Giulianova. Luigi Crocetti, un giuliese alla guida dell’Associazione Italiana Biblioteche

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 47.
di Sandro Galantini*
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{* alle ore 12.12 dell’11 marzo scorso, a causa della quarantena, postavo la prima puntata di questi miei piccoli FRAMMENTI trattando di un edificio progettato nel 1929 da Livio Crocetti. Riprendo proprio, come dicevo allora, da Livio Crocetti per concludere giacché da domani tornerò al lavoro mettendo dunque fine a questa mia reclusione. Ho voluto sinora accompagnarvi ogni giorno facendo conoscere fatti, personaggi e immagini, spessissimo ignoti, della Giulianova tra Sette e Novecento, con la speranza di incontrare il vostro gradimento e magari occasionare una maggiore consapevolezza del tanto che la storia ci ha consegnato. Nel ringraziare immensamente della cortese attenzione, prego a questo punto di comunicare se è gradita la continuazione di queste pillole di storia, però una sola volta a settimana in quanto non mi sarà possibile altrimenti. Sono infatti poche righe, ma implicano impegno perché serietà vuole che siano sempre frutto di accurata ricerca scientifica. Per cui mi congedo augurando il miglior bene possibile con l’esortazione affettuosa a non rinunciare alla speranza. Di cui tutti, più che mai, abbiamo ora bisogno. Grazie ancora}.
Sandro Galantini
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Quando, nell’aprile 1943, compare tra i destinatari della croce di guerra al merito per aver preso parte come caporal maggiore alla prima guerra mondiale, l’ingegner Livio Crocetti da qualche anno ha lasciato Giulianova per risiedere a Firenze con la moglie Dora Bencinanni e il figlio Luigi, nato il 23 febbraio 1929 nella città del padre e del noto nonno imprenditore di cui aveva rinnovato il nome.
Dopo la maturità classica al liceo “G. Galilei” e, sempre a Firenze, la laurea in Storia della lingua italiana, Luigi Crocetti il 1° luglio 1958 inizia la carriera di bibliotecario alla Biblioteca universitaria di Pisa. Passa quindi, il 1° gennaio 1961, alla Biblioteca Nazionale centrale di Firenze dove si occupa della classificazione collaborando con Emanuele Casamassima alla bibliografia nazionale italiana per dirigere quindi, dopo l’alluvione fiorentina del 1966, il laboratorio di restauro, grazie al giuliese divenuto uno dei migliori al mondo per impostazione scientifica e competenze tecniche.
Nel 1972, a seguito dell’uscita di Casamassima dalla Nazionale di Firenze, Luigi Crocetti si trasferisce alla Regione Toscana e diviene il primo responsabile del Servizio Beni Librari. Da quel momento inizia per lui una stagione ricca di aspettative ed opportunità. È infatti Crocetti l’ispiratore e il redattore della legge regionale n. 33 del 1976 sulle biblioteche, assunta a riferimento da altre regioni.
In Regione Toscana il giuliese lavora sino al 1985 svolgendo un’intensa attività nel campo della tutela libraria, della produzione editoriale di ambito biblioteconomico, nella promozione della biblioteca pubblica e degli interventi formativi. Crocetti, in particolare, concepisce un modello didattico formativo basato su seminari e corsi teorici e pratici che coinvolgono i partecipanti.
Nel 1985, alternandosi a Geno Pampaloni, dirige il celebre Gabinetto Vieusseux. Intanto quattro anni prima è divenuto presidente nazionale dell’AIB, Associazione Italiana Biblioteche, carica che terrà sino al 1987 per divenirne Socio d’onore nel 1988. Il 12 maggio 2005, in occasione della conferenza di primavera dell’ AIB ospitata al Grand Hotel Don Juan, Luigi Crocetti torna da protagonista nella sua Giulianova ricevendo per l’occasione dal Comune, rappresentato dal vicesindaco Francesco Mastromauro, una targa quale doveroso omaggio ad uno dei figli più illustri della città.
Il 10 marzo 2007, quattro anni dopo la scomparsa dello scultore di fama internazionale Venanzo Crocetti, suo zio in secondo grado, Luigi moriva a Firenze, celebrandosene le esequie nella chiesa di Sant’Angelo a Legnaia.
*Storico e Giornalista



Giulianova. La festa della Madonna dello Splendore del 1947

Locandina della festa della Madonna dello Splendore del 1947. Quell’anno non ci fu la corsa dei cavalli, sostituita da una gara ciclistica. Il Biglietto della tombola costava 25 lire. Venivano premiate le prime due tombole, rispettivamente con 20.000 e 10.000 lire (lo stipendio di un operaio era di circa 13.000 lire). La batteria al rientro della processione era offerta da emigrati giuliesi in America e da un gruppo di fedeli della Spiaggia. Il pomeriggio del 22 gara di calcio Giulianova – Ascoli.
Sembra di sentirlo don Alberto “… Questa festa, cara da secoli al cuore dei giuliesi, ridona ogni anno un’onda di commozione …”



Giulianova. 1939, la costruzione della Caserma dei Carabinieri

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 46.
Di Sandro Galantini
A seguito dell’Unità d’Italia i carabinieri reali, soppiantando la gendarmeria borbonica, si erano insediati a Giulianova con una luogotenenza, tra le poche istituite in Abruzzo, composta da 5 militi appiedati e altrettanti a cavallo.
Ma la caserma, ubicata nel piano superiore del grande edificio sull’attuale piazza della Libertà già dei frati minori conventuali e sin dal 1814 ceduto al Comune, da subito era apparsa inadeguata. Per le loro esigenze i carabinieri reclamavano infatti locali ulteriori rispetto a quelli esistenti costituiti da 6 camere da letto, una cucina con annesso altro vano, il deposito per il carbone e l’ufficio del comandante.
Erano stati perciò redatti, rispettivamente nel 1863 e nel ’65, i progetti per realizzare la nuova scuderia al pianterreno e per garantire l’autonomia strutturale della caserma rispetto agli uffici giudiziari pure allogati nello stabile.
Ma il piano sfumava a causa dell’opposizione dell’amministrazione giudiziaria che aveva peraltro generato un contenzioso con l’amministrazione comunale approdato al Consiglio di Stato.
La soluzione si sarebbe avuta nei primi anni ottanta dell’Ottocento allorché l’amministrazione provinciale nel 1881 acquisiva un’area municipale in via di Porta Marina per la nuova caserma, cioè l’attuale edificio su via Bindi che ospita alcuni uffici comunali.
Nei decenni a seguire la caserma, elevata a Tenenza, avrebbe ben soddisfatto le esigenze dell’Arma, trattandosi di edificio funzionale e posto in posizione nevralgica.
Tuttavia l’aumento esponenziale della popolazione nel sottostante centro valligiano, divenuto commercialmente attivissimo e che strada, ferrovia e porto avevano reso un vero e proprio epicentro dinamico trainante, rendeva ormai necessario il riposizionamento della caserma anche in vista dell’elevazione al rango di Compagnia.
A rendere possibile lo spostamento dei carabinieri al Lido, di cui il piano regolatore del 1935 prevedeva un’enorme espansione urbanistica, sarebbe stata l’iniziativa presa da Alfonso De Santis, sino al 1937 podestà di Giulianova, che unitamente ai fratelli gestiva la prospera ditta di famiglia impiantata dal defunto padre Francesco e divenuta una delle più importanti in Italia nel settore delle ferramenta.
Proprio dalla ditta De Santis partiva, il 12 aprile 1939, la richiesta al commissario prefettizio Giuseppe De Gregoris per ottenere l’autorizzazione da parte della Commissione urbanistica comunale alla costruzione della nuova caserma su progetto dell’ingegnere Giuseppe Iannetti.
L’edificio, alto quattro piani e pensato per soddisfare le esigenze presenti ma anche quelle future dell’Arma, era previsto sorgesse su un lotto di terreno dei De Santis latistante l’allora viale Vittorio Emanuele III, oggi via Filippo Turati, nei pressi del grande stabilimento industriale di famiglia.
Ottenuta l’autorizzazione, i lavori erano proceduti febbrilmente se addirittura pochi mesi dopo, il 20 settembre, i De Santis chiedevano al Comune di realizzare un marciapiede e il condotto per lo smaltimento delle acque offrendosi di sborsare 2.000 delle 5.750 lire che l’ingegner Iannetti otto giorni prima aveva quantificato per gli interventi.
Dando seguito alla richiesta, il commissario prefettizio De Gregoris, preso atto che la caserma era stata «testé costruita», con delibera del 23 settembre 1939 disponeva quindi l’affidamento dei lavori a trattativa privata, stante la necessità di concluderli prima della stagione invernale, alla ditta Cesare Albani.
Pochi mesi dopo, facendo seguito alla presa di possesso dello stabile da parte dei militi e del comandante, il primo tenente Giuseppe Vignone, la Tenenza carabinieri di Giulianova veniva elevata a comando di Compagnia.



Giulianova. 1811: il “nostro” villaggio di Cologna a Montepagano

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 45.
di Sandro Galantini*
Giulianova era stata assai penalizzata dalla riforma napoleonica che aveva ridisegnato le circoscrizioni amministrative. Con decreto del 4 maggio 1811, infatti, recependo la proposta avanzata sin dal 10 novembre 1806 dall’Intendente di Teramo Pietro de Sterlich e a nulla valendo le tardive proteste dei sindaci Giuseppe Costantini e Francesco Ciafardoni, Giulianova perdeva dopo secoli di appartenenza il villaggio di Cologna, aggregato all’allora Comune di Montepagano con i suoi 506 residenti ed il relativo territorio compreso tra il limite sud del Tordino ed il torrente Borsacchio.
Il provvedimento rimescolava le carte relativamente alla divisione in quattro parti uguali, presa il 9 giugno 1809 dalla Commissione feudale, del demanio ecclesiastico Ss. Sette Fratelli e di quelli ex feudali di Filetto, Stucco e S. Salvatore a Bozzino. Quest’ultimo era articolato a sua volta in tre estensioni di terreno in possesso di Nicola Catalano, un napoletano la cui scarsa onestà sarebbe emersa in seguito, e tutte in agro di Cologna per diverse moggia, antica misura di superficie pari a poco più di 3.300 m. quadrati.
Il primo, di 127 moggia (67 delle quali incolte), confinava ad est con la strada pubblica ed il fosso, a nord e a ovest sempre col fosso e a sud con le proprietà delle famiglie giuliesi dei Nizza e dei de Bartolomei. Il secondo, di 67 moggia (27 delle quali incolte), era confinante ad est con le proprietà dell’arciconfraternita giuliese del Monte dei Morti, a nord con le proprietà del Real Demanio nonché dei Bonaduce e dei Montani (famiglia, questa, da cui discendeva mia nonna paterna), e a sud con i possessi degli Scialletti e di Pietro Delfico.
Il terzo infine, di 46 moggia (26 delle quali incolte), confinava a est col lido del mare, a nord con le proprietà dei giuliesi Trifoni, ad ovest e a sud con gli appezzamenti dei Delfico e del Real Demanio.
Oltre a questi, a Cologna esisteva un demanio ex feudale dei duchi d’Atri, le “defense”, cioè i terreni riservati ai pascoli degli Acquaviva. Esteso circa 200 moggia, 170 delle quali incolte, l’appezzamento confinava ad est con la spiaggia, a nord con le proprietà dei camplesi Palma e del Seminario di Teramo, ad ovest con la strada pubblica e a nord con i terreni dei Palma e dei giuliesi de Bartolomei, enfiteuti dei beni di S. Salvatore a Bozzino.
Su tutti questi terreni, c’è da aggiungere, i colognesi vantavano il diritto di pascolo.
Con decisione assunta l’11 novembre 1811 da Giuseppe de Thomasis, commissario del Re per la divisione dei demani, fatti salvi i diritti dei rispettivi possessori, tutte le rimanenti terre del demanio ecclesiastico di S. Salvatore a Bozzino e di quello ex feudale venivano divise in quattro parti uguali con l’eccedenza di ognuna assegnata al Comune di Montepagano.
*Storico e Giornalista



Giulianova. IL BASTIONE DI S.FRANCESCO E L’ANGOLO SUD-OVEST DELLE MURA

di Ottavio Di Stanislao*
All’angolo sud-ovest esisteva il bastione chiamato di S.Francesco, come il rione dove era ubicato, attiguo all’omonimo convento cui alla fine del ‘700 risultava inglobato. Con la soppressione del convento, sancita dalle leggi napoleoniche del 1808, i locali furono destinati a pubbliche funzioni (comune, scuola, gendarmeria, giudicato di pace e ricevitoria dei demani) e il torrione per un lungo periodo fu compreso fra i locali adibiti ad abitazione del giudice regio insieme ad alcune stanze a piano terra dell’immobile. Nel 1833 fu preso in considerazione dal consigliere provinciale Angelo Antonio De Bartolomei per destinarlo a carcere circondariale che fece disegnare la planimetria allegata. Come si legge il diametro interno era di 23 palmi (circa sei metri), ed era collegato all’orto che poteva adibirsi a spazio (sbaglio) per l’ora d’aria per i detenuti. Nel 1868 il bastione fu oggetto di un’asta pubblica e dato a censo per un canone annuo di 40 lire. L’anno successivo l’aggiudicatario, Giovanni Trifoni, chiese la cessione di un’area adiacente per realizzarvi un’abitazione ma il Consiglio non acconsentì. Il Trifoni realizzò il suo intento circa dieci anni dopo, perché ancora nel 1878 il bastione era esistente, citato in una delibera consigliare, mentre non è più rappresentato nella planimetria catastale del 1881-82, che al suo posto, all’angolo sud-ovest, riporta la sagoma della civile abitazione evidentemente da poco costruita dal Trifoni.
Nel 1855 fu creata una nuova apertura, nei pressi del bastione di S. Francesco, per favorire la ventilazione nel rione in un periodo in cui imperversava una epidemia di colera. Circa un anno dopo il sindaco Livio De Dominicis rilevava che però si era creato un pericoloso dislivello con il sottostante fossato che occorreva colmare anche per poter usare l’apertura come passo carrabile. Ma i lavori di ricoltamento del fossato e di livellazione si protrarranno per molto tempo. Nell’altra planimetria, del 1861, si vede indicata con la lettera A “La porta del paese detta di S. Francesco” e con la lettera C “Torrione detto Bianco”. La cartolina (proveniente dalla ricchissima collezione di Jonata Di Pietro) mostra la Via delle fiere, costruita sul riempimento del fossato ad ovest delle mura e al centro il torrione “il Bianco”.
*Funzionario Archivista



Giulianova. LO STEMMA MISTERIOSO DI PIAZZA BUOZZI

di Ottavio Di Stanislao*
Anche questo stemma è stato finora ignorato ed è stato anzi erroneamente affermato che fosse quello apposto sull’antica e vicina Porta Marina. Dall’osservazione attenta di questo stemma emergono questi elementi: Lo scudo è del tipo gotico antico inclinato, con una sottile bordura perimetrale. È attraversato da una banda contro merlata alla guelfa, accompagnata in capo e in punta da una stella a 6 raggi. L’elmo è posto sopra lo scudo con pieno profilo verso sinistra. Tale posizione, secondo gli araldisti, è riservata agli stemmi dei figli naturali. Dalla cima dal cercine dell’elmo, con valore di ornamento esteriore, partono quattro svolazzi detti lambrecchini. Il cimiero è la figura araldica, usualmente tratta dai contenuti dello scudo, posta sulla cima dell’elmo. Nel nostro caso la composizione non è in sintonia con le stelle e la banda contro merlata. Pare il busto di un guerriero col braccio sinistro, che doveva essere sporgente, troncato e quello destro appoggiato sul fianco dal quale fuoriesce un cartiglio col motto araldico della dinastia: “PICE…FINEM”. Pertanto ci sembra di poter escludere che si trattasse di uno stemma acquaviviano. La casa in cui è posto era una pertinenza del palazzo ducale posto sull’altro lato della piazza e nell’Ottocento era chiamata la vecchia taverna ducale. Fu acquistata dagli ultimi discendenti degli Acquaviva dalla famiglia dei nonni materni dell’attuale proprietaria nei primi decenni del secolo scorso.
Potrebbe trattarsi dello stemma di uno dei primi governatori o comunque di un alto funzionario dell’amministrazione feudale. Per la verità lo stemma parrebbe essere della antichissima famiglia lombarda degli Sfrodati. E un rapporto fra gli Sfrondati e gli Acquaviva esiste!Nicolò Sfrondati, divenuto papa Gregorio XIV, nel 1590 nominò Ottavio Acquaviva suo maggiordomo, per crearlo cardinale subito dopo. Personaggio prestigioso e di grande influenza Ottavio Acquaviva ebbe un peso notevole nei quattro conclavi cui partecipò all’inizio del ‘600. Successivamente fu arcivescovo di Napoli, dove si distinse oltre che per lo zelo nell’applicare la riforma tridentina, per l’impegno che profuse a favore dei poveri specie nella carestia del 1607, durante la quale fece giungere duecentosettanta navi, cariche di circa 730.000 tomoli di grano. Inoltre per sottrarre i meno abbienti all’usura potenziò il Monte di Pietà con un suo contributo di 20.000 ducati. Per cui quando l’arciprete di S. Flaviano si lamentava con il vescovo in visita pastorale perché della pingue rendita poteva beneficiate solo di 100 ducati perché il cardinale Ottavio “si piglia tutto il resto del intrate che arriva alla quantità di mille et più ducati di regno ogn’anno”, possiamo essere tranquilli che il danaro sottratto all’arcipretura di Giulianova era stato usato a buon fine.
Però studiosi di araldica assicurano che lo stemma in oggetto è sicuramente quattrocentesco e quindi non può essere messo in relazione con il rapporto fra Ottavio Acquaviva e Nicolò Sfrondati.
*Funzionario Archivista



Giulianova. Il musicista giuliese Oliviero Montebello

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 44.
di Sandro Galantini*
Per una di quelle singolari coincidenze che la vita a volte congegna, nel 1924 giungeva a Treia, dove tre anni prima vi era stato trasferito da Giulianova il Giorgio Diamantini di cui si è scritto ieri (22 aprile 2020 – FRAMMENTI – 43), il musicista giuliese Oliviero Montebello.
Nato il 28 febbraio 1864 e formatosi nel Conservatorio napoletano di S. Pietro a Majella, lo stesso frequentato dai celebri conterranei Gaetano e Giuseppe Braga, il Maestro Oliviero Montebello nel 1890 si era trasferito a Solofra, in provincia di Avellino, chiamatovi da Gaetano Buonanno, un facoltoso appassionato di musica del luogo intenzionato ad affidare al giuliese la direzione della banda musicale cittadina sino a quel momento guidata dal M° Giuseppe Corsaro.
Dopo averne definito l’organico con 30 concertisti locali ed una mezza dozzina di solisti forestieri, Montebello nel 1892 esordiva come nuovo direttore del “Concerto musicale” di Solofra, grazie a lui capace di competere con le migliori formazioni pugliesi e abruzzesi.
La notorietà raggiunta in breve tempo, aveva consentito al giovane direttore abruzzese, che aveva aperto a Solofra anche una apprezzata scuola di musica, di frequentare le più importanti famiglie locali come quella dell’avvocato Giuseppe Grimaldi di cui sposerà la sorella.
Nel 1903 Montebello lasciava Solofra per dirigere la banda di Avellino, città nella quale avrebbe vissuto lungamente e dove il 15 settembre 1906 nasceva il figlio Silvio.
Nel 1907 il musicista giuliese, uno degli otto a tenere corsi per pianoforte nel capoluogo campano, pubblicava la sua prima opera, Grammatichetta musicale, per i torchi della locale Litotipografia Pergola. A questa seguiva, su versi dell’arciprete di Bellizzi Irpino Annibale Cerulli, la composizione Maria Ss. di Costantinopoli messa a stampa nel 1913.
In quello stesso anno, a settembre, Montebello si trasferiva per un breve periodo a Macerata sostituendo il M° Ottorino Ranalli alla direzione della banda musicale cittadina. Risale alla pur breve permanenza a Macerata, dove anni dopo sarebbe tornato, Meditazione, una sua nuova composizione che seguiva, per così dire, la corrente “severa”.
In seguito, nel 1920, usciva la sua Terra Natia, composizione lirica a voci infantili in due atti su parole del sacerdote Augusto Rapanelli e stampata a Fermo nello stabilimento dei Fratelli Boni.
Sono dunque le Marche a rappresentare per Montebello il territorio della sua nuova avventura esistenziale e professionale.
Nel 1924, anno in cui partecipa senza successo al concorso per il posto di direttore della banda comunale di Roma, Montebello come sappiamo è a Treia per dirigere la banda cittadina.
E qui il giuliese rimarrà per un decennio a parte una seconda, fugace parentesi a Macerata dove va a dirigere la banda nel 1925, anno in cui esce la seconda edizione di Terra Natia e allorquando Giorgio Diamantini guida da direttore la Scuola professionale.
Il 31 dicembre 1934, data della sua collocazione a riposo, Oliviero Montebello terminava la sua proficua esperienza marchigiana lasciando Treia per fare ritorno alla natia Giulianova.
Non lo seguiva il figlio Silvio il quale, dopo la laurea in giurisprudenza conseguita nel 1930 a Macerata, lo stesso ateneo frequentato anni dopo dal secondogenito di Giorgio Diamantini, da un paio d’anni era a Genova come funzionario di Prefettura.
Il 29 aprile 1939 il Maestro Oliviero Montebello chiudeva definitivamente gli occhi spirando nella sua casa giuliese al civico 27 di via Umberto I, l’attuale via del Popolo. Poco distante, c’è da dire, dalle case in cui erano nati nel 1921 Lino Manocchia e nel 1933 Italo Moretti, entrambi destinati a divenire giornalisti di fama.
*Storico e Giornalista



Giulianova. Uno stemma acquaviviano ignorato

di Ottavio Di Stanislao*
Altro stemma acquaviviano finora ignorato è apposto sulla facciata ,in via Nazario Sauro, della casa del compianto dottor Giuseppe Moruzzi, indimenticabile medico di famiglia a Giulianova per oltre mezzo secolo. Ho avuto conferma di ciò dal nipote, avv. Giuseppe Malignano Stuart, il quale, fin da bambino, aveva appreso che il nonno aveva comprato lo stemma in pietra da “Marrie lu barvire”, cioè Mario D’Ottavio, barbiere con salone sul corso, di fronte a casa Braga, poi trasformato in negozio di antiquariato, e che si trattava effettivamente di uno stemma della famiglia Acquaviva proveniente dal palazzo ducale.
Nella sacrestia della chiesa di S. Flaviano, sulla parete adiacente al lato sud-ovest dell’ottagono, sovrastante un battistero e una lapide murata vi è un altro stemma acquaviviano finora mai preso in considerazione.
La lapide è un omaggio dell’arciprete dell’epoca, il canonico ascolano Torrione de Turre, al signore feudale che lo aveva beneficiato, il duca Giovanni Girolamo II, titolare del patronato della “insigne chiesa collegiata di S. Flaviano”. Dall’aprile 1479, alla nobile famiglia Acquaviva fu concesso dal re il privilegio di aggiungere al cognome il predicato d’Aragona e di inquartate nello stemma le insegne reali. Così lo stemma, uno scudo semipartito troncato, timbrato da corona marchesale stilizzata, risalente al 1692, riunisce i simboli araldici del privilegio reale D’Aragona, con le armi della famiglia Acquaviva e della famiglia Spinelli da cui proveniva la moglie di Giangirolamo, Eleonora. Infatti nella sezione superiore, a sinistra sono rappresentati una H con in mezzo una I (Gerusalemme), le fasce d’Ungheria e i gigli angioini; a destra il leone rampante degli Acquaviva, la parte in basso dovrebbe rappresentare l’arma aragonese “d’oro a quattro pali di rosso”, mentre al centro l’aquila tiene uno scudetto sormontato da una corona con fascia caricata di tre stelle di sei punte (stemma della famiglia Spinelli).
Giangirolamo II (Giulianova 1663-Roma 1709), figlio di Giosia III e di Francesca Caracciolo, XV duca di Atri, fedele alla corona spagnola contrastò l’invasione austriaca difendendo la piazzaforte di Pescara. Costretto alla resa riparò a Roma. Fratello del cardinale Francesco e padre del cardinale Troiano protagonisti di primo piano della politica europea della prima metà del ‘700.
Giangirolamo II aveva i seguenti titoli (maggio 1686): Duca d’Atri, Principe di Teramo, Marchese d’Acquaviva e di Bitonto, Conte di Giulia e di Gioia, Marchese d’Arena.



Giulianova. 75 anni fa terminava la tragedia della 2° Guerra Mondiale

di Walter DE BERARDINIS
Il 25 aprile di 75° anni fa terminava la tragedia della 2° Guerra Mondiale, finiva una guerra che aveva portato in 6 anni (1939/1945) morte e distruzione in tutta l’Europa, compreso la nostra Giulianova, già colpita dalla 1° Guerra Mondiale con circa 150 morti: nativi, residenti e ricoverati nell’Ospedale Civile diventato di “riserva”. Giulianova, nell’albo d’oro dei caduti della 2° Guerra Mondiale, conta circa 127 morti (nativi, residenti e uccisi nei combattimenti durante il passaggio dei tedeschi in ritirata), senza contare circa 50 civili (uomini, donne e bambini) morti nei pesanti bombardamenti che colpirono la città tra il 1943 e 1944. In questo, “macabro” conteggio, mancano i circa 30 militari (verifica in fase di ultimazione), morti nell’ospedale civile e in quello di riserva collocato nell’ex Colonia “Rosa Maltoni” al lido.

Monumento dedicato alla Resistenza a Giulianova

Il primo “banco” di prova per il Governo Fascista fu sicuramente la guerra (civile) di Spagna (1936/1939), qui molti giuliesi parteciparono, compreso un frate del Santuario come Cappellano Militare, a favore dei nazionalisti e altri giuliesi per i repubblicani. In entrambi gli schieramenti non si registrarono morti. Situazione diversa durante la guerra d’Etiopia (3 ottobre 1935 e 5 maggio 1936) e l’occupazione della Somalia e Eritrea, qui trovarono la morte diversi giuliesi: 5 in battaglia, uno per incidente automobilistico, un altro per fucilazione decretato dal Tribunale Militare di Guerra per diserzione e l’ultimo per affondamento della nave che lo portava in un campo di prigionia inglese in Sud Africa, morto davanti al canale del Madagascar divorato dagli squali.

Lapide alla memoria dei caduti del mare a Giulianova

Durante l’occupazione della Francia Meridionale, due sono i giuliesi che non torneranno a casa: uno morto in un campo di prigionia tedesco e l’altro nel bombardamento alleato della Corsica. Durante la “scellerata” campagna di Russia, prima con il Corpo di spedizione italiano in Russia o CSIR (estate 1941), poi con l’8° Armata italiana, chiamata anche ARMIR (luglio 1942 / marzo 1943), morirono 18 giuliesi, quasi tutti dispersi, solo qualcuno trovo un “degno” riposo in una fossa comune nei luoghi di prigionia.

Lapide per i caduti dell’aria a Giulianova

37 marinai giuliesi persero la vita durante tutta la guerra, quasi tutti riposano nel fondo del Mar Mediterraneo, Mar di Sardegna, Mare Adriatico, Canale di Sicilia e Mar Egeo, è sicuramente l’arma più colpita. Ho proposto una targa marmorea nominativa al porto di Giulianova. Durante la guerra in Africa Settentrionale (1940/1943), solo 4 giuliesi muoiono in combattimento, due a El Alamein e gli altri per malattia . In Albania, durante la guerra contro la Grecia (1940/1941), moriranno 5 in combattimento e 4 dopo l’8 settembre 1943 fucilati dai tedeschi. Nella Campagna di Grecia (1940/1941), due cadono in combattimento e 4 per mano tedesca dopo l’armistizio dell’8 settembre. Nella guerra al Regno di Jugoslavia cadono due giuliesi per mano dei partigiani titini, 3 in combattimento e uno per mano tedesca. In Germania, dopo l’8 settembre 1943, moriranno 9 nostri concittadini nei campi di prigionia IMI-Internati Militari Italiani (soldati del fronte balcanico), alcuni quasi alla fine del conflitto, 1945. In Austria, verranno ritrovati morti due giuliesi, entrambi lavoratori emigranti nella Germania di Hitler. In India morirà l’unico giuliese morto in un campo di prigionia inglese. Sul fronte interno, quello italiano, inizia la resa dei conti già dal settembre 1943. Alcuni giuliesi moriranno durante i bombardamenti aerei (da non confondere con i civili morti in città) e due militari di passaggio a Giulianova con le formazioni tedesche, vengono uccisi in combattimento. Uno verrà ucciso dai tedeschi a Giulianova (riconosciuto militare partigiano dopo la guerra). 4 aderenti alla RSI verranno uccisi dai partigiani in varie località italiane, uno di questi assassinato da mani ignote nella tarda primavera del 1945 a Bergamo. Negli anni successivi, tra il 1946 e il 1950, moriranno altri giuliesi per le gravi patologie riportate alla fine del conflitto. Vorrei ricordare, grazie alla segnalazione del prof. Elso Simone Serpentini, due ragazzi morti durante le fasi della liberazione della città, Ernesto Romani, 11anni e Pietro Scrivani, 18anni, entrambi investiti a Giulianova nel 1944 e 1945 da due camion anglo-americani (forse polacchi o inglesi). Per quest’ultimi due, dopo attenta verifica dei documenti, dedicherò una targa alla loro memoria. Riporto i numeri dei caduti per Arma: 7 caduti per l’aeronautica, 14 artiglieri, 1 aggregato alle formazioni tedesche, 7 autieri, 5 bersaglieri, 3 carabinieri, 28 fanteria, 1 GdF, 4 RSI, 37 marina, 3 mitraglieri, 4 operai militarizzati e 1 della sanità. Buon 25 aprile. Si ringrazia per il contributo e la collaborazione tutto il personale dell’Archivio di Stato di Teramo, in modo particolare Enrico Cannella, diretto dalla dott.ssa

Carmela Di Giovannantonio

. Alle famiglie che hanno perso questi figli dedico un pensiero personale per “Non Dimenticare”. Vi lascio con una frase di Cicerone: “la vita dei morti è riposta nel ricordo dei vivi”




Giulianova. Il legame del prof. Giorgio Diamantini con la città

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 43.
di Sandro Galantini*
La vicenda di Giorgio Diamantini era stata connotata da due guerre e da una determinante presenza nella sua vita dell’Abruzzo e in particolare di Giulianova.
Dopo la formazione all’Accademia di belle arti “P. Vannucci” di Perugia, la sua città, il 2 ottobre 1909 vince il concorso al posto di insegnante di disegno e ornato presso la Scuola industriale di Catanzaro allora diretta dall’ingegnere Vincenzo Rosati, originario di Ponzano di Civitella del Tronto.
Sarà, la loro, un’amicizia solida, destinata a durare nel tempo.
Durante la sua permanenza in terra calabra, Diamantini, che si affilia alla Loggia massonica di Catanzaro, dipinge nel 1910 “Visione di tristezza”, quadro con cui partecipa all’Esposizione internazionale di Roma del 1911. Nel 1912, su richiesta di Rosati, modella i decori della facciata della Scuola industriale di Catanzaro con il coinvolgimento di un altro amico del direttore civitellese, lo scultore Tommaso Illuminati di Atri. Si deve proprio a questo intreccio se Diamantini conosce una giovane atriana, Ester Cherubini, che sposerà nel 1913, anno in cui vince il concorso per la cattedra di materie artistiche nella Scuola di disegno industriale di Monteleone di Calabria, l’attuale Vibo Valentia.
Il trasferimento di Diamantini in Abruzzo, regione che ormai tanta parte ha nella sua vita, data al 1914, allorché giunge a Giulianova come direttore, il primo, della neonata Scuola professionale “R. Pagliaccetti”.
A Giulianova, dove Diamantini rimarrà sino al 1920 affrontando il difficile periodo della prima guerra mondiale, nascono i suoi due figli: il 14 agosto 1914 Paolo e, il 2 aprile 1917, Bruno.
Nel 1921 giunge un nuovo trasferimento: la nuova sede è Treia, in provincia di Macerata, per dirigere la locale Scuola operaia. Da Treia passa quindi nel 1923 a Macerata come direttore incaricato della Scuola di Tirocinio, di cui rimarrà direttore stabile nonché titolare della cattedra di disegno professionale e tecnologia vincendo il 9 agosto 1924 il relativo concorso.
D’ora in avanti Macerata rimarrà per Giorgio Diamantini, che forma molti futuri pittori e scultori ed è uno dei 53 partecipanti alla mostra artistica organizzata nel 1931 nella sala dei Notari di Perugia, la sua città ma non quella dei suoi figli. Infatti Paolo, dopo la maturità conseguita allo Scientifico “G. Galilei”, inizierà la carriera militare frequentando i corsi dell’Accademia di Artiglieria e Genio per venire nominato, il 1° ottobre 1935, sottotenente in servizio permanente ed effettivo. Ed anche l’altro figlio Bruno, dopo la laurea conseguita nel 1939 nell’ateneo maceratese, indosserà la divisa ma come ufficiale osservatore della Marina.
Con l’entrata in guerra dell’Italia, nel 1940, le vite di Giorgio e dei suoi figli prenderanno altre e in alcuni casi drammatiche direzioni.
Paolo, ufficiale in forza alla 37^ compagnia mista TRT, 2° reggimento Genio della divisione “Bari”, cadrà infatti eroicamente il 27 gennaio 1941 sul fronte greco, a Kurvelesh, meritando una medaglia di bronzo al valore alla memoria e l’inserimento del suo nome, a perenne ricordo, nel lapidario ai caduti tuttora presente nell’Accademia militare di Modena.
Bruno, più fortunato, uscirà indenne dal conflitto rimanendo in Marina, dove nel 1960 è capitano di corvetta.
Quanto a Giorgio Diamantini, autore nel 1942 per Le Monnier del libro La R. Scuola industriale di Macerata, egli concluderà i suoi giorni nella città marchigiana non più come docente bensì come membro, tra i più autorevoli, del locale Rotary Club.
* Storico e Giornalista