Teramo. L’Italia e la Libia, una storia da conoscere. Mostra foto-documentaria e convegno di studi alla Biblioteca Delfico

 

 

 

 

Periodo di svolgimento: dal 12 al 26 aprile nella corte interna della biblioteca

Inaugurazione: giovedi 12 aprile alle 10:45

 

 

Fonte Mostra Biblioteca Provinciale Delfico

 

 

Negli ultimi anni la Libia è quasi quotidianamente al centro dell’attenzione dei mezzi di comunicazione, mentre la conoscenza della sua storia e del periodo della presenza italiana rimane ancora poco conosciuta e poco studiata. Per rendere comprensibile all’opinione pubblica ciò che oggi sta accadendo in Libia, è indispensabile sapere ciò che è accaduto nella storia del suo recente passato. Per favorire la conoscenza di questo Paese, ed in particolare il periodo coloniale italiano, la Fondazione MedA – Onlus, con il patrocinio dell’Università degli Studi di Teramo e della Regione Abruzzo, ha organizzato la mostra foto-documentaria L’occupazione italiana della Libia. Violenza e colonialismo 1911-1943.

Fonte Biblioteca Provinciale Delfico

Realizzata dal Centro per l’Archivio Nazionale di Tripoli e curata dallo storico Costantino Di Sante con la consulenza di Salaheddin Sury, uno dei maggiori storico libici dell’età contemporanea, l’esposizione restituisce al visitatore la possibilità di conoscere il periodo della colonizzazione italiana attraverso un percorso storico-didattico illustrato da oltre duecento foto e decine di documenti provenienti dai principali archivi nazionali.

La mostra sarà inaugurata giovedì 12 aprile alle 10,45 presso la Biblioteca Melchiorre Delfico di Teramo con la partecipazione di Luisa Musso dell’Università di Roma Tre, di Pasquale Iuso dell’Università degli Studi di Teramo, di Federico Cresti dell’Università di Catania e di Stefano Cianciotta Presidente dell’Osservatorio nazionale per le infrastrutture. Sarà possibile visitarla dal lunedì al giovedì dalle 8,30 alle 18,30, dal venerdì al sabato dalle 8,30 alle 14,00. Ingresso libero.

Locandina mostra Libia

Per chi volesse approfondire il tema, giovedì 24 aprile alle ore 17 è previsto un convegno di studi sui rapporti tra l’Italia e la Libia dall’occupazione del 1911 al dopo Gheddafi e, per ricordare la Resistenza libica e i crimini di guerra del periodo coloniale, alle ore 21 ci sarà la proiezione del film Il leone del deserto di Mousthafa Akkad che nel 1982 fu censurato per vilipendio alle forze armate.




Giulianova. Il 7 aprile al Centro socioculturale dell’Annunziata presentazione del libro “Per la Patria. Piccolo lapidario della Grande guerra”.

Sabato 7 aprile, a partire dalle ore 18.30, nel Centro socioculturale del
quartiere Annunziata si terrà la presentazione del libro “Per la Patria.
Piccolo lapidario della Grande Guerra” di Francesco Maria Anzivino e Paolo
Groff.

Monumento di Giulianova alta

A introdurre e presentare il volume sarà Sandro Galantini dell’
Istituto Abruzzese di Ricerche Storiche.
In ogni città, grande o piccola che sia, ci sono testimonianze del passato
ormai lontane dagli occhi. Ci si passa davanti più volte al giorno e
neanche ci si accorge della loro presenza. Eppure le parole che vi sono
scritte e i gesti che vengono rappresentati plasticamente sono serviti nel
tempo a costruire una memoria condivisa.
È questo il punto di partenza del libro “Per la Patria. Piccolo lapidario
della Grande Guerra” (Andrea Livi Editore, 2017).
Il testo nasce dall’incontro tra l’indagine fotografica di Paolo Groff sui
monumenti ai caduti della prima guerra mondiale nel Piceno e le storie e
le riflessioni raccolte da Francesco Maria Anzivino sulle parole che li
accompagnano o li costituiscono sotto forma di lapidi.
Al dialogo con gli autori parteciperanno gli allievi della scuola di teatro
“ProgettoKnà”.
L’evento, a ingresso gratuito, è organizzato con il patrocinio del Comune
ed in collaborazione con l’associazione culturale Knà.




Giulianova. Presentazione-performance del libro dedicato ai monumenti della Grande Guerra.

GIULIANOVA – Si svolgerà sabato 7 aprile 2018 ore 18,30 presso il centro socio culturale di Via dei Pioppi nel quartiere Annunziata la
presentazione-performance del libro dedicato ai monumenti della Grande

Guerra.

Sul palco gli attori della Associazione Culturale Knà di Giulianova.

Recitata, scritta, fotografata. Attorno a questi tre attributi della parola ruoterà
la presentazione del libro “Per la patria.
Le fotografie di Paolo Groff e il reportage narrativo di Francesco Maria
Anzivino, confluiti nel volume pubblicato lo scorso settembre dall’editore
fermano Andrea Livi, saranno il punto di partenza di una performance teatrale
degli attori della Associazione Culturale Knà di Giulianova, diretti da

Giuliana Cianci e Francescomaria Di Bonaventura.

Di seguito gli autori del libro converseranno con il pubblico, raccontando la
loro indagine sui monumenti ai caduti della Grande Guerra del Piceno, volta a
rappresentare la scomparsa di queste opere dal nostro campo visivo abituale
seppur presenti in ogni comune della provincia sotto forma di lapidi, cippi o
sculture, e a studiare i meccanismi retorici impiegati per la costruzione di una

memoria utile alla propaganda.




“Per la patria. Piccolo lapidario della Grande Guerra”: a Grottammare la  performance teatrale tratta dal libro di Groff e Anzivino con l’Associazione Culturale Knà 

GROTTAMMARE – Si svolgerà domenica 18 marzo alle 17.30 presso il Teatro dell’Arancio la
presentazione-performance del libro dedicato ai monumenti della Grande

Guerra. Sul palco gli attori della Associazione Culturale Knà di Giulianova.

Recitata, scritta, fotografata. Attorno a questi tre attributi della parola ruoterà
la presentazione del libro “Per la patria. Piccolo lapidario della Grande
Guerra”, che si terrà domenica 18 marzo alle ore 17.30 presso il Teatro

dell’Arancio a Grottammare.

Le fotografie di Paolo Groff e il reportage narrativo di Francesco Maria
Anzivino, confluiti nel volume pubblicato lo scorso settembre dall’editore
fermano Andrea Livi, saranno il punto di partenza di una performance teatrale
degli attori della Associazione Culturale Knà di Giulianova, diretti da

Giuliana Cianci e Francescomaria Di Bonaventura.

Di seguito gli autori del libro converseranno con il pubblico, raccontando la
loro indagine sui monumenti ai caduti della Grande Guerra del Piceno, volta a
rappresentare la scomparsa di queste opere dal nostro campo visivo abituale
seppur presenti in ogni comune della provincia sotto forma di lapidi, cippi o
sculture, e a studiare i meccanismi retorici impiegati per la costruzione di una

memoria utile alla propaganda.

L’evento, a ingresso gratuito, è realizzato in collaborazione con
l’Associazione Culturale Blow Up e con il patrocinio del Comune di
Grottammare.



Editoria. Da Sbirro a investigatore, Polizia e investigazione dall’Italia liberale alla Grande guerra“

(C) giulianovanews.it

“Salvaguardare le spalle dell’Esercito” è una citazione di Vittorio Emanuele Orlando – Presidente del Consiglio con l’interim all’Interno durante la Prima guerra mondiale – con la quale compendiò il ruolo che affidò alla Polizia di Stato nei quaranta mesi di conflitto. Una conflagrazione che rivoluzionò il modo di condurre la guerra e mise a dura prova le nazioni coinvolte.

Lo Statista testimoniò nelle Memorie che a poliziotti capaci, intraprendenti e professionali assegnò il delicato compito di “Salvaguardare le spalle dell’Esercito” che, con alcuni articoli, Giulianovanews vi propone.

Cartolina postale del Corpo delle guardie di città, raffigurante agenti in area urbana, in scalo portuale e di scorta ciclistica. Primi del 900, edita dallo Stabilimento A. Marzi – Roma, illustrazione di Rinaldi. (collezione Quintavalli)

Per queste ragioni: la storiografia della Polizia è un terreno poco battuto ma prolifico di spunti e riflessioni, quindi gli articoli sono una novità di non poco conto; più in generale, la conoscenza del passato aiuta a comprendere il presente. Come – con ben più ampi orizzonti – ha sottolineato  il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo ultimo messaggio di fine anno al Paese, il 31 dicembre 2017.

Infatti, il Presidente ha sottolineato che «non possiamo vivere nella trappola di un eterno presente, quasi una sospensione dal tempo, che ignora il passato e oscura l’avvenire»; al passato come testimonianza di impegno e di progettualità per il futuro si è ricondotto ricordando i ragazzi del 1899, chiamati cento anni fa a salvare l’Italia dopo Caporetto, e quelli del 1999,  chiamati alle urne elettorali per la prima volta auspicandone la piena partecipazione per invertire il trend negativo che, da oltre venti anni, vede le stesse sempre più disertate.

Il Presidente ha messo il dito in un “vulnus” che Giulianuovanews, circoscrivendolo alla Polizia di Stato, fa proprio affidandolo all’autore di una recente pubblicazione scientifica che affronta il ruolo della Polizia durante la Prima guerra mondiale, frutto di pazienti studi e ricerche.

Copertina libro di Giulio QUINTAVALLI

 

Ma veniamo al dunque: quale migliore occasione per il Centenario della Grande guerra tratteggiare l’impegno dei poliziotti? Il ruolo dei funzionari di Pubblica Sicurezza e del Corpo delle guardie di città (questa la denominazione della Polizia di Stato del tempo) continua a essere praticamente inesplorato. Tra i poliziotti che operarono durante la guerra, nelle retrovie, praticamente tutti dimenticati, il concittadino Rossi Francesco, morto in un ospedale da capo a Verona nel 1918.

Rossi, sebbene lontano da trincee e onori, come tanti altri poliziotti, svolse un’opera silente, invisibile e professionalizzata contro il crimine; molti poliziotti scovarono sobillatori, detrattori del governo, speculatori, disertori, e si distinsero nella caccia a spie, fiancheggiatori dell’intelligence nemica, sabotatori … in breve nel fronte interno.

Per la Polizia un meritato traguardo dovuto al riconoscimento di Orlando della professionalizzazione dei suoi uomini e dei “ferri del mestiere”, fortemente rinnovati proprio a partire dagli anni a ridosso l’esplosione del conflitto nella Scuola di polizia scientifica, fondata  dal professor Salvatore Ottolenghi.

Un traguardo che permise finalmente a quegli uomini di fissare al petto la stessa medaglia che adorna il valoroso soldato, guadagnata sui campi di battaglia.

Gli articoli rimandano allo studio: “Da sbirro a investigatore. Polizia e investigazione dall’Italia liberale alla Grande guerra“ (Udine, Aviani e Aviani editori, 2017, ISBN: 978-88-7772-252-2). L’opera rappresenta un importante tassello per la ricostruzione delle origini della Polizia che l’autore, laureato con lode in Storia e Società, coautore o autore di articoli di storia pubblicati da alcune riviste dei Corpi dello Stato, affronta gli aspetti immateriali (cultura professionale, mentalità collettiva …) e materiali (metodi, prassi, strumenti …) nell’arco cronologico considerato, secondo strategie concettuali e narrative convincenti.

Il 21 aprile 2018, a Giulianova, sarà ricordata la figura della Guardia di Città, Francesco Paolo Rossi.

Nota per i nostri lettori: 280 pp., 900 note di cui 500 archivistiche, bibliografia di oltre 400 opere; ordinabile per i lettori di Giulianovanews.it al costo di € 25.oo (anziché 32.oo) escluse spese postali direttamente dall’editore (avianifulvio@gmail.com; www.avienieditori, 0432 884057).

Walter De Berardinis e Giulio Quintavalli

Continua (1)

 

 

 




IL FASCISMO E I CORRISPONDENTI AMERICANI IN ITALIA, IL SAGGIO DI MAURO CANALI

La presentazione del libro al Centro Studi Americani di Roma. Una lettura del ventennio mussoliniano da un punto di vista inedito, i casi Hemingway e Scott Fitzgerald.

Roma, febbraio 2018 – La scoperta dell’Italia, il fascismo raccontato dai corrispondenti americani (Marsilio Edizioni) è l’ultima opera del professor Mauro Canali, per la quale lo storico romano è stato insignito pochi giorni fa del Premio FiuggiStoria 2017 per la saggistica. Il libro è stato presentato a Roma nel corso di un incontro pubblico che ha avuto luogo presso il Centro Studi Americani e a cui hanno partecipato, oltre all’autore, Paolo Messa (direttore del Centro), Piero Craveri (presidente della Fondazione Biblioteca Benedetto Croce), Mario Avagliano (giornalista e storico) e il giornalista del Messaggero Fabio Isman.

Mauro Canali, professore ordinario di Storia Contemporanea all’Università di Camerino e membro del Comitato scientifico di Rai-Storia, è uno degli studiosi più autorevoli del fascismo, a cui ha iniziato a dedicarsi in giovane età sotto la guida del suo maestro Renzo De Felice. Ha concentrato in particolare le sue ricerche sulla struttura totalitaria e sui meccanismi informativi e repressivi del regime mussoliniano. Questo bel saggio, che si legge come un romanzo molto avvincente, nasce – come lo stesso autore ha spiegato nel corso della presentazione – soprattutto dalla necessità di scoprire e chiarire sotto quale luce il regime fascista apparisse agli occhi di un paese estraneo all’Italia come gli Stati Uniti, e come venisse descritto ai suoi lettori. Un punto di vista quindi inedito per ripercorrere le vicende di quegli anni, in grado di offrirci al tempo stesso uno spaccato molto interessante della società del ventennio fascista.

Si tratta di un lavoro che ha richiesto una lunga e meticolosa ricerca attraverso le fonti più disparate, tra cui gli archivi privati di molti corrispondenti che spesso lasciavano ai posteri dei diari e appunti legati a quel periodo storico. Rispetto ad altri testi che hanno analizzato il tema del rapporto tra gli Stati Uniti e Mussolini – a cominciare da quello dello storico californiano John Diggins (L’America, Mussolini e il fascismo, Laterza 1972) – Canali ha voluto indagare più in profondità per scoprire fino a che punto certe prese di posizione nei confronti del fascismo fossero condizionate dalle pressioni (che spesso sfociavano in ricatti e minacce) e in veri e propri tentativi di corruzione che il regime esercitava nei confronti degli inviati esteri.

Il libro mostra come nel primo periodo il fascismo venisse visto generalmente di buon occhio da parte della stampa americana. Si trattava di un giudizio che, prima ancora dell’avvento al potere di Benito Mussolini, risentiva del bagaglio di esperienze legato alla fase turbolenta post-bellica in cui si trovavano gli Stati Uniti, e del fatto che questi inviati avessero nella maggior parte dei casi una conoscenza molto superficiale della storia e della politica italiana, frutto essenzialmente di pregiudizi e di stereotipi. Il Duce era ritenuto l’artefice di una rivoluzione “bella e giovane” e veniva dipinto come l’unico credibile baluardo nei confronti del pericolo bolscevico: negli Stati Uniti infatti si avvertiva un forte allarme per quelle manifestazioni di grande conflittualità sociale che ebbero luogo in Italia nel cosiddetto “biennio rosso”, poi culminate con l’occupazione delle fabbriche nel settembre del 1920.

Il fascismo rappresentava quindi per molti di questi corrispondenti americani una risposta efficace in quanto aveva saputo mettere a tacere i sindacati e le lotte di classe, garantendo una pax sociale fatta di ordine e disciplina. Una soluzione certo non esportabile negli Stati Uniti ma che a loro avviso si adattava bene all’Italia, che inquadravano come un paese un po’ anarcoide e tendenzialmente refrattario all’ordine costituito. Tra questi giornalisti Canali cita ad esempio Kenneth Roberts, inviato del “Saturday Evening Post” e autore del romanzo storico Passaggio a nord-ovest, che dopo aver denunciato il pericolo comunista, esaltò il fascismo come un movimento necessario per impedire che l’Italia precipitasse “in un turbine caotico di comunismo e di disastri finanziari”. Un altro corrispondente, Isaaac Marcosson, definì Mussolini addirittura “Il Theodore Roosevelt latino”, così come Lincoln Steffens del “New York American”, che arrivò a scrivere frasi apologetiche come questa: “Immaginate un Theodore Roosevelt consapevole, mentre governava, del posto che avrebbe occupato nella storia degli Stati Uniti, e avrete l’immagine di Benito Mussolini in Italia”. E poi ancora Walter Lippmann, vincitore di due premi Pulitzer e molto noto nella comunità degli italo-americani; e Anne O’Hare McCormick, autrice di molti reportage più che lusinghieri nei confronti del fascismo per il supplemento domenicale del “New York Times”, autentico megafono della propaganda del regime mussoliniano in America.

Ma tra questi corrispondenti vi era chi aveva maturato riguardo al Duce un’opinione del tutto opposta. Ci riferiamo in particolare a mostri sacri della letteratura del Novecento come Francis Scott Fitzgerald e Ernest Hemingway. In particolare Fitzgerald, che trascorse cinque mesi a Roma nel 1924 insieme alla moglie Zelda, capì subito che il fascismo si presentava con il volto del vecchio autoritarismo e in riferimento ad esso parlava senza mezzi termini di “spasmi di un cadavere”, invitando i suoi lettori a non lasciarsi ingannare dal suo dinamismo apparente. In seguito sarà costretto ad andarsene e a non mettere più piede in Italia perché fermato dalla polizia, malmenato e portato in prigione per qualche ora: racconterà questa sua brutta esperienza in uno dei suoi più celebri capolavori, Tenera è la notte.

Il caso di Hemingway è diverso: inizialmente sembrava attratto da Mussolini, che apprezzava soprattutto per le sue qualità di patriota combattente, ritenendo legittima la reazione del fascismo contro la minaccia di una trionfante rivoluzione bolscevica. Lo incontrò per la prima volta a Milano e lo descrisse sul “Toronto Daily Star” come “un uomo grande, dalla faccia scura con una fronte alta, una bocca lenta nel sorriso, e mani grandi ed espressive”. Poi solo sei mesi dopo il giudizio di Hemingway cambiò radicalmente. Nel gennaio del 1923, in un articolo pubblicato dopo aver incontrato Mussolini a Losanna in occasione del meeting internazionale che avrebbe dovuto regolare i rapporti tra la nuova Turchia di Atatürk e le potenze uscite vittoriose dalla guerra, si lascerà andare a una critica molto feroce nei confronti del duce: arriverà a definirlo “il più grande bluff d’Europa”, come uno che ha del “genio nel rivestire piccole idee con paroloni”; aggiungerà inoltre di non sapere se e quanto questo bluff potrà durare: se quindici anni o se verrà rovesciato al più presto. E racconterà un episodio a dir poco grottesco: appena entrato nel salone dove si svolgeva la conferenza stampa vide Mussolini seduto alla scrivania mostrandosi molto concentrato come per darsi delle arie da grande intellettuale “intento a leggere un libro con il famoso cipiglio sul volto”. Hemingway si avvicinò e sbirciando alle sue spalle scoprì “che si trattava di un dizionario francese-inglese, tenuto al rovescio”. Dopo aver letto quell’articolo Mussolini gli giurò che non lo avrebbe più fatto tornare in Italia. Canali svela anche che anni dopo, nel pieno della guerra di Spagna, dopo che sulla stampa americana erano apparse alcune sue corrispondenze da Tarragona fortemente critiche nei confronti degli italiani impegnati a combattere a fianco delle truppe franchiste, dei personaggi che gravitavano intorno al consolato italiano di New York avevano studiato un piano di aggressione fisica ai suoi danni.

Quest’ultimo episodio è rivelatore dell’opera sistematica di controllo che il regime esercitava nei confronti della stampa, sia attraverso tentativi di corruzione sia, come nel caso di Hemingway, per mezzo di veri e propri atti di intimidazione. E questo spiega il motivo per cui solo pochi coraggiosi inviati americani si fossero esposti fino denunciare il carattere repressivo e autoritario del regime e la presenza sempre più asfissiante del famigerato apparato poliziesco dell’Ovra nella vita quotidiana. Un apparato che già a metà degli anni Trenta sarà particolarmente raffinato e in grado di controllare la vita dei cittadini (e quindi anche degli inviati esteri) in maniera spietata e relativamente facile. I lettori americani furono così per tanti anni di fatto ingannati dai loro corrispondenti: nei direttori e negli editori delle principali testate prevalse la prudenza nel raccontare le vicende del regime, anche per evitare i costi delle inevitabili espulsioni dei loro corrispondenti. Persino dopo il delitto Matteotti i grandi giornali americani si mostrarono sostanzialmente allineati e non fecero altro che riportare le veline dell’ufficio stampa di Mussolini, quindi la versione secondo cui il deputato socialista sarebbe stato ucciso da alcune frange estremiste di fascisti fuori controllo. Il solo inviato che ebbe il coraggio di indagare sul caso fu il corrispondente del “Chicago Tribune” George Seldes, che infatti fu per questo motivo cacciato brutalmente dall’Italia.

L’idillio con il fascismo comincerà a tramontare con la guerra di Etiopia (tra il 1935 e il 1936) e in seguito con la guerra civile spagnola (1936-1939), la promulgazione delle leggi antisemite nel 1938 e il progressivo avvicinamento alla Germania nazista. Fu a quel punto che il presidente americano Frank Delano Roosevelt, che pure in passato aveva manifestato apprezzamento verso le riforme sociali fasciste legate allo stato corporativo, capì di avere a che fare con un personaggio del tutto inaffidabile e con cui non si poteva avere nulla a che spartire.

La stampa americana si pose quindi sulla stessa lunghezza d’onda del capo della Casa Bianca, assumendo finalmente una posizione non più indulgente nei confronti del fascismo, fino a denunciarne il carattere totalitario. Ci fu così un inasprimento del metodo repressivo e fioccarono inevitabilmente le espulsioni di molti corrispondenti in Italia. Tra le prime testate ad adeguarsi vi fu il “New York Times” con la sostituzione del fascistissimo Arnaldo Cortesi con Herbert Matthews, reduce dalla guerra civile spagnola e convertito all’antifascismo. Tuttavia non sarà facile giustificare questo repentino cambio di rotta. Gli articoli di Matthews erano sottoposti come quelli di tutti gli altri corrispondenti alla censura preventiva ma l’inviato del giornale newyorkese non rinuncerà a pubblicarli lasciando gli spazi bianchi che coincidevano con i tagli che venivano operati dagli uomini del regime.

Sebastiano Catte




Teramo. GIOVENTU’ NAZIONALE: striscioni per ricordare i martiri delle Foibe.

Teramo. Nella notte, tra il 9 e 10 febbraio, un gruppo di militanti di Gioventù Nazionale movimento giovanile di Fratelli d’Italia ha affisso in diversi punti della Provincia striscioni in ricordo dei martiri delle foibe e degli esuli di Istria, Fiume e Dalmazia.

<<Questa notte abbiamo affisso diversi striscioni con su scritto “onore ai martiri delle foibe” in diversi punti nella Provincia di Teramo per commemorare la tragedia delle Foibe , durante la quale migliaia di Italiani , con la sola colpa di essere tali, furono trucidati o gettati ancora vivi in delle cave carsiche rinominate Foibe , e piu di 350.000 italiani furono costretti a lasciare la propria terra e tutto cio’ che gli apparteneva per fuggire dalla furia comunista del maresciallo Tito e delle sue truppe con l’approvazione ed il silenzio dei partigiani italiani>> dichiara Gianluca Ragnoli Presidente Provinciale di Gioventù Nazionale.

Teramo

Teramo

<< Per settant’anni il silenzio della storiografia e della classe politica ha avvolto la vicenda degli Italiani uccisi nelle foibe istriane gli fa’ eco Francesco Di Giuseppe Vice Presidente Nazionale del movimento giovanile del partito di Giorgia Meloni.
Ma non era solo il PCI a lasciar cadere l’argomento nel disinteresse.

A distanza di anni ,nonostante siano stati fatti dei passi in avanti, continua ad esserci troppo silenzio riguardo quello che fu uno sterminio razziale di massa contro gli italiani , molti rinnegano ancora quegli avvenimenti, altri fanno finta di nulla.
Noi da anni cerchiamo di non far calare il silenzio e di sensibilizzare le persone su questa immane tragedia nonostante l’ostruzionismo di molti.
In questi giorni abbiamo organizzato diversi volantinaggi in tutta Italia per non far calare l’attenzione sul tema sia fuori dai cancelli delle scuole superiori che per le strade e piazze delle nostre affinché dal sacrificio di quei Martiri si alimenti la speranza di una Nazione che sappia, unita, costruire il proprio futuro.>>

 




Giulianova. Giovanni Giarnecchia, un giuliese morto nel campo di concentramento di Sigmundsherberg in Austria

 

di Walter De Berardinis (c)

Giovanni Umberto Vittorio Giarnecchia – GIULIANOVA

Giovanni Umberto Vittorio Giarnecchia nasce a Giulianova alle ore 5,00 del 13 novembre 1898 dal 26enne Pardo Antonio, commesso e Maria Giuseppa De Martiis. All’anagrafe compariranno per la registrazione: il 23enne Luigi Petrini e il 46enne Emidio Paolone, entrambi impiegati. Soldato di leva di prima categoria viene lasciato in congedo illimitato il 20 gennaio 1917 con le seguenti caratteristiche: 1,61 di altezza e 0,79 di torace; capelli neri e lisci; naso e mento regolari; occhi neri e denti sani; di professione negoziante, sa leggere e scrivere. Il 26 febbraio viene chiamato alle armi. L’8 marzo è nel 82° reggimento fanteria. Il 29 giugno giunge, dopo l’addestramento definitivo, al fronte nel 63° reggimento fanteria battaglione di marcia proveniente dal deposito 88° reggimento fanteria. Il 7 agosto è nel 97° reggimento fanteria. Il 18 gennaio il reggimento si attesta a Caporetto (oggi Kobarid – Slovenia) con continue scaramucce contro il nemico. Purtroppo, il 24 ottobre, con l’offensiva austroungarica-tedesca travolge l’intera prima linea da Vrata e fino al versante nord del Monte Nero (est di Caporetto). Molti furono fatti prigionieri, compreso il giuliese Giovanni Giarnecchia che fu internato nel campo di concentramento austriaco di Sigmundsherberg (nord di Vienna). Il 3 giugno 1918, dopo 8 mesi di prigionia, moriva per stenti e tubercolosi polmonare. Il 5 giugno fu sepolto nel vicino cimitero militare. Solo nel settembre del 1925 la famiglia ebbe la certezza della morte del proprio congiunto tramite un documento tradotto dal Ministero della Guerra e del Tesoro che avvisava il comune di avere ricevuto una nota scritta dall’Austria. Il campo di concentramento era nato per i prigionieri russi, ma dopo la rotta di Caporetto affluirono tantissimi italiani. Oggi il cimitero è una distesa di prato che conserva le spoglie di 2400 militari morti, ben 2363 sono italiani. Fu insignito alla memoria della medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia, delle campagne di guerra 1917-1918 e della medaglia della Vittoria Interalleata 1914-1918. E’ citato sul monumento eretto sulla facciata del Duomo di San Flaviano, sull’Albo d’Oro “Abruzzo e Molise – (Vol II – sub 14 – 386 pag.) custodito nell’Archivio di Stato di Teramo, nell’album fotografico realizzato per ricordare i caduti di Giulianova e nel libro Quando C’era la guerra di Francesco Manocchia in varie edizioni, compresa quella del 2015 a cura del sottoscritto.

Walter De Berardinis ©

walterdeberartdinis@gmail.com

Monumento caduti della grande guerra di Giulianova foto Walter De Berardinis

Lapide Monumento Caduti Giulianova




Bellante. Commemorazione dei “MARTIRI delle FOIBE e dell’ESODO ISTRIANO, GIULIANO e DALMATA”

L’Ass.ne culturale NUOVE SINTESI, in collaborazione con l’ANVGD (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) invita la cittadinanza – invito doverosamente esteso a tutta la Provincia teramana – a partecipare alla Cerimonia di Commemorazione dei “MARTIRI delle FOIBE e dell’ESODO ISTRIANO, GIULIANO e DALMATA”,che si terrà in PIAZZA MAZZINI a BELLANTE paese (TE) DOMENICA 11 FEBBRAIO 2018 alle ore 11.00.

FOIBE 2018

Per l’occasione interverrà con un breve ma intenso discorso di commemorazione lo storico e saggista teramano Elso Simone Serpentini.
Alla Cerimonia di commemorazione saranno presenti anche:
– il vice Sindaco di Bellante Teresa Di Berardino
– il Resp. provinciale dell’ ANVGD (Associazione Nazionale VeneziaGiulia e Dalmazia).

“Nel 2018 c’è ancora chi crede che le foibe siano state una forzatura di qualche storico sprovveduto e non genocidio e una pulizia etnica ai danni degli italiani.

Siamo negli anni della Seconda guerra mondiale, sul confine orientale. E gli slavi, guidati dal comunista Tito, strappano centinaia e centinaia di italiani dalle loro case e li portano via. Li trascinano fino ai bordi di quei crepacci naturali che sono, appunto, le foibe: imbuti che sprofondano nelle voragini della terra fino a 200 metri. I partigiani titini mettono gli abitanti di quei luoghi in riga, con un filo di ferro legato al polso, fino a formare una catena umana. Il primo della fila viene fucilato e con il suo peso trascina nella foiba tutti gli altri. Vivi.”

16.000 ITALIANI UCCISI NELLE FOIBE E NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO DEI PARTIGIANI COMUNISTI SLAVI AGLI ORDINI DI TITO. FURONO MASSACRATI UOMINI, DONNE, VECCHI E BAMBINI LA CUI SOLA COLPA ESSER ITALIANI.

MOLTE VOLTE I PARTIGIANI SLAVI VIOLENTAVANO LE DONNE E LE BAMBINE DAVANTI AI MARITI O AD I GENITORI.

350.000 ITALIANI ESILIATI E SCACCIATI DALLE LORO TERRE, INDEGNAMENTE TRATTATI DAI GOVERNI DEL DOPOGUERRA, COME ITALIANI DI SERIE B.

UNA STORIA OCCULTATA PER DECENNI, UNA STORIA DOLOROSA, UNA STORIA TUTTA ITALIANA, UNA STORIA DI VILE SILENZIO.

LA LEGGE 92 DEL 30 MARZO 2004 HA ISTITUITO LA GIORNATA DEL RICORDO IL 10 FEBBRAIO.

Uniche bandiere consentite alla Cerimonia di Commemorazione il TRICOLORE italiano e le bandiere di ISTRIA, FIUME e DALMAZIA.




Ardea. Foibe: memoria, ragioni e verità una scultura-monumento di Guadagnuolo per onorare tutte le vittime  

 

“Foibe: memoria, ragioni e verità” è il titolo della scultura-monumento di Francesco Guadagnuolo che verrà presentata ad Ardea nella Sala Consiliare il 17 febbraio 2018 per ricordare quel che avvenne nell’immediato Secondo Dopoguerra tra il 1943 e il 1945 a Trieste, in Istria e in’Venezia Giulia’.

1 Guadagnuolo – Foibe memoria, ragioni e verità

Questa terribile pagina storica, l’orrore dello sterminio italiano, è rimasta a lungo una verità celata e viene resa ancora oggi incompleta dalla storia. Una tragedia appartenente al popolo italiano da non porre nel dimenticatoio, di cui ogni 10 febbraio in Italia si commemora il ricordo, per iniziativa, solo di recente, nel 2004 per legge del nostro Parlamento Nazionale.

2 Guadagnuolo – Foibe memoria, ragioni e verità

La chiameremo come per gli Ebrei il Giorno del Ricordo, con l’espatrio imposto di circa 350 mila italiani obbligati ad andarsene via dalle loro terre e, se questo non bastasse, congiunto al terribile massacro delle Foibe: crepacci rocciosi dove lasciarono la vita migliaia di italiani. I baratri profondi non si sa quanto, sono intasati da rifiuti, macchine, armi belliche e da un ammasso inverosimile di salme.

 

Cadaveri calcati e a più livelli che l’artista ha interpretato con tre crani sovrapposti con la mandibola aperta come se volessero ancora urlare vendetta. Ecco che Guadagnuolo presenta tre teschi umani riemersi dalle tenebrosità di queste inquietanti cavità rocciose. Dunque persone umane, teschi defunti abbandonati e dimenticati. Ogni cranio scandito da tre colori come per simboleggiare Trieste, Istria e ‘Venezia Giulia’, uno al di sopra dell’altro, schiacciati dal peso dell’inumana follia disposta dal generale comunista jugoslavo Tito. Inoltre i tre teschi-cimeli indicano la memoria come dire che non va dimenticata, le ragioni, il perché di tanto orrore? Ed infine la verità che va ancora ricercata dal punto di vista politico-storico con conseguenti responsabilità.

L’opera scultorea di Guadagnuolo viene presentata allo scopo che non si replichi mai più una sciagura del genere. Infatti, la manifestazione di Ardea fissa il resoconto di ciò che è avvenuto dopo la carneficina, per combattere ogni barbarie e far sorgere i principi ideali di pace e libertà. Un notevole ricordo emotivo, il resoconto degli avvenuti, che vuole spingere il visitatore attraverso la scultura-monumento di Guadagnuolo stimolandolo contro tutte quelle folli menti malate che hanno portato a vivere il dramma delle Foibe.

Con questa scultura-monumento Guadagnuolo desidera restituire configurazione-vitale, espressività-emotiva al richiamo drammatico di tutti gli olocausti. Questa mostra non vuole essere solo un’accusa di natura politica, ma quello di scacciare la zona buia dell’accatastamento dei corpi, martiri innocenti, del grave lutto segnato, disseminato e poi anche trascurato, e far diventare le cavità carsiche e le voragini dell’Istria veri sepolcri sacri.

I tre pensieri determinanti attorno a cui gravita il “monumento ai martiri delle Foibe” di Guadagnuolo, sono immagine, morte, memoriale. Restituire la vita a ciò che la brutalità del dramma ha reso amorfa e riscattare la memoria dell’infame tragedia. Questo diventa dovere morale di ogni italiano e della sua coscienza civile, ricercare la realtà dei fatti avvenuti.

Una mostra, dunque, significativa che tiene vivo il ricordo anche nelle coscienze di chi non l’ha vissuto in prima persona. L’opera di Guadagnuolo particolarmente commovente ed evocativa ricerca un connubio con la storia. Arte e storia s’incontrano per onorare la Giornata del Ricordo, il 10 Febbraio, mantenendo vivo il dramma subito ingiustamente da noi italiani e di tutti gli olocausti delle Foibe, della diaspora degli istriani, fiumani e dalmati.

 

Ardea (Roma), Sala Consiliare Via Laurentina Km 32,500, sabato 17 febbraio 2018, Giorno della Memoria ore 17,30 (ingresso libero), interverranno: il Sindaco del Comune di Ardea Mario Savarese, l’Assessore alla Cultura Sonia Modica, l’artista Francesco Guadagnuolo e l’esperto d’arte Mario Lupini.