Tortoreto. Lettera aperta di Serena Di Gennaro sulla criminalità dilagante.

Riceviamo e pubblichiamo la Nota Stampa del 18/12/2015 divulgata e redatta dalla sottoscritta Serena Di Gennaro, figlia del gioielliere titolare della gioielleria “Oro Più” di Tortoreto (TE), a seguito dei gravissimi fatti criminosi accaduti nel mese si dicembre e nuovamente venerdì scorso (04/04/2016).

Cordialmente

Serena Di Gennaro
Tortoreto (TE)

 

A seguito dei gravissimi fatti avvenuti nel mese di dicembre e di nuovo verificatisi venerdì scorso alla mia famiglia, intendo con questa nota a mezzo stampa manifestare fermamente nei confronti della totale inerzia delle forze di polizia locali e le gravi inadempienze dell’amministrazione comunale.tortoreto-sirena

Tortoreto, da tranquilla oasi di pace per tali caratteristiche riconosciuta e rinomata, si è trasformata repentinamente in una cittadina ad alta densità di criminalità, alimentata dal degrado urbano e dalla delinquenza di quartiere.

Ultimamente sono state diffuse statistiche riportanti diminuzione dei reati nella nostra zona che dipingono una immagine del tutto distorta della realtà. Una realtà purtroppo contraddistinta da cittadini spaventati ed intimoriti anche solo nel percorrere le vie pubbliche in certi orari, amareggiati ed offesi dalla completa assenza delle Istituzioni e delle forze pubbliche locali… cittadini che inutilmente denunciano eventi e situazioni degradanti e criminose, nell’esasperazione e nel totale sconforto verso le forze dell’ordine, nella certezza dell’impunità dei malviventi e, addirittura, nel timore di eventuali ritorsioni da parte degli stessi.

Il tasso di criminalità ha toccato il “punto di non ritorno” nel momento in cui, nell’arco di quattro mesi, un uomo, commerciante e padre di famiglia si è visto subire ben due rapine.

I commercianti ed i cittadini tutti di Tortoreto non devono essere considerati il “bancomat” di questi criminali che agiscono nell’impunità, essendo convinti di aver trovato nel nostro territorio terreno fertile… godendo della più totale libertà di azione, arrivando al punto di mettere in atto rapine a mano armata in pieno giorno, nelle ore di massima circolazione da parte dei cittadini, a volto completamente scoperto e, addirittura, allontanandosi tranquillamente senza ricorrere a mezzi di trasporto.

Una situazione originata dalla totale assenza di vigilanza dei punti sensibili del paese, attraverso la quale si percepisce la sensazione di una pressoché completa disorganizzazione operativa della macchina della sicurezza e tutela del cittadino.

Non è sufficiente risolvere il nodo gordiano della criminalità con l’aver annunciato, mesi fa, un potenziamento della rete di videosorveglianza nel territorio comunale. Non si è compreso che tutto questo non costituisce un valido deterrente in quanto chi delinque oggi non ha bisogno di celare la propria identità poiché agisce, come i recenti fatti hanno dimostrato, con la sicurezza dell’impunità.

Con questa nota, divulgata a mezzo stampa, è mia ferma intenzione manifestare contro la predetta situazione ed altresì sottolineare che il primo punto delle priorità del nostro territorio DEVE essere la sicurezza di tutti i cittadini e delle “poche” attività commerciali rimaste…  con la consapevolezza che nei momenti di difficoltà è necessario, da parte di chi ci amministra, stilare un serie di priorità e lì concentrare le risorse in modo rapido e logisticamente efficace.

Chiedo con forza e determinazione lo sviluppo di un piano dettagliato ed immediatamente operativo di sicurezza del territorio che garantisca l’incolumità dei cittadini e delle loro proprietà, modulato attraverso la continua presenza di posti di blocco, pattugliamenti, verifiche ed ispezioni, con il contestuale coordinamento e lavoro di audit attraverso le segnalazioni dei cittadini.

Colgo l’occasione, infine, per ringraziare pubblicamente da parte di tutta la mia famiglia tutti coloro che ci hanno manifestato la loro sincera solidarietà e la prontezza di intervento di Manuela, Fabrizio ed Emanuela che con audacia hanno sventato la rapina di venerdì ed hanno salvato mio padre.

Serena Di Gennaro




I Ciclisti Anonimi Pescaresi in merito all’abbattimento degli alberi in via Regina Margherita

vogliono dichiarare che PER FARE UNA CICLABILE NESSUN ALBERO SANO O SANABILE DEVE ESSERE ABBATTUTO. Lo diciamo in quanto si era diffusa la pericolosa voce dove l’abbattimento era contestuale e necessaria per la ciclabile in via di realizzazione in via Regina Margherita. Nel nostro movimento chi usa la bici ha sempre a cuore tematiche ambientali e ama pedalare in contesti sani e rispettosi della flora e fauna.

A riguardo abbiamo voluto leggere il rapporto della Agrifor Consulting, dove su 240 alberi valutati, 19 risultano ad alto rischio e ad urgente abbattimento, 42 risultano a rischio moderato ma non sono da abbattere e 179 non presentano rischi evidenti. Nella relazione si evince come i 19 alberi da abbattere presentano pericolosità non sanabili, e il rischio sarebbe altissimo senza particolari condizioni avverse sia climatiche che ambientali, indipendentemente da una ciclabile.

Non siamo agronomi e non possiamo fare considerazioni sulla salute degli alberi, ma come movimento ci sentiamo di essere in contrasto con la giunta, non tanto  sulla reale opportunità di abbattere gli alberi in quanto se fossero davvero malati rappresenterebbero un vero pericolo per la vita non solo dei ciclisti ma di tutti gli utenti della strada dai pedoni agli automobilisti. Dissentiamo sulle modalità totalmente arbitraria e non partecipativa. Nessuno era a conoscenza del taglio degli alberi, e questo ha gettato nello sgomento la popolazione che si è vista dal giorno alla notte con alberi abbattuti senza saperne la motivazione. Se le associazioni ambientaliste o comitati di cittadini volessero fare i propri riscontri sull’effettiva salute degli arbusti, dopo l’abbattimento questo sarebbe del tutto inutile, visto che l’abbattimento è un processo irreversibile. Chiediamo alla giunta di sospendere l’abbattimento e attuare un processo partecipativo per la salvaguardia del patrimonio arboreo dei via regina margherita nonchè di tutta la città che possa combinare salute degli alberi,delle persone e piste ciclabili e spazzare di seguito voci ed ombre sull’arbitrarietà dei provvedimenti.

Ciclisti anonimi pescaresi




La Fondazione Pescarabruzzo approva il Bilancio con un avanzo di quasi 5 milioni e un patrimonio di oltre 235 milioni.

Nella giornata odierna il Comitato d’Indirizzo della Fondazione Pescarabruzzo ha approvato il Bilancio di Esercizio 2015. Il risultato netto di gestione è pari a € 4.886 mila a fronte dell’analogo valore 2014 che era di € 915 mila. Il patrimonio netto è di € 203 milioni ed erano € 201 nell’anno precedente. I fondi per le attività istituzionali si consolidano in € 33 milioni. Mentre il totale dell’attivo supera i € 244,5 milioni dai € 242 milioni del 2014. L’obiettivo più importante raggiunto nel corso dell’Esercizio è stato il riconoscimento giuridico dell’autonomia dell’ISIA – Istituto Superiore per le Industrie Artistiche di Pescara, ottenuto con la legge di stabilità. Si tratta di un risultato giunto a coronamento dell’impegno pluriennale della Fondazione, che aveva consentito la nascita nella città dei corsi accademici in Design come decentramento di quelli dell’ISIA di Roma. Tra le numerose mostre e gli incontri culturali svolti nel corso del 2015, una notevole importanza ha avuto l’esposizione fotografica “Non dimenticare Srebrenica”. Organizzata a venti anni dal genocidio dell’11 luglio 1995, la mostra ha visto la partecipazione del Presidente della Camera, On.le Laura Boldrini. Nell’ambito del progetto “Il tuo volto io cerco”, la Fondazione ha altresì finanziato la realizzazione dell’Ambone per la Cappella Sistina, completando in tal modo gli arredi liturgici della Cappella Magna del Vaticano. L’ambone è stato inaugurato l’11 gennaio 2015 da Papa Francesco. Ne è seguita una pubblicazione di pregio per mettere in risalto la preziosità delle opere, introdotta da Vittorio Sgarbi. La realizzazione della VI Sala presso il Cineteatro Massimo e l’innovazione tecnologica dagli impianti con il Sistema Blu-ray hanno confermato il lavoro costante volto ad offrire la migliore qualità della fruizione cinematografica nel circuito Pescara-Cityplex di proprietà dell’Ente. La Fondazione ha inoltre sostenuto nel 2015 il progetto Expe/EXPO, per la realizzazione coordinata degli eventi che hanno rappresentato la città e la provincia di Pescara in occasione dell’Esposizione Universale di Milano. Grande attenzione è stata riservata anche alla musica con l’International Arts Festival. Nato nel 1969 come Pescara Jazz e rinnovatosi quest’anno dalla fusione di Jazz e Funanbolika, l’evento è stato ancora una volta riconosciuto come d’importanza nazionale dal Mibact. I Giochi del Mediterraneo sulla spiaggia, svoltisi a Pescara anche grazie al supporto della Fondazione, sono stati luogo d’incontro per i migliori atleti provenienti da 23 paesi, che hanno gareggiato in 11 discipline sportive. La stima complessiva delle iniziative sostenute dalla Fondazione Pescarabruzzo nel 2015 si quantifica in oltre 250 progetti, con un supporto non solo finanziario ma, spesso, anche logistico, di assistenza, di ideazione, di condivisione e perfino di ordine gestionale. Tra gli impegni per il 2016, si prevedono il completamento del restauro per attività museali dell’ex Banco di Napoli, la realizzazione della sede di un Polo internazionale di Alta formazione al margine nord dell’area di risulta della Stazione e, nella ricorrenza del 60° anniversario della tragedia, la realizzazione, sotto il patrocinio Unesco, di una mostra dedicata al disastro di Marcinelle, che sarà inaugurata a Pescara e in seguito trasferita prima a Manoppello e poi al Bois du Cazier per le celebrazioni ufficiali dell’anniversario dell’8 agosto.




Storie fantastiche dal cratere aquilano La corsa di Luisetta, sette anni dopo il terremoto

 

 

Comincio da qui. Quasi all’incrocio con la strada per Pizzoli. In salita, da Cansatessa verso L’Aquila. Ho il sole negli occhi, che è già alto; me la sono presa comoda, stamattina. Sono le otto e mezzo. Ma, oggi, per me, è un giorno importante. L’hanno ridipinta di viola, quella casa. Di sicuro è una scelta scaramantica. Non lo sapevo che, tutta quella terra libera, l’avessero riempita di materiali per l’edilizia. Sembra un accampamento sporco. Recintato. Dentro ci sono anche i prefabbricati, come se già volessero iniziare a costruire, anche qui, che ci giocavo col mio cane, prima.

 

Ci devo riuscire. Stamattina, è la prima volta, che ci provo, dopo sette anni, precisi. Sono venuta qui, ad iniziare da qui, perché ci abitavo, qui. In quella casa dietro questa recinzione a maglie di ferro, e pali. Anche da questa parte, un magazzino di materiali da costruzione all’aperto; là, in alto, luccicano le cime dei camini, che vanno a vento, per disperdere il fumo, in attesa d’essere montate, da qualche parte. Sembra tutto provvisorio, qui. Da qui sotto, se guardo in alto, vedo la collina, in controluce, quasi, perché il sole è nato più a destra; e le case, a sinistra, delle mie amiche. Case basse, con i cortili di pietra e asfalto, e i garage.

 

Voglio correre. Voglio provare a correre.

 

Sono stata sette anni quasi ferma. E ho messo anche qualche chilo su. E lo voglio perdere. Ho le mie scarpe da ginnastica nuove, i calzettoni corti, che quasi non si vedono. I pantaloncini. E le mie gambe. La cicatrice lunga, sul ginocchio sinistro. E quell’altra, dalla caviglia destra per quasi tutto il polpaccio, dietro. Che sembra che ho una gamba più magra dell’altra. Forse dovrei dire, meno grossa. Il riverbero, della luce, mi annebbia lo sguardo. Ed è così, se mi guardo indietro.

 

Quello che mi resta addosso, è solo la voglia di cancellare via tutto. Anzi, di farla finita proprio. Chi sa se, in fondo al tunnel, la luce che si vede è proprio questa. Vorrei non ricordare più nulla. Vorrei smettere di pensare a tutte le possibilità che non ci sono più. Vorrei non avere avuto più nessun amico. Così non avrei sofferto così tanto a vederli scivolare via, in questi anni, in questi mesi. Così non mi sarei sentita più questo nodo in gola, per il silenzio, perché nessuno più mi cercava. Perché ero sola, e dimenticata. Qualcuno si ricordava di me una volta l’anno, più o meno, al compleanno, o ieri. Adesso sono io, che voglio ricordarmi di me, anzi, che voglio vedermi per la prima volta.

 

Adesso, respiro forte e parto. Parto in salita, piano piano. Sembra un ponte sospeso, questa strada. Che arriva fino in cima e poi si ferma, e si perde tra le altre case, o, forse, tra gli alberi della collina, lì davanti. Come quando, guardavo la collina di Pettino, dalla stanza dell’Ospedale. Separata da me, lontana, inaccessibile. E ora invece ho la strada sotto i miei piedi. Vado. Ecco, i primi passi. Le gambe mi sostengono. I piedi mi sembrano abbastanza elastici. Anche se mi pare quasi di correre sul posto. I muscoli mi sembrano sorpresi. Sento subito la pressione sui glutei. No, non è l’elastico delle mutandine. Mi sono messo le mutandine bianche di cotone della nonna, stamattina, grandi, comode.  No, sono proprio i muscoli. Dei glutei, che si stringono. Come se camminassi col culo stretto. Le lamiere degli spazi elettorali, sull’altro marciapiede. Riflettono il sole. Vuote. Un manifesto solo c’è.

 

Il 17 aprile, vota Sì, al Referendum. Ammirevole, chi ce lo ha messo. Uno solo nel deserto.

 

Ecco, guarda. Sono arrivata all’incrocio. Sono su, e ancora non ho il fiatone. Giro a destra. Lascio via Fleming. Sotto di me, la poca strada che ho fatto, sembra lunghissima. C’è una balaustra metallica, e le case sotto. Che schifo questo asfalto. Buche, avvallamenti, tonfi, pezze, pietre sparse, brecciolino. Sembra il fondo del Raio. Detriti ammucchiati. Il marciapiede, è peggio. Come se sotto l’asfalto ci fosse l’acqua che bolle. In mezzo a queste casette basse, col cancello sulla strada, e qualche alberello dentro. Arbusti, e intonaco ocra. Mi fa un po’ male la schiena. Guarda. La chiesa di Cansatessa, tutta di legno, rifatta, persino col campanile di legno, qua sotto. E le tegole finte, di catrame sagomato, e le finestre grandi per la luce.

 

Non sentiva più i colpi del peso del mio corpo la schiena, da un sacco di tempo, davvero. Piazza d’Armi non era ancora una tendopoli, quando ci correvo io. E, pure la, le radici degli alberi gonfiavano di bitorzoli la pista d’atletica. Qua alberi non ce ne sono più, ma è tutto rigonfiamenti e vuoti, il terreno, che devo stare attenta. Se metto il piede nel posto sbagliato mi rovino di nuovo i tendini. Ci sono ancora spazi vuoti, tra le case. Pezzi incolti di terra arruffata.Che non diventa ancora un palazzo, e non diventerà mai un verde pubblico, Un poco di ossigeno. Devo bere il mio primo sorso d’acqua. Ho le labbra secche, e anche il palato, e la lingua.

 

Quanto tempo è che non bacio più nessuno?

 

Ci aveva provato un pomeriggio, Matteo. Ma io non volevo che baciasse una seduta su una sedia a rotelle. Neanche fossi Clara! Io non volevo pietà. Mi sembrava che mi guardasse impaurito. Come se fossi un mostro. Piangevo, poi dopo. Da sola. Dopo che lo avevo mandato via. Sono belli quegli alberi con i fiori bianchi, dentro il sole, sembrano scintille. Sembrano muoversi. Fanno talmente tanta luce che non si vedono i rami, solo una polvere luminosa, lampi. Chi sa se sono ciliegi, o mandorli. Sarebbero belli, degli alberi da frutto, lì, in mezzo alla città dimenticata. Ci andrebbero uccelli e bambini a raccoglierli, che bello.

 

Corro in alto, rispetto al tetto delle case, a destra, in basso, il vento lo sento. E guardo le erbacce che crescono sui bordi del marciapiede, e lo sbriciolano. Si vede il profilo delle montagne, lontano. Un’ombra più scura, sotto il cielo scaldato dal sole. Fa caldo, stamattina. Il guardrail. Devo stare attenta a non inciampare, a tenermi dritta. Qui è tutto arrugginito. Là sotto ci sono enormi prati verdi. Tra la strada per Montereale, e quella della Guardia di Finanza. Perché ancora non ci costruiscono? E’ strano. Ma sarebbe pure bello, se restassero così. Magari ci coltivano qualcosa. O ci si potrebbe passeggiare dentro.

 

Visti da quassù sembrano una splendida possibilità. Di aria libera, e giochi.  E forse qualcuno ci farà un altro po’ di cemento sopra. Che ce ne abbiamo bisogno. Ci manca. Il fiato, mi sembra ancora di avercelo. Mi fa un po’ male, dentro la scarpa, l’alluce sinistro. Come se fosse rigido, e facesse fatica a piegarsi. Però se non ci penso, posso andare ancora. Una breve piazzola interrompe il guardrail, c’è un ponteggio, che fa da balaustra, spezzato, tenuto insieme da un telo bianco, che ne unisce due bracci.  Se mi avvicino li e mi appoggio, cado sul tetto della casa più vicina. Ancora prato, e pezzi di Coppito, là giù in fondo, forse. Certo che ancora non la imparo davvero questa città. La conosco solo camminandoci dentro. Dall’alto non l’ho mai vista. Da sotto, sì, però.

 

La prima gru. E’ bassa, rispetto alla strada dove sono, quasi corro lungo il suo braccio trasversale, che, contro la luce del mattino, è un’ombra di traliccio, che unisce due pali della luce, in prospettiva sfalsata, lungo la strada che curva a sinistra. E cime scompigliate di alberi polverosi, soffocati tra i muri perimetrali delle case. Si riapre, la strada con una piccola curva a destra. Sento un accenno di fiatone. Ma respiro con la pancia, profondamente, anche se è difficile, correndo. Riprendo a respirare col naso, e la bocca chiusa. Mi asciugo un po’ di sudore. Sì, col manico della felpa. Nello zainetto, dovrei avere anche l’asciugamano. Ma, magari, lo uso dopo. Me lo sento sbattere sulla schiena, lo zaino. Non mi fa male, sulle spalle, non mi tira. L’ho messo bene.

 

Questo enorme palazzo di cemento e mattoni grigi, visto attraverso questa cancellata a quadretti metallici, sembra tutto storto. Ingabbiato dentro i rettangoli dei ponteggi, fino al settimo piano.  Sembra un gioco con i mattoncini da bimbi. Per terra, le foglie secche si mischiano con l’erba verde. Come le case nuove, quelle ricostruite, e quelle ancora in cantiere si alternano alla vista.

 

E corro, ancora. Incredibile. Ci passo sotto, a quest’albero, colmo di fiori bianchi sui rami. Mi sembra di sentir scricchiolare la casa a fianco. Metà in piedi, già fatta e finita, anche se vecchia, e l’altra metà, fatta solo di travi di cemento armato, e piloni, vuoti e aperti nel cielo, senza mattoni che ancora li chiudono. Sospesi, come un disegno che nasce dal niente.

 

Passo l’incrocio che scende giù al centro commerciale, e continuo a correre. Lo so, che vado piano, ma io ieri, a quest’ora, ero ancora in sala d’attesa in palestra, per la fisioterapia. Per fortuna che le depilo le gambe. Così non dovevo nascondermi. E neanche ora. Sull’asfalto le ombre vengono da sinistra, e fanno strani disegni, per terra, che si mischiano coi profili delle buche. C’è una edicola, sul muro. La Madonna. Un altarino di pietra e l’intonaco scrostato. Chi sa quando l’hanno fatto, quel dipinto.  E c’è ancora verde, a sinistra, ma è recintato. E’ nudo. Perché non ci fanno un boschetto qui?

 

Ci piantano 309 alberi. Sarebbe un bel monumento, credo. Vivo.

 

Quella casa laggiù sembra rossa, contro la collina. Il sole, quasi cancella i colori, Sembra di guardare uno sfondo del Beato Angelico.  Corri, Luisetta. Corri. Corri ancora, che ce la fai. Ci sono alberi che sono ancora solo corteccia e rami disegnati di nero contro il cielo e la luce, da qui, non si vede, se ci nascono già foglie, o no. Se per loro è ancora inverno, o già morte.  Si sente una sirena d’allarme, da qualche parte. E odore di automobili che corrono.

 

Ah, ma l’hanno dipinta quasi rossa, arancio, e quella era la casa di via Dante Alighieri, spezzata in due. Mi ricordo le foto, di quella casa. Io non ci sono mai venuta, a vederla. Sembravano le mie ossa, uscite dalla carne, i ferri del cemento piegati, che tenevano insieme abbracciati i pilastri spezzati, che avevano inghiottito un piano di quella casa. E ce ne erano altre di case così, lungo quella via. Mi pare ricostruito qui. Anche se il verde intorno, sembra sempre una terra abbandonata e schifata da tutti. Che peccato. E palazzi.

 

Mi fanno male le costole. Ma non è come sette anni fa, che non respiravo.

 

E’ un dolore più di muscoli, anche se è nelle ossa. Come se facessero fatica a tenermi dritta. Sì lo so, che sono stata tanto seduta. Qui prima c’era un negozio di divani, mi pare, e adesso, ci si mangia. La gru, in cielo, sembra un indice puntato contro un orizzonte che non si vede.

 

L’intonaco di quella vecchia casa in pietra, tutta ingabbiata dentro pesanti travi di ferro, sembra sangue sbiadito e rappreso che scolava tra le ferite. Mi pare tutta storta, in pendenza, come la salita lieve di via Antica Arischia che sto percorrendo. Adesso sì, che respiro un po’ con la bocca. Ancora acqua. E là sotto, sta venendo su un altro palazzo. Le impalcature mi sembrano celesti, e dentro, si vedono le armature di legno dove si cola il cemento e il ferro. Sporgono, in alto, i ferri. C’è un pino marittimo, qui a Pettino, con i rami tutti tagliati lungo il fusto, e resta solo qualcosa in cima. Li hanno tagliati tutti gli alberi qui. Lungo la strada sembra che ci siano rimasti solo cespugli e arbusti disordinati, rovi. Neri di gas di scarico.

 

Dai, Luisetta, ancora un poco.

 

Qua è pieno di prati recintati. C’è solo questa strada, in mezzo, e qualche strada trasversale, ad angolo retto, e poi case, e palazzi, circondati da mura e cancelli, e cortiletti smilzi. Non c’è nessuna piazza. Quasi. Niente comunque, che somigli a piazza Duomo, per esempio. La sotto, c’era il bar. Aveva riaperto subito, dopo il terremoto. Aveva riaperto nella piazzetta lì vicino, mi ha raccontato mio fratello, sotto dei gazebo. E dei prefabbricati.

 

Durante il G8, a luglio del 2009, era l’unico bar aperto qui. Mi ha raccontato, mio fratello, che fuori c’era un cartello che spiegava che, dentro, era aperta la sala delle slot machines, con l’aria condizionata. I palazzi, visti da qui, arrivano con i tetti sin quasi sulla cima della collina, e la nascondono alla vista, che, col riverbero del sole, la fa somigliare ad una specie di parrozzo mal riuscito, tutto precipitato da un lato.

 

Sono quasi arrivata. Forza.

Eccone un altro, di scheletro in cemento armato. Sembra uno di quei disegni di case che facevo da bambina alle elementari, quando non riuscivo neanche bene a seguire, col pennarello, i bordi dei quadratini del quaderno. Certo che costruiscono strano. Sotto è tutto aperto, e sopra, c’è una specie di sottotetto, già chiuso di mattoni e intonacato. Ma forse c’era una casa, prima, e la stanno allargando. Non lo so.

 

Ancora non incontro nessuno, che cammini a piedi. Chi sa che penserebbe se mi vedesse correre così. Mi tira la gamba, dietro. Dove c’è la cicatrice. Come se ci fosse una corda dura. E me la sento che mi fa male anche all’inguine. Per dirla tutta, il ferretto del reggiseno mi sega la pelle. Col sudore poi, me la sento tutta sfregata e rossa. Quasi quasi me lo levo, il reggiseno. Tanto non c’è nessuno.

 

Ecco. La mano dietro la schiena, lo slaccio. Alza il braccio, spostalo, sfila la spallina, da sotto la maglietta, e l’altra. Via. Eccolo. Lo appallottolo, lo infilo nello zaino, sono libera. Che bello. Mi ballano, le tette, mentre corro. Fa’ niente. Il massimo che mi può succedere è che qualcuno mi guardi. E’ da tanto, che non mi guarda nessuno. “Monarvap” che vuol dire? Sta su quella plastica gialla che avvolge un pezzo di casa, che cresce, sul fianco dell’altra. Circondata da una recinzione di plastica arancione e metallo. Guarda lì.

 

Lì, prima, c’era una casa di pietra tutta diroccata. Ne sono sicura, me lo ricordo. Adesso stanno costruendoci sopra una casa di due piani almeno. Tutta di cemento. Ma si può? Ecco la scuola. Il cancello di metallo chiuso. I mattoncini tutti ancora per terra. Crepata, la scuola. Non credevo stesse ancora così. E’ rimasta in piedi, ma sembra tutta scossa, per terra c’è di tutto. Meno male che non c’erano bambini dentro. C’è un manifesto del Comune, a fianco, magari inizierà un cantiere di ricostruzione. Non l’attraverso, la strada, per andare a guardare. Penso solo che già avrebbe dovuto essere stata ricostruita.

 

Ci sono due gru, in quel cantiere, in alto a sinistra. Ecco, la prima persona che vedo camminare, un signore coi capelli bianchi, vicino alla fermata del bus. Pensa ai fatti suoi, non mi guarda. E, dietro, un altro cantiere di un palazzo, enorme. Di ferro e legno. Le impalcature quasi coprono il sole. Di fronte all’altra scuola, più in alto. Tutta di cemento, gialla, rimasta in piedi. Le finestre sono aperte, le lezioni sono già iniziate, sicuro. E’ tanto, che non ci vado più a scuola, io. Quanti anni sono che ho finito lo Scientifico? Dieci?

 

Quasi ce l’ho fatta.

 

Ancora un pezzetto, la salita è leggera, ma continua, sembra sempre tutto in salita; faccio fatica. Mi fa male tutto adesso. E respiro forte, con la bocca, che è secca, arsa. Lì, sull’angolo, c’era un pezzo della chiesa. Adesso, hanno fatto un muro elegante, e due grandi finestre, che danno luce, una per piano.

 

Lì sotto c’era il call center, in quel palazzo. So che c’è ancora, o forse ce ne sono due adesso, non so. Quando sono uscita dall’Ospedale, però, ci sono passata, e c’era una enorme fessura a terra, sull’asfalto. Aperto proprio. Uno squarcio lungo quasi tutto il piazzale, e che piegava, ad un certo punto. Adesso non c’è più, mi pare. E il palazzo di fronte è ancora lì, fermo, con quella ferita che va da un angolo della parete, a quella opposta, per tutti e due i lati. Disegnando quattro triangoli incerti, e assurdi, uniti per la punta, lungo la parete. E’ ancora così. Chi sa che fanno, le persone che ci abitavano. Sono arrivata. Basta. Mi fermo. Proprio sull’incrocio. Con questa strada che scende giù. Bagnata di sole. Ripida. Ci posso camminare, per riprendere fiato, in discesa. Mentre mi asciugo col telo, di spugna.

 

E’ sette aprile, Luisetta, sette anni fa, oggi ti hanno estratto dalle macerie di casa tua. E oggi, dopo sette anni, ti sei fatta la tua prima corsa. Sette anni di ferite, e di fatica. Di ossa ricostruite, e di solitudine. Anche il tendine, s’era rotto. Certe volte, i numeri ci giocano, con la vita delle persone.

 

Dentro il traffico, sento qualche passero cinguettare. Il sudore mi scola dalla faccia. Forse qualche lacrima. Salata. Ciao, Luisetta.

Buongiorno.

 

Luigi Fiammata




FRANCAVILLA, CENTINAIA DI PERSONE A CENA CON VALENTINA VEZZALI E IL CANDIDATO SINDACO STEFANO DI RENZO

 

 

Francavilla – Lunedì 4 aprile, alla pizzeria “Green Dragon da Nino” a Francavilla, si è svolta la cena/incontro con la pluricampionessa olimpica l’Onorevole Valentina Vezzali e il candidato Sindaco di Francavilla al Mare Stefano Di Renzo, al fine di autofinanziare la Campagna elettorale.

Locale pieno con centinaia di persone che hanno aderito all’iniziativa, accogliendo con entusiasmo l’invito di Stefano Di Renzo a credere e sostenere una politica diversa: libera da compromessi, fedele alle promesse fatte, disinteressata e orientata al bene della comunità. Ed è proprio dalla salvaguardia di uno dei beni più preziosi di Francavilla che parte la campagna elettorale di Di Renzo: il mare, finalmente pulito, grazie al completamento del terzo depuratore, possibile per via del suo interessamento e per il lavoro svolto dalla Commissione Speciale per la Salubrità del territorio.

 

«In Consiglio Comunale per 4 anni mi sono battuto con la Commissione Speciale per la Salubrità del territorio, fortemente voluta da me e osteggiata dall’attuale Sindaco, affinché il mare e la salute de cittadini venissero preservati ad ogni costo – ha spiegato Di Renzo -. Ci sono persone per cui invece conta sopratutto realizzare eventi, che sono importanti certo, ma noi vogliamo il mare pulito come prima cosa e poter fare il bagno con i nostri figli senza paura di prendere malattie. È questo che dobbiamo garantire con le nostre candidature: perché se la nostra prima risorsa è malata e viene messo in pericolo il bene più importante, ovvero la nostra salute, allora come politici abbiamo fallito. Il mio impegno in questi anni di consiliatura è sotto gli occhi di tutti e, a breve, verrà appaltato dall’ACA il terzo depuratore, perché il sottoscritto si è battuto al fine di ottenere i 2 milioni di euro di finanziamento necessari. Oggi l’attuale sindaco espone dei manifesti in giro per la città dal titolo “Operazione mare limpido”: non lo può fare, perché lui in questi anni non ha fatto niente per garantire un mare limpido. Basta con il fumo negli occhi: non è sufficiente una strada asfaltata per dire che si è fatto bene, perché la strada asfaltata è l’ordinaria amministrazione. Per fare una città vivibile c’è bisogno sopratutto di coerenza e la coerenza si offre quando non si scende a compromessi; e noi per Francavilla non scenderemo a compromessi che risultino dannosi per la città: io ho scelto di mettere Francavilla al primo posto e di mettere voi al primo posto».

 

Tra gli altri temi del programma elettorale sostenuto da Di Renzo e dalla coalizione che lo sostiene si è parlato della sottoscrizione di un codice etico che imponga a tutti i candidati le dimissioni in bianco in caso di mancata applicazione del programma o di cambi casacca; della preservazione del patrimonio culturale e paesaggistico attraverso la cura e la riabilitazione di Palazzo Sirena, Torre Ciarrapico, la chiesa medievale di San Francesco, la zona archeologica Villanesi, Villa Turchi e le risorse arboree della città; un porto parour e il fiume Alento come area ciclopedonale che lo colleghi all’area sportiva di Valleanzuca; l’adesione all’associazione dei Comuni Virtuosi, così che l’opzione cemento zero diventi finalmente una realtà; una città dove la vocazione turistica torni ad essere il volano del rilancio economico con un piano marketing che consentirà alla città di porsi all’attenzione di una utenza internazionale, tutto l’anno; il rilancio del commercio attraverso il progetto Car Free con mezzi pubblici on demand e parcheggi low cost e la presenza nell’organigramma della pubblica amministrazione e delle attività produttive della figura del “City Marketing”.

 

Affabile e sorridente, Valentina Vezzali non ha perso occasione per stringere mani, lasciarsi fotografare con i presenti e ascoltare i complimenti dei suoi ammiratori.

«È per me un vero piacere essere a Francavilla per sostenere la candidatura di Stefano Di Renzo – ha detto -.  I comuni che in Italia rappresentano il volto bello del nostro paese sono il primo livello di amministrazione, la prossimità dello Stato con i cittadini e quindi è importante che chiunque condivida le problematiche e le aspettative della realtà locale si faccia interprete delle esigenze del territorio. Io ho deciso di candidarmi nel 2013 per cercare di trasmettere alla politica quei valori con cui io sono nata e cresciuta grazie allo sport. Lo sport mi ha insegnato che nella vita ci sono delle regole e che queste regole vanno rispettate, così come bisogna rispettare l’avversario che non è il nemico da battere a qualunque costo, ma un simile con il quale misurarsi e confrontarsi. Ed io questa sera sono qui a sostenere Stefano perché credo che possa dare tantissimo alla città di Francavilla, con costanza, competenza, credibilità e grande coraggio, ma per fare tutto ciò Stefano deve essere convintamente supportato da tutti e sono sicura che la gente sappia riconoscere i modelli positivi e che abbia voglia di scegliere la migliore opportunità per il proprio paese».

 

 

 

 

 




La più bella Italia nel mondo di Franco Presicci

 

nota/recensione di Franco Presicci al volume ” Le radici e le ali” (One Group Edizioni), pervenuta per il tramite
di Francesco Lenoci.

 

È già nel titolo, “Le radici e le ali”, la bellezza del recente volume di Goffredo Palmerini, One Group Edizioni. E anche nel sottotitolo “Storie, curiosità e annotazioni sulla più bella Italia nel mondo”.

 

Vola, esplora altri mondi, incontra altra gente, stringi nuove amicizie, corri nel luogo che ti dà lavoro, ma non dimenticare mai la culla. Se cedi a questa tentazione, non hai più un paese. Il vecchio può non riconoscerti più, il nuovo non sarà mai completamente tuo.

 

Tanta gente che per bisogno ha fatto fagotto, costretta a stabilire la dimora in terre lontane non dimentica la via da cui è partita, e continua a sospirarla, ripercorrendola con il ricordo. Molti tornano e ritornano, e sono accolti con un abbraccio. Per loro è come se non si fossero mai allontanati. Goffredo li segue, li ascolta, li racconta.
Mario Fratti, uno degli autori di teatro più famosi al mondo, aquilano di nascita, si è stabilito a New York dal ’63, ma per lui ogni occasione è buona per rivedere la sua città, tormentata e offesa. L’ultima volta, per la prima al Teatro Comunale di “Frigoriferi”, uno dei suoi brillanti lavori, tradotto in “musical” dalla Compagnia Mamo e dall’Orchestra Sinfonica Abruzzese diretta dal maestro Luciano Di Giandomenico. E nel mese di settembre, per la presentazione del suo romanzo “Diario proibito – L’Aquila anni Quaranta”. Fratti è come Palmerini, gira il mondo, presenta le sue opere (ne ha scritte circa novanta tradotte in 22 lingue) e scopre nuovi sentieri. Vola in Brasile, Canada, Argentina… e ripiomba a New York. Cronista scrupoloso, attento, indagatore, Palmerini prende nota dei successi di Fratti, va a visitare l’illustre concittadino, lo intervista e ne scrive pagine belle e sentite.

 

Laura Benedetti, aquilana anche lei, ha ricevuto a Washington un ambito riconoscimento: “Three Wise Women” conferito dall’Organizzazione Nazionale Donne Italo-americane. La motivazione indica i meriti della Benedetti nella critica letteraria, ma anche l’infaticabile impegno speso nella diffusione della cultura italiana. E Goffredo riferisce la notizia in ogni dettaglio, indugiando sugli scritti della concittadina sulla letteratura medievale e sulla sua attività di curatrice della voce letteratura italiana per l’Encyclopaedia Britannica “Year in Rewiew”, inanellando i tanti seminari, incontri, convegni da lei organizzati, come “Dopo la caduta: memoria e futuro”, tenutosi all’Aquila nel giugno 2010.
Nulla sfugge a Goffredo. Informato di tutto, viaggiatore accanito, sempre alla ricerca di storie da narrare, non esita a prendere un treno o un aereo per raggiungere un luogo, una persona, un talento da descrivere, per farli conoscere agli altri. Nell’agosto di tre anni fa è stato a Cellino San Marco per la Settimana per la promozione della Puglia nel mondo: “Ospitalità dalla terra dei Messapi al Salento”. E ha illustrato il patrimonio artistico, paesaggistico, culturale, enogastronomico, storico della zona, accennando alle sue origini magno greche.

 

Ha seguito gli ospiti nelle visite al sito archeologico di Muro Tenente, a Mesagne, alle Colonne Romane di Brindisi, al grandioso e festoso Barocco di Lecce, ai trulli di Alberobello. E cita anche le persone che svolgono incarichi meno rilevanti, come il brigadiere Capoccia che, avendo l’incarico di agevolare i rapporti con e tra i visitatori, si è distinto nel fare gli onori di casa all’ambasciatore d’Albania Neritan Ceka, il quale ha confidato che, quando dall’altra sponda dell’Adriatico pensano all’Italia, la prima terra che immaginano è la Puglia, molto più conosciuta delle altre dalle loro parti. E ha parlato di Al Bano Carrisi, definendolo “ambasciatore di Puglia straordinario ed amatissimo”.

 

Palmerini è un infallibile trait d’union tra gli italiani che sono rimasti e quelli che hanno cercato il pane altrove; tra gli italiani e i fratelli stranieri. I suoi scritti invogliano alla conoscenza di quanto accade nei nostri confini e oltre; esortano a vedere se stessi nel prossimo, al dialogo, alla solidarietà reciproca.

 

“C’è un antico rapporto d’affezione, quasi d’amore tra New York e l’Italia”, dice nel libro.  E così titola un capitolo: “A New York e Princeton con nel cuore l’Aquila candidata a capitale europea della cultura nel 2019”. E s’inoltra nella storia: “Lì, a New Amsterdam, nel 1635 andò anche a risiedere il marinaio veneziano Pietro Cesare Alberti. Il primo italiano. La città andò avanti quasi in tranquillità fin quando il governatore Peter Stuyvesant nel 1657 fece sapere ai quaccheri inglesi, nel frattempo arrivati, che non erano molto graditi”.

 

Affascinano le pagine di Goffredo Palmerini. Leggendole si ha la sensazione di compiere viaggi edificanti da un Paese all’altro; di essere fisicamente di fronte a persone mai viste, di ascoltare in presa diretta le loro voci, le loro esperienze. Palmerini ama la gente, non solo quella abruzzese sparsa per il mondo. Va a cercarla e ne traccia un ritratto palpitante. Con uno stile limpido, scorrevole, delicato. Avvincente. Espone i fatti con lealtà; penetra nei personaggi con notevole capacità d’introspezione psicologica. I suoi scritti sono affollati di situazioni, protagonisti di grandi eventi, di maestri della scrittura e della tavolozza…

 

Ed ecco “Taranto. Oltre la notte”, presentato a Roma nella Biblioteca del Senato, “per mantenere accesa una luce sui drammi di Taranto e L’Aquila”. Con un intervento di Tiziana Grassi, che invoca un patto di fratellanza fra le due municipalità…. “E per quanto arduo sia un parallelo tra i problemi delle due città – dice Palmerini – l’una martoriata nel suo habitat ambientale, l’altra devastata dal terremoto, resta comune il fatto che la loro rinascita passa per un forte impegno del sistema Paese congiunto in un sapiente impegno sociale”. L’impegno che lui ha dimostrato nel consiglio comunale della sua città e poi come assessore e vicesindaco.

 

C’è un tesoro in “Le radici e le ali” (che comprende anche scritti di altri autori), fatto di vite vissute, di iniziative intraprese, di luoghi memorabili. Charleroi, per esempio, dove nell’agosto del ’14 i tedeschi sconfissero i francesi e dal 27 al 29 settembre 2013 si è svolta l’assemblea del Consiglio regionale degli Abruzzesi nel mondo. Palmerini naturalmente ci è andato. In una giornata di sole, “di quelle tiepide, come promettono le incipienti ottobrate romane…Man mano che l’aereo guadagna il nord s’increspano nuvole candide e cirri, disegnando al suolo arabeschi d’ombre lungo la costa toscana e sulla campagna frammentata di colture cangianti nelle tonalità del verde e delle terre di Siena…”.

 

Il libro ha un ampio corredo di foto: panorami e brani di paesi, chiese, monumenti, feste patronali con processioni, palazzi patrizi, vedute dall’alto. Illuminano l’appendice: “L’Italia dei Sogni a Milano” di Francesco Lenoci; “L’Italia dei Sogni è un paese possibile” di Lucilla Sergiacomo; “L’Italia dei Sogni, dove la natura fa parte del risveglio” di Flavia Cristaldi.




Contro la dimenticanza … STORIE DELLA NOSTRA EMIGRAZIONE …Monsignor Ottavio SILVESTRI

Associazione Culturale “Ambasciatori della fame”

Pescara, 5 aprile 2016

 

 

Monsignor Ottavio SILVESTRI un grande sacerdote abruzzese. A lui migliaia e migliaia di bambini e di poveri emigranti italiani debbono tutto. La Chiesa che lui realizzò divenne un riferimento religioso, umano e soprattutto un “ricovero degli ultimi”. Era per tutti “Papà Ottavio”.

 

Un grande uomo : Monsignor Ottavio SILVESTRI nato a Sant’Egidio alla Vibrata (Te)  il 30 maggio 1875. Dal 1885 a 1897 fu ospite del Seminario di Ascoli Piceno e nel dicembre del 1897 fu ordinato sacerdote. Negli Stati Uniti giunse nel 1906 e solo nel 1911 divenne cittadino Americano. Ma da subito si impegnò a creare mense per i poveri e a sostenere in ogni modo i suoi connazionali.  Erano in molti a chiamarlo “Papà Ottavio”. Nel 1919 acquistò un terreno su cui nel 1921 costruì ed inaugurò la Parrocchia di San Giuseppe a  Brooklyn. Questa sarebbe divenuta in breve un punto di riferimento per tutti gli italo-americani, i diseredati e soprattutto per i bambini. Lui ai ragazzi dedicò l’intera sua esistenza cercando e infine riuscendovi di sottrarli alla strada e a un futuro per loro difficile.  A riguardo il “ NEW YORK TIMES”  nel  1986 lo ricordava come chi seppe avviare agli studi migliaia e migliaia di ragazzi italo-americani e che grazie a lui una intera generazione di giudici ed avvocati gli doveva tutto. In particolare Vito J. Titone, giudice della Corte d’Appello,  ricordava  che il padre amava dirgli “se non ci fosse stato Monsignor Silvestri saresti stato un muratore come me”. Accanto alla Parrocchia di San Giuseppe nel 1922 Monsignor Silvestri inaugurò, lì dove non esisteva praticamente nulla,  la scuola (oggi dedicata a Santa Francesca Cabrini) a cui si impegnò a portare ogni bambino. Li sottraeva ai lavori più umili e li incentivava alla voglia di riscatto. Una scuola che era  per i più poveri e gli orfanelli una vera amorevole casa.  Non mancarono, naturalmente,  intorno a lui polemiche. Gli rimproverarono di aver accettato contributi di dubbia provenienza o una certa vicinanza ad alcuni personaggi vicini al nascente regime fascista. Lui seppe sempre dimostrare la sua assoluta buonafede “per i miei ragazzi e per i miei poveri  farei tutto il possibile”.  La sua parola d’ordine fu fino alla fine “Servire, Servire e Servire”.  Quando nel 1950 Monsignor Silvestri  muore ai suoi funerali parteciperanno in  migliaia e migliaia di fedeli. Per molti di loro era morto “Papà Ottavio”.

 

 




Teramo. Conferenza stampa di presentazione della Mostra Nazionale itinerante “+sé-io=pace”

 

 in programma a Teramo, dal 20 aprile al 7 maggio 2016,

al Polo Museale L’Arca-Laboratorio Arti contemporanee, Largo San Matteo, con l’Alto Patrocinio della Regione Abruzzo e del Comune di Teramo.

 

La conferenza stampa si terrà

sabato 9 aprile 2016

alle ore 11.00

Sala del Consiglio Comunale – Municipio di Teramo

 

Interverranno il sindaco Maurizio Brucchi

 e il pittore, regista e scrittore Carlo Tedeschi (Premio Borsellino per la pace 2009).

 

 

L’esposizione “+sé – io = pace”  arriverà a Teramo dopo aver toccato PESARO (anteprima razionale nell’ottobre 2015), ASSISI (Città della Pace dicembre 2015 – febbraio 2016), FOGGIA (dal 20 al 27 febbraio 2016) e proseguirà il suo tour dopo la città abruzzese, giungendo il 17-25 maggio a MILANO Urban Center del Comune – Galleria Vittorio Emanuele – piazza Duomo; 8-21 settembre a TRENTO Cantine di Torre Mirana – palazzo Thun. Altre date in corso di definizione.

 

 

 




M5S. Conferenza stampa avente ad oggetto il Project financing Ospedale Chieti

 
che si terrà domani 6 aprile alle ore 11 presso la sala conferenze della sede del Consiglio regionale di Piazza Unione a Pescara.
Parteciperà Sara Marcozzi, consigliere regionale M5S Abruzzo




Anteprima: 9 e 10 luglio 2016. Convention degli autori delle Edizioni Tabula Fati e Solfanelli.

Località in provincia di Chieti. L’incontro
è aperto agli autori, amici, parenti e lettori… delle nostre edizioni.

Chi è interessato a partecipare deve scrivere a
tabulafatisegreteria@yahoo.it

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