti, il roll bar stilizzato e la parte interna del pianale di carico, dove trovano posto la ruota di scorta e le scatole degli attrezzi, sono in plastica nera. All’interno, un volante ad alte prestazioni

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ABRUZZOpress – N. 312 del 19 settembre ’11                                                                                                                        Pag 2

disegnato per consentire una presa aggressiva aiuta il guidatore a portare il veicolo anche sui terreni più difficili. Un display a LED funge da contachilometri. Per trovare la strada giusta si è assistiti da un navigatore satellitare posizionato davanti al copilota. Le cinture di  sicurezza a cinque punti di Colorado sono attaccate direttamente alla cella di sopravvivenza. Un sistema antincendio dedicato garantisce protezione da qualsiasi incendio si possa sviluppare nell’abitacolo e nel vano  motore.

Presentata per la prima volta al Salone di Seoul a marzo, la Concept Chevrolet Miray reinterpreta in modo fresco e moderno alcuni stilemi tipici di Chevrolet rendendo merito alla tradizione delle sportive della casa. La Miray viene azionata da due motori elettrici a batteria da 15 kW disposti anteriormente che garantiscono rapida accelerazione e zero emissioni nella guida urbana.

«’Miray’ è una parola coreana e significa ‘futuro’. Questo Concept rafforza il legame tra auto e guidatore e fa intendere in modo fresco e brillante come potrebbero essere le sportive del futuro,» spiega Brannon. «Molti componenti utilizzati nel gruppo motore trasmissione derivano dai nostri sistemi. La Miray è una  vettura piccola e aperta, come la Monza SS del 1963, e leggera e personale come la Corvair Super Spyder del 1962, e si caratterizza per la fusoliera aerodinamica che ricorda i moderni caccia. La griglia sdoppiata è definita da gruppi ottici a LED con le nuove luci diurne. La fiancata a cuneo è realizzata in plastica rinforzata con fibra di carbonio (CFRP) e fibra di carbonio. Le linee spigolose sottolineate dalla luce ambiente creano una filante scia luminosa quando l’auto è in movimento, riempiendo di luce e calore le sue forme scolpite. Le portiere a forbice stile Le Mans  sottolineano l’aspetto corsaiolo della Miray. Nel posteriore, le luci posizionate sotto la superficie della coda d’anatra richiamano i tipici elementi sdoppiati Chevrolet.

Un abitacolo  elegante

L’abitacolo della Miray è caratterizzato da un mix di alluminio spazzolato, pelle naturale, tessuto bianco e lega metallica liquidmetal  per un effetto complessivo di velocità scultorea. I designer hanno adottato un sistema di retroproiezione sul quadro  strumenti, un approccio  originale per la visualizzazione delle informazioni, che sono state divise in tre zone, per  eliminare i disturbi visivi superflui e permettere di concentrarsi sull’emozione della guida.

Il touch screen centrale confluisce in un supporto di alluminio che ricorda la punta di un aereo da caccia con il carrello abbassato. La superficie esterna si lega all’interno e prosegue nella consolle centrale rinforzata, un elemento importante che unisce parte anteriore e posteriore della vettura. Un particolare interessante è il pulsante di avvio centrale. Quando viene attivato, il gruppo di strumenti montati su una colonna retraibile  sale come la copertura di un velivolo monoposto e sulla superficie bianca compare una “proiezione interattiva”.

Il sistema di  propulsione flessibile Il sistema di propulsione “semi-elettrico” della Miray, posizionato prevalentemente alle spalle e sotto il guidatore, è stato studiato per massimizzare prestazioni e consumi. I due motori elettrici anteriori da 15 kW sono alimentati da una batteria agli ioni di litio da 1,6 kWh che viene caricata dalla rigenerazione dell’energia di frenata. E‘ possibile passare  dalla trazione anteriore a quella posteriore.

Un motore turbo quattro cilindri da 1.5 litri montato dietro il posto guida si associa ai motori elettrici per aumentare le prestazioni,  garantendo una coppia brillante e integrandosi senza soluzione di continuità con il sistema elettrico per definire nuovi standard nel segmento delle  roadster compatte.

L. M.




Argentina. Nel cielo le stelle, nel campo le spine … di Alejandra Daguerre

Nel cielo le stelle, nel campo le spine …

di Alejandra Daguerre

Alejandra Daguerre
Alejandra Daguerre


BUENOS AIRES – Quando ero una bambina e vivevo ancora in un paesino, ebbi una discussione con il mio amico Edgardo.  Avevamo un legame fortissimo, di quelli che nascono dal “crescere insieme”. Una fratellanza nata non solo come compagni di classe a scuola, ma anche dallo stare vicini, passando pomeriggi interi in viaggio per le strade della vita tra il karting e la bicicletta.

Durante una tranquilla notte d’estate, mentre guardavamo il cielo e ci sentivamo esperti della materia, gli dissi che le stelle brillavano perché erano “le candele degli angeli”. Edgardo non solo  mi rise in faccia, ma dimostrandomi il suo alto livello di raziocinio sull’argomento, cominciò a spiegarmi la verità delle cose dicendo:  “no no …non è così…”Le stelle sono i buchi da dove piove”;  poi passa per lì, l’acqua che viene dall’alto, dal cielo, e poi bagna le piante per far crescere il grano …capisci?

Quella sera ci lasciammo prima del solito e ognuno tornò a casa sua … Ci eravamo letteralmente afferrati a verità diverse. Per prima volta ci trovavamo di fronte ad una rottura delle nostre relazioni diplomatiche, perché io e lui – immersi in un sepolcrale silenzio – volevamo difendere “la nostra verità individuale”. Quel fatto rappresentò il nostro primo disaccordo e dissenso forte…Ora, ricordo questo con grande tenerezza; ma dopo un’analisi più a fondo, credo si tratti di un vero modello di ciò che ci succede quando ci chiudiamo davanti agli altri, pensando di essere padroni della verità.

Quante volte la nostra verità è così assoluta che non ammette revisioni? Quante volte abbiamo discusso (con qualcuno che emotivamente c’interessa molto!) solo perché noi non tolleravamo il suo punto di vista diverso? Quante volte nessuno dei due aveva ragione, ma non siamo riusciti a  “relativizzare” la nostra  posizione?


Vedete? Un dolce ricordo d’infanzia è riapparso sotto forma di disaccordo coniugale e mi ha segnalato una zona di allarme … Noi donne elaboriamo spesso approfondimenti romantici e idilliaci. E dal centro della nostra sensibilità (quasi-ormonale) crediamo che si tratti dell’unica spiegazione possibile. Gli uomini d’altro canto elaborano processi mentali e ci rispondono dal punto di vista della razionalizzazione estrema, annullando altre possibilità solo perché non hanno il supporto del fatto, credendo che la supremazia della ragione sia l’unica strada. Non so quale sia la verità, so solo che nessuno possiede la certezza assoluta e tanto meno ha il diritto d’imporla.

Propongo (e mi propongono anche) di lavorare per creare buoni collegamenti, di diventare autori di “rapporti con le stelle“, di occuparsi e concordare con i nostri affetti, di godere e celebrare insieme la vita. Dalla nostra orgogliosa rigidezza cerchiamo solo di sostenere e convalidare la nostra verità, verità cieca e assoluta che squalifica, vanità dell’ego che ci rende sordi. Dalla superbia dell’ego non ascoltiamo e quando ce ne renderemo conto, sarà probabilmente troppo tardi e ci saremo già persi fra le stelle!

*psicóloga e psicoterapeuta, Buenos Aires