Sonia Di Tommaso la donna abruzzese che ha vissuto e raccontato, dalla parte dei più deboli, tutte le tragedie del secolo scorso.

Associazione Culturale “AMBASCIATORI DELLA FAME”

 

Pescara, 10 gennaio 2017

Sonia Di Tommaso la donna abruzzese che ha vissuto e raccontato, dalla parte dei più deboli, tutte le tragedie del secolo scorso.

 

All’apparenza questa, potrebbe sembrare, una storia minore. Per noi non lo è affatto.

Sonia Di Tommaso nacque a Cerchio (AQ),  il 18 gennaio 1928,  da Loreto Di Tomasso e Angela Pierri. Arrivò ad “Ellis Island”, per raggiungere il marito,  nel 1955 con il piccolo Ambrogio, suo figlio, di appena cinque anni.  La famiglia visse per anni prima Brooklyn ed infine in Florida. Fino a qui una delle tante, normali, storie di emigrazione. Ma non è così. Questa è la storia di una donna abruzzese che ha vissuto, incredibilmente e coraggiosamente, quasi tutti gli eventi più dolorosi del secolo scorso. Dalla povertà, alle ferite famigliari della catastrofe del terremoto, alla tragedia della guerra, alla dolorosa emigrazione. Poi, infine, il riscatto in terrà d’America. Per anni Sonia raccontò, a gente quasi incredula,  le sue tristi vicende. E un giorno decise di raccogliere i suoi ricordi in un libro: “Surviving Anzio. – Living in Nazi Italy 1943 and Beyond”. Nel libro appaiono come spettri: la povertà, i tristi racconti del terremoto del 1915 dove perderà la nonna e una zia, la guerra e l’arrivo dei tedeschi a casa sua. Della guerra che non riuscì mai a cancellare dai ricordi: “sento ancora il rumore dei cannoni, i bombardamenti, la casa che vibra e l’odore  della polvere da sparo …”. Il suo racconto di guerra parte dal 1943 e supera lo “sbarco di Anzio”. Visse tutto questo, con la sua famiglia, prima in Abruzzo e poi ad Ardea non lontano da  Anzio. In quei giorni conobbe il marito, Marco Cucinotta, che sposò l’11 aprile del 1948. Poi l’emigrazione: prima in Francia e poi verso gli Stati Uniti. Arrivò ad “Ellis Island”, nel 1955,  sulla nostra  “Andrea Doria” (l’anno dopo sarebbe affondata nello scontro con la svedese “Stockholm”). Oltreoceano conoscerà, finalmente, la meritata tranquillità lei lavorando come sarta e il marito come carpentiere. . Coronerà così con il “sogno americano” , dopo la durezza di una intera vita  fatta di lotta, fame e disperazione.  Quando nel 2015, aiutata dal figlio, mise nero su bianco i suoi ricordi disse: “ voglio dedicare questo mio libro a tutti quelli che combatterono, con coraggio, per la difesa della libertà”. Sonia morì il 27 settembre 2016.

Geremia Mancini – Presidente onorario “Ambasciatori della fame”

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Foto 1. Sonia;

Foto 2: Sonia, con il nastrino in testa, con i fratelli;

Foto 3: sonia con il marito;

Foto 4: la copertina del suo libro.




COMMEMORAZIOME DELLA M.O.V.M. T.V. ANDREA BAFILE – PESCARA 14 GENNAIO 2017

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ITALIA. GLI AUGURI DI TA PUM PER IL 2017!

Gentilissimi tutti,

con questa immagine in allegato che ritrae il lago di Garda e le propaggini della pianura veneta, dalle postazioni del così detto Fronte Immobile sul monte Baldo, vi salutiamo augurandovi un 2017 ricco di serenità e soddisfazioni.

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Noi affronteremo l’anno nuovo organizzandoci per il riconoscimento di Ta Pum come itinerario culturale europeo, avendo approntato nel corso del 2016: un documentario sul cammino effettuato e realizzato dal CNR; un dvd, “Tra umano e disumano” -tradotto  in inglese e tedesco- che racconta, anche per trasposizione teatrale, la storia della corrispondenza tra una madre ed un figlio di una famiglia italo-austriaca, divisi dalla guerra; le buste dei semi di “non ti scordar di me” presentate ad Asiago nel corso dell’evento “Ritorno sull’Altipiano – omaggio alla Brigata Sassari”; una mostra fotografica, basata sulle copertine di Achille Beltrame per la Domenica del Corriere, alla quale abbiamo dato il nome “La guerra degli italiani in montagna”, mostra che vogliamo rendere disponibile a chi ne faccia richiesta; la prima delle due guide cartacee di Ta Pum dedicata al percorso alpinistico (la seconda vedrà luce nel 2017).

Come vedete una grande mole di lavoro per una piccola realtà, alla quale va aggiunto il documentario prodotto sul Cammino da RAI Storia e messo in onda più volte nel corso della passata estate. Inoltre non dimentichiamo la nostra partecipazione a numerosi eventi promossi da istituzioni ed associazioni amiche, dal Comelico a Gallio, da Gorizia a Duino, da Bolzano al Garda.

Vedremo di non smentirci e di restare in “prima linea” anche per il tempo a venire, confidando nel vostro seguito, anche attraverso i social, che non ci è mai mancato  e che vi ha visto sempre attenti e numerosissimi.

In alto i cuori dunque ed ancora Buon Anno!




“L’ultimo morto della Seconda Guerra Mondiale” era abruzzese. Il Sergente Anthony “Tony” Marchione, figlio di emigranti abruzzesi, fu l’ultimo caduto dell’esercito statunitense. Rimase ucciso , il 18 agosto 1945, mentre sorvolava Tokio.

Associazione Culturale “AMBASCIATORI DELLA FAME”

Pescara, 29 dicembre 2016

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“L’ultimo morto della Seconda Guerra Mondiale” era abruzzese. Il  Sergente Anthony “Tony” Marchione, figlio di emigranti abruzzesi, fu l’ultimo caduto dell’esercito statunitense. Rimase ucciso , il 18 agosto 1945, mentre sorvolava Tokio.5m 6m

Anthony “Tony” Marchione nacque, il 12 agosto del 1925,  a Pottstown in Pennsylvania da Raffaele (nato a San Buono (Ch) il 20 giugno 1897) e  Emilia Cincaglini ( nata a Scerni (Ch). Fu, probabilmente,  il primo bambino nato, in quella cittadina,  da una famiglia di immigrati italiani.  A solo 14 anni, dopo la scuola, andò a lavorare in una panetteria per contribuire a sostenere l’economia familiare. La sua grande passione fu la tromba e con essa amava esibirsi con piccole “band” locali. Nel 1943, dopo il diploma, trovò lavoro in una fabbrica locale. Ma il 20 novembre del 1943 arrivò la chiamata dell’Army Air Corps. Fu, inizialmente, inviato alla base di Manila in Florida.  Non ci fu, per lui, possibilità immediata di poter pilotare un aereo e gli venne assegnato il ruolo di mitragliere. Successivamente venne inviato, con una squadra di aerei B-24 Dominator, all’aeroporto di Yontan  sull’isola di Okinawa. Marchione, come cannoniere aereo, partecipò coraggiosamente a diverse missioni di combattimento nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Udì anche lui il discorso di resa, pronunciato il 15 agosto del 1945 dell’Imperatore Hirohito, e ne gioì. La Guerra era finita. La Guerra era finita ma, purtroppo, non per lui. 

 

Al fine di confermare che i giapponesi stessero seguendo correttamente le sue direttive, il generale MacArthur, ordinò voli di ricognizione sulle aree chiave del Giappone. Tra queste, in particolare, quella di Tokyo. Furono gli aerei di base ad Okinawa quelli assegnati al compito di ricognizione fotografica.  Il primo giorno tutto filò lisco. Il giorno successivo invece ci fu un improvviso attacco giapponese. Per fortuna senza alcuna conseguenze. A questo punto si rese necessario una ulteriore verifica. Volontario, per quest’ultimo pericoloso volo, si offrì Anthony Marchione.  Stavano sorvolando Tokio e tutto sembrava tranquillo. Quando all’improvviso, era il 18 agosto,  gli  aerei americani furono attaccati da quelli giapponesi. Una vera pioggia di “fuoco nemico” (all’azione partecipò l’asso dell’aviazione giapponese Saburo Sakai) . E Anthony rimase gravemente colpito a petto. Cadde a terra lungo la fusoliera e perdeva sangue. Le sue ultime parole, rivolte all’amico che lo teneva tra le braccia, furono: “ Non mi lasciare solo ..” . Poi il giovane, coraggioso abruzzese, chiuse gli occhi per sempre. Era lui l’ultimo morto di quella tragica Seconda Guerra Mondiale.  Qualche giorno dopo arrivò,  a papà Ralph, il laconico telegramma che gli annunciava la morte del figlio.

A noi il compito di restituirlo all’attenzione della sua terra d’origine.

Foto 1: Anthony “Tony” Marchione;

Foto 2: il telegramma che annunciò la sa morte;

Foto 3: il certificato di morte del padre (si evince il suo essere nato in Abruzzo);

Foto 4:  Anthony “Tony” Marchione (seconda da destra tra gli accosciati) con la sua squadriglia;

Foto 5: l’ultima foto di Anthony “Tony” Marchione;

Foto 6: Anthony “Tony” Marchione, prima di partire per la Guerra, con mamma e papà.

 

Geremia Mancini – Presidente onorario “Ambasciatori della fame” 




Artisti in Guerra, Alessandro Gualtieri alla Biblioteca Statale Isontina di Gorizia

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Artisti in Guerra, 19 Dicembre, Biblioteca Statale Isontina di Gorizia
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L’Aquila. Un pubblico attento e appassionato ha partecipato alla prima presentazione dell’ultimo volume di Salvatore Santangelo – GeRussia (edito da Castelvecchi)

Martedì 13 dicembre, presso il Cinema Rex (L’Aquila), un pubblico attento e appassionato ha partecipato alla prima presentazione dell’ultimo volume di Salvatore Santangelo –  GeRussia (Castelvecchi) – che descrive la speciale relazione tra Mosca e Berlino a partire dalla caduta del Muro, un evento epocale che ha profondamente cambiato gli assetti internazionali aprendo a inedite convergenze.

 

Una serata di cultura e politica dove – nei diversi interventi – si sono alternate analisi e descrizioni di scenari e prospettive geopolitiche, dagli spunti offerti da questo volume che illumina appunto il rapporto tra la Germania e la Russia, le due vere potenze europee. 
 
Dopo i saluti di Marco Fanfani (Fondazione Carispaq), Pietro D’Amore (editore) e Riccardo Cicerone(Startup L’Aquila), Gianfranco Giuliante (Fondazione delle Libertà) ha voluto sottolineare il nuovo quadro emerso dalla crisi dell’equilibrio unipolare e l’impatto di due forti leadership politiche – Angela Merkel e Vladimir Putin sul destino dell’Europa. 
 
Lo storico militare Andrea Taurino si è concentrato sulla rinascita della Russia sotto la presidenza Putin e sulle sue traiettorie strategiche.
 
Mimmo Srour (già vicepresidente della Regione Abruzzo) ha legato l’analisi ai recenti eventi nello scenario mediorientale, al fallimento delle Primavere arabe e al conflitto siriano dove abbiamo visto un rinnovato attivismo russo. 
 
Stefano Cianciotta si è poi concentrato sugli aspetti economici, sui limiti dell’austerity, sull’esigenza di definire i caratteri di una politica di difesa comunitaria.

Rodolfo De Laurentiis ha voluto sottolineare come il libro di Santangelo ricostruisca la storia e l’attualità di uno degli snodi politici più importanti del nostro tempo, con un’analisi che risale alle radici e alle ferite storiche della relazione tra Mosca e Berlino, per arrivare agli sviluppi degli ultimi anni: “Dalle immagini drammatiche degli stermini e delle macerie fumanti di Stalingrado e di Berlino fino agli odierni intrecci politici, economici e culturali tra russi e tedeschi, Gerussia disegna una scacchiera viva, fatta di calcoli, interessi e strategie, da cui dipenderà in larga misura il futuro dell’Europa”. 

Giuseppe Sacco (professore ordinario di Relazioni internazionali) ha introdotto nel discorso (anticipando la cronaca di questi giorni) l’impatto economico di queste dinamiche sul nostro Paese, alla luce della Brexit, della vittoria di Trump e dell’esito referendario.

Nei diversi interventi è stato evidenziato come il volume, nonostante il rigore scientifico, abbia la capacità di descrivere anche a un pubblico non specialistico temi determinanti dell’attuale contesto geopolitico.

Salvatore Santangelo, in conclusione, ha affermato che: “GeRussia  – la possibilità che ci sia pace e prosperità tra due nazioni che si sono combattute in maniera spietata – è un messaggio di speranza; seppur nella consapevolezza che i riverberi sugli altri Paesi europei, e in particolare sulle economie più deboli saranno pesanti”.

L’evento è stato organizzato da “L’Aquila che rinasce” (nel calendario di “Onda d’innovazione – 2016”) e moderato dal giornalista Luca Bergamotto.

 



L’Aquila. UNA COPIA DELLA MADONNA DEL POPOLO AQUILANO ORNA ANCORA LA CATTEDRALE ETIOPE DI ADDIS ABEBA di Amedeo Esposito

Fu dono nel 1936  del Vescovo dell’Aquila Manuelli a Benito Mussolini

 

UNA COPIA DELLA MADONNA DEL POPOLO AQUILANO ORNA ANCORA LA CATTEDRALE ETIOPE DI ADDIS ABEBA

di Amedeo Esposito

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(GP + autore)

 

L’AQUILA – Custodita per secoli nella distrutta chiesa di San Marco, il dipinto originale della Madonna del Popolo aquilano (Salus populi aquilani) ha trovato collocazione, dopo il restauro, nel rinnovato tempio del Valadier, dedicato alla Madonna del Suffragio e denominata delle Anime Sante, in piazza Duomo.

Restauro dovuto a don Daniele Pinton che a Natale prossimo, al suono del Requiem di Mozart diffuso in tutta la grande piazza aquilana, farà risplendere in tutta armonia la facciata della sua Chiesa, costruita dopo il 1703, per dire al mondo, e in particolare al Governo francese che ha finanziato il restauro, che L’Aquila sta rinascendo anche sul piano spirituale.

Don Pinton, nel presentare l’originale della Madonna, ha anche sottolineato che vi sono altre due copie dello stesso dipinto. Una portata nel 1728 – pensate – nel romitorio dei cappuccini a Vienna, per volere dell’imperatore Carlo IV; la seconda è esposta nella Chiesa di Santa Maria di Vezzolano in provincia di Asti. Una terza copia da 80 anni (1936) orna la cattedrale etiope dedicata alla ”Natività della Beata Vergine Maria” di Addis Abeba, allora terra coloniale italiana.

Quest’ultima copia fu dono di ringraziamento personale  del vescovo aquilano del tempo, Gaudenzio Manuelli, a Benito Mussolini che aveva contribuito, con personali esborsi, alla costruzione della chiesa del XX secolo di Cristo Re, nel quartiere della Villa comunale dedicato ai gerarchi fascisti aquilani.

In particolare “il Duce feceil più cospicuo e gradito dono dell’imponente statua di bronzo di Cristo Re, col grandioso altare di travertino e di metallo, e colla maestosa croce di alabastro”, come si legge nel numero unico di “Aquila sacra, nella storia e nell’arte” del 1935.

Mussolini versò 30.000 lire, prelevandole dal suo conto personale, direttamente nelle mani dello scultore Ulderico Conti che realizzò le grandiose opere ancora oggi ammirate per la loro bellezza e raffinatezza, da tutti riconosciute.

Due anni più tardi dalla costruzione della chiesa di Cristo Re, monsignor Manuelli volle ricambiare il dono:

<La Madonna del popolo aquilano in Africa Orientale – si legge sul “Corriere d’ Abruzzo – foglio d’ordine della federazione aquilana dei fasci di combattimento, anno primo n°7 del 17 ottobre XIV (1936)” –  L’Arcivescovo mons. Gaudenzio Manuelli, in una solenne cerimonia, ha impartito la benedizione al quadro della Madonna del Popolo aquilano – custodito nella Chiesa di S. Marco – che è una copia fedele, in oro e argento, di quella che si venera in detta chiesa, destinato alla prima chiesa cattolica di Addis Abeba. Il quadro, è stato portato in processione lungo le principali vie della città, e montato su un carro di artiglieria alla stazione ferroviaria diretto a Napoli…Il giorno dopo Mons. Manuelli con una commissione si è recato a Napoli per accompagnare fino al porto il quadro benedetto”. Che, su una nave militare, raggiunse il luogo di destinazione.

Perché tanta riconoscenza di Manuelli per il suo personale amico Mussolini? Le cronache riferiscono che la realizzazione della grande statua del Redentore, nella maestosità che sappiamo, fu “riparazione” dell’affronto che i cattolici dell’Abruzzo, e non solo, subirono 34 anni prima, in occasione del giubileo del 1900, da parte dell’amministrazione civica laica (socialisti, massoni e repubblicani). La quale si oppose fermamente (ideologicamente, s’intende, perché allora non si parlava di ambientalismo) alla Conferenza Episcopale Abruzzese che avrebbe voluto, secondo un preciso e quasi finanziato progetto, issare sul Corno Grande del Gran Sasso un’analoga statua bronzea, pari a quella che dal 1931 svetta dal massiccio del Corcovado e “abbraccia” la baia di Rio de Janeiro.




Gorizia. Artisti in Guerra, 19 Dicembre, Biblioteca Statale Isontina di Gorizia

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Luigi Rantucci cadde sulla “trincea del lavoro” in Canada nel 1922. Era nato nel 1875 ad Ovindoli (AQ).

Associazione Culturale “Ambasciatori della fame”

Pescara, 10 dicembre 2016

“Riportiamoli in  … Abruzzo” … contro la vergognosa e colpevole dimenticanza.

STORIE DELLA NOSTRA EMIGRAZIONE

Luigi Rantucci cadde sulla “trincea del lavoro” in Canada nel 1922. Era nato nel 1875 ad Ovindoli (AQ).

Quando gli Stati Uniti ritennero di “arginare” una sempre crescente immigrazione il Canada decise, invece, di rendersi più disponibile verso nuovi arrivi. Questo atteggiamento non fu il prodotto di una grande amorevole accoglienza bensì frutto di una necessità. Necessità  di mano d’opera e soprattutto di una nuova popolazione che andasse ad abitare un territorio sterminato. Gli italiani risposero, comunque,  in maniera entusiastica spinti da  motivazioni economiche. Si calcola che solo nei primi anni del ‘900 furono 150.00 gli italiani che scelsero il Canada come loro nuovo “sogno”. Tra questi Luigi Rantucci nato sicuramente ad Ovindoli (Aq) e probabilmente il 10 gennaio del 1875 (Nel libro “This Colossal Project: Building the Welland Ship Canal, 1913-1932” si fa risalire la sua nascita al 1865). Luigi era arrivato, una prima volta,  ad “Ellis Island” nel 1902 sulla nave “Sicilia”. Successivamente raggiunse il Canada dove trovò lavori più remunerati. Nel 1919 tornò in Italia dove era rimasta Rosa sua moglie. Nel 1920 fece di nuovo ritorno in Canada dove giunse, sempre tramite una sosta ad “Ellis Island”, sulla “Duca degli Abruzzi”. Questa volta con lui arrivò anche il figlio, ventiquattrenne, Emilio. I due si stabilirono inizialmente a  Quebec City dove trovarono una comunità proveniente da Ovindoli. Qualche tempo dopo Luigi Rantucci andò a lavorare alla costruzione dell’imponente “Canale di Welland” (“Welland Ship Canal”) che, in maniera navigabile, collegava il lago Ontario al lago Eire. Il 7 gennaio 1922 Rantucci caddè da un traliccio mentre lavorava al blocco 7 nella  sezione 3. Nella caduta riportò la frattura del cranio. Fu trasportato all’ospedale. Inizialmente le sue condizioni sembrarono stabilizzarsi ma poi peggiorarono rapidamente e il 14 gennaio, pochi giorni dopo il suo 47 ° compleanno, il cuore di Luigi cessò di battere. Un’inchiesta determinò, non poteva essere altrimenti, che la sua morte era da ritenersi “puramente casuale”. In realtà in quel cantiere le misure di sicurezza erano totalmente inesistenti. Fu un nipote, Tommaso Rantucci, a dover provvedere al riconoscimento della salma e alle successive pratiche burocratiche. Oggi il corpo di Luigi Rantucci riposa, come quella di tanti altri caduti nella costruzione del “Welland Ship Canal”, in  una tomba anonima del “Victoria Lawn Cemetery” della cittadina di St. Catharines.  Oggi, almeno idealmente, lo restituiamo alla sua terra.

 

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Foto 1: Il cantiere dove trovò la morte Luigi Rantucci;foto-1-1 foto-2-1

Foto 2: Operai impegnati nella costruzione del “Welland Ship Canal”;

Foto 3: La pagina del libro “This Colossal Project: Building the Welland Ship Canal, 1913-1932” nella quale è riportato il nominativo di Luigi Rantucci.




EDITORIA. Gli italiani (e i trentini) e la guerra in montagna 1915 – 1918

sabato 10 dicembre 2016

alle 17.00 al Fortino di Nago (TN)

Tratto dal catalogo:

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Nel Bel Paese già itinerano alcune mostre dedicate alla Grande Guerra, vista attraverso le copertine della Domenica del Corriere, illustrate dalla penna di quel genio del disegno animato che si chiamava Achille Beltrame.

Si tratta di mostre antologiche, veramente importanti, che ripercorrono in toto gli avvenimenti di quei fatidici anni, visti spesso con gli occhi (bisogna pur dirlo) della propaganda militare e della convenienza politica. Basti pensare che, al tempo della tremenda ritirata avvenuta dopo la disfatta di Caporetto, non una sola copertina fu dedicata ai fatti che rischiarono di farci perdere tutto, faccia compresa. Ciononostante va riconosciuta a Beltrame (ed al “Corriere”) la capacità, incredibile per quei tempi, in cui i mezzi di comunicazione erano nulli, di riuscire ad entrare nelle case di un’Italia contadina e perlopiù analfabeta, attraverso immagini, pur edulcorate, ma sostanzialmente veritiere, e testimoniare quanto avveniva sui nostri monti infiammati.

Essendo venuti in possesso delle raccolte complete della Domenica del Corriere che vanno dal 1915 al 1918, “… abbiamo allora pensato ad un approccio più selettivo per questa nostra mostra che nasce all’interno del progetto “Gli italiani (e i trentini) e la guerra in montagna. Per una divulgazione di pagine di storia locale” sostenuto moralmente e fattivamente dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, cui vanno i nostri ringraziamenti. Approccio che ci permettesse di considerare non tanto la guerra “guerreggiata” cara alla retorica del tempo, bensì la guerra “vissuta” nel quotidiano dai nostri soldati al fronte.

Così, tra oltre 500 copertine e retro-copertine, ne abbiamo selezionato meno di 50 per raccontarvi la storia incredibile di questi uomini e degli animali che li hanno fedelmente accompagnati nelle mansioni di tutti i giorni, pagando anch’essi un prezzo altissimo in termini di vite. I testi che accompagnano le immagini sono criticamente edotti dai bollettini ufficiali dello SME; dai racconti di chi la guerra l’ha vissuta e da quanti l’hanno seriamente studiata, nulla concedendo a menzogna ed ipocrisia.

Così facendo pensiamo di aver reso un buon servizio all’onestà intellettuale che deve contraddistinguere ogni seria analisi degli accadimenti che, tuttora, condizionano gli equilibri di questo strano continente di nome Europa.

A quanti avranno la pazienza di seguire il viaggio nel percorso da noi suggerito, l’augurio di trovare lucidi spunti di riflessione. Per noi il risultato migliore per un lavoro curato con passione ed amore, mai di parte.