Giulianova. Il M° Adriano Ceccarini, lo sconosciuto giuliese

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 51.
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di Sandro Galantini*
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A Viterbo, la città che erroneamente ne vanta i natali e dove una via nel quartiere Villanova porta il suo nome, viene considerato a ragione un personaggio illustre. A Giulianova, dove nacque, è invece del tutto sconosciuto.
Adriano Ceccarini, musicista e compositore, emette il primo vagito il 17 marzo 1877 nella casa di piazza Belvedere, oggi della Libertà, in cui dimoravano il padre Fabrizio e la madre Antonia Bertini, entrambi forlivesi.
Proprietario dal 1870 dello Stabilimento Musicale, ditta specializzata nella realizzazione di strumenti musicali, Fabrizio Ceccarini si era trasferito a Giulianova ritagliandosi uno spazio non irrilevante. Oltre che alla banda cittadina, la sua ditta aveva fornito gli strumenti ad altre formazioni, tra cui la Filarmonica di Corinaldo. Membro della Società operaia giuliese, Fabrizio Ceccarini aveva conquistato nel 1880 una medaglia all’Esposizione artistico-industriale di Chieti per la produzione di strumenti musicali in ottone. Inevitabile perciò che il figlio Adriano avvertisse un precoce interesse per la musica. Formatosi sotto la guida di Pietro Mascagni, a fine Ottocento Adriano Ceccarini, nel frattempo stabilitosi con i genitori a Viterbo, vanta già tre opere per pianoforte, nell’ordine una marcia, una polka ed una mazurka. A queste si aggiunge sino al 1915 una mezza dozzina di composizioni ed operette rappresentate con successo a Roma e a Firenze, frutto dei sodalizi artistici con il marchigiano Arduino Rosati ed i giornalisti Attilio Leonardi e Alberto Salvini.
La notevole attività compositiva di Adriano Ceccarini dopo la fine della prima guerra mondiale, tra cui il dramma Donna Rios con il librettista napoletano Enrico Golisciani e l’operetta Un matrimonio originale andata in scena nel novembre 1920 all’Eliseo di Roma, subisce una battuta d’arresto nel 1925 con la morte del padre. La guida della ditta di famiglia, che alla realizzazione di strumenti ha aggiunto il ramo editoriale, richiede infatti ad Adriano tempo ed energie. Si tratta comunque di una breve interruzione giacché nel 1928 escono due sue nuove musiche per l’Opera Lia su versi dell’amico e sodale Enrico Golisciani.
Il momento creativo rimane intenso negli anni Trenta, periodo in cui tra l’altro mette mano al nuovo assetto aziendale, dando vita nel 1932 alla Società Viterbese Istrumenti Musicali, e sposa nel 1933, lui ormai 56enne, la pianista Maria Confalonieri, di 23 anni più giovane.
Noto, seguito ed apprezzato, il 23 aprile 1936, nel teatro greco di Siracusa, il M° Ceccarini ha il privilegio di dirigere l’orchestra dell’Edipo a Colono per la regia di Franco Liberati con scene e costumi di Duilio Cambellotti, musiche di Ildebrando Pizzetti e coreografie di Rosalie Chladek.
Il 5 aprile 1955 il giuliese Ceccarini moriva a Viterbo lasciando traccia del suo talento e di una infaticabile attività con la folta serie, una quarantina circa, di opere e partiture a sua firma.
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*Storico e Giornalista



Giulianova. Baldassarre Giuseppe Luigi Nicola de Müller e la città adriatica

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 50.
di Sandro Galantini*
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Il 25 novembre 1872, il giorno dopo la festa del protettore San Flaviano, nella chiesa madre di Giulianova si univano in matrimonio il 41enne Baldassarre Giuseppe Luigi Nicola de Müller e la 33enne Dorilla Fanny Francesca Caravelli.
Due sposi dal nome particolare e, secondo le consuetudini del tempo, non giovanissimi ma entrambi appartenenti a famiglie di ceto assai elevato.
Lei, benestante proprietaria terriera giuliese, era infatti la figlia del medico Celio Caravelli, a sua volta figlio del celebre omeopata Eusebio, e di Rachele Rozzi, figlia del giudice Bartolomeo fratello del più noto naturalista Ignazio.
Lui, nato a Napoli il 17 febbraio 1831, era figlio del barone Tobia Antonio, di famiglia svizzera originaria di Friburgo, e di Caterina Savarese, benestante del luogo.
Il matrimonio di Baldassarre e Dorilla, andati a vivere in una casa di via Porta Marina dove sarebbe nata nel 1875 la prima figlia Caterina e quattro anni dopo la secondogenita Nelly, suggellava il legame tra due famiglie in vista reso ancor più solido dai trascorsi di Celio Caravelli e Baldassarre.
Il primo, antiborbonico al pari del padre Eusebio (benché questi fosse stato non poco beneficiato da Leopoldo, fratello del re delle Due Sicilie), negli ultimi anni che avevano preceduto l’Unità aveva svolto attività cospirativa rimanendo però sempre indenne da denunce, processi e condanne.
Il secondo, militare di carriera, come molti suoi colleghi ufficiali si era convertito agli ideali unitari assai tardivamente, fiutando il cambiamento ormai imminente. Ed anche se non si era dimostrato un perfetto voltagabbana come il generale Luigi De Benedictis, che da comandante in armi dell’Abruzzo si era già venduto ai piemontesi mentre dal quartier generale di Giulianova guidava le truppe borboniche schierate ai confini abruzzesi del Regno, certo aveva rapidamente dimenticato il giuramento d’onore a Francesco II di Borbone.
Ancora nel 1859 a Caserta, dove da primo tenente dei granatieri inquadrato nel 2° Reggimento svizzero delle Due Sicilie godeva della stima dei suoi superiori per lo zelo che oltretutto gli aveva fruttato quattro ricompense, Baldassarre era stato poi trasferito a Teramo, dimostrando peraltro indubbie capacità di cartografo. A lui si deve infatti la pianta di Teramo pubblicata da Fausto Eugeni nel suo bel libro Atlante storico della città di Teramo.
Quella pianta era stata approntata nel 1860, prima probabilmente che il tenente de Müller, al pari di tutti i suoi commilitoni del XII Cacciatori dell’esercito borbonico, si convertisse alla causa italiana passando armi e bagagli, nel settembre di quell’anno, nella neonata 1^ Compagnia del I Battaglione Cacciatori del Gran Sasso agli ordini di Savino Tripoti.
Il 25 aprile 1861 Baldassarre, forse l’unico ufficiale proveniente dai corpi svizzeri ad essere passato nei ruoli dell’esercito italiano, diveniva capitano. E con decreto del 1 agosto 1862 veniva insignito della medaglia d’argento al valor militare per aver preso parte attiva alle operazioni contro il brigantaggio. Quindi, il 9 luglio 1869, veniva promosso al grado di maggiore divenendo capo di Stato maggiore del generale Pallavicini.
Il matrimonio e la vita giuliese, allietata dalla nascita delle due figlie, avevano dunque rappresentato per Baldassarre de Müller il degno coronamento di un’esistenza ricca di gratificazioni. Ma il destino aveva in serbo per lui momenti di grande dolore.
Il 26 ottobre del 1887, quando con la sua famiglia aveva lasciato da tempo Giulianova per Napoli e allorché usciva il suo libro Gli ultimi fatti d’Africa, Baldassarre perdeva la moglie Dorilla Fanny.
E lui stesso, autore di un secondo volume sul brigantaggio e risposatosi nel 1892 con Carola Carmela Rosa Quaranta, napoletana ma di famiglia latifondista originaria di Cava de’ Tirreni, cessava di vivere il 4 aprile 1904.
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*Storico e Giornalista



Giulianova. Ricordato il 1 maggio e il 100° della lapide in Piazza della Libertà

Anche Giulianova ricorda il 1 maggio.
Una cerimonia spartana, senza canti e suoni, non accadeva dalla fine del regime Fascista a Giulianova. Nel giugno del 1944, la città di Giulianova, tornava a vivere dopo la liberazione dall’occupazione tedesca. Dal 1 maggio 1945, ininterrottamente, le organizzazioni sindacali e gli antifascisti giuliesi, avevano appeso sul porticato De Bartolomeis il tradizionale cuscinetto di garofani rossi in ricordo della classe operaia caduta nella 1° Guerra Mondiale.
Questa mattina, nonostante i divieti imposti dal governo, nel rispetto del distanziamento sociale, la manifestazione si è svolta in pochi minuti, il tempo di sistemare l’omaggio floreale.
Anche il Polo Museale Civico di Giulianova, con un post che riportiamo qui sotto, ha ricordato il 100° della posa della stessa lapide. Oggi considerato un altro documento storico della nostra città.
Polo Museale Civico Giulianova
#1maggio con #GiulianovaMuseoDiffuso: la #storia a portata di sguardo. Il 2 maggio di 100 anni fa l’apposizione dell’Epigrafe sul portico De Bartolomei in piazza della Libertà
Riporta lo storico Riccardo Cerulli in “#Giulianova 1860″ (1959):
sera del 29 agosto 1922, “un forte nucleo di fascisti abruzzesi e marchigiani, inquadrato militarmente (…) sbuca dalla via del Sole – oggi via Gramsci – in piazza Vittorio Emanuele II – oggi piazza della Libertà. Obiettivo: una colonna del portico de Bartolomei dove una lapide, fatta murare dalla Lega proletaria degli ex combattenti è dedicata: Ai proletari vittime della guerra borghese.
Il proposito dell’orda non potrebbe apparire più evidente a un gruppo di giovani animosi, reduci di #guerra, militanti nei diversi partiti democratici, che immediatamente accetta la battaglia. Si apre la pagina più bella della #Resistenza antifascista dei giuliesi (…) attraversando la piazza esposta al fuoco serrato ed incrociato (…) si portano fin sotto la lapide, che mai come in questo momento rappresenta il simbolo di una fede pacifista, per la quale è bello morire”. Mutuando la testimonianza diretta di Lidio Ettorre, il Cerulli continua che dopo ben 5 ore di lotta, quando gli #operai e reduci della #PrimaGuerraMondiale si devono ritirare sulla collina retrostante, “la Lapide è fatta bersaglio di rabbiosi colpi di moschetto”. Si apre la strada al regime fascista anche nella nostra città. “Nel dicembre 1922, Giuseppe De Bartolomei è destituito da Sindaco. Contemporaneamente il Consiglio Comunale viene sciolto”. La Festa internazionale dei #Lavoratori, istituita al #primomaggio nel 1890, dal 1924 al 1944 venne anticipata dal Fascismo al 21 aprile in concomitanza con il natale di Roma.
#lavoro #pace #diritti #Repubblica #Costituzione

Città di Giulianova – Cultura, Turismo e Notizie
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Giulianova. 1925, i pregiudicati e biscazzieri di Roma alla “conquista” della città.

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 49.
di Sandro Galantini
Il 15 settembre 1925 il questore di Teramo Ludovico de Cesare rassicurava il prefetto Umberto Albini che, conformemente alle reiterate disposizioni del ministero dell’Interno, la Pubblica Sicurezza continuava a tenere alta l’attenzione per la repressione del giuoco d’azzardo illegale.
Un vizio vecchio quanto il mondo, e a maggior ragione difficile da estirpare considerando le tutto sommato blande sanzioni previste dal codice penale allora vigente, quello introdotto da Zanardelli nel 1889 in cui si puniva il giuoco d’azzardo stimandolo frutto di perversione della società e di cattivo costume.
A poco era servita anche la nuova disciplina delle case da giuoco introdotta col r.d.l. n. 363 del 27 aprile 1924 che, mirando ad evitare ulteriori sviluppi delle attività clandestine e illegali, aveva consentito ai casinò di Campione d’Italia, Sanremo, Saint Vincent e Venezia di esercitare il giuoco d’azzardo anche in altre forme non espresse dalla legge, di fatto liberalizzandolo.
A confermarlo era proprio il questore di Teramo il quale, appunto nella sua nota del 15 settembre, dava conto dell’operazione condotta dalla PS che aveva impedito a «noti pregiudicati e biscazzieri di Roma» di operare a Giulianova, città turisticamente di grido e dove avevano deciso di riunirsi. Per cui, dopo i provvedimenti di rimpatrio obbligatorio, il questore poteva affermare che quei biscazzieri od altri non «pensarono più al giuoco d’azzardo, che non si tenne né in luoghi pubblici, né in privati». Tanto più che la stagione balneare era ormai conclusa determinando «l’esodo dei forestieri delle spiagge» e il Kursaal, «ritrovo prediletto della parte migliore del paese» ed evidentemente adocchiato dai biscazzieri romani per organizzare le loro attività, aveva chiuso i battenti.



Giulianova. L’ingresso sud-est della città

di Ottavio Di Stanislao*
Pianta dell’angolo sud – est allegata alla richiesta di suolo pubblico avanzata da Vincenzo Trifoni nel 1839.
Il sito richiesto (B) era occupato da due botteghe assentite nel 1811 e poi abbandonate. Nel 1813 l’albergatore Scassa aveva ottenuto di ampliare il suo esercizio addossando la nova costruzione all’angolo sud-est ed occupando il pomerio interno. Il primo eletto, Andrea Africani, opponeva che tale innovazione avrebbe menomato la capacità difensiva del paese trattandosi di “pubblica muraglia in buono stato essendo stata rifabbricata nel 1809, dove esiste una comoda garitta che serve per guardia alla pubblica porta detta dei cappuccini (…) inoltre verrebbe a chiudersi una strada di comodo ai cittadini, per andare ad osservare il mare, e dove sono le così dette sferrature [feritoie], per sparare i fucili contro l’aggressione dei nemici dal mare o dei briganti se per disgrazia vi fossero”.
L’angolo l’sud-est, con le mura a strapiombo sulla ripida collina, non era munito quindi di bastione angolare. Proprio per la sua posizione si riteneva difendibile con le feritoie che consentivano di orientare comodamente il fuoco dei fucili verso il basso. Inoltre la garitta in quella posizione consentiva di tenere sotto controllo un’ampia fascia di territorio.
Notare l’inclinazione della parete del forno (C), la stessa dell’attuale bar Marcozzi. Il locale del forno fu censito (concesso in uso dietro pagamento di canone) nel 1862 perché “forma mostruosità all’entrata del paese e perché il fumo che giornalmente esce dal camino arreca incomodo ai vicini abitanti”.
*Funzionario Archivista
Nessuna descrizione della foto disponibile.



Giulianova. Il bastione ritrovato

di Ottavio Stanislao*
Sul lato ovest delle mura, a circa 60 metri a sud dalla Rocca, c’è il bastione che nel corso dell’Ottocento era denominato “il Mozzone”. Di tale bastione si era persa memoria, non più rappresentato nella cartografia ufficiale novecentesca. I resti, due metri circa di altezza, con ampi tratti rifatti, per un diametro interno di cinque metri, sono visibili in fondo al viottolo a sinistra della casa della vedova di Enea Chiavaroli su via del Popolo. Il nome lascerebbe intendere che doveva essere ridotto nelle dimensioni rispetto agli altri a seguito di danneggiamento o deterioramento, anche se non era stato mai interessato dai restauri effettuati in vari tratti della cinta muraria nel corso dell’Ottocento. Nella pianta del 1861, indicato con la lettera M e colorato di azzurro, fu richiesto e concesso a Giuseppe Lallone. Ciò suscitò la protesta di Massimiliano Colantoni, “impiegato telegrafico ritirato in Giulianova” che sosteneva di averlo posseduto da tempo immemorabile “… e siccome in esso vi erano dei grandi buchi, dove ascendevano e discendevano persone, così l’oratore si determinò fare offerta di censimento fin dal 1852 (…) coll’obbligo di rifabbricare (…)”. Ma tale proposta non era stata presa in considerazione.
Le foto dei resti del bastione visti dall’interno e dall’esterno sono del mio grande amico Francesco Trifoni che colgo l’occasione per ringraziare per la sua “assistenza” in questa e in tante altre occasioni. La pianta catastale del 1882, ultima rappresentazione “ufficiale”; particolare della pianta del 1861 allegata alla richiesta di vari tratti del lato ovest da parte di privati.
*Funzionario archivista



Giulianova. La lapide rimossa dedicata al Re Vittorio Emanuele II

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 48.
di Sandro Galantini*
Il 15 ottobre 1910 il sindaco Giuseppe de Bartolomei celebrava solennemente i cinquant’anni esatti dalla venuta di Vittorio Emanuele II a Giulianova.
La manifestazione aveva preso avvio, in una cornice di folla festante, dall’imponente monumento di Raffaello Pagliaccetti dedicato al re dell’Unità d’Italia nell’allora piazza Vittorio Emanuele II, oggi della Libertà, per avere il suo clou con il solenne scoprimento di una lapide commemorativa murata su uno dei lati della chiesa di San Flaviano, specificamente quello vicino all’ingresso principale, nel largo omonimo.
L’epigrafe, dettata dal teramano Luigi Savorini, bibliotecario, storico, professore di lettere al Liceo ginnasio del capoluogo aprutino e giornalista, recitava: IL XV OTTOBRE 1860 GIULIANOVA PRIMA FRA LE CITTÀ DELL’ANTICO REAME DI NAPOLI ACCOLSE NELLE SUE MURA VITTORIO EMANUELE II SALUTANDOLO RE DELLA NUOVA ITALIA.
In relazione allo scoprimento della lapide, e con il pensiero rivolto al sovrano sabaudo sotto il cui scettro l’Italia era divenuta nazione, il sindaco aveva inoltre inviato alcuni telegrammi di saluti. Uno al re Vittorio Emanuele III, uno al presidente del Consiglio dei ministri Luigi Luzzatti, nominato il 1° marzo di quell’anno, e l’ultimo al sindaco di Napoli, marchese Ferdinando Del Carretto di Novello, il quale rispondeva con sollecitudine porgendo il saluto dell’antica capitale ed augurando alla «nobile città» abruzzese «continuo progresso e prosperità»
La lapide rimaneva al suo posto per poco più di un decennio sino a quando veniva smurata e riposizionata su un’altra parete del Duomo, esattamente quella che prospettava su Corso Garibaldi. Infatti nel posto precedentemente occupato dalla lapide veniva collocato, e inaugurato il 20 settembre 1922, il pregevole Monumento in ricordo dei caduti giuliesi della Grande guerra realizzato sin dal 1920 dallo scultore Ulderico Ulizio e dal medaglista umbro Torquato Tamagnini.
Le due “pietre della memoria”, quella ai caduti e l’altra rievocativa della venuta del re a Giulianova, sarebbero coesistite ancora per lungo tempo. Salvo poi perdersi traccia proprio della lapide del 1910, forse smurata in occasione dei restauri del 1948 sul duomo e non ricollocata. In ogni caso quella perduta lapide è stata riprodotta fedelmente e ricollocata il 15 ottobre 2010 vicino alla chiesa di San Flaviano, sulla parete esterna della canonica prospettante su Corso Garibaldi.
*Storico e Giornalista



Giulianova. La cinta muraria: da struttura difensiva a “mura ad tenimen”.

di Ottavio Di Stanislao*
Ancora nel corso dell’Ottocento, all’occorrenza la cinta muraria era oggetto di lavori di restauro o di rifacimento vero e proprio. Ciò anche se ormai su gran parte di esse erano addossate le abitazioni civili. L’atto di concedere parti di mura o lo spazio attiguo però destava sempre qualche remora da parte di chi pensava alle esigenze difensive o comunque era geloso delle prerogative dell’interesse pubblico nei confronti delle particolari richieste dei privati. Tuttavia la stessa espressione comunemente usata: “mura ad tenimen”, che italianizzata diveniva “mura a tenime” o muratteinme”, ci indica che la funzione prevalente di queste era considerata quella di sostegno, di appoggio dell’edilizia privata. D’altronde lo stesso fenomeno era avvenuto anche negli altri borghi fortificati dei dintorni di Giulianova (Mosciano, Montone, Tortoreto, Montepagano), con case appoggiate alle mura e bastioni di proprietà di privati. Va comunque rilevato che il regolamento comunale di polizia urbana del 1823 tendeva a tutelare l’integrità della cinta muraria proibendo: “… di fare de guasti nelle mura che circondano la città e nelle porte che la chiudono (…)di tenere aperte le porticine dalle quali i proprietari delle case rispettive possono entrare ed uscire dall’abitato nel caso il paese sia chiuso dalle porte e da da mura ma dovranno chiuderle murandole (…) di fare nelle proprie case nuove aperture di finestre o di porte che riguardano una strada pubblica o vero un vico senza precedente permesso …”.
Nella prima foto avanzi di mura a scarpa del lato ovest inglobate in abitazioni civili (casa Massei).
Nell’altra foto (lato est), sono ancora visibili i caratteri del borgo fortificato, con avanzi di torricino e l’edificato delle abitazioni sulla linea delle mura.
*Funzionario Archivista



Giulianova. 1952 L’ANNO DEI DUE VESCOVI

di Ottavio Di Stanislao*
Locandina per la festa della Madonna dello Splendore del 1952.
Proprio il 20 aprile faceva l’ingresso in diocesi il nuovo vescovo Stanislao Amilcare Battistelli e don Alberto invitava i giuliesi ad accoglierlo alla stazione di Giulianova. La messa del 22 sarebbe stata celebrata da mons. Adolfo Binni, già sacerdote diocesano, appena nominato vescovo di Nola.
Don Alberto di Pierto (1907-1990) fu uno dei sacerdoti più conosciuti e più stimati della diocesi. Arciprete di Giulianova dal 1945, precedentemente era stato parroco prima a Torricella Sicura e poi a Controguerra. Durante gli anni ’50 e ’60 era considerato di fatto il capo dell’opposizione alle giunte social-comuniste per la sua ferma battaglia culturale contro il comunismo.
Mons. Adolfo Binni (1902-1971) era originario di Monsampolo del Tronto, allora in diocesi di Teramo, prevosto di Corropoli per un ventennio era stato poi vicario generale. Nel mese di giugno di quell’anno (1952) prese possesso della diocesi di Nola (vedi foto). Un anno dopo fu alla ribalta delle cronache per essersi opposto, ad Ottaviano, ai “voli degli angeli” che caratterizzavano la processione di S. Michele, che riteneva per niente religiosi se non addirittura reminiscenze pagane, e per aver abolito la raccolta delle offerte in “presenza simulacro”, per cui le statue dei santi venivano ricoperte da corolle di banconote. Mons. Battistelli (1885-1981), frate passionista, già vescovo di Sovana e Pitigliano, in Toscana, fu vescovo di Teramo dal 1952 al 1967, quando si dimise per raggiunti limiti di età, anche se morirà solo nel 1981. La foto, di qualche anno dopo il suo arrivo a Teramo, lo ritrae in occasione della benedizione della prima pietra di un edificio IACP, con don Giulio Di Francesco, Luigi Lolli, presidente dell’IACP, il prefetto Di Pangrazio e alle spalle un giovanissimo Antonio Tancredi. Questa foto e quella giovanile di don Alberto provengono dal Fondo Nardini della Biblioteca Provinciale, ringrazio Fausto Eugeni che me le segnalò; la foto dell’ingresso in diocesi di Binni è in F. DI FILIPPO, “Maria icona di un popolo devoto”, Colonnella 2014.
*Funzionario Archivista



Giulianova. La festa della Madonna dello Splendore del 1951

di Ottavio Di Stanislao*
La locandina della festa della Madonna dello Splendore per l’anno 1951. Il 21 pomeriggio : Corsa di cavalli con fantino; il montepremi della tombola è salito a 100.000 lire (70.000 alla prima, 30.000 alla seconda). In fondo alla locandina si segnala nella giornata del 22 “la rinomata fiera di merci e bestiame”. Era un privilegio antichissimo la fiera del 22 aprile, oltre a quelle del 3 febbraio (S.Biagio) e 25 marzo (S.Ma Annunziata). Per l’occasione “… la commune tiene la facoltà di nominare ed eligere un suo cittadino benestante per Maestro di Fiera nella vigilia e festa della Madonna dello Splendore, principale padrona della comune, colla facoltà altresì di amministrare la giustizia, dovendo per li detti due giorni il Regio Governatore locale deporre l’ufficio”.
*Funzionario Archivista