I Cavalieri Templari saranno presenti alla celebrazione della Giornata Mauriziana a Pescocostanzo

Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam

Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam è il motto dei Cavalieri Templari dell’Ordo Templi e significa: “Non a noi, o Signore, non a noi, ma al tuo nome da’ gloria”. Il testo è la traduzione dei versetti mediani del Salmo 113 (Antica Vulgata) o dell'”incipit” del Salmo 115 (secondo la numerazione ebraica) 114 della Bibbia. I Cavalieri dell’Ordine del Tempio di Jerusalem del Priorato d’Italia hanno comunicato che prenderanno parte numerosi alla Celebrazione della 17^ Giornata Nazionale Mauriziana a Pescocostanzo d’Abruzzo in programma per domenica 16 settembre 2018. Giova ricordare che i Templari di oggi, sono decisamente animati da una forte fedeltà alla Chiesa ed a Cristo e da più lustri partecipano a questo solenne appuntamento di preghiera quale testimoni attenti, guidati dal loro priore generale Gennaro Luigi Nappo. Sodalizio questo che nel tempo con proprie opere e la pubblicazioni di più libri, ha testimoniato concretamente la loro vicinanza allo spirito mauriziano ed alla cavalleria cristiana. Degna di nota resta in un angolo del Sacrario Mauriziano la stele a ricordo di Jacques de Molay ultimo gran maestro templare opera dello scultore abruzzese Vincenzo Trinchini di San Benedetto dei Marsi.




DUE DONNE NELLA RESISTENZA ITALIANA: ADA GOBETTI E IRIDE IMPEROLI

 

 

di Mario Setta

 

 

Due donne, al Nord e al Sud, due memorie, due vite dedicate ad un ideale comune: liberare l’Italia dall’occupazione nazi-fascista. Stesso tempo, stessa storia, luoghi diversi. Al Nord, in Piemonte, a Torino e nelle valli circostanti, è la vedova di Piero Gobetti, Ada Prospero, 41 anni, che impegna se stessa, la famiglia e la gente a lottare per prevenire e sanare le sciagure, le uccisioni, le stragi operate dai nazi-fascisti. Una lotta che è anche risposta armata, organizzando gruppi di uomini e donne in grado di attaccare o di difendersi dalle truppe tedesche.

 

Al Sud, in Abruzzo, a Sulmona, Iride Imperoli Colaprete, 25 anni, orfana di padre, donna intelligente e sarta di professione, sceglie di impegnarsi nell’aiuto ai prigionieri di guerra, fuggiti dopo l’8 settembre dal campo di concentramento di Fonte d’Amore. Un settore d’intervento che accomuna le due donne, perché anche Ada Gobetti, appena nominata vice-sindaca, si occuperà dell’aiuto ai prigionieri politici usciti dalle carceri al momento della liberazione. Iride invece si occuperà della fuga dei prigionieri di guerra alleati, accompagnandoli a Roma, fino alla Città del Vaticano, dove aveva instaurato rapporti con l’ambasciata inglese, tramite il famoso prelato, Mons. O’Flaherty. Diventa la staffetta Sulmona-Roma

Iride Colaprete (destra) con Franca Del Monaco

Due donne, due artefici di tipologie di resistenza. La Resistenza armata, quella di Ada Gobetti e la Resistenza Umanitaria, quella di Iride Imperoli. Il libro di appunti di Ada Gobetti, pubblicato col titolo “Diario Partigiano” è un resoconto giornaliero di tutta l’azione organizzativa, tutti i contatti, tutte le operazioni gestite da Ada. La fama di essere stata la moglie di Piero Gobetti ne fa un personaggio di rilievo, ma soprattutto la sua capacità di coordinamento dei gruppi, i suoi rapporti personali con i responsabili (Duccio Galimberti) o con intellettuali (Benedetto Croce), la conoscenza delle lingue da insegnante di scuola diventano strumenti di elaborazione resistenziale. Con lei, il figlio diciottenne Paolo e il secondo marito Ettore Marchesini. Una famiglia a servizio della causa.

 

Iride, da sola, animata dalla solidarietà dell’organizzazione spontanea nata tra le gente semplice e povera del Borgo Pacentrano a Sulmona, sotto la guida di semplici contadini come Roberto Cicerone o del dentista Mario Scocco, accompagna e mette in salvo parecchi ufficiali alleati ed ebrei. Tra loro, William Simpson, John Furman, Joseph Pollak, che scriveranno l’autobiografia. In particolare Sam Derry, che diventerà il braccio destro di Mons. O’Flaherty che, con la Rome Organization, salverà oltre tremila persone tra prigionieri alleati ed ebrei.

 

Ada Gobetti, attraverso numerose e difficili disavventure, tra cui stabilire rapporti con la resistenza francese, riuscirà ad arrivare sana e salva, con marito e figlio, alla liberazione di Torino, dopo il 25 aprile 1945. Italo Calvino, nella nota introduttiva al libro di Ada Gobetti, la descrive: “una donna, non una delle tante semplici donne italiane che in quel periodo furono spinte da un istintivo desiderio di pace e di giustizia a una superiore coscienza civile, ma una donna la cui vita era già segnata dalla lotta antifascista”.

 

Iride Imperoli Colaprete viene catturata dalla Gestapo a Roma nei primi giorni del 1944. C’era stata una delazione, forse da Dick Messenger, una specie di ufficiale medico, catturato ubriaco dai tedeschi e che dà motivo di realizzare una retata di cittadini di Sulmona, incarcerandoli prima a Bussi e da qui a Civitaquana. Anche la madre e la sorella di Iride vengono incarcerate. Furono catturate decine e decine di persone, uomini e donne, rinchiusi in una casa adibita a carcere. A Civitaquana il Tribunale Militare Tedesco emette quattro condanne a morte. Fortunatamente, i quattro, di notte, una notte di pioggia e di tempesta, riescono a fuggire dalla cantina dove erano stati reclusi.

 

Della sua vita in carcere e della sua azione di resistenza umanitaria, Iride ha lasciato un documento scritto con l’aiuto del figlio Salvatore Colaprete, un opuscolo inedito, riportato in parte nel libro “Terra di Libertà, storie di uomini e donne nell’Abruzzo della seconda guerra mondiale” a cura di Maria Rosaria La Morgia e Mario Setta, in cui si possono leggere queste parole sincere e impressionanti:

 

«A Civitaquana, noi donne fummo messe in una cameretta. Eravamo una decina. Per andare al bagno dovevamo passare davanti agli uomini. I condannati a morte li avevano messi giù in cantina… Passarono pochi giorni e una mattina all’alba sentimmo un gran baccano. I prigionieri erano scappati. Successe il finimondo. Macchine che correvano sopra e sotto. Una gran confusione.  Dopo pochi giorni dalla fuga, sempre a Civitaquana, un altro giovane di 22 anni, tentò la fuga. Era un marinaio, tornato in licenza per trovare la fidanzata. Era incappato in uno dei soliti rastrellamenti ed era stato arrestato. Nella speranza di scappare era salito sul tetto. Quella sera c’era la luna e l’ombra della sua figura si proiettava proprio davanti alla sentinella, che incominciò a sparare. Successe il finimondo. Le guardie salirono sul tetto e lo crivellarono di colpi. Ci riunirono tutti in una stanza e ce lo buttarono davanti ai piedi. Gli usciva il sangue dalle orecchie e dal naso, batteva la testa a destra e a sinistra. Stava morendo. Io mi inchinai per prendergli la testa, ma un tedesco mi colpì con il calcio del moschetto alla fronte e al petto. Caddi a terra, svenuta. … Ebbi un occhio nero e, a causa della botta al petto, mi usciva sangue dalla bocca. Avevo la febbre. Un medico tedesco anziano venne a visitarmi. Mi faceva le iniezioni. Era tanto buono. La febbre mi passò… Mi curò molto bene, tanto che quando tornai a Sulmona, il dottor Pantano disse che ero stata curata bene.»

 

Da Civitaquana al carcere di L’Aquila e infine a casa a Sulmona. Questi, gli ultimi mesi di Iride prima della liberazione dell’Abruzzo, nel giugno 1944.

 

 




“Realizzato dagli emigranti abruzzesi, il Sacrario Nazionale Mauriziano di Pescocostanzo oggi è una clinica dello spirito immerso nel Parco Nazionale della Maiella“

 

 

 

Sacrario

 

Il Sacrario Nazionale Mauriziano d’Italia a Pescocostanzo d’Abruzzo, curato dalla Fondazione Mauriziana dal 1994, presieduta da Franco Donatelli, oggi risulta essere un meraviglioso scrigno immerso nel Parco Nazionale della Maiella, visitato sempre più da numerosi alpinisti e pellegrini devoti al Santo Martire Maurizio. Un luogo questo, di preghiera e di fede ideale per quanti effettuano escursioni sul monte Rotella o tra le faggete del Carpineto, una località ricca di storia, di arte e di cultura alpina, tutta immersa tra le bellezze del creato. Non solo un ambiente di culto, ma anche di meditazione e di riflessione. Il Sacrario nasce da una ideazione progettuale di Sergio Paolo Sciullo della Rocca di Sulmona, emigrante a Welsberg in Sudtirol, più volte Ministro Regionale dell’Ordine Francescano Secolare e presidente della Libera Associazione Abruzzesi del Trentino Alto Adige che è stato il fondatore della Fondazione Mauriziana e di varie altre benemerite associazioni culturali di spirito mauriziano. Per la realizzazione concreta di questa opera si è avvalso della collaborazione di emigranti abruzzesi che ne hanno condiviso il pensiero e l’azione. Ci fa piacere ricordarli tutti ad apprezzamento: Remo Casciato di Pescocostanzo, muratore di pietra, già emigrante a Uster in Svizzera; Vittorio Ciotola di Pescocostanzo, muratore di pietra, già emigrante a Uster e Zurigo in Svizzera; Errico Bigante di Pescocostanzo, corriere e archivista, emigrante in Italia fuori Regione a Falconara in Provincia di Ancona; Giulio Di Padova di Pescocostanzo, muratore e maestro scalpellino, già emigrante a Uster in Svizzera; Mauro Di Giovanni di Pescocostanzo, operatore di macchine per movimento terra, già emigrante a Brantford in Ontario, Canada; Gian Piero Gigliozzi di Lucoli, maestro scultore, emigrante a Parigi, dove si distinse nell’insegnamento privato dell’anatomia figurativa, giova ricordare che il nonno Giovanni ebbe la commissione degli stampi artistici e di molti stucchi decorativi da esterno del complesso LAFAYETTE; Carlo Casciato di Pescocostanzo, muratore e maestro scalpellino, già emigrante a Uster in Svizzera; Vincenzo Trinchini di San Benedetto dei Marsi, incisore e scultore, già emigrante a Barquisimento e Caracas in Venezuela. Emigranti abruzzesi che meritano di essere ricordati per avere lavorato nello spirito della gratuità, senza limiti di orario e per avere reso ancora una volta onore all’Italia, con una opera che oggi è meta di fede e di cultura. Abbiamo chiesto poi a Sciullo della Rocca le motivazioni che spingono escursionisti e pellegrini a visitare questo luogo, è lui nella sua semplicità di vecchio alpino, ci ha così risposto: “ Il Sacrario Nazionale Mauriziano” e il Monte Rotella sono luoghi vocati alla spiritualità mauriziana, luoghi che hanno un suo – Genius Loci – tanto da rivelarsi per i frequentatori una autentica clinica dello spirito.

ALLEGATE – Foto: di – Foto Arte Asmodeo Rennes – citare la fonte.




Al Sacrario Nazionale Mauriziano di Pescocostanzo, una targa ricorda i caduti del 33° Reggimento artiglieria “Acqui”

 

 

 

Il Sacrario Nazionale Mauriziano d’Italia a Pescocostanzo d’Abruzzo curato dalla Fondazione Mauriziana dal 1994, presieduta dall’alpino Franco Donatelli, ha recentemente ricevuto in dono dall’ anziano artigliere Pietro Trinchini di San Benedetto dei Marsi una targa di travertino dedicata al ricordo dei Caduti del 33° Reggimento artiglieria “Acqui”. Reparto questo che venne costituito il 1 gennaio 1915, prese parte alla prima guerra mondiale, combattendo eroicamente nel Cadore, sul Piave e sul Monte Grappa, mentre nella seconda guerra mondiale fu impiegato dapprima in Piemonte poi sul fronte greco-albanese dove guadagnò una Croce di guerra. Conclusa la conquista della Grecia, ebbe l’incarico di presidiare le isole dello Ionio. in particolare il reggimento d’artiglieria fu dislocato a Cefalonia. L’esperto di storia militare Sergio Paolo Sciullo della Rocca ha narrato ai convenuti che nella battaglia di Cefalonia il 33° Reggimento era inquadrato nella Divisione Acqui al tempo comandata dall’abruzzese Generale Antonio Gandin nato a Avezzano (AQ) il 13 settembre 1891 morto a Cefalonia il 24 settembre 1943, dove venne fucilato dai tedeschi per non aver voluto accettare la resa incondizionata una caparbia e sfortunata resistenza contro gli stessi tedeschi che condusse al famoso eccidio. Il glorioso 33° Reggimento venne poi definitivamente sciolto il 27 giugno 2013 a L’Aquila, mentre la bandiera di guerra che si fregia di una Croce di Guerra al valore militare e di una Medaglia d’Oro al valore militare, è custodita al Sacrario delle bandiere del Vittoriano a Roma.

 

 




IL GRUPPO ALPINI DI GISSI COMPIE 3 ANNI SI FESTEGGIA SABATO 4 AGOSTO

Il Gruppo Alpini di Gissi compie tre anni e celebra la ricorrenza sabato 4 agosto al Centro Polisportivo “Aldo Moro” a partire dalle ore 19.

“Un momento conviviale che vogliamo condividere con tutti gli amici delle Penne Nere e i nostri sostenitori. Una serata di festa, tra musica e buon cibo, che vuole riaffermare i valori alpini, fatti di impegno civile, solidarietà, disponibilità verso il prossimo e rispetto per l’ambiente e la natura”, spiega il capogruppo di Gissi Giovanni Basilico.

Alpini di Gissi

Lo spirito alpino è “contagioso” e anche questi momenti di semplice aggregazione rappresentano un’occasione per condividerli, rafforzando il legame col territorio.

La serata degustazione, organizzata in collaborazione con il Comune di Gissi, sarà dedicata alla tradizione enogastronomica abruzzese, con intrattenimento musicale.

Il Gruppo alpini di Gissi oggi conta 63 soci ed è uno dei più attivi del territorio, assicurando la propria presenza alle diverse adunate che si organizzano non solo a livello locale ma anche interregionale e nazionale (a maggio scorso era a Trento). Solo nell’ultimo mese ha partecipato a due raduni zonali rispettivamente San Salvo e Schiavi d’Abruzzo e al Quarto raggruppamento Ana Centro sud Italia a Leonessa (Rieti).

Un bilancio più che soddisfacente che si arricchirà di nuove iniziative a partire da settembre, fatte di rappresentanza, ma soprattutto di impegno.

Un’attività che il Gruppo di Gissi sarà felice di festeggiare con i propri concittadini e tutti gli amici degli Alpini.

 

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Editoria. Il romanzo di Bianca Tragni “Nicolino va alla guerra”, un racconto sulla prima guerra mondiale

“Nicolino va alla guerra” è un romanzo di 222 pagine in grado di spiegare la prima guerra mondiale vissuta da ogni protagonista del racconto ideato dalla scrittrice Bianca Tragni.

Bianca Tragni, Nicolino va alla guerra

Nicolino nasce ad Altamura nel 1898, cresce in una famiglia dedita al lavoro agrario. Giuseppe suo padre, in veste di fittaiolo coltiva le terre dei Baroni Melodia, Angela Lossurdo, (Donna Angelina), sua madre, è una mamma dolcissima e attenta ad ogni figlio. Infatti Nicolino ha quattro fratelli: Evangelista, Donato Giovanni, Stefano e quattro sorelle, Vita Maria, Lucetta, Battista e Annina. I giovani Tragni, per il loro portamento in paese li definiscono i giaiant (i giganti). I fratelli lavorano nei campi, patrune P’ppine li tratta come lavoratori, questi ultimi a piene mani insegnano loro, ogni segreto della campagna murgese. Il tempo passa, trascorre, nel 1915 Evangelista e Stefano partono per il fronte, nel marzo del 1917 “Nicolino va alla guerra”. La patrauna, Donna Angelina, è disperata, non riceve notizie da Evangelista e Stefano, ora vede partire il terzo giaiant di famiglia.  Il padre Peppino, figlio di Evangelista Tragni patriota del 1948, pur con grande amarezza accetta anche la partenza di Nicolino. I tre giaiant, hanno un compito ben preciso liberare Trento e Trieste. Nicolino parte dal Distretto Militare di Bari, quindi è trasferito al 10° Reggimento d’Artiglieria di Fortezza, destinazione Forte Tombion, situato tra il Brenta e Cismon del Grappa. Il romanzo di Bianca Tragni entra nei dettagli storici, strategici, tattici di una guerra ricordata come “Grande”, combattuta tra le trincee dell’Isonzo, Tagliamento e Piave: bombe, granate esplosive o cariche di nuovi (…) componenti: gas velenosi. L’importanza delle Crocerossine, della posta ricevuta o mai giunta e delle donnine (involontarie Vittime di Guerra), che in periodi prestabiliti dal Comando dell’Armata visitano il campo elargendo ai fanti meno di cinque minuti per “sognare amori lontani”. Due guerre, la prima di Cadorna e dei suoi Generali, infine Diaz e la vittoria. Nel mezzo una guerra di massa, affrontata da valorosi contadini e da Generali “piuttosto distratti” di cui Nicolino è testimone a partire dalla resa di Caporetto. La moralità, l’ingegno, la forza di Nicolino attraggono il rispetto di commilitoni e superiori. Nicolino è promosso Caporale, ma perde il suo grande amico Ciro. La guerra continua tra le sapienti pagine scritte dall’autrice, ricche di suspense e colpi di scena, (anche affettivi). Trento e Trieste vengono liberate. La guerra è finita, ma per Nicolino e altri commilitoni la guerra continua, a loro il compito, in attesa del rientro ad Altamura, di sminare determinare aree piene di ordigni inesplosi….

Buona lettura a tutti

Giovanni Lafirenze




Giulianova. Ritrovata una bomba a mano della 1° Guerra Mondiale

Alle ore 11.00 odierne, personale del distaccamento di Polizia Stradale di Giulianova (TE) veniva avvisato  da un residente di Giulianova che all’interno del giardino privato adiacente la propria abitazione , durante i lavori di manutenzione da lui effettuati, era stato rinvenuto interrato nel sottosuolo un ordigno bellico inesploso. Sul posto è subito intervenuta una pattuglia del predetto Distaccamento che,  dopo aver riscontato l’effettiva presenza di un ordigno, ha provveduto a mettere in sicurezza tutta l’area interessata delimitando e presidiando la zona.

Bomba a mano a Giulianova

 

E’ stato quindi richiesto l’intervento di una squadra di artificieri della Questura di Pescara prontamente intervenuta sul posto. Il citato personale, avviate le relative operazioni, ha provveduto a rimuovere l’ordigno dal sito per il successivo brillamento.

 

L’ordigno veniva identificato come “Bomba a mano Nazionalità inglese Mod.36 MILSS”  in uso durante la Prima Guerra Mondiale.




“UN ANNO A ROVERE (1943 – 1944)”

 

di Mario Setta

È il titolo del libro di ricordi della famiglia Camiz: Paolo (5 anni), Elena e Vito, i genitori. Rovere è una frazione del comune di Rocca di Mezzo, provincia dell’Aquila. L’autore principale, Paolo, ha ora 80 anni, ex docente universitario di Fisica teorica,  ha deciso di raccontare, attraverso i suoi temi di allora, i suoi disegni, le sue canzoni, i ricordi dei genitori, quel periodo della guerra trascorso in Abruzzo.

Un bambino di cinque anni che sapeva già leggere e scrivere, alla scuola dei suoi genitori. Padre ingegnere, un po’ anche poliglotta, madre intelligente e culturalmente apertissima. Un trio familiare così affiatato che affronta gravissime difficoltà, senza mai prostrarsi. Ebrei, ma con alto senso della propria dignità umana.

Il libro non vuole essere uno dei tanti che hanno speso fiumi d’inchiostro per raccontare le vicende degli ebrei perseguitati e finiti nei campi di sterminio. Consapevoli della loro situazione familiare critica non si arrendono, ma si adattano a tutte le condizioni di disagio materiale e psicologico. Nella frazione di Rovere, dove arrivano subito dopo l’8 settembre, trovano accoglienza e amicizia sincera. Lui è l’ingegnere. Il personaggio più qualificato del paese, capace di difendere i contadini perfino parlando con i tedeschi nella loro stessa lingua.

La narrazione procede con innumerevoli inserti di temi scritti dal piccolo Paolo. Anche lui un genietto, capace di apprendere il dialetto e di scriverlo, di stabilire amicizie profonde e significative con tutti, coetanei e donne anziane. Ne esce la descrizione della piccola frazione nei suoi aspetti più caratteristici, dal luogo con le case e le stalle alla gente semplice e gentile.

La madre, Elena, afferma: “La mia teoria era che non bisognava far vedere che si aveva paura, che ci si doveva mostrare il più disinvolti possibile e che, se si riusciva a stabilire un rapporto umano c’era qualche speranza di farla franca”.

Infatti, in un freddo e piovoso pomeriggio di novembre, un tedesco spalanca la porta ed entra. Elena lo accoglie chiedendogli se desidera un tazza di caffè. Ringrazia e chiede: “Ma lei conosce il tedesco?”, dal momento che Elena aveva cercato di rispondere un po’ in tedesco. Subito dopo entrano nella  cucina anche il marito e il figlio.  Vito, il marito, che conosce bene il tedesco parla a lungo con l’ospite che dichiara di essere sergente, ma anche professore di filosofia e appassionato di musica.

Nasce quindi un rapporto intenso e amichevole, anche per il fatto che Vito conosce la musica e suona il violino. Uno strumento col quale più volte Vito riesce a rallegrare i tedeschi e a renderseli amici.

Anche a Rovere, pur essendo una frazione sull’altipiano delle Rocche, passano le truppe della Wermacht e i prigionieri di guerra alleati fuggiti dai campi di concentramento e si verificavano  episodi di tedeschi che si spacciavano per prigionieri fuggiaschi, mentre ricercavano famiglie di italiani che li avevano  accolti per distruggerne poi le abitazioni.

Passano così i nove mesi della guerra in Abruzzo, con la fame che si cercava di lenire dividendo il pane che non c’era e con la forza d’animo di non cedere mai allo scoraggiamento e all’umiliazione. Nel mese di luglio del 1944, la famiglia Camiz ha la possibilità di tornare a Roma e di riprendere una nuova vita: non più quella di tentare in tutti i modi di emigrare nelle nazioni europee o sudamericane per evitare di essere arrestati dai nazisti e spediti nei forni crematori, ma la vita di tutti gli uomini degni di questo nome.

(Mario Setta)

 

 




La Grande Guerra: il nuovo libro di Errico Centofanti

 
L’AQUILA – Giovedi 31 maggio, alle 17:30, nella Libreria Colacchi (via Enrico Fermi) all’Aquila, verrà presentato “La Grande Guerra”, il nuovo libro di Errico CentofantiCome sostiene l’autore, “non si tratta di un’indebita intrusione in campo storiografico, ma
semplicemente di un romanzo”. Nel libro, la storia ha un ruolo importante, ovviamente, ma contano molto la musica e la psichiatria: perciò, a presentarlo saranno lo storico Enzo Fimiani, lo psichiatra Valter Marola e il musicista Sergio Prodigo, introdotti dal gen. Carlo Palumbo, Presidente Regionale dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra.
 
Nonostante il titolo, dunque, questa non è un’ennesima opera sul conflitto del 1915-18. In realtà, la Grande Guerra vi appare soltanto come l’apocalittico fondale sul quale, sostenuti dall’evocazione del Boléro di Ravel, s’intrecciano il racconto di un folle amore e la scoperta dell’efferato assassinio di Via delle Grazie, tra le cui motivazioni proprio la Grande Guerra finisce con l’emergere pesantemente. 
 
Con alle spalle un’estesa esperienza da uomo di teatro, giornalista e scrittore, Errico Centofanti si è soffermato intorno a un aspetto tra i meno affrontati dalla pur sterminata bibliografia dedicata a quella che è la prima catastrofe planetaria non causata da fenomeni naturali: la capacità delle esperienze belliche d’indurre, anche a non breve termine, pericolose turbe psichiche in persone usualmente catalogabili tra le individualità “normali”.
 
La meccanica del libro si sviluppa lungo il tratto di vita che, sul finire del Secondo Millennio, conduce una coppia di improvvisati “investigatori letterari” a esplorare e sciogliere l’enigma dal quale il procedere della narrazione viene innescato. Sono i due “investigatori” che riescono a scoprire fatti e atteggiamenti i quali, nel mettere a nudo i vissuti individuali interconnessi con la tragica grandiosità degli eventi bellici, di questi rivelano l’attitudine a differire, anche lungo il successivo scorrere di anni e decenni, la manifestazione inattesa e violenta del proprio potenziale distruttivo.



Giulianova. Il 21 aprile Convegno in Sala “Buozzi” su “Giulianova e la Polizia nella Grande guerra” con la commemorazione della guardia di città Francesco Paolo Rossi.

In occasione dei cento anni dalla conclusione della Prima guerra mondiale
(1918-2018), l’Amministrazione comunale e la delegazione provinciale
dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle reali tombe
del Pantheon, la più antica associazione combattentistica e d’arma
italiana ed Ente morale posto sotto la vigilanza del Ministero della
Difesa, hanno organizzato per sabato 21 aprile, nella Sala “Buozzi” con
inizio alle ore 10.30, il convegno “Giulianova e la Polizia nella Grande
guerra”.

Guardie di Città

Moderati da Walter De Berardinis, giornalista e commissario provinciale
dell’Istituto per la Guardia d’Onore al Pantheon che illustrerà la
figura di Francesco Paolo Rossi, facendo seguito ai saluti istituzionali
del sindaco Francesco Mastromauro, della direttrice dell’Archivio di
Stato di Teramo Carmela Di Giovannantonio, del presidente del Comitato
Festeggiamenti Madonna dello Splendore Luigi Martinelli e del Questore
della provincia di Teramo Enrico De Simone, prenderanno la parola gli
storici Sandro Galantini (“Giulianova nella Grande guerra”) e Giulio
Quintavalli (“La Polizia dall’Italia liberale alla Grande guerra”)
nonché Gabriele Barcaroli, direttore dello Studio Investigativo Gamma
Investigazioni che relazionerà su “L’investigazione nell’era
moderna”.
Il convegno, inserito nel cartellone eventi per i festeggiamenti alla
Madonna dello Splendore, verrà anticipato alle ore 10 dal raduno sul
Belvedere delle autorità civili e militari con le associazioni
combattentistiche e d’arma che quindi muoveranno in corteo lungo Corso
Garibaldi, accompagnati dalla Fanfara dei Bersaglieri “Scattini” di
Bergamo, per raggiungere la Sala Buozzi dove si procederà alla cerimonia
di scoprimento della targa, destinata ad essere collocata all’ingresso
principale del Cimitero, in ricordo di Francesco Paolo Rossi.
Nato a Giulianova il 20 febbraio 1879 ed arruolatosi nel Corpo delle
Guardie di Città, oggi Polizia di Stato, Francesco Paoli Rossi nel 1912
venne insignito di un encomio solenne per l’attività di servizio
svolta a Verona dove era stato assegnato sin dal 1907. Proprio nella città
scaligera, durante la Prima guerra mondiale realtà particolarmente
impegnativa per l’attività d’istituto del Corpo delle Guardie di
Città essendo un importante centro logistico a causa del panificio
militare della Santa Marta, dell’ospedale militare, del vecchio
arsenale austriaco e di due stazioni ferroviarie da cui potevano partire i
convogli di truppe e vettovagliamenti verso il fronte orientale, il
poliziotto giuliese si sarebbe spento il 18 ottobre 1918 a causa della
mortale pandemia influenzale nota come “spagnola”.
La manifestazione, alla quale parteciperà una classe del locale Liceo
Scientifico “M. Curie”, gode anche del patrocinio delle città di Verona e
Campobasso, quest’ultima località d’origine della famiglia di
Francesco Paolo Rossi.