Giulianova. 1811: il “nostro” villaggio di Cologna a Montepagano

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 45.
di Sandro Galantini*
Giulianova era stata assai penalizzata dalla riforma napoleonica che aveva ridisegnato le circoscrizioni amministrative. Con decreto del 4 maggio 1811, infatti, recependo la proposta avanzata sin dal 10 novembre 1806 dall’Intendente di Teramo Pietro de Sterlich e a nulla valendo le tardive proteste dei sindaci Giuseppe Costantini e Francesco Ciafardoni, Giulianova perdeva dopo secoli di appartenenza il villaggio di Cologna, aggregato all’allora Comune di Montepagano con i suoi 506 residenti ed il relativo territorio compreso tra il limite sud del Tordino ed il torrente Borsacchio.
Il provvedimento rimescolava le carte relativamente alla divisione in quattro parti uguali, presa il 9 giugno 1809 dalla Commissione feudale, del demanio ecclesiastico Ss. Sette Fratelli e di quelli ex feudali di Filetto, Stucco e S. Salvatore a Bozzino. Quest’ultimo era articolato a sua volta in tre estensioni di terreno in possesso di Nicola Catalano, un napoletano la cui scarsa onestà sarebbe emersa in seguito, e tutte in agro di Cologna per diverse moggia, antica misura di superficie pari a poco più di 3.300 m. quadrati.
Il primo, di 127 moggia (67 delle quali incolte), confinava ad est con la strada pubblica ed il fosso, a nord e a ovest sempre col fosso e a sud con le proprietà delle famiglie giuliesi dei Nizza e dei de Bartolomei. Il secondo, di 67 moggia (27 delle quali incolte), era confinante ad est con le proprietà dell’arciconfraternita giuliese del Monte dei Morti, a nord con le proprietà del Real Demanio nonché dei Bonaduce e dei Montani (famiglia, questa, da cui discendeva mia nonna paterna), e a sud con i possessi degli Scialletti e di Pietro Delfico.
Il terzo infine, di 46 moggia (26 delle quali incolte), confinava a est col lido del mare, a nord con le proprietà dei giuliesi Trifoni, ad ovest e a sud con gli appezzamenti dei Delfico e del Real Demanio.
Oltre a questi, a Cologna esisteva un demanio ex feudale dei duchi d’Atri, le “defense”, cioè i terreni riservati ai pascoli degli Acquaviva. Esteso circa 200 moggia, 170 delle quali incolte, l’appezzamento confinava ad est con la spiaggia, a nord con le proprietà dei camplesi Palma e del Seminario di Teramo, ad ovest con la strada pubblica e a nord con i terreni dei Palma e dei giuliesi de Bartolomei, enfiteuti dei beni di S. Salvatore a Bozzino.
Su tutti questi terreni, c’è da aggiungere, i colognesi vantavano il diritto di pascolo.
Con decisione assunta l’11 novembre 1811 da Giuseppe de Thomasis, commissario del Re per la divisione dei demani, fatti salvi i diritti dei rispettivi possessori, tutte le rimanenti terre del demanio ecclesiastico di S. Salvatore a Bozzino e di quello ex feudale venivano divise in quattro parti uguali con l’eccedenza di ognuna assegnata al Comune di Montepagano.
*Storico e Giornalista



Giulianova. IL BASTIONE DI S.FRANCESCO E L’ANGOLO SUD-OVEST DELLE MURA

di Ottavio Di Stanislao*
All’angolo sud-ovest esisteva il bastione chiamato di S.Francesco, come il rione dove era ubicato, attiguo all’omonimo convento cui alla fine del ‘700 risultava inglobato. Con la soppressione del convento, sancita dalle leggi napoleoniche del 1808, i locali furono destinati a pubbliche funzioni (comune, scuola, gendarmeria, giudicato di pace e ricevitoria dei demani) e il torrione per un lungo periodo fu compreso fra i locali adibiti ad abitazione del giudice regio insieme ad alcune stanze a piano terra dell’immobile. Nel 1833 fu preso in considerazione dal consigliere provinciale Angelo Antonio De Bartolomei per destinarlo a carcere circondariale che fece disegnare la planimetria allegata. Come si legge il diametro interno era di 23 palmi (circa sei metri), ed era collegato all’orto che poteva adibirsi a spazio (sbaglio) per l’ora d’aria per i detenuti. Nel 1868 il bastione fu oggetto di un’asta pubblica e dato a censo per un canone annuo di 40 lire. L’anno successivo l’aggiudicatario, Giovanni Trifoni, chiese la cessione di un’area adiacente per realizzarvi un’abitazione ma il Consiglio non acconsentì. Il Trifoni realizzò il suo intento circa dieci anni dopo, perché ancora nel 1878 il bastione era esistente, citato in una delibera consigliare, mentre non è più rappresentato nella planimetria catastale del 1881-82, che al suo posto, all’angolo sud-ovest, riporta la sagoma della civile abitazione evidentemente da poco costruita dal Trifoni.
Nel 1855 fu creata una nuova apertura, nei pressi del bastione di S. Francesco, per favorire la ventilazione nel rione in un periodo in cui imperversava una epidemia di colera. Circa un anno dopo il sindaco Livio De Dominicis rilevava che però si era creato un pericoloso dislivello con il sottostante fossato che occorreva colmare anche per poter usare l’apertura come passo carrabile. Ma i lavori di ricoltamento del fossato e di livellazione si protrarranno per molto tempo. Nell’altra planimetria, del 1861, si vede indicata con la lettera A “La porta del paese detta di S. Francesco” e con la lettera C “Torrione detto Bianco”. La cartolina (proveniente dalla ricchissima collezione di Jonata Di Pietro) mostra la Via delle fiere, costruita sul riempimento del fossato ad ovest delle mura e al centro il torrione “il Bianco”.
*Funzionario Archivista



Giulianova. LO STEMMA MISTERIOSO DI PIAZZA BUOZZI

di Ottavio Di Stanislao*
Anche questo stemma è stato finora ignorato ed è stato anzi erroneamente affermato che fosse quello apposto sull’antica e vicina Porta Marina. Dall’osservazione attenta di questo stemma emergono questi elementi: Lo scudo è del tipo gotico antico inclinato, con una sottile bordura perimetrale. È attraversato da una banda contro merlata alla guelfa, accompagnata in capo e in punta da una stella a 6 raggi. L’elmo è posto sopra lo scudo con pieno profilo verso sinistra. Tale posizione, secondo gli araldisti, è riservata agli stemmi dei figli naturali. Dalla cima dal cercine dell’elmo, con valore di ornamento esteriore, partono quattro svolazzi detti lambrecchini. Il cimiero è la figura araldica, usualmente tratta dai contenuti dello scudo, posta sulla cima dell’elmo. Nel nostro caso la composizione non è in sintonia con le stelle e la banda contro merlata. Pare il busto di un guerriero col braccio sinistro, che doveva essere sporgente, troncato e quello destro appoggiato sul fianco dal quale fuoriesce un cartiglio col motto araldico della dinastia: “PICE…FINEM”. Pertanto ci sembra di poter escludere che si trattasse di uno stemma acquaviviano. La casa in cui è posto era una pertinenza del palazzo ducale posto sull’altro lato della piazza e nell’Ottocento era chiamata la vecchia taverna ducale. Fu acquistata dagli ultimi discendenti degli Acquaviva dalla famiglia dei nonni materni dell’attuale proprietaria nei primi decenni del secolo scorso.
Potrebbe trattarsi dello stemma di uno dei primi governatori o comunque di un alto funzionario dell’amministrazione feudale. Per la verità lo stemma parrebbe essere della antichissima famiglia lombarda degli Sfrodati. E un rapporto fra gli Sfrondati e gli Acquaviva esiste!Nicolò Sfrondati, divenuto papa Gregorio XIV, nel 1590 nominò Ottavio Acquaviva suo maggiordomo, per crearlo cardinale subito dopo. Personaggio prestigioso e di grande influenza Ottavio Acquaviva ebbe un peso notevole nei quattro conclavi cui partecipò all’inizio del ‘600. Successivamente fu arcivescovo di Napoli, dove si distinse oltre che per lo zelo nell’applicare la riforma tridentina, per l’impegno che profuse a favore dei poveri specie nella carestia del 1607, durante la quale fece giungere duecentosettanta navi, cariche di circa 730.000 tomoli di grano. Inoltre per sottrarre i meno abbienti all’usura potenziò il Monte di Pietà con un suo contributo di 20.000 ducati. Per cui quando l’arciprete di S. Flaviano si lamentava con il vescovo in visita pastorale perché della pingue rendita poteva beneficiate solo di 100 ducati perché il cardinale Ottavio “si piglia tutto il resto del intrate che arriva alla quantità di mille et più ducati di regno ogn’anno”, possiamo essere tranquilli che il danaro sottratto all’arcipretura di Giulianova era stato usato a buon fine.
Però studiosi di araldica assicurano che lo stemma in oggetto è sicuramente quattrocentesco e quindi non può essere messo in relazione con il rapporto fra Ottavio Acquaviva e Nicolò Sfrondati.
*Funzionario Archivista



Giulianova. Il musicista giuliese Oliviero Montebello

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 44.
di Sandro Galantini*
Per una di quelle singolari coincidenze che la vita a volte congegna, nel 1924 giungeva a Treia, dove tre anni prima vi era stato trasferito da Giulianova il Giorgio Diamantini di cui si è scritto ieri (22 aprile 2020 – FRAMMENTI – 43), il musicista giuliese Oliviero Montebello.
Nato il 28 febbraio 1864 e formatosi nel Conservatorio napoletano di S. Pietro a Majella, lo stesso frequentato dai celebri conterranei Gaetano e Giuseppe Braga, il Maestro Oliviero Montebello nel 1890 si era trasferito a Solofra, in provincia di Avellino, chiamatovi da Gaetano Buonanno, un facoltoso appassionato di musica del luogo intenzionato ad affidare al giuliese la direzione della banda musicale cittadina sino a quel momento guidata dal M° Giuseppe Corsaro.
Dopo averne definito l’organico con 30 concertisti locali ed una mezza dozzina di solisti forestieri, Montebello nel 1892 esordiva come nuovo direttore del “Concerto musicale” di Solofra, grazie a lui capace di competere con le migliori formazioni pugliesi e abruzzesi.
La notorietà raggiunta in breve tempo, aveva consentito al giovane direttore abruzzese, che aveva aperto a Solofra anche una apprezzata scuola di musica, di frequentare le più importanti famiglie locali come quella dell’avvocato Giuseppe Grimaldi di cui sposerà la sorella.
Nel 1903 Montebello lasciava Solofra per dirigere la banda di Avellino, città nella quale avrebbe vissuto lungamente e dove il 15 settembre 1906 nasceva il figlio Silvio.
Nel 1907 il musicista giuliese, uno degli otto a tenere corsi per pianoforte nel capoluogo campano, pubblicava la sua prima opera, Grammatichetta musicale, per i torchi della locale Litotipografia Pergola. A questa seguiva, su versi dell’arciprete di Bellizzi Irpino Annibale Cerulli, la composizione Maria Ss. di Costantinopoli messa a stampa nel 1913.
In quello stesso anno, a settembre, Montebello si trasferiva per un breve periodo a Macerata sostituendo il M° Ottorino Ranalli alla direzione della banda musicale cittadina. Risale alla pur breve permanenza a Macerata, dove anni dopo sarebbe tornato, Meditazione, una sua nuova composizione che seguiva, per così dire, la corrente “severa”.
In seguito, nel 1920, usciva la sua Terra Natia, composizione lirica a voci infantili in due atti su parole del sacerdote Augusto Rapanelli e stampata a Fermo nello stabilimento dei Fratelli Boni.
Sono dunque le Marche a rappresentare per Montebello il territorio della sua nuova avventura esistenziale e professionale.
Nel 1924, anno in cui partecipa senza successo al concorso per il posto di direttore della banda comunale di Roma, Montebello come sappiamo è a Treia per dirigere la banda cittadina.
E qui il giuliese rimarrà per un decennio a parte una seconda, fugace parentesi a Macerata dove va a dirigere la banda nel 1925, anno in cui esce la seconda edizione di Terra Natia e allorquando Giorgio Diamantini guida da direttore la Scuola professionale.
Il 31 dicembre 1934, data della sua collocazione a riposo, Oliviero Montebello terminava la sua proficua esperienza marchigiana lasciando Treia per fare ritorno alla natia Giulianova.
Non lo seguiva il figlio Silvio il quale, dopo la laurea in giurisprudenza conseguita nel 1930 a Macerata, lo stesso ateneo frequentato anni dopo dal secondogenito di Giorgio Diamantini, da un paio d’anni era a Genova come funzionario di Prefettura.
Il 29 aprile 1939 il Maestro Oliviero Montebello chiudeva definitivamente gli occhi spirando nella sua casa giuliese al civico 27 di via Umberto I, l’attuale via del Popolo. Poco distante, c’è da dire, dalle case in cui erano nati nel 1921 Lino Manocchia e nel 1933 Italo Moretti, entrambi destinati a divenire giornalisti di fama.
*Storico e Giornalista



Giulianova. Uno stemma acquaviviano ignorato

di Ottavio Di Stanislao*
Altro stemma acquaviviano finora ignorato è apposto sulla facciata ,in via Nazario Sauro, della casa del compianto dottor Giuseppe Moruzzi, indimenticabile medico di famiglia a Giulianova per oltre mezzo secolo. Ho avuto conferma di ciò dal nipote, avv. Giuseppe Malignano Stuart, il quale, fin da bambino, aveva appreso che il nonno aveva comprato lo stemma in pietra da “Marrie lu barvire”, cioè Mario D’Ottavio, barbiere con salone sul corso, di fronte a casa Braga, poi trasformato in negozio di antiquariato, e che si trattava effettivamente di uno stemma della famiglia Acquaviva proveniente dal palazzo ducale.
Nella sacrestia della chiesa di S. Flaviano, sulla parete adiacente al lato sud-ovest dell’ottagono, sovrastante un battistero e una lapide murata vi è un altro stemma acquaviviano finora mai preso in considerazione.
La lapide è un omaggio dell’arciprete dell’epoca, il canonico ascolano Torrione de Turre, al signore feudale che lo aveva beneficiato, il duca Giovanni Girolamo II, titolare del patronato della “insigne chiesa collegiata di S. Flaviano”. Dall’aprile 1479, alla nobile famiglia Acquaviva fu concesso dal re il privilegio di aggiungere al cognome il predicato d’Aragona e di inquartate nello stemma le insegne reali. Così lo stemma, uno scudo semipartito troncato, timbrato da corona marchesale stilizzata, risalente al 1692, riunisce i simboli araldici del privilegio reale D’Aragona, con le armi della famiglia Acquaviva e della famiglia Spinelli da cui proveniva la moglie di Giangirolamo, Eleonora. Infatti nella sezione superiore, a sinistra sono rappresentati una H con in mezzo una I (Gerusalemme), le fasce d’Ungheria e i gigli angioini; a destra il leone rampante degli Acquaviva, la parte in basso dovrebbe rappresentare l’arma aragonese “d’oro a quattro pali di rosso”, mentre al centro l’aquila tiene uno scudetto sormontato da una corona con fascia caricata di tre stelle di sei punte (stemma della famiglia Spinelli).
Giangirolamo II (Giulianova 1663-Roma 1709), figlio di Giosia III e di Francesca Caracciolo, XV duca di Atri, fedele alla corona spagnola contrastò l’invasione austriaca difendendo la piazzaforte di Pescara. Costretto alla resa riparò a Roma. Fratello del cardinale Francesco e padre del cardinale Troiano protagonisti di primo piano della politica europea della prima metà del ‘700.
Giangirolamo II aveva i seguenti titoli (maggio 1686): Duca d’Atri, Principe di Teramo, Marchese d’Acquaviva e di Bitonto, Conte di Giulia e di Gioia, Marchese d’Arena.



Giulianova. 75 anni fa terminava la tragedia della 2° Guerra Mondiale

di Walter DE BERARDINIS
Il 25 aprile di 75° anni fa terminava la tragedia della 2° Guerra Mondiale, finiva una guerra che aveva portato in 6 anni (1939/1945) morte e distruzione in tutta l’Europa, compreso la nostra Giulianova, già colpita dalla 1° Guerra Mondiale con circa 150 morti: nativi, residenti e ricoverati nell’Ospedale Civile diventato di “riserva”. Giulianova, nell’albo d’oro dei caduti della 2° Guerra Mondiale, conta circa 127 morti (nativi, residenti e uccisi nei combattimenti durante il passaggio dei tedeschi in ritirata), senza contare circa 50 civili (uomini, donne e bambini) morti nei pesanti bombardamenti che colpirono la città tra il 1943 e 1944. In questo, “macabro” conteggio, mancano i circa 30 militari (verifica in fase di ultimazione), morti nell’ospedale civile e in quello di riserva collocato nell’ex Colonia “Rosa Maltoni” al lido.

Monumento dedicato alla Resistenza a Giulianova

Il primo “banco” di prova per il Governo Fascista fu sicuramente la guerra (civile) di Spagna (1936/1939), qui molti giuliesi parteciparono, compreso un frate del Santuario come Cappellano Militare, a favore dei nazionalisti e altri giuliesi per i repubblicani. In entrambi gli schieramenti non si registrarono morti. Situazione diversa durante la guerra d’Etiopia (3 ottobre 1935 e 5 maggio 1936) e l’occupazione della Somalia e Eritrea, qui trovarono la morte diversi giuliesi: 5 in battaglia, uno per incidente automobilistico, un altro per fucilazione decretato dal Tribunale Militare di Guerra per diserzione e l’ultimo per affondamento della nave che lo portava in un campo di prigionia inglese in Sud Africa, morto davanti al canale del Madagascar divorato dagli squali.

Lapide alla memoria dei caduti del mare a Giulianova

Durante l’occupazione della Francia Meridionale, due sono i giuliesi che non torneranno a casa: uno morto in un campo di prigionia tedesco e l’altro nel bombardamento alleato della Corsica. Durante la “scellerata” campagna di Russia, prima con il Corpo di spedizione italiano in Russia o CSIR (estate 1941), poi con l’8° Armata italiana, chiamata anche ARMIR (luglio 1942 / marzo 1943), morirono 18 giuliesi, quasi tutti dispersi, solo qualcuno trovo un “degno” riposo in una fossa comune nei luoghi di prigionia.

Lapide per i caduti dell’aria a Giulianova

37 marinai giuliesi persero la vita durante tutta la guerra, quasi tutti riposano nel fondo del Mar Mediterraneo, Mar di Sardegna, Mare Adriatico, Canale di Sicilia e Mar Egeo, è sicuramente l’arma più colpita. Ho proposto una targa marmorea nominativa al porto di Giulianova. Durante la guerra in Africa Settentrionale (1940/1943), solo 4 giuliesi muoiono in combattimento, due a El Alamein e gli altri per malattia . In Albania, durante la guerra contro la Grecia (1940/1941), moriranno 5 in combattimento e 4 dopo l’8 settembre 1943 fucilati dai tedeschi. Nella Campagna di Grecia (1940/1941), due cadono in combattimento e 4 per mano tedesca dopo l’armistizio dell’8 settembre. Nella guerra al Regno di Jugoslavia cadono due giuliesi per mano dei partigiani titini, 3 in combattimento e uno per mano tedesca. In Germania, dopo l’8 settembre 1943, moriranno 9 nostri concittadini nei campi di prigionia IMI-Internati Militari Italiani (soldati del fronte balcanico), alcuni quasi alla fine del conflitto, 1945. In Austria, verranno ritrovati morti due giuliesi, entrambi lavoratori emigranti nella Germania di Hitler. In India morirà l’unico giuliese morto in un campo di prigionia inglese. Sul fronte interno, quello italiano, inizia la resa dei conti già dal settembre 1943. Alcuni giuliesi moriranno durante i bombardamenti aerei (da non confondere con i civili morti in città) e due militari di passaggio a Giulianova con le formazioni tedesche, vengono uccisi in combattimento. Uno verrà ucciso dai tedeschi a Giulianova (riconosciuto militare partigiano dopo la guerra). 4 aderenti alla RSI verranno uccisi dai partigiani in varie località italiane, uno di questi assassinato da mani ignote nella tarda primavera del 1945 a Bergamo. Negli anni successivi, tra il 1946 e il 1950, moriranno altri giuliesi per le gravi patologie riportate alla fine del conflitto. Vorrei ricordare, grazie alla segnalazione del prof. Elso Simone Serpentini, due ragazzi morti durante le fasi della liberazione della città, Ernesto Romani, 11anni e Pietro Scrivani, 18anni, entrambi investiti a Giulianova nel 1944 e 1945 da due camion anglo-americani (forse polacchi o inglesi). Per quest’ultimi due, dopo attenta verifica dei documenti, dedicherò una targa alla loro memoria. Riporto i numeri dei caduti per Arma: 7 caduti per l’aeronautica, 14 artiglieri, 1 aggregato alle formazioni tedesche, 7 autieri, 5 bersaglieri, 3 carabinieri, 28 fanteria, 1 GdF, 4 RSI, 37 marina, 3 mitraglieri, 4 operai militarizzati e 1 della sanità. Buon 25 aprile. Si ringrazia per il contributo e la collaborazione tutto il personale dell’Archivio di Stato di Teramo, in modo particolare Enrico Cannella, diretto dalla dott.ssa

Carmela Di Giovannantonio

. Alle famiglie che hanno perso questi figli dedico un pensiero personale per “Non Dimenticare”. Vi lascio con una frase di Cicerone: “la vita dei morti è riposta nel ricordo dei vivi”




Giulianova. Il legame del prof. Giorgio Diamantini con la città

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 43.
di Sandro Galantini*
La vicenda di Giorgio Diamantini era stata connotata da due guerre e da una determinante presenza nella sua vita dell’Abruzzo e in particolare di Giulianova.
Dopo la formazione all’Accademia di belle arti “P. Vannucci” di Perugia, la sua città, il 2 ottobre 1909 vince il concorso al posto di insegnante di disegno e ornato presso la Scuola industriale di Catanzaro allora diretta dall’ingegnere Vincenzo Rosati, originario di Ponzano di Civitella del Tronto.
Sarà, la loro, un’amicizia solida, destinata a durare nel tempo.
Durante la sua permanenza in terra calabra, Diamantini, che si affilia alla Loggia massonica di Catanzaro, dipinge nel 1910 “Visione di tristezza”, quadro con cui partecipa all’Esposizione internazionale di Roma del 1911. Nel 1912, su richiesta di Rosati, modella i decori della facciata della Scuola industriale di Catanzaro con il coinvolgimento di un altro amico del direttore civitellese, lo scultore Tommaso Illuminati di Atri. Si deve proprio a questo intreccio se Diamantini conosce una giovane atriana, Ester Cherubini, che sposerà nel 1913, anno in cui vince il concorso per la cattedra di materie artistiche nella Scuola di disegno industriale di Monteleone di Calabria, l’attuale Vibo Valentia.
Il trasferimento di Diamantini in Abruzzo, regione che ormai tanta parte ha nella sua vita, data al 1914, allorché giunge a Giulianova come direttore, il primo, della neonata Scuola professionale “R. Pagliaccetti”.
A Giulianova, dove Diamantini rimarrà sino al 1920 affrontando il difficile periodo della prima guerra mondiale, nascono i suoi due figli: il 14 agosto 1914 Paolo e, il 2 aprile 1917, Bruno.
Nel 1921 giunge un nuovo trasferimento: la nuova sede è Treia, in provincia di Macerata, per dirigere la locale Scuola operaia. Da Treia passa quindi nel 1923 a Macerata come direttore incaricato della Scuola di Tirocinio, di cui rimarrà direttore stabile nonché titolare della cattedra di disegno professionale e tecnologia vincendo il 9 agosto 1924 il relativo concorso.
D’ora in avanti Macerata rimarrà per Giorgio Diamantini, che forma molti futuri pittori e scultori ed è uno dei 53 partecipanti alla mostra artistica organizzata nel 1931 nella sala dei Notari di Perugia, la sua città ma non quella dei suoi figli. Infatti Paolo, dopo la maturità conseguita allo Scientifico “G. Galilei”, inizierà la carriera militare frequentando i corsi dell’Accademia di Artiglieria e Genio per venire nominato, il 1° ottobre 1935, sottotenente in servizio permanente ed effettivo. Ed anche l’altro figlio Bruno, dopo la laurea conseguita nel 1939 nell’ateneo maceratese, indosserà la divisa ma come ufficiale osservatore della Marina.
Con l’entrata in guerra dell’Italia, nel 1940, le vite di Giorgio e dei suoi figli prenderanno altre e in alcuni casi drammatiche direzioni.
Paolo, ufficiale in forza alla 37^ compagnia mista TRT, 2° reggimento Genio della divisione “Bari”, cadrà infatti eroicamente il 27 gennaio 1941 sul fronte greco, a Kurvelesh, meritando una medaglia di bronzo al valore alla memoria e l’inserimento del suo nome, a perenne ricordo, nel lapidario ai caduti tuttora presente nell’Accademia militare di Modena.
Bruno, più fortunato, uscirà indenne dal conflitto rimanendo in Marina, dove nel 1960 è capitano di corvetta.
Quanto a Giorgio Diamantini, autore nel 1942 per Le Monnier del libro La R. Scuola industriale di Macerata, egli concluderà i suoi giorni nella città marchigiana non più come docente bensì come membro, tra i più autorevoli, del locale Rotary Club.
* Storico e Giornalista



Giulianova. 1945/2020: un ricordo speciale per i ragazzi della Grande Polonia

Un ricordo speciale per i ragazzi della Grande Polonia.
In occasione del 75° anniversario della liberazione di Bologna, 21 aprile 1945, da parte del II Corpo d’Armata polacco, insieme alle unità alleate dell’8° Armata Britannica, della Divisione USA 91a e 34a, i gruppi di combattimento della Legnano, Friuli e Folgore e della brigata partigiana “Maiella”, vorrei ricordare i 26 ragazzi polacchi che si unirono in matrimonio a Giulianova.
Proprio in questi giorni doveva uscire il il film “L’Odissea polacca” realizzato dall’Istituto Pilecki di Varsavia e dedicato agli uomini del 2°Corpo polacco. Infatti, nella settimana dedicata alla festa della “Madonna dello Splendore” dovevamo ricordare il 2° Corpo d’Armato polacco nel 75° anniversario della fine della 2° Guerra Mondiale, ma per note vicende del virus Covid-19, abbiamo annullato tutto.
Era prevista una targa ricordo. Questi i nomi dei soldati sposati a Giulianova di cui racconteremo le loro storie prossimamente in collaborazione con il Comune di Giulianova:
1. Wawrynezak-Ostronwchi, 22anni, studente di Stabucko; 2. Biblis Emiliano, 25anni, studente di Lida (oggi città della Bielorussia; 3. Morycz Teodor, 44anni, elettricista di Svuvuf; 4. Jakubezyk Boleslau, 27anni, insegnante di Czyzowicy; 5. Jaszewski Alfonso, 31enne, pasticcere di Brusy; 6. Kaplanski Wladislaw, 38anni, dentista di Varsavia; 7. Strupczewski Janusz, 28anni, studente di Jekaterynoslao; 8. Kuchanny Edwino, 25anni, impiegato di Jazwiska e nativo di Opalenie; 9. Zadurowicz Vincenzo, 26anni, falegname di Kulaczkowce e nativo di Gwozdziec Maly; 10. Ereminowicz Policarpo, 31anni, possidente di Woroukowszczyzna; 11. Wegner Giovanni, 27anni, militare di Olszowa Plaski; 12. Werner Stanislao, 26anni, meccanico di Cuman e nativo di Bilka; 13. Wieczor Antonio, 28anni, agricoltore di Dubica; 14. Pastuszka Antonio, 23anni, studente di Rzeczniowie; 15. Zimzoz Giuseppe, 30anni, agricoltore di Bobolince; 16. Jarmel Valentino, 29anni, autista-meccanico di Szut; 17. Kocinuski Giovanni; 20anni, meccanico di Iwronie; 18. Koltowski Michele, 40anni, impiegato ferroviario di Reniow; 19. Lewandowski Zygmunt; 28anni, studente di Torun; 20. Retko Biagio Blazey, 31anni, studente di Chandznine; 21. Czermiak Waclaw, 41anni, meccanico di Maicow; 22. Prokopinth Michele, 31anni, macellaio di Kaluga (oggi Russia); 23. Kawinski Bruno; 40anni, falegname di Lammesten; 24. Lelow Giuseppe, 29anni, fornaio di Boryszaw e residente a Tetbury (Inghilterra); 25. Byh Simone (Szymon), 35anni, operaio di Gorniaki e 26. Morozek Eliszczynski Giuseppe, 40anni, decoratore – stuccatore, di Golcewo. Questi militari qui elencati si sposarono a Giulianova nelle parrocchie di San Flaviano e alla Natività di Maria SS. (alcuni con rito civile anche a Porto Recanati); i matrimoni furono celebrati da don Alberto Di Pietro, don Raffaele Baldassari, Don Celestino Colli e dal cappellano militare Ks. Leon Frankowski che aveva ricevuto l’autorizzazione dai vertici militari del 2° Corpo D’Armata Polacco in Italia o/e dal Procuratore della Repubblica di Teramo.
Nel 1939, nella “spartizione” della Polonia tra la Germania e la Russia, questi ragazzi finirono prigionieri nei campi di prigionia (gulag e campi di lavoro) sovietici. Nel 1941, dopo l’accordo di Stalin con gli alleati e il governo polacco in esilio, gli ex deportati in Unione Sovietica furono liberati per organizzare un esercito al comando del Generale Władysław Anders. Dalla Russia, attraversarono la Persia (Iran-Iraq), Palestina e Egitto, fino ad arrivare nel dicembre del 1943 in Italia. Insieme agli alleati si distinsero nella conquista di Montecassino, liberazione di Loreto e Ancona e lo sfondamento della Linea Gotica fino ad entrare vittoriosi a Bologna. Alla fine della guerra 1945/1946, furono smilitarizzati in Inghilterra, ma per loro non c’era posto nella nuova Polonia occupata dai sovietici: 4 coppie rimasero a Giulianova, alcune tornarono in Inghilterra e il resto emigrò in Brasile, Argentina e USA. Come accordi con il Comitato della festa della Madonna dello Splendore, speriamo nel 2021 di scoprire una targa in loro onore. Si ringrazia le 4 famiglie giuliesi per avermi concesso di visionare i loro album di famiglia.



Giulianova. Le mura antiche della città

di Ottavio Di Stanislao*
Che cos’è una “scoperta archivistica”? la tavola che riporto, trovata più di 15 anni fa richiamò subito la mia attenzione. Si tratta della pianta che rappresenta il perimetro delle antiche mura di Giulianova ed è una testimonianza unica. Tale documento consente di sciogliere i dubbi sulla conformazione delle mura di cinta di Giulianova, sui bastioni e sulle porte perché proprio la mancanza di documentazione grafica ed iconografica ha determinato imprecisioni e confusioni in vari autori, che hanno prodotto ricostruzioni ampiamente congetturali, come rilevò M. Bevilacqua nel pregevolissimo “Giulianova. La costruzione di una città ideale del rinascimento”, Napoli 2002. La tavola è inserita in un progetto redatto da due tecnici giuliesi dell’Ottocento, gli ingegneri Gaetano De Bartolomei e Gaetano De Maulo (che erano anche cognati), contenuto in un fascicolo dal titolo “Accomodo del pomerio esterno del Comune di Giulianova”. Siamo nel 1853, il Decurionato, come opera pubblica al fine principale di impiegare i disoccupati nella stagione invernale, decise di iniziare il riempimento del fossato, “il pomerio esterno” esterno alle mura. L’opera avrebbe consentito l’impiego di molte braccia prive di specializzazione in quanto lavoro consistente nel movimento di terra: “uomini con zappe e pale, donne con panieri”. Si realizzava però un’opera utile dal punto di vista igienico perché nel fossato ” una mala intesa abitudine suole ammonticchiare letami in danno della pubblica salute”. Ma era presente anche un’esigenza di pubblico decoro:”regolarizzare le così dette terraje e convertire così tali siti insalubri in piazze e comode passeggiate”.
Da questa “scoperta” prese le mosse un’indagine archivistica sistematica sulla città acquaviviana di cui diedi conto prima con un saggio pubblicato nel vol. 7 dei “Documenti dell’Abruzzo teramano”, Tercas 2007, poi nella monografia “Giulianova. Le modifiche ottocentesche alla città acquaviviana”, edita nel 2012 dalla Banca di Teramo grazie a quel grande mecenate che è stato Tonino Tancredi.
*Funzionario Archivista
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Giulianova. Lo stemma degli Acquaviva sui bastioni

Lo stemma acquaviviano era apposto sui bastioni e su Porta Marina. Purtroppo quelli dei bastioni sono andati perduti. L’ultimo, come si vede dalla foto dei primi anni del ‘900, e come ricordava Cerulli, “sparì” dalla Rocca negli anni confusi del secondo conflitto mondiale, quando il bastione fu capitozzato e restaurato privo della cinta merlata. Dello stemma di Porta Marina esiste però una minuziosa descrizione di Angelo Antonio De Bartolomei: “Sovrasta l’iscrizione lo stemma Acquaviva così formato: un leone sedente che in posizione verticale, al posto della criniera, si muta in un capitello di colonna sopra al quale mezzo drago alato solleva la sua testa. In prospetto scolpito in un sasso informe tondeggiante si vede il leone rampante degli Acquaviva senza alcun ornato. Il monumento ha sui fianchi due festoni di frutti e fiori.” Grazie a tale descrizione è possibile identificare lo stemma di Porta Marina con quello che oggi è sulla facciata di Casa Maria Immacolata.