Giulianova. 1945/2020: un ricordo speciale per i ragazzi della Grande Polonia

Un ricordo speciale per i ragazzi della Grande Polonia.
In occasione del 75° anniversario della liberazione di Bologna, 21 aprile 1945, da parte del II Corpo d’Armata polacco, insieme alle unità alleate dell’8° Armata Britannica, della Divisione USA 91a e 34a, i gruppi di combattimento della Legnano, Friuli e Folgore e della brigata partigiana “Maiella”, vorrei ricordare i 26 ragazzi polacchi che si unirono in matrimonio a Giulianova.
Proprio in questi giorni doveva uscire il il film “L’Odissea polacca” realizzato dall’Istituto Pilecki di Varsavia e dedicato agli uomini del 2°Corpo polacco. Infatti, nella settimana dedicata alla festa della “Madonna dello Splendore” dovevamo ricordare il 2° Corpo d’Armato polacco nel 75° anniversario della fine della 2° Guerra Mondiale, ma per note vicende del virus Covid-19, abbiamo annullato tutto.
Era prevista una targa ricordo. Questi i nomi dei soldati sposati a Giulianova di cui racconteremo le loro storie prossimamente in collaborazione con il Comune di Giulianova:
1. Wawrynezak-Ostronwchi, 22anni, studente di Stabucko; 2. Biblis Emiliano, 25anni, studente di Lida (oggi città della Bielorussia; 3. Morycz Teodor, 44anni, elettricista di Svuvuf; 4. Jakubezyk Boleslau, 27anni, insegnante di Czyzowicy; 5. Jaszewski Alfonso, 31enne, pasticcere di Brusy; 6. Kaplanski Wladislaw, 38anni, dentista di Varsavia; 7. Strupczewski Janusz, 28anni, studente di Jekaterynoslao; 8. Kuchanny Edwino, 25anni, impiegato di Jazwiska e nativo di Opalenie; 9. Zadurowicz Vincenzo, 26anni, falegname di Kulaczkowce e nativo di Gwozdziec Maly; 10. Ereminowicz Policarpo, 31anni, possidente di Woroukowszczyzna; 11. Wegner Giovanni, 27anni, militare di Olszowa Plaski; 12. Werner Stanislao, 26anni, meccanico di Cuman e nativo di Bilka; 13. Wieczor Antonio, 28anni, agricoltore di Dubica; 14. Pastuszka Antonio, 23anni, studente di Rzeczniowie; 15. Zimzoz Giuseppe, 30anni, agricoltore di Bobolince; 16. Jarmel Valentino, 29anni, autista-meccanico di Szut; 17. Kocinuski Giovanni; 20anni, meccanico di Iwronie; 18. Koltowski Michele, 40anni, impiegato ferroviario di Reniow; 19. Lewandowski Zygmunt; 28anni, studente di Torun; 20. Retko Biagio Blazey, 31anni, studente di Chandznine; 21. Czermiak Waclaw, 41anni, meccanico di Maicow; 22. Prokopinth Michele, 31anni, macellaio di Kaluga (oggi Russia); 23. Kawinski Bruno; 40anni, falegname di Lammesten; 24. Lelow Giuseppe, 29anni, fornaio di Boryszaw e residente a Tetbury (Inghilterra); 25. Byh Simone (Szymon), 35anni, operaio di Gorniaki e 26. Morozek Eliszczynski Giuseppe, 40anni, decoratore – stuccatore, di Golcewo. Questi militari qui elencati si sposarono a Giulianova nelle parrocchie di San Flaviano e alla Natività di Maria SS. (alcuni con rito civile anche a Porto Recanati); i matrimoni furono celebrati da don Alberto Di Pietro, don Raffaele Baldassari, Don Celestino Colli e dal cappellano militare Ks. Leon Frankowski che aveva ricevuto l’autorizzazione dai vertici militari del 2° Corpo D’Armata Polacco in Italia o/e dal Procuratore della Repubblica di Teramo.
Nel 1939, nella “spartizione” della Polonia tra la Germania e la Russia, questi ragazzi finirono prigionieri nei campi di prigionia (gulag e campi di lavoro) sovietici. Nel 1941, dopo l’accordo di Stalin con gli alleati e il governo polacco in esilio, gli ex deportati in Unione Sovietica furono liberati per organizzare un esercito al comando del Generale Władysław Anders. Dalla Russia, attraversarono la Persia (Iran-Iraq), Palestina e Egitto, fino ad arrivare nel dicembre del 1943 in Italia. Insieme agli alleati si distinsero nella conquista di Montecassino, liberazione di Loreto e Ancona e lo sfondamento della Linea Gotica fino ad entrare vittoriosi a Bologna. Alla fine della guerra 1945/1946, furono smilitarizzati in Inghilterra, ma per loro non c’era posto nella nuova Polonia occupata dai sovietici: 4 coppie rimasero a Giulianova, alcune tornarono in Inghilterra e il resto emigrò in Brasile, Argentina e USA. Come accordi con il Comitato della festa della Madonna dello Splendore, speriamo nel 2021 di scoprire una targa in loro onore. Si ringrazia le 4 famiglie giuliesi per avermi concesso di visionare i loro album di famiglia.



Giulianova. Le mura antiche della città

di Ottavio Di Stanislao*
Che cos’è una “scoperta archivistica”? la tavola che riporto, trovata più di 15 anni fa richiamò subito la mia attenzione. Si tratta della pianta che rappresenta il perimetro delle antiche mura di Giulianova ed è una testimonianza unica. Tale documento consente di sciogliere i dubbi sulla conformazione delle mura di cinta di Giulianova, sui bastioni e sulle porte perché proprio la mancanza di documentazione grafica ed iconografica ha determinato imprecisioni e confusioni in vari autori, che hanno prodotto ricostruzioni ampiamente congetturali, come rilevò M. Bevilacqua nel pregevolissimo “Giulianova. La costruzione di una città ideale del rinascimento”, Napoli 2002. La tavola è inserita in un progetto redatto da due tecnici giuliesi dell’Ottocento, gli ingegneri Gaetano De Bartolomei e Gaetano De Maulo (che erano anche cognati), contenuto in un fascicolo dal titolo “Accomodo del pomerio esterno del Comune di Giulianova”. Siamo nel 1853, il Decurionato, come opera pubblica al fine principale di impiegare i disoccupati nella stagione invernale, decise di iniziare il riempimento del fossato, “il pomerio esterno” esterno alle mura. L’opera avrebbe consentito l’impiego di molte braccia prive di specializzazione in quanto lavoro consistente nel movimento di terra: “uomini con zappe e pale, donne con panieri”. Si realizzava però un’opera utile dal punto di vista igienico perché nel fossato ” una mala intesa abitudine suole ammonticchiare letami in danno della pubblica salute”. Ma era presente anche un’esigenza di pubblico decoro:”regolarizzare le così dette terraje e convertire così tali siti insalubri in piazze e comode passeggiate”.
Da questa “scoperta” prese le mosse un’indagine archivistica sistematica sulla città acquaviviana di cui diedi conto prima con un saggio pubblicato nel vol. 7 dei “Documenti dell’Abruzzo teramano”, Tercas 2007, poi nella monografia “Giulianova. Le modifiche ottocentesche alla città acquaviviana”, edita nel 2012 dalla Banca di Teramo grazie a quel grande mecenate che è stato Tonino Tancredi.
*Funzionario Archivista
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Giulianova. Lo stemma degli Acquaviva sui bastioni

Lo stemma acquaviviano era apposto sui bastioni e su Porta Marina. Purtroppo quelli dei bastioni sono andati perduti. L’ultimo, come si vede dalla foto dei primi anni del ‘900, e come ricordava Cerulli, “sparì” dalla Rocca negli anni confusi del secondo conflitto mondiale, quando il bastione fu capitozzato e restaurato privo della cinta merlata. Dello stemma di Porta Marina esiste però una minuziosa descrizione di Angelo Antonio De Bartolomei: “Sovrasta l’iscrizione lo stemma Acquaviva così formato: un leone sedente che in posizione verticale, al posto della criniera, si muta in un capitello di colonna sopra al quale mezzo drago alato solleva la sua testa. In prospetto scolpito in un sasso informe tondeggiante si vede il leone rampante degli Acquaviva senza alcun ornato. Il monumento ha sui fianchi due festoni di frutti e fiori.” Grazie a tale descrizione è possibile identificare lo stemma di Porta Marina con quello che oggi è sulla facciata di Casa Maria Immacolata.



Giulianova. 1931, il nuovo tracciato della SS16 e il ponte sul Tordino

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 42.
di Sandro Galantini*
Nell’agosto 1931 iniziavano i lavori per la costruzione del nuovo ponte stradale sul fiume Tordino. Autore del progetto era Gilberto Ortensi, nato a Pratola Peligna il 4 febbraio 1903 e appartenente a cospicua famiglia del posto, valentissimo ingegnere in forza all’A.A.S.S., l’Azienda Autonoma Statale delle Strade nata nel 1928 per essere sostituita nel ’46 dall’attuale A.N.A.S. di cui proprio Ortensi, percorrendo le tappe di una brillante carriera, sarebbe divenuto nel novembre 1964 direttore generale.
Voluta da Mussolini come organismo agile ed efficiente, l’A.A.S.S. già nel 1929 presentava un piano di riordino e ricostruzione della malmessa rete viaria nazionale riguardante circa 6.000 km. di strade su un impegno finanziario di 180 milioni di lire annui. Nemmeno un anno dopo la struttura della viabilità principale risultava completamente definita. Per Giulianova, in particolare, l’A.A.S.S. aveva previsto la deviazione pedecollinare di un tratto dell’Adriatica, in base alla legge 1094 del 7 maggio 1928 elevata da strada provinciale a statale con l’assegnazione del numero 16.
Il nuovo tratto, per intenderci quello odierno compreso tra la caserma della Polizia stradale e l’incrocio con la Ss 80, sostituiva il vecchio che obbligava, in modo tortuoso, ad attraversare lo scomodo casello ferroviario (dove oggi è il sottopassaggio) percorrendo via Annunziata per raggiungere quindi il bivio attraverso il cavalcavia vicino alla chiesa di S. Maria a mare.
Insieme con il nuovo e più agile tracciato meridionale della Ss 16, l’Azienda aveva altresì voluto il nuovo ponte sul Tordino nell’ambito di un piano nazionale che prevedeva, qui come altrove, la restituzione alle FS, sulla prospettiva del raddoppio dei binari, dei viadotti ancora percorsi dalle strade parallelamente alla linea ferrata.
Entrambi gli interventi procedevano speditamente, tanto che nel 1932 il nuovo tratto della Ss 16 era già a buon punto e si stava addirittura predisponendo quanto necessario per la pavimentazione, non più ricorrendo al tradizionale macadam bensì per la prima volta al catrame.
L’ultimo atto di questo importante intervento sulla viabilità, di cui ancora oggi ci avvaliamo, era il ponte sul Tordino che, con le sue 14 arcate circolari, veniva ultimato il 20 aprile del 1933, dopo appena diciotto mesi dall’inizio dei lavori.



Giulianova. 75 anni fa il passaggio dei polacchi in città.

Questa foto dovevamo mostrarla in occasione di un convegno sul 2° Corpo d’Armata Polacco a Giulianova (1944/1945). Ringrazio la bibliotecaria e documentarista

Maria Lamberti

per l’omaggio librario e la storica, Anna Szukalska-Kus’ del Museo Narodowe w Poznaniu per la preziosa dedica. La foto di Giulianova, in formato gigante, è stata esposta nel 2019 in occasione del 100° centenario del corpo degli Ulani Poznanscy e della nascita della Grande Polonia. Stasera in tutti i balconi verrà accesa una candela in ricordo dell’entrata dei polacchi a Bologna.




Giulianova. 1896, quando i giuliesi si lamentarono dell’illuminazione di Controguerra

Pubblichiamo questo curioso documento storico ritrovato negli archivi del Comune di Controguerra dal ricercatore, Matteo Di Natale, di cui in tempi non sospetti abbiamo intuito la professionalità e la passione per la storia.
La redazione
di Matteo Di Natale*
Una storia chiama l’altra; nei giorni scorsi vi ho parlato dell’arrivo dell’illuminazione pubblica a Controguerra, constatando come su un argomento apparentemente “secondario” si potrebbe scrivere moltissimo.
Oggi, senza allontanarci troppo dalla tematica, voglio mostrarvi le sorprese che possono riservare in un archivio storico le carte “volanti”, ossia quel materiale che normalmente non veniva conservato ed è giunto sino a noi per pura fortuna.
In foto potete vedere un verbalino dell’11 ottobre 1896 redatto da Ottanzio Massetti, la guardia municipale di Controguerra dell’epoca. Il Massetti con questo scritto rappresentò al Sindaco le problematiche scaturite una notte dalla mancata accensione dei lampioni comunali, precisamente “dall’una alle tre”: i commercianti di Giulianova, che erano giunti al paese nottetempo per allestire il mercato, si erano infatti “lagnati” di questo inconveniente. Datosi che il mercato aveva una grande importanza sociale ed economica, la guardia pensò bene di portare a conoscenza del Sindaco il problema, al fine di far muovere un rimprovero verso il lampionaio o il gestore dell’appalto.
Trattandosi di un documento “sciolto”, non è detto che si riesca a ricostruire l’evoluzione della vicenda, ma anche un solo foglio come questo può regalarci una storia, può aprire uno scorcio verso un mondo passato, così distante – ma non troppo – dal nostro.
Ancora oggi a Controguerra sopravvive un mercato che in tempi normali si tiene ogni venerdì. Gli anziani del paese ricordano che quel mercato “c’è sempre stato”; esso è, infatti, molto antico! Domani ve ne parlerò…
* ricercatore storico
Nessuna descrizione della foto disponibile.



Giulianova. 1905, lo scandalo della saccarina nelle gassose della ditta Paolini

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 41.
di Sandro Galantini*
Nel 1906 Giulianova, suo malgrado, giunse alla ribalta nazionale per un episodio la cui portata nemmeno Leopoldo Paolini, che ne fu il primo protagonista, poteva immaginare.
Tutto prese avvio il 13 novembre 1905.
In quel giorno il brigadiere Giuseppe Mastroserio della Guardia di Finanza di Teramo, agli ordini del tenente Cesare Alinei, effettuò un controllo a Giulianova, nello stabilimento di gassose di Lepoldo Paolini. Da Ascoli Piceno era infatti partita una segnalazione relativa ad un quantitativo di saccarina che, formalmente destinato ad una donna giuliese, era stato in realtà consegnato al figlio di Leopoldo Paolini, Luigi, fabbricante di liquori.
Nato nel 1840 da Pasquale e Maria Garbuglia, Leopoldo Paolini, che commerciava anche in vini, era un imprenditore assai noto e stimato in città. Non solo nel 1888 aveva fatto parte, insieme con Francesco Ciafardoni, Domenico Trifoni ed altri, del Comitato promotore per la creazione di una Cantina sociale a Giulianova, ma era stato anche sindaco effettivo della locale Banca mutua popolare.
In effetti gli accertamenti avevano evidenziato presenza di saccarina in alcune bottiglie di gassosa. Per cui, a nulla valendo la giustificazione che non erano destinate al commercio bensì ad uso personale e che la saccarina gli era stata prescritta dal medico per ragioni di salute, Paolini era stato sanzionato non solo per l’adulterazione del prodotto ma anche e soprattutto, violando le leggi doganali, per contrabbando.
Poco tempo dopo quel verbale però il brigadiere Mastroserio era stato trasferito ad Ascoli e il tenente Alinei a Vieste, a comandare la locale tenenza.
Da quel che si vociferava, a volere l’allontanamento dei due era stato, d’intesa con l’intendente di Finanza di Teramo Italo Savoldelli Pedrocchi, addirittura il suzzarese Federico Barbieri, potentissimo direttore capo al ministero delle Finanze della 6^ Divisione, quella riguardante proprio il personale delle fiamme gialle.
Paolini, infatti, era cognato di una figlia di Barbieri e quest’ultimo spesso soggiornava nella stagione dei bagni in una casa dell’imprenditore giuliese, con il quale ovviamente i rapporti erano costanti e di grande cordialità.
Scoppiava così un vero e proprio “caso”. Dopo il giornale politico pisano “L’Elettrico”, che ne aveva fatto oggetto di sapidi commenti, era sceso in campo il deputato calabrese Bruno Larizza. Il quale dopo aver tenuto a Napoli, il 13 maggio 1906, un infuocato comizio a difesa della Guardia di Finanza, nella tornata parlamentare del 22 giugno seguente presentava un’interrogazione, rivolta al ministro delle Finanze Fausto Massimini da poco insediatosi, per conoscere i provvedimenti adottati o da prendere «circa il contrabbando di saccarina da anni tollerato a Giulianova».
Tuttavia l’inchiesta avviata da una apposita Commissione dopo l’interrogazione del parlamentare non aveva evidenziato pressioni da parte del Barbieri, che anzi pare fosse all’oscuro dell’episodio. E, come accertato, si doveva ad una normale rotazione degli incarichi, benché malauguratamente disposta proprio dopo il verbale a Paolini, il traferimento in Puglia del tenente Alinei.
Diverso invece il caso del brigadiere Mastroserio. Per lui l’intendente Savoldelli Pedrocchi aveva disposto il trasferimento trattandosi di sottufficiale ormai inviso nell’ambiente a causa del suo eccessivo zelo.
Per cui la Commissione, mettendo fine al “caso”, aveva rilevato con «sicura coscienza» che non v’era alcuna ragione per supporre che i trasferimenti fossero stati «ispirati da un motivo diverso» o per «illecite intromissioni».
*Storico e Giornalista



Giulianova. La famiglia Acquaviva, i cavalli e la “corsa dei barbari”

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 40.
di Sandro Galantini*
Come nel 1770 riconosceva Giamberardino Delfico, amministratore per conto del re dei beni dell’ormai estinto ceppo primigenio dei duchi d’Atri, la «razza di giumenta è stata antica della casa dei d’Atri Acquaviva» tanto che l’ultimo duca Rodolfo, nutrito della stessa passione degli avi, continuava ad allevare cavalli utilizzando gli spazi del giardino posto a valle del palazzo ducale di Giulianova, sin dal primo ‘500 ornato di piante di arance amare e in seguito di rare essenze floreali.
Motivo di prestigio in quanto univa status aristocratico e carattere guerriero, l’allevamento equino era stato praticato da Giulio Antonio, fondatore di Giulianova, ma più ancora da suo figlio Andrea Matteo III che dopo il 1481 aveva dato inizio ad una sistematica opera di miglioramento delle razze equine presenti nei domini pugliesi (dove si sarebbero affermati gli splendidi Murgese e Lipizzano) ma anche in quelli abruzzesi e a Caserta, feudo tenuto col titolo di conte.
Mecenate e letterato di vaglia, peritissimo nelle armi, straordinariamente versatile, Andrea Matteo III aveva persino scritto un’operetta, De equo, in cui dissertava sulla natura dei cavalli e sulle razze più adatte alla battaglia.
Il matrimonio celebrato nel 1498, per favorire il riallineamento con la corona spagnola, tra il figlio Giovanni Francesco e Dorotea Gonzaga dei conti di Sabbioneta, nipote della regina Isabella del Balzo, aveva messo in rapporto Andrea Matteo III con il marchese di Mantova Francesco II Gonzaga, considerato tra i migliori allevatori d’Europa di cavalli da tiro, da trasporto ma soprattutto da corsa e per tornei.
Non sorprende allora che, giocando astutamente le sue carte per assodare ancor di più i legami tra le due famiglie, il duca d’Atri e signore di Giulianova facesse dono al Gonzaga di alcuni suoi esemplari avvalendosi peraltro dei buoni uffici dell’atriano Giacomo Probi, dal 1496 segretario e stimatissimo consigliere del marchese di Mantova.
Era proprio il Probi a comunicare a Francesco II Gonzaga il 23 giugno 1518, seguendo di un mese o poco più un nuovo palio a Mantova in aggiunta alle tradizionali “corse dei barbari”, l’invio da parte di Andrea Matteo III, in dono, di quattro puledri. Si trattava, nello specifico, di un baio castano col marchio regale, di uno di cinque anni e di un altro chiaro. Il quarto era destinato a Federico, il giovane figlio del marchese di Mantova. Tuttavia i cavalli, avvertiva Giacomo Probi, stavano al momento a Giulianova e sarebbero giunti via terra essendo state avvistate lungo la costa adriatica «certe fuste di Turchi».
Il mondo equestre caro al duca d’Atri non può, a questo punto, che rimandare alla tradizionale “corsa dei barbari” che, al pari di Mantova e di altre realtà, si teneva a Giulianova in occasione dei festeggiamenti tributati alla Madonna dello Splendore. Culto, si sa, caro agli Acquaviva ed allo stesso Andrea Matteo III, tanto da disporre nel suo testamento del 4 novembre 1525 una somma di denaro a «benefitio de santa Maria delo Sbendore de Julia nova».
* Storico e Giornalista



Giulianova. Il Maestro Libero Canzanese e il corallo della famiglia Migliori

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 39.
di Sandro Galantini*
«In silenzio opera e compie sforzi senza piagnucolare sui contrasti. Rifugge gli onori, perché è del concetto che non l’uomo deve emergere ma la patria».
Questo, in rapide ma efficaci pennellate, il ritratto che il giornalista Francesco Manocchia consegnava di Liberato Canzanese, suo amico dai tempi della scuola, ai lettori de “Il Lido estivo”, il numero unico giuliese che aveva stampato il 6 agosto 1939.
In quell’anno Liberato Canzanese aveva attivato a Giulianova una lavorazione-scuola, diremmo oggi un corso professionale, dedicata al corallo, forte di una pluridecennale esperienza acquisita come dipendente dei Migliori.
Lavorando inizialmente con Ernesto, il primo a comprendere le grandi opportunità che il corallo poteva offrire all’espansione dell’arte orafa da egli appresa appena quattordicenne, poi con Cesare Migliori, il quale aveva fatto compiere alla ditta di famiglia fondata nel 1890 il salto di qualità sposando la livornese Gilda Lubrano, rampolla di una cospicua famiglia di corallari, Liberato Canzanese era divenuto in breve tempo un abilissimo tecnico e maestro apprezzato nella lavorazione del polipo marino.
Da “tagliatore”, lavoro assai complesso comportando uno studio attento nel calcolo del verso e della venatura del pezzo da tagliare per ottenere il maggior rendimento, era stato partecipe delle fortune della ditta Migliori venute a consolidarsi grazie alle scaltre relazioni commerciali con le Indie e soprattutto con il Giappone, che nel 1910 aveva rinvenuto intorno alle isole di Formosa, oggi Taywan, nuovi e larghi banchi coralliferi. Per cui dopo il 1910 per le collezioni di punta create nei laboratori Migliori di viale dello Splendore non si sarebbe utilizzato più il corallo livornese bensì il più raffinato “Rosa nipponico”.
Eppure era proprio Livorno la città in cui Liberato Canzanese, congedatosi da Giulianova e dai Migliori, si sarebbe trasferito impiantando una sua ditta operante nel settore dei coralli. E che l’ex tecnico sapesse il fatto suo, avendo anche appreso come trattare con le società di export australiane, nipponiche, cinesi e africane, lo indicano le 60.000 lire di reddito presunto in contestazione calcolato nel 1928 dagli organi tributari dell’epoca per l’imposta sui redditi di ricchezza mobile.
La significativa collocazione di Liberato Canzanese nel ceto imprenditoriale livornese si era ulteriormente rafforzata grazie al matrimonio tra la figlia Giliola e Gaetano Martignetti, appartenente ad una famiglia d’origine milanese che a Livorno aveva costruito le sue fortune come gioiellieri sin dai primi del ‘900. Era nata così, si direbbe ripercorrendo in parallelo la vicenda di Cesare Migliori, la ditta Canzanese-Martignetti i cui meravigliosi monili in corallo sono stati esposti nella bella mostra “Il corallo all’epoca di Modigliani. Lavorazione e commercio del corallo livornese nel Novecento” inaugurata nel Museo civico della città toscana lo scorso 21 gennaio.
* Storico e Giornalista



Giulianova. il porto giuliese e la ceramica di Castelli

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 37.
di Sandro Galantini*
Per secoli Giulianova aveva rappresentato per Castelli, vera capitale della ceramica, un riferimento privilegiato. Lo stesso signore della città, Giosia II Acquaviva d’Aragona, aveva suggellato il suo matrimonio con la cugina Margherita Caterina Ruffo, celebrato il 5 febbraio 1600, con un prezioso piatto (oggi al British Museum) che addirittura avviava la produzione castellana in pasta verde.
Se nel ‘500, avvalendosi dello “scaro” di Giulianova, i Robazza, mercanti di origine bergamasca, avevano assicurato le materie prime (piombo, stagno, terra bianca e zaffera) ai maiolicari castellani, questi ultimi dall’approdo giuliese facevano partire i loro raffinati e richiestissimi manufatti. Come nel
1608, anno in cui abbiamo notizia di un galeone del portoghese Michele Vaez che aveva imbarcato «certi vasi di creta lavorati» destinati a Napoli.
Nel corso del ‘700 gli imbarchi da Giulianova si fanno più frequenti. È forse da Giulianova che partono le maioliche castellane, datate 1740, destinate ad adornare il meraviglioso chiostro del monastero napoletano di S. Chiara. Certamente è dallo “scaro” cittadino che nel 1716 giungono a Castelli piombo, stagno e colore smeraldino trasportati da una nave di Senigallia ed è da qui che si imbarcano le ceramiche castellane per la fiera della città marittima marchigiana, dove nel 1742 rappresentano la parte più rilevante dei prodotti abruzzesi presenti. Non è un caso che più tardi, nel 1760, proprio a Senigallia alcuni castellani daranno vita ad una fabbrica di stoviglie e di terracotta.
Che fossero pielaghi o trabaccoli, oppure tartane, bagarozzi e paranze, in ogni caso erano numerosissime anche nella prima metà dell’Ottocento le imbarcazioni partite da Giulianova per Ancona, Senigallia ed altri porti della Penisola. Come Messina, Castellamare di Stabia, Livorno, Genova, Venezia e Trieste, dove nel 1833 giungono 5 barche con 500 ceste di maioliche.
Naturale, quindi, che a Giulianova, dovendosi provvedere alla sostituzione delle malridotte «rigiole» (cioè delle mattonelle in terracotta) che dal 1784 erano state usate per il rivestimento della cupola di San Flaviano, si pensasse a Castelli. Ma l’idea iniziale di usare mattonelle verniciate era stata accantonata sia per gli alti costi, sia perché si trattava di dare uniformità alla copertura esistente. Sicché nel 1838 si era optato per quelle in semplice terracotta. Per cui, come giustamente ha sostenuto

Ottavio Di Stanislao

nel suo recente libro (La chiesa di San Flaviano a Giulianova, 2016), viene il dubbio su quanto aveva scritto Vincenzo Bindi. E cioè che in origine la cupola di San Flaviano fosse tutta rivestita, con meraviglioso effetto ottico, di mattonelle a smalto di colore azzurro.

* Storico e Giornalista