LE PRIME IMPORTANTI INIZIATIVE ABRUZZESI

 

Parallelamente a tutte le iniziative già in svolgimento in abruzzo per portare i cittadini a votare SI il 17 aprile prossimo contro questo piano energetico nazionale e a favore delle energie rinnovabili, ne stanno partendo altre in Abruzzo per la raccolta delle firme relative a due referendum abrogativi contro norme della vigente legge elettorale: quella sul premio di maggioranza e sui capilista bloccati.

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Sarà questa la battaglia immediatamente successiva al referendum del 17 aprile, congiuntamente al referendum costituzionale per opporsi e rimandare al mittente la pessima deforma costituzionale voluta da questo Governo, oggi in approvazione definitiva di seconda lettura alla Camera dei deputati.

, rispettivamente professore di diritto del Lavoro e di diritto costituzionale nell’Università “G. D’Annunzio”.

Francesca Caporale

 

Teramo 12 aprile 2016                                             Coordinamento regione Abruzzo




appello della Consulta regionale di Pastorale Sociale Abruzzo-Molise per il referendum del 17 aprile

Consulta Regionale dell’Ufficio di Pastorale Sociale (Lavoro, Giustizia, Pace, Custodia del Creato) Abruzzo-Molise Responsabili per la creazione e per la democrazia: un appello ragionevole e costruttivo per il bene comune del nostro Paese Papa Francesco ha rivolto alla Chiesa universale e a tutti gli uomini e donne nel mondo l’appello sulla “cura della casa comune” che è la nostra Terra. Ha espresso in maniera efficace l’analisi della situazione attuale e l’orientamento auspicabile che l’umanità intera è chiamata ad assumere per custodire il dono della creazione e costruire uno sviluppo compatibile secondo i principi di quell’“ecologia umana integrale” che il Vangelo ispira e che l’insegnamento sociale della Chiesa propone. Anche i nostri Pastori delle Chiese di Abruzzo e Molise in questi anni hanno pronunciato, partendo dall’ascolto del nostro popolo e coinvolti in difesa del territorio in cui insieme viviamo, riflessioni relative alle tante crisi ambientali ed economiche legate alla minaccia della deriva petrolifera che interessa ancora le nostre coste e le nostre terre. Come espresso durante l’ultima sessione del Consiglio Permanente della CEI, nel nostro Paese è necessaria un’ampia valutazione riguardo la transizione energetica, che porti a entrare in maniera consapevole ed efficace nel secolo delle energie rinnovabili, della sobrietà energetica e di un nuova alleanza tra creatura umana e creazione naturale. Il prossimo referendum abrogativo del 17 aprile è una delle occasioni propizie per tale percorso, ben più ampio di questo importante appuntamento, destinato a far crescere in Italia non solo una politica economica alternativa e capace di futuro, ma anche a diventare momento di consapevolezza civile nella partecipazione democratica di ogni cittadino. In questo periodo in cui la convivenza sociale si fa più difficoltosa e conflittuale e la crisi della rappresentanza politica porta alla sfiducia e alla chiusura, l’invito ad esercitare col voto referendario la propria sovranità ragionevole e costruttiva in un ambito così vitale può segnare anche un motivo di riappropriazione del proprio ruolo di cittadinanza attiva e condivisa, che in molte occasioni viene vanificato. Auspichiamo quindi che il prossimo 17 aprile tutti partecipino con convinzione all’esercizio del voto referendario, perché un popolo che vota è un popolo libero e responsabile. Consulta Regionale UPSL Abruzzo-Molise




Il Centro Servizi per il Volontariato ha aperto lo sportello a Popoli

 

 

Ha da subito destato interesse l’apertura di uno sportello del Centro Servizi per il Volontariato di Pescara a Popoli. Un punto di riferimento per tanti volontari e per le associazioni del territorio che ha preso vita grazie all’accordo con l’Amministrazione Comunale di Popoli. Lo sportello del Centro Servizi per il Volontariato di Pescara  aprirà con cadenza settimanale. L’inaugurazione dello “Sportello del Volontariato” ha visto la presenza di molte persone, delle autorità locali a partire dal sindaco Concezio Galli, e dei rappresentanti del direttivo del Csv. Ubicato presso il “Centro visite – Il Grottino” – in piazza della Libertà a Popoli. Al termine delkla cerimonia di inaugurazione è seguito “l’Aperitivo del Volontariato” una modalità semplice e cordiale per dialogare, presentare richieste, porre domande, proporre corsi di formazione e concordare consulenze gratuite di cui si avesse necessità. Adesso giovani e meno giovani che vogliono sperimentare un’esperienza di volontariato, più o meno duratura, più o meno impegnativa possono rivolgersi allo sportello ogni venerdì pomeriggio, dalle ore 18 alle ore 20.

 

Pescara 12 aprile 2016




TRIVELLE:DI GIUSEPPANTONIO, APPELLO UDC A VOTARE “SI” AL REFERENDUM, DIFENDIAMO IL MARE D’ABRUZZO.

“L’appello a tutti gli abruzzesi è a votare “sì” al referendum di domenica contro le trivelle. Difendiamo i nostri mari. Vogliamo tutelare l’ambiente e il mare che è più prezioso del petrolio. Questa è la linea dell’UDC come mi ha confermato ancora una volta ieri il segretario nazionale Lorenzo Cesa nel corso di un incontro a Roma alla presenza del vicesegretario vicario Antonio De Poli”. Lo afferma Enrico Di Giuseppantonio, commissario regionale UDC in Abruzzo che ieri si è recato a Roma per un incontro al partito in vista del referendum sulle trivelle di domenica prossima: “Non possiamo rendere vana la lotta dei cittadini e delle Amministrazioni locali abruzzesi che hanno scongiurato l’insediamento di Ombrina nel mare antistante la nostra costa. E’ una battaglia in difesa delle bellezze marine della nostra regione, di 133 km di costa abruzzese che sono un’ autentica ricchezza per l’economia turistica”. “La tutela dell’ambiente e’ fondamentale: ce lo ha ricordato Papa Francesco con la sua Enciclica ” Laudato sii” dove questo concetto è espresso chiaramente: ‘La tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas –, deve essere sostituita progressivamente e senza indugio’, recita l’Enciclica del Pontefice. Non ha senso spingere per l’astensionismo: andiamo a votare e votiamo “sì” per difendere il mare dell’Abruzzo”.



Si conclude la 2^ edizione del Master in Wine Export Management GLI ESPERTI DELL’EXPORT DEL VINO SI DIPLOMANO A PESCARA

 
La cerimonia sabato nella Sala Tinozzi della Provincia di Pescara alle 15,00
 
La cerimonia sarà preceduta da un breve incontro con gli organi di informazione durante la quale sarà presentato il nuovo corso di studi che partirà il prossimo settembre. A partire dalle ore 15.00, la stampa è invitata ad intervenire. 
 
Si conclude la seconda edizione del Master in Wine Export Management per i 16 discenti dell’edizione 2015/2016 che questo sabato, 16 aprile, discuteranno le proprie tesi di fine corso a Pescara. 
La cerimonia di consegna dei diplomi si svolgerà nella prestigiosa Sala Tinozzi della Provincia di Pescara che ha deciso di patrocinare la giornata a testimoniare l’importanza del corso promosso daTalentform Abruzzo e già riconosciuto e patrocinato dall’Istituto per il Commercio Estero (CCIAA Pescara).
 
Il percorso formativo, durato 160 ore, ha visto anche quest’anno la partecipazione di discenti provenienti da tutta Italia che hanno seguito le lezioni in aula e che, oltre le lezioni teoriche, hanno avuto la possibilità di conoscere da vicino alcune  aziende vitivinicole   abruzzesi che hanno offerto il loro appoggio all’iniziativa.
 
“Abbiamo ospitato un’aula qualificata e di alto livello – ha dichiarato Diego Di Girolamo, direttore di Talentform Abruzzo – ed è stata un’edizione ricca di spunti positivi anche per noi. L’alto numero delle richieste già ricevute per la nuova edizione del Master, che partirà a settembre 2016, è segno che c’è grande attenzione per il settore e che stiamo confermando le nostre idee di partenza, ovvero che il successo del settore vitivinicolo italiano passa anche attraverso la capacità di persone specializzate e qualificate che sanno promuovere i nostri prodotti e il nostro territorio nel mondo”.
 
Prima della discussione dei project work di fine corso ci sarà la presentazione della nuova edizione delMaster in Wine Export Management di Pescara alla presenza di una parte del corpo docente, di alcuni partner e di ospiti graditi e prestigiosi come la giornalista e presidente delle Donne del Vino d’AbruzzoJenny Viant Gomez ei rappresentanti diOcmvino.it il sito web di informazione sui fondi di sostegno per la promozione dei vini su Paesi Terzi.
 
La stampa e gli interessati sono invitati a partecipare.
Informazioni www.vinoexport.it



La band emiliana Little Dario sbarca in Abruzzo

 

 

Sabato 16 aprile in concerto a Cepagatti.

Nella formazione il chitarrista di Marco Ligabue e il batterista di Gianluca Grignani

 

 

 

Pescara, 12 aprile 2016 – Si chiamano Little Dario, arrivano dall’Emilia Romagna e faranno scatenare l’Osteria della Musica a Cepagatti (Ch) sabato 16 aprile. Una formazione d’eccezione con Francesco Ottani alla voce, chitarra acustica e loopstation, Jonathan Gasparini alla chitarra elettrica, cori e loopstation e Diego Scaffidi alla batteria. Dal rock al funky, dal soul al blues, dal reggae al pop: tutto in una sera.

La musica è istinto, arte, evasione e divertimento” spiega la band emiliana che peraltro vede la partecipazione di musicisti che vantano importanti collaborazioni con artisti del panorama musicale italiano. A partire da Diego Scaffidi con le sue collaborazioni con Gianluca Grignani e Biagio Antonacci per poi passare a Jonathan Gasparini, chitarrista di Marco Ligabue, che ha collaborato peraltro con M. Setti di Notre Dame de Paris. La chitarra graffiante ed eclettica di Jonathan non è nuova al pubblico dell’Osteria della Musica che ha avuto già il privilegio di ascoltarla ed apprezzarla  ad ottobre scorso quando il chitarrista si è esibito nel locale proprio con Marco Ligabue, fratello di Luciano.

I Little Dario con il loro esclusivo repertorio che va dalle canzoni rock’n’roll anni sessanta alle ultime hit passando per De Gregori e Bob Marley, si esibiranno alle 22.30 all’Osteria della Musica di Cepagatti (Pe).

Per info 0859749809.




L’Aquila, molti eventi per ricordare il 750° anniversario della ricostruzione angioina della città dopo la distruzione operata da Manfredi nel 1259

12 aprile 2016

 

 

 

 

L’AQUILA – Molti gli eventi tenutisi a L’Aquila per ricordare i 750 anni dalla sua prima rinascita, il cui incipit fu proprio l’11 aprile 1266, dopo la distruzione operata nel 1259 da Manfredi ad appena cinque anni dalla fondazione della città sancita nel 1254 con decreto dell’imperatore Corrado IV di Svevia, figlio di Federico II. Inseriti nel cartellone della Perdonanza Celestiniana, gli eventi sono stati promossi, in collaborazione con la Municipalità, dal Gruppo di azione civica “Jemo ‘Nnanzi”, presieduto dall’infaticabile Cesare Ianni, e dalla Sezione dell’Aquila dell’Archeoclub. Gli eventi spettacolari con sbandieratori, cori medioevali, arcieri e falconieri si sono svolti nella giornata di sabato 9 aprile nell’ampia scalinata davanti la Basilica di San Bernardino, e sono stati accompagnati da due pomeriggi culturali con interventi di insigni studiosi, che hanno affrontato aspetti storici, tematiche di costume e società relativi al primo periodo angioino della città. Il 9 aprile il primo incontro con le relazioni di mons. Orlando Antonini, dei docenti universitari Fabio Redi Carlo De Matteis, del presidente della Deputazione di Storia patria Walter Capezzali e di Beatrice Sabatini di Archeoclub. Il secondo incontro l’11 aprile con le relazioni di Paolo Muzi di Italia Nostra, di Maria Grazia Lopardi dell’Associazione Panta Rei, di Sandro Zecca e Mauro Rosati dell’Archeoclub. Nutrita la partecipazione della comunità aquilana, che ha colto in tale commemorazione un ulteriore elemento nella ricostruzione della propri identità civica, dopo il terribile sisma del 2009. Qui di seguito l’intervento di mons. Antonini, Nunzio apostolico e studioso di architettura religiosa e urbana. (Gopalmer)

 

 

ARCHITETTURA SACRA AQUILANA DELLE ORIGINI

 

di Orlando Antonini

 

 

Per origini della città dell’Aquila intendo il periodo storico che va dal 1229 dei primissimi trasferimenti di popolazione sul colle di Accula al 1316 dell’elevazione delle Mura Urbiche definitive, con al centro la distruzione 1259 della città sveva e la rifondazione angioina di essa a partire dal 1266 – Buccio di Ranallo scrive 1265. Circa la fondazione dell’Aquila io com’è noto condivido la tesi di quegli autori secondo i quali la città – a parte la sempre più fondata ipotesi di una città romana scomparsa, forse Prifernum, esistente pressappoco sullo stesso sito – in quanto centro abitato dev’essersi formata non a seguito del 1254 del diploma di Corrado IV ma del 1229 della bolla di papa Gregorio IX. Il famoso 1254, cioè, rappresenta non la data del materiale inurbamento, bensì solo quella dell’elevazione ufficiale a città ed a capoluogo di nuovo Comitatus di un abitato già esistente, formatosi appunto nei trent’anni precedenti. Creare infatti dai due Comitatus di Amiterno e di Forcona un unico nuovo Comitatus con i suoi indispensabili uffici politico-amministrativi ma su un capoluogo ancora da fondare, come vuole la tesi tradizionale, non ha senso. Né pare aver senso una città che, se iniziata a costruire nel 1254 o solo qualche anno prima, appena cinque anni dopo possa aver costituito una minaccia per il potere imperiale tanto da venirne assediata e totalmente distrutta come si sa nel 1259. L’obiezione poi secondo cui Federico II nella sua concezione autocratica non avrebbe mai consentito alcun eventuale insediamento autonomista, si fa aleatoria sia in quanto non si sa fino a che punto l’imperatore controllasse effettivamente il territorio di frontiera amiternino-forconese in quel periodo di note ribellioni dei conti locali, sia in quanto in quel 1229 la citata bolla papale aveva revocato al demanio della Chiesa il territorio medesimo, rimuovendone pertanto la giurisdizione imperiale e sciogliendo gli abitanti dal giuramento di fedeltà; inoltre vi aveva ormai autorizzato l’inurbamento in parola. Infine, neppure la tassa di 10 mila once posta per il rilascio dell’autorizzazione papale alla fondazione può considerarsi una somma esorbitante per le popolazioni, atteso che una condizione del genere si suppone fosse usuale e comunque sia stata accettata già in sede di negoziato. In breve per noi, stanti le varie accezioni che del vocabolo Città si riscontrano nelle fonti, la ‘città da costruire’ documentalmente aggiudicata come si sa nel 1253 al Conte di Mareri, non fu altro che la sede della Città, ossia i Palazzi Pubblici e le Mura Urbiche, simboli cittadini per eccellenza. In ogni caso un dato di fatto è l’esistenza, inglobati nelle chiese successive, di resti di sezioni edilizie anche cospicue anteriori non solo al 1259 della distruzione della città per mano di re Manfredi, ma anteriori anche al summenzionato 1254. Questi resti strutturali indicano che se esisté sul colle di Accula una storia edilizia anteriore alla data ufficiale della ‘fondazione’ della città, dové esistere altresì una sua storia urbana in quel periodo.

 

Giova ricordare che le popolazioni si trasferirono sul colle di Accula, per formare o riformare la città, a criterio non individualista ma comunitario: i castelli in quanto tali, cioè, i cui abitanti all’interno dell’area murata formarono ognuno il proprio rione, detto ‘locale’, una maglia di abitazioni attorno alla chiesa e alla piazza. Unendosi in un unico nuovo centro urbano i leggendari 99 castelli riprodussero ciascuno, in esso, le strutture religiose ed altresì amministrative dei paesi di origine, chiamandoli con lo stesso nome dei castelli di provenienza e costruendo le proprie chiese ‘dentro’ intitolate agli stessi santi delle rispettive chiese ‘fuori’. Con quelli pertanto ognuno restando corpo unico indiviso e promiscuo sul piano ecclesiastico come su quello civile e catastale, e ognuno conservando, all’interno delle mura, la propria precedente identità sia ecclesiale sia civica.

 

Questo connubio tra comunità politica e comunità cristiana faceva in maniera che gli edifici parrocchiali assumessero anche una chiara funzione civica, oggi diremmo ‘laica’. Era nelle parrocchie che si risultava cittadini appartenenti ad un determinato ‘locale’ – l’anagrafe – da lì potendosi fornire, quando richieste, le cosiddette ‘fedi’ per i censimenti. Lì si raccoglievano tasse e collette civiche. Lì si arruolavano i soldati per le milizie cittadine. Era nelle chiese parrocchiali che si svolgevano le elezioni. Lì si stabilivano i rappresentanti locali ai parlamenti e alle ambascerie. In particolare, esse costituirono la sede ufficiale di parlamento delle università. I cittadini vi si radunavano periodicamente per trattare problemi d’ogni genere del rispettivo ‘locale’, da quelli di politica ‘interna’ del comune a problemi più spicci delle singole università, quali l’aggregazione di ‘forestieri’ al locale o il fitto degli erbaggi della montagna. E furono le chiese principali di essi a intitolare i quattro Quarti in cui nel 1276 la città e il territorio furono suddivisi, per questo appellate chiese capo-quarto, ed a fungere da loro luogo di parlamento, avendo bannera propria con proprio colore, mentre la bannera della città aveva aquile bianche in campo rosso – come sapete, gli attuali colori cittadini nero e verde furono introdotti a seguito dei lutti del terremoto del 1703: non sarebbe male a mio giudizio, proprio allo scopo di esorcizzare le ricorrenti devastazioni sismiche della città, tornare ai colori originari bianco e rosso.

 

Nel 1259 la prima Aquila viene totalmente distrutta. Nella forma urbis della seconda Aquila, l’Aquila angioina risorta nel 1266, la trama abitativa si dimostra meglio impostata rispetto alla precedente in quanto si seguì un preciso progetto urbano. Si tratta, come si vede, di una bella maglia ortogonale attorno alla grande piazza del Mercato, generatrice del tessuto urbano, e con isolati per lo più rettangolari, entro un’area totale intra moenia di circa 160 ettari. Essa è tuttora fruibile nel suo impianto anche se non nelle forme medioevali originarie, armoniosa, razionale e serrata sì da evocare, nell’aura simbolica tipica della concezione gotico-cistercense del ‘200, la Gerusalemme del salmo 121 “in se compacta tota”. Uno schema abitativo che riproduceva in contemporanea e quasi ad litteram gli schemi urbanistici e i caratteri architettonici e formali, di matrice cistercense, delle coeve due-trecentesche città nuove d’Europa, segnatamente quelle della Francia del centro-sud, le bastides di Montpazier, di Monflanquin e di molte altre, su cui vari autori francesi, dal Lavedan-Hugueney 1974 al Répérant 1993, al Bernard 1993 ed altri, hanno scritto diffusamente.

 

Orbene, fin dalla prima fase fondativa i cittadini, in quel medioevo di fede e di maggiore apertura alla trascendenza, fornirono i loro primi insediamenti degli adeguati servizi religiosi, quindi specialmente la costruzione di chiese. Nell’iniziale trentennio 1229-1259 ci si dové avvalere di edifici di culto preesistenti sul colle e che dovevano certo mostrare forme stilistiche e spaziali romaniche, come attestato dai resti strutturali o scultorei che per brevità vi invito a trovare nelle mie pubblicazioni. Furono invece elevate chiese di pianta negli anni Trenta e Quaranta del ‘200 in ragione dell’urbanizzazione che s’andava intensificando e non a caso, quindi, recando forme borgognone proto-gotiche: ad esempio la chiesa le cui tre absidi su pianta retta cistercense i castellani di Sant’Anza più tardi riutilizzeranno per propria parrocchiale di San Nicola, oppure il San Giorgio della fiancata Nord di Santa Giusta su via del Grifo, tessuta in arcaico apparecchio aquilano di selci e includente un portale sestiacuto tipicamente proto-gotico cistercense. Più cospicuo numero di chiese parrocchiali e monasteriali dové naturalmente elevarsi tra 1254 e 1259. Si pensi a quelle deducibili dai documenti di poco anteriori a tale anno: un San Pietro di Sassa in piazza del Mercato, una Cattedrale che doveva essere sul posto del San Giorgio poi Santa Giusta, un San Francesco, un San Domenico, un San Marciano, mentre per il 1257 si citano una Santa Giusta, un San Vittorino e/o San Biagio, un San Pietro di Coppito, un San Paolo di Barete, una Santa Maria di Forfona; altre sono attestate monumentalmente, come la chiesa cui appartennero il portale e la rosa gotico-borgognoni poi riapplicati sulla facciata di Santa Maria di Roio.

 

***

 

Nella seconda fase fondativa, dal 1265 o 66 in poi, dopo nemmeno tre lustri dall’aver inaugurato la prima, grazie all’autorizzazione angioina ed alla certa presenza dei loro urbanisti francesi e dei nostri Cistercensi, gli Aquilani si rimisero in movimento per costruire una seconda città. Quantunque secondo le nostre ricerche questa fu meno vasta di quella del 1229-1259, si trattò di un cantiere enorme perché i castelli dovettero materializzare, in poco tempo e in contemporaneità, sia l’edilizia privata, sia quella civica e ‘statale’ (la sede del Comune, il palazzo del Capitano, il palazzo regio), le opere di pubblica utilità e di difesa (la Fonte della Rivera, le Mura Urbiche) e sia l’edilizia parrocchiale. Dato che nel 1259 re Manfredi aveva incendiato e distrutto tutto quanto amiternini e forconesi avevano costruito fra 1229 e 1259 accanto notate alle rovine di quella che crediamo fu Prifernum, gli Aquilani poterono impostare senza troppo condizionanti preesistenze abitative il nuovo piano urbanistico. Nel 1272-75 il capitano Lucchesino assieme alla Fonte della Rivera costruì la nuova cinta di difesa in muratura.

 

In questa epopea costruttiva le architetture parrocchiali si suppone debbano aver iniziato ad essere riedificate fin dal 1266, giacché, come s’è detto, erano parte integrante della struttura portante del Comune, necessarie al suo funzionamento a livello cellulare. Dové trattarsi, già, di alcune decine di chiese, una per ciascun castello e frazione di castello reinurbato in quel primo periodo degli Angioini. Dalla documentazione, ben scarsa, che si possiede, quindi basandosi per lo più sul confronto di elementi stilistici e tecnici come il tipo di tessitura muraria ad apparecchio aquilano leggibile su alcune di esse con qualche sporadica data di riferimento è possibile dedurre l’appartenenza di varie di queste chiese a medesime maestranze edilizie, e dunque ad una medesima fase ricostruttiva, quella degli anni sessanta e settanta del ‘200. Così abbiamo un San Silvestro del 1265 o 85 precedente all’attuale, un San Liberatore del 1268 (poi San Ludovico, oggi la Concezione), San Marciano del 1276, la coeva Santa Maria di Roio, il demolito San Giustino poi San Martino di Chiarino, Santa Maria di Paganica, una adesso quasi scomparsa Santa Maria di Cascina del 1283, la pure demolita Santa Maria di Tempera del 1285, il San Pietro di Sassa del 1289 di cui resta solo la base della torre campanaria, il San Pietro di Coppito che vediamo dopo il ripristino morettiano, l’odierna Santa Giusta costruita sul posto della cattedrale del 1256 e precedentemente del San Giorgio di Goriano Valli, San Vittorino/San Biagio di Amiterno, San Quinziano oggi denominato San Biagio, la nuova Cattedrale sulla Piazza del Mercato, ed altre parrocchiali di cui non si ha memoria monumentale.

 

Nel frattempo si elevarono anche le chiese degli ordini religiosi tornati all’Aquila dopo la riedificazione o introdotti dopo il 1266: un secondo San Domenico – quello i cui resti nel corso dell’esemplare recente restauro condotto sotto la direzione dell’arch. Maurizio D’Antonio sono stati riscoperti a fianco dell’attuale, un San Francesco circa il 1270, una Santa Maria di Acquili circa il 1280, Santa Maria di Collemaggio nel 1275-87, Santa Maria Nova nel 1292 e, attorno al 1295 e non nel 1309 come riscoperto ultimamente dagli studi miei e di Maurizio D’Antonio, un terzo ed ultimo San Domenico, quello monumentale che ammiriamo in tutta levigata pietra concia, a tre navate e ben cinque absidi, l’esemplare architettonico più perfetto e rifinito in città, voluto e finanziato da Carlo II accanto al vecchio San Domenico divenuto cappella confraternitale di San Sebastiano.

 

Dal 1294 al 1316, quando cioè la città angioina fu ampliata alle attuali dimensioni e recintata dal circuito difensivo che ora possiamo riammirare con le sue torri (e spero fra breve anche nel suo unico antemurale rimasto, quello di Porta Barete), vi fu la terza e definitiva fase costruttiva di chiese. Ignoriamo quali e quanti locali si aggiunsero alla maglia urbana del 1266, perciò anche quali e quante chiese si costruirono. Esiste in proposito, tuttavia, la possibilità di individuarne alcune se nelle costruzioni sacre antiche, ancora esistenti all’esterno di quel che dové essere il perimetro urbano 1272-75, si riscontrino per esempio riferimenti dimensionali e tipologici attribuibili alle direttive urbanistiche statuarie del 1290. Crediamo dunque, nella fattispecie, edificate nel periodo in parola le chiese intus di Forfona, del Guasto, di Assergi, Tornimparte, Rascino, che appunto si apparentano nelle dimensioni e nella semplicità tipologica rettangolare che sembrano standard, e in quanto tali riferibili a detta programmazione degli anni novanta. Segnalo qui solo le principali caratteristiche dell’architettura sacra aquilana delle origini: l’impianto crociato dell’edificio a transetto più alto rispetto al corpo longitudinale, la facciata squadrata e il simbolismo architettonico.

 

Per la prima caratteristica, all’Aquila si constata una generalizzata preferenza per transetti incrocianti il corpo delle navi non a medesima quota, come di consueto, ma emergendo nettamente, campeggianti pur senza tiburio, sul colmariccio del piedicroce, determinando così organismi a croce immissa, innesto di due corpi contrapposti, uno longitudinale e l’altro trasversale più alto ed ampio. Questo sollevamento della massa prismatica produce, all’esterno, un movimento volumetrico originale e più dinamico rispetto ai comuni innesti a medesima altezza, e, all’interno, un effetto di dilatazione in spazio e luminosità, nel passaggio tra aula e nave traversa, più emotivo. La soluzione era abbastanza diffusa nel periodo romanico, ad esempio la basilica cassinese dell’Abate Desiderio, in Campania la Cattedrale di Salerno, e, sul versante adriatico, alcune note cattedrali pugliesi, quale quella di Trani, tuttora godibile, che hanno appunto transetti continui, indipendenti e sopraelevati sulle coperture longitudinali. In Abruzzo lo echeggiavano le romaniche Santa Maria di Ronzano presso Castel Castagna, la chiesa abbaziale di San Clemente a Casauria se fosse stata completata, la Cattedrale di Sulmona. Quanto al contado forconese, l’esempio più compiuto di tal fatta era il San Paolo di Peltuino prima delle superfetazioni, il quale, essendo di poco anteriore alla fondazione dell’Aquila, avrà fatto testo per le costruzioni aquilane. È questo preciso motivo tipologico che mi ha spinto ad intervenire sulla ricostruzione del transetto di Collemaggio. Non si è purtroppo accolta la mia proposta, ma pare si sia almeno sventato il primitivo riduttivo progetto: quello del tetto della navata centrale che continua senza interruzione fino all’abside, annullando in tal modo la dialettica tra corpo longitudinale e corpo traverso di cui ho detto, il che alla fine avrebbe assimilato la basilica ad un lungo interminabile capannone industriale. Notate, poi, che le testate di questi transetti terminavano invariabilmente a capanna. Si vedano quelle ancora esistenti pur se rimaneggiate di Santa Giusta e di San Pietro di Coppito, nonché, documentate figurativamente sul Gonfalone cittadino del 1579, quelle della Cattedrale e di Santa Giusta. E questo lo dico per la testata Est del transetto di San Domenico. Vi è ben noto che nei miei lavori io l’avevo fatta riprodurre a coronamento piano. A questo errore ero stato tratto dalla terminazione settecentesca del tetto, che scendendo a padiglione, ne taglia bruscamente in piano la parete. Ma Maurizio d’Antonio, direttore del restauro della grande chiesa, leggendo col suo occhio clinico i filari trecenteschi in pietra da taglio sotto la gronda che lo copriva, ha scoperto il segno chiaro delle due originarie pendive del frontone, che dichiarano come anche le testate del transetto domenicano terminavano a capanna.

 

Il contributo maggiore che l’architettura sacra aquilana offre a quella italiana consiste nell’originale ben noto schema di facciata chiesastica a coronamento orizzontale, sviluppatosi in città da fine ‘200 ma soprattutto nel primo ventennio del ‘300. Il singolare stilema, schermo quadrangolare che nasconde le forme a capanna dell’organismo interno delle chiese e per ciò stesso si costituisce a corpo architettonico a sé stante, simmetrico e dialettico al corpo traverso dei transetti e rivolto allo spazio esterno che filtra, non è esclusivo delle chiese dell’Aquila, né si può dire sia nato nella regione abruzzese. Lo troviamo infatti presente, tra XII e XIII secolo, nell’area pugliese ed in quella umbro-marchigiana e laziale ed a Roma stessa, dovendo essere gli esemplari ivi comparsi che, per la loro immediatezza e vicinanza, poterono determinare l’adozione della soluzione quadrangolare anche in Abruzzo e all’Aquila. Senza parlare di casi di facciate a coronamento piano fuori d’Italia, in Spagna, in Francia, persino in Olanda. Se però facciate a schermo quadrangolare esistono in Abruzzo, in Italia e fuori Italia, anche più antiche, la particolarità aquilana è che soltanto in questa città la tipologia si è applicata sistematicamente per tutte le sue chiese, e se ne è potuto lavorare ed elaborare lungamente lo schema in svariate versioni; sicché mentre fuori esso è eccezione, all’Aquila è regola. L’originale invenzione fu recepita all’Aquila già a fine ‘200 – lo sappiamo da quella di San Giustino o San Martino di Chiarino demolita nel 1935 – e diffusa poi in tutto l’Abruzzo come nota dominante fino al Seicento. Si giunse anzi, caso più unico che raro nella storia dell’arte abruzzese, a riesportarla nelle regioni vicine e addirittura nel Ticino, nel San Lorenzo di Lugano, dove fu certamente riportata nel secondo ‘500 dai mastri ticinesi da noi accomunati sotto la generica qualifica di ‘lombardi’ o ‘milanesi’, che fin dal XII secolo si erano stabiliti nella nostra zona e facevano continua stagionale spola tra l’Aquila e le valli alpine. Le eccezioni timpanate alla tipologia quadrangolare suddetta, apparse soltanto nel tardo ‘400 sulla facciata di Santa Maria del Soccorso e, nel ‘500, sulla fronte della Misericordia, non fanno che confermare la regola.

 

Ciò che particolarmente colpisce, in tale stilema aquilano medioevale, è la sua decisa orizzontalità, affermata proprio nel pieno trionfo del verticalismo gotico ufficiale francese e nord-europeo, più ancora dello stesso gotico mediterraneo ed italiano, che già per conto suo privilegia proporzioni placate e spazi e volumetrie misurate nei rapporti. Non si tratta di un attardarsi sul passato romanico da parte dei nostri mastri ed artisti, come spesso si sostiene e si continua a ripetere, ma di una scelta intenzionale anti-gotica e anti-platonica, riflettente una concezione di vita più confacente, sul piano filosofico, alla visione realista di Aristotele e, sul piano teologico, alla categoria evangelica dell’incarnazione, che attraverso proporzioni equilibrate e serene delle masse murarie ed architettoniche tende, con S.Francesco, a valorizzare le creature, non ad alienare la realtà terrena formulandone un giudizio negativo e pessimista. Uno stilema pertanto, questo della fronte quadrangolare aquilana trecentesca, che potrebbe anzi vedersi come una delle prime emersioni, in Italia, del movimento umanista e della corrispondente esternazione artistica, il Rinascimento.

 

Un’ultima caratteristica che delle architetture sacre aquilane dell’epoca angioina è da segnalare è il carattere simbolico di molte di esse, in forza del quale le chiese, nella loro ubicazione, orientamento, planimetria, forme architettoniche e plastiche, numeri e misure, possono esprimere categorie d’ordine teologico e antropologico, cosmico e tellurico. L’architettura religiosa aquilana, nascendo nel ‘200 in piena cultura simbolica, veicolata dai Cistercensi, ne riporta suggestivamente i segni, costituenti una chiave interpretativa necessaria da captare affinché le architetture sacre possano essere lette, comprese e valutate anche sul piano stesso della loro qualità spaziale, artistica e tecnica. Si tratta di ripetute irregolarità strutturali registrabili in alcune chiese due-trecentesche: il vistoso fuori-asse tra absidi e navate in Santa Giusta e in San Pietro di Coppito, ad esempio, e la diversa ampiezza delle navatelle non solo nelle chiese predette ma anche in Santa Maria di Collemaggio, nella Cattedrale trecentesca, nel San Francesco medioevale e in varie altre nel Contado come il San Michele a Villa S. Angelo, fuori Contado come Santa Maria della Tomba a Sulmona o Santa Maria della Vittoria a Scurcola, in Italia ed anche fuori Italia, ad esempio, si noti, la stessa gotica Notre-Dame a Parigi. Non è da ammettere la ripetizione di identico errore di costruzione, dipeso da presunta imperizia di mastri, in plurime differenti chiese anche di fuori territorio, e tanto meno la ripetizione di uguali anomalie in ricostruzioni e risistemazioni dopo i crolli dei terremoti. Sola convincente conclusione è che si tratti di planimetrie intenzionalmente anomale, di impianti spaziali volutamente irregolari: diversamente ne sarebbe preclusa la stessa razionale lettura. Planimetrie anomale scaturite, pertanto, da motivazioni architettoniche nascoste di cui s’era persa cognizione e coscienza: insomma, dai criteri del summenzionato ‘simbolismo architettonico’, di cui le associazioni di costruttori si servivano nell’intento di trasmettere iniziaticamente ai fruitori, talora magari al margine anche delle intenzioni dei committenti, i grandi temi biblici e teologici nell’architettura. Per la sua cronologia 1274-82 non è difficile conchiudere che sia stata la predetta architettura angioina di Santa Maria della Vittoria a Scurcola, ora demolita e ridotta alle sole fondazioni perimetrali, ad essere all’origine prima di tale simbolismo nelle planimetrie sacre aquilane due-trecentesche, rappresentando un altro importante contributo culturale degli Angioini all’architettura sacra aquilana.

 

Il fuori-asse o inclinazione dell’abside, corrispondente al capo del crocifisso, vuol simbolizzare il reclinamento del capo di Gesù quando morì sulla croce (et inclinato capite tradidit spiritum, si legge in Gv.19,30) e lo sfogo su un fianco di tutta la planimetria (espressa nella maggiore ampiezza, o unicità, della nave) il costato di Gesù trafitto e aperto dalla lancia del soldato (cfr. Gv.19,34). Ferita, apertura, da cui sgorgano sangue e acqua, simboli a loro volta dei sacramenti di battesimo ed eucaristia, quindi della Chiesa, che da questi nasce come Eva dal costato del nuovo Adamo ‘addormentato’ (ossia Cristo in croce) e come la colomba di Cantico dei Cantici 2,14 invitata dallo sposo (Cristo) ad uscire dalle ‘fenditure della roccia’ (che è il costato aperto di Gesù-roccia). Detti simbolismi, si noti, erano correnti nel Medio Evo, rimontando al tredicesimo-quattordicesimo secolo: l’epoca, guarda caso, della fondazione dell’Aquila e delle sue prime chiese, nonché, altro dato importante, l’epoca dello sviluppo della cistercense devozione all’umanità di Gesù, particolarmente di quella al sacro Cuore come espressa nelle forme del tempo da Santa Caterina da Siena e da altri mistici, ovvero attraverso il simbolo del costato trafitto e aperto, non ancora attraverso quello, magari oggi più noto ma seicentesco, del cuore infiammato come diffuso da Santa Margherita M. Alacoque. Anche al disegno quadrangolare di facciata, dove il tondo della finestra s’inscrive nel quadrato della parete, si attribuisce valenza iniziatica per il sussidio di conoscenza simbolica di cui è portatore. Infatti il binomio cerchio/quadrato, in quanto rappresentazione del cielo e della terra, rinnova l’indistruttibile ancestrale complesso simbolico di carattere cosmico, qui adattato ai contenuti dottrinali cristiani come segno dell’incontro fra il trascendente e l’immanente.

 

Rivendico d’essere stato il primo all’Aquila, nel 1988, a riaprire a questa lettura simbolica delle architetture sacre aquilane, re-individuandone le tracce. Simbolismo che, ripreso un quindicennio dopo in chiave più esoterica e da New Age da autori come Maria Grazia Lopardi, dal 2005 in poi il D’Antonio dal campo teologico-biblico a noi più proprio, va estendendolo a quello, più tecnico, dei rapporti geometrici. Furono purtroppo il rinascimento prima, lo scientismo poi, e specialmente l’illuminismo settecentesco e il positivismo ottocentesco nonché lo strutturalismo novecentesco, a spazzar via dalla forma mentis dei contemporanei la visione qualitativa del mondo che gli antichi possedevano. D’allora in poi architetti e maestranze, divenuti estranei, vennero avviati al mestiere edile con una formazione che ormai trasmetteva soltanto il sapere tecnico, non più quello olistico, dei tradizionali compagnonnages in cui la conoscenza simbolica aveva un posto privilegiato. Col quasi totale digiuno che si osserva oggi dei dati di fede di cui i monumenti sacri sono sostanziati, la lettura di questi non potrà che risultare distorta, falsata, nel migliore dei casi lacunosa, tale che tanti non avvertono più che la chiesa non è un contenitore murario qualsiasi suscettibile d’esser considerato solo monumento d’arte ed essere usato ad altri scopi, mentre invece essa intende riprodurre simbolicamente il mondo divino e la Chiesa-comunità, sia la visibile che la invisibile, la presente come la futura; anzi sarà il cielo stesso, il paradiso, la ‘Gerusalemme’ celeste presente in terra. Come reclama il Sequeri, occorre urgentemente, sia da parte dei committenti ecclesiastici che degli architetti, affrancarsi gli uni dalla “sprovvedutezza teologica” e tirannia dell’economico e del funzionalistico, gli altri dalla “sostanziale ignoranza religiosa della nostra cultura” e tutti recuperare la cultura della trascendenza, quindi “il sentimento della ineludibile densità simbolica di ogni percezione”.




A Lanciano il dibattito su “Economia e Società al tempo dell’Europa”: un’occasione per le giovani generazioni.

 

Il centro d’informazione Europe Direct Chieti organizza un importante incontro/dibattito dal titolo “Economia e Società al tempo dell’Europa” per venerdì 15 aprile p.v. a partire dalle ore 17.30 a Lanciano, presso il Palazzo degli Studi (Corso Trento e Trieste). “A nessuno sfugge quanto l’Unione Europea attraversi una fase molto complicata sotto molti punti di vista e di come tutto questo aggiunga difficoltà al nostro Paese” – espone il Presidente della Provincia di Chieti Mario Pupillo – “Ma la profonda transizione in atto può costituire anche la grande occasione affinché le giovani generazioni potranno ritrovare la loro prospettiva fornendo, da protagonisti, un contributo essenziale per una nuova ed inedita stagione di sviluppo ‘intelligente, sostenibile ed inclusivo’.

 

L’evento, che la Provincia di Chieti, nella persona della Responsabile dello Europe Direct Annalisa Michetti ha progettato in collaborazione con l’Associazione Rati, il gruppo Giovani Soci della BCC Sangro Teatina, l’Istituto Tecnico Agrario Cosimo Ridolfi di Scerni, il GAL Maiella Verde e il Comune di Lanciano, intende incrementare la percezione e la conoscenza del nuovo teatro europeo, internazionale e nazionale nei quali si snodano le attuali dinamiche sociali, culturali ed economiche quale premessa indispensabile non solo per nuove strategie generali ma anche perché ognuno individui il proprio sentiero dando il meglio di sé per approdare, finalmente, nel terzo millennio da protagonisti attivi e positivi.

 

Antonia Carparelli, analista economico della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, Loris Di Pietrantonio, Deputy Head of Unit per la Strategia del Lavoro alla Commissione europea e Sergio Gatti, Direttore Generale di Federcasse – Federazione Italiana delle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali offriranno il loro contributo per stimolare un dibattito su idee e temi che stanno alla base dell’architettura istituzionale in un momento in cui questi sono quotidianamente messi sotto pressione e in discussione con fatti di cronaca economica e culturale.

 

Al termine dell’incontro ci sarà un aperitivo finale offerto dal GAL Maiella verde che conduce da anni un progetto di valorizzazione dei nostri prodotti tipici nell’ambito della tutela e valorizzazione della biodiversità con i vini pluripremiati a livello nazionale prodotti dall’Istituto tecnico agrario “Cosimo Ridolfi” di Scerni.

 

 

Chieti, 12 aprile 2016




Fronte Nazionale/Referendum: “Un sì per tornare padroni a casa nostra” (Adriano Tilgher)

 

 

“Andare alle urne e votare  SI: è questo l’unico modo per tornare padroni a casa nostra”. E’ quanto dichiara Adriano Tilgher, segretario del Fronte Nazionale, secondo cui “domenica prossima al referendum, erroneamente definito, sulle trivelle abbiamo il dovere di votare sì per poter rinegoziare, alla scadenza, i contratti delle concessioni petrolifere graziosamente date quasi gratuitamente alle compagnie petrolifere, come “Tempa Rossa” insegna”.

“I traffici illeciti sulla pelle degli Italiani – spiega Tilgher – devono finire. Questa classe politica, che ci governa senza alcun diritto, non essendo stata scelta dai cittadini, è venduta e traditrice: dobbiamo cacciarla. Non solo ci massacrano di tasse e balzelli senza alcun criterio e senza fornirci i servizi promessi, non solo ci impongono strumenti coercitivi iniqui e con poteri assoluti non contestabili, quali quelli che utilizzano l’Agenzia delle entrate ed Equitalia (che andrebbe ribattezzata anti- Italia), ma stanno cedendo quasi gratuitamente tutto il nostro patrimonio come il petrolio, i tratti di mare pescoso, le industrie, evidentemente dietro cospicue mazzette”.
“Domenica – conclude Tilgher – abbiamo solo una possibilità: votiamo sì, per dare un segnale e interrompere il mercimonio. Poi prendiamo coraggio, tutti insieme, e mandiamoli definitivamente a casa”.

 

Roma, 12.04.2016

 

 




comunicato Elettrodotto Villanova-Gissi

Tante e tali sono le anomalie che avvolgono l’elettrodotto “Villanova-Gissi”, che alla fine anche “Le Iene” arrivano da noi. Domenica 10 Aprile è andata in onda, in prima serata, una amara verità. Fa male constatare l’indifferenza di una Regione assente, impalpabile, che alle decine di accessi agli atti cerca di dribblare le richieste, mettendo in campo addirittura l’avvocatura Regionale e facendo della trasparenza una chimera. La Regione Abruzzo alle domande preferisce non rispondere. Decine le comunicazioni ufficiali inviate dai comitati a cui nessuno da risposta. Così come D’Alfonso, nel servizio, si arrampica sugli specchi scivolando rovinosamente a terra, fanno tutti i suoi uffici. Nessuno di questi fornisce risposte dettagliate ma tutti giocano al rimpallo delle responsabilità per far concludere un’opera altrimenti irrecuperabile. Il servizio geologico Regionale e l’Autorità di Bacino producono autorizzazioni a posteriori, ad opera conclusa, cercando di sanare l’insanabile. A nostro avviso, queste autorizzazioni tardive, non possono e non devono essere considerate valide in quanto illegittime. Le autorizzazioni Ministeriali prescrivevano di presentare i documenti prima dell’avvio dei lavori, non essendo stata rispettata questa “regola”, ed essendo conclusi tutti i cantieri, diventa impossibile fare le verifiche preventive. Riportiamo un semplice esempio: come si possono effettuare dei controlli sulla prescrizione A25, inerente le falde acquifere, se le stesse sono state già danneggiate? come può l’ente di controllo giudicare la bontà di uno studio e magari porvi rimedio, migliorandolo, se tutto è gia concluso???? Avrà forse a disposizione la macchina del tempo? Piloni in piena frana, per i quali non sono stati presentati per tempo i documenti, e inspiegabilmente conclusi dalle ditte esecutrici prima dell’ottenimento dei permessi, come testimoniano anche le relazioni di diverse Polizie Municipali, tra le quali spiccano quelle di Casalincontrada e Filetto. Piloni in alcuni casi pericolosamente vicini ad infrastrutture ad alto rischio, come nel caso dei pozzi di metano “Poggiofiorito”. Da atti ufficiali della Gas Plus Storage, negli ultimi anni, la testa del pozzo è scivolata verso valle di diversi centimetri, indice che l’intera collina è in movimento. Eppure, nonostante le segnalazioni e le richieste di intervento, tutto tace. Tutto tace in quegli uffici che gridarono al Tg3 Regionale di iniziare i controlli e concluderli in 60 giorni, per accertare se quanto urlato dai comitati fosse veritiero. Tutto tace. Non bastano le notizie di reato, stilate dalla Polizia Municipale, le segnalazioni del corpo Forestale Provinciale, le foto incontrovertibili degli attivisti, le decine di segnalazioni e denunce. Nulla, i procedimenti penali non hanno fin ora portato ad alcun esito. Ci auguriamo che non vengano conclusi ad incidente avvenuto.