Giulianova. Il maestro Giuseppe Tritapepe

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 36.
Sandro Galantini*
Il 3 giugno 1928, in occasione della festa dello Statuto, a Teramo si svolse la cerimonia del giuramento dei maestri e la consegna delle tessere dell’ Anif, l’ Associazione nazionale insegnanti fascisti, da parte del segretario provinciale Luigi Ramoni.
Nell’occasione il giuliese Giuseppe Tritapepe venne insignito della medaglia d’oro di benemerenza per gli otto lustri di servizio.
D’altronde il maestro giuliese, come evidenziavano le riviste nazionali “I diritti della scuola” e “La nuova scuola italiana” nel consegnare il resoconto della cerimonia svoltasi a Teramo, per 46 anni, con «ardore di apostolo», aveva dato «ai figli del popolo tutta la sua energia spirituale e il suo grande affetto per la Patria».
Nato a Giulianova il 18 agosto 1863 da Francesco, sarto, e da Anna Domenica Tavani, Giuseppe Tritapepe, su cui ha scritto

Donatella Stacchiotti

nel suo libro Scuola e maestri nella Giulianova dell’Ottocento, aveva conseguito l’abilitazione nel 1882 insegnando dapprima nella città nativa quindi a Colonnella. Primo maestro di Colleranesco nel 1886, anno d’istituzione della locale scuola, era stato poi spostato a Giulianova paese per dirigere quindi, dal 1910, la scuola della Borgata Marina rimanendovi sino al pensionamento, avvenuto proprio nel 1928.

Folta, sebbene modesta negli esiti, la sua produzione letteraria scritta. Dalle poesie (la prima reca la data 29 luglio 1901) alle biografie, iniziando da quella approntata nel 1908 su Settimio Costantini, ex sottosegretario di Stato all’Istruzione. Numerosissimi, poi, gli scritti d’occasione (auguri nuziali e ricordi commemorativi) nonché i dicorsi vari in parte inseriti nel suo volume Palpiti di patrio fervore all’Italica Terra, pubblicato nel 1931 a Giulianova dalla Premiata Arti Grafiche Braga.
Tritapepe, considerato non a torto lo storico insegnante della “Marina”, si sarebbe spento il 22 gennaio 1936 nella sua casa al civico 41 di via Nazario Sauro.
* Storico e Giornalista



Giulianova. Il matrimonio tra Margherita Migliori e l’ufficiale della Regia Marina, Francesco Spinozzi

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 35.
di Sandro Galantini*
«Infiniti e ricchissimi i doni, numerosi e fervidi gli auguri d’ogni parte d’Italia inneggianti alla unione di due fra le più ricche famiglie d’Abruzzo ed alla realizzazione del puro sogno d’amore fra anime elette». Così scriveva il “Corriere Italiano”, nell’edizione 20 febbraio 1924, dando notizia del matrimonio tra Margherita Migliori, giovanissima figlia del gioielliere giuliese Cesare, e del ventitreenne ufficiale di Marina Francesco Spinozzi, il cui omonimo padre, commerciante e proprietario teramano, spesso risiedeva nella bella villa realizzata un decennio prima alla “Marina” di Giulianova.
A dare la misura del peso economico e del prestigio di cui godevano le famiglie dei giovani sposi, soprattutto i Migliori, era la cerimonia nuziale che si era svolta a Roma, nella Cappella privata dell’influentissimo Vincenzo Vannutelli, vescovo di Palestrina e decano dei cardinali, il quale aveva impartito a Margherita e Francesco la benedizione apostolica.
Riferiva il giornale che per il matrimonio della sua prima figlia il commendatore Cesare Migliori aveva voluto offrire, come «imperituro ricordo», un pranzo «a parecchie centinaia di poveri» di Giulianova consegnando altresì a padre Nicola Baldini da Tortoreto, guardiano dei Cappuccini e custode del Santuario Maria Santissima dello Splendore, ben diecimila lire «da servire esclusivamente a tutto ciò che avrà lo scopo nobile di migliorare ed ampliare il fabbricato della Chiesa».
Ma il «lieto avvenire» augurato ai novelli sposi da padre Nicola da Tortoreto, e ribadito dal cardinale Vannutelli che il 24 settembre 1926 era stato ospite dei Migliori a Giulianova, sarebbe durato molto poco. A causa infatti di improvvisa malattia, Francesco Spinozzi alle ore 7.35 del 12 giugno 1927 spirava nell’ospedale di Giulianova in cui era stato ricoverato.
* dedico questo piccolo brano di storia alla cara memoria di Mimì Paolone, gentiluomo d’altri tempi, sempre prodigo di consigli, disponibile, generoso. Oggi è volato in cielo, dove è quiete e luce. Addio caro Mimì, sai che grande era il mio affetto per te, pari alla riconoscenza per tutti i sorrisi affettuosi che ogni volta mi riservavi.
* Storico e Giornalista



Giulianova. “L’Odissea Polacca” il film dell’Istituto Pilecki di Varsavia in onore del 2° Corpo d’Armato Polacco in Italia

Trailer del film “L’Odissea polacca” realizzato dall’Istituto Pilecki di Varsavia e dedicato agli uomini del 2°Corpo polacco.
Nella settimana dedicata alla festa della “Madonna dello Splendore” dovevamo ricordare il 2° Corpo d’Armato polacco nel 75° anniversario della fine della 2° Guerra Mondiale. Speriamo di riproporre quest’estate l’evento.
Questi i nomi dei soldati sposati a Giulianova di cui racconteremo le loro storie.

1. Wawrynezak-Ostronwchi Enrico;
2. Biblis Emiliano;
3. Morycz Teodor;
4. Jakubezyk Boleslau;
5. Jaszewski Alfonso;
6. Kaplanski Wladislaw;
7. Strupczewski Janusz;
8. Kuchanny Edwino;
9. Zadurowicz Vincenzo;
10. Ereminowicz Policarpo;
11. Wegner Giovanni;
12. Werner Stanislao;
13. Wieczor Antonio;
14. Pastuszka Antonio;
15. Zimzoz Giuseppe;
16. Jarmel Valentino;
17. Kocinuski Giovanni;
18. Koltowski Michele;
19. Lewandowski Zygmunt;
20. Retko Biagio Blazey;
21. Czermiak Waclaw;
22. Prokopinth Michele;
23. Kawinski Bruno;
24. Lelow Giuseppe;
25. Byh Simone (Szymon);
26. Morozek Eliszczynski Giuseppe;
Questi militari qui elencati si sposarono a Giulianova nelle parrocchie di San Flaviano e Natività di Maria SS. (alcuni con rito civile anche a Porto Recanati); i matrimoni furono celebrati da don Alberto Di Pietro, don Raffaele Baldassari, Don Celestino Colli e dal cappellano militare Ks. Leon Frankowski che aveva ricevuto l’autorizzazione dai vertici militari del 2° Corpo D’Armata Polacco in Italia o/e dal Procuratore della Repubblica di Teramo.



Giulianova. Anche il mare restituisce pezzi antichi

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 34.
di Sandro Galantini*
A parte il “tesoretto” monetale del 1941, l’ultimo rinvenimento in epoca fascista a Giulianova si era avuto nel 1932.
In quell’anno, mentre erano in corso di ultimazione i lavori per il nuovo tracciato in “variante” della SS 16 (per intenderci l’attuale tratto dell’Adriatica compreso tra la caserma della Polizia stradale e l’incrocio con la statale per Teramo), poco prima del cavalcavia per la chiesa dell’Annunziata vennero rinvenute, ad un metro circa di profondità, sei tombe romane alla cappuccina.
Non era comunque unicamente il sottosuolo a celare i segni del passato antico della città.
Il 4 settembre 1953, infatti, un articolo apparso su “Il Popolo di Roma” dava notizia del rinvenimento, da parte di un motopeschereccio nel tratto di mare davanti a Giulianova, di tre anfore «etrusche». Dalla Direzione Generale dei Beni artistici ed archeologici partiva quindi, il 15 dicembre seguente, una richiesta di informazioni che la Soprintendenza di Chieti, sei giorni dopo, a sua volta inoltrava al locale comando dei Carabinieri. Tuttavia l’Arma giuliese riferiva, con nota informativa del 13 gennaio 1954, come gli accertamenti esperiti non avessero dato alcun esito. Nello stesso atto i Carabinieri precisavano comunque che «il rinvenimento di anfore fittili è frequente da parte dei motopescherecci di Giulianova», lasciando intendere tra le righe come per i pescatori del luogo fosse consuetudine strappare reperti antichi al mare. Destinati, va da sé, ad ornare qualche collezione privata.
* Storico e Giornalista



Giulianova. Nel 1941 la scoperta del “tesoretto” giuliese

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 33.
di Sandro Galanti*
Giulianova, contrada Terravecchia, 1941. Ormai in clima bellico, durante i lavori su un’abitazione viene alla luce quello che a ragione verrà chiamato il “tesoretto” di Giulianova.
Celato in un muro, che lo aveva serbato per oltre cinque secoli, si presenta agli occhi stupiti degli operai un prezioso ripostiglio. Insieme con un ducato del primo periodo del Senato Romano, ci sono infatti ben 168 zecchini (o ducati) di Venezia che coprono un lungo lasso di tempo. L’esemplare più antico risale al tempo del doge Pietro Gradenigo (1289-1311); il più recente al periodo nel quale fu in carica il doge Antonio Venier (1382-1400), epoca cui può essere fatto risalire l’occultamento di questo autentico giacimento.
La scoperta monetale del 1941, la più importante avvenuta a Giulianova (a parte quella del 1829, allorché vennero rinvenute sempre a Terravecchia 1216 monete antiche in argento), faceva il paio con l’altra del 1907 e ambedue testimoniavano i vivaci flussi di scambi con Venezia, regina dell’Adriatico e protagonista di una politica di espansione anche sulla terraferma, nei quali era coinvolta la città medievale di Castel San Flaviano. È probabile che l’ignoto proprietario del “tesoretto” fosse proprio un mercante, uno dei tanti a risiedere nel nucleo urbano della città marittima e portuale di Castel San Flaviano.
* Storico e Giornalista



Giulianova. La scoperta delle gallerie giuliesi

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 32.
di Sandro Galantini*
Il rinvenimento, nel 1929, dell’ennesima iscrizione antica, aveva forse sollecitato alcuni giovani giuliesi ad effettuare una avventurosa ricognizione in una galleria che anni prima, creando curiosità in città, era stata scoperta da un operaio intento a scavare un pozzo nell’aia di una casa colonica sita lungo via XV Ottobre, l’attuale Gramsci, probabilmente nell’area a sud dell’odierno Istituto S. Volto tra le vie Mantegna e fratelli Bandiera, allora non urbanizzata.
Fosse per sincero interesse archeologico, oppure per semplice spirito di avventura con la prospettiva magari di rinvenire qualche “tesoro”, in ogni caso a primavera, reperita la somma necessaria e d’intesa con il proprietario del fondo, gli improvvisati speleologi avevano dato il via all’operazione sui cui esiti ragguagliava il 27 agosto 1929 “Il Messaggero”.
La galleria, come si legge nell’articolo, era posta ad 8 metri di profondità e venne percorsa per 40 metri a sud e 190 verso nord essendo impossibile proseguire oltre a causa di «due frane esistenti dopo le suddette distanze», si ipotizzava avvenute per il cedimento della volta. La galleria, di andamento «tortuoso» e con copertura preminente costituita da volta a botte ed in alcuni tratti da due conci di pietra di tufo «accostati e contrastantisi», aveva una larghezza di circa 80 centimetri ed un’altezza media di 2,40 metri. Il pavimento presentava un selciato regolare. Tra coloro che avevano effettuato l’avventurosa ricognizione, “Il Messaggero” segnalava in particolare un giovane di Città S. Angelo da appena un anno laureatosi in ingegneria a Bologna, Arturo Braga, figlio del giuliese Alfredo, e l’«industriale» Luigi Orsini, figlio di Tiberio. I quali pare avessero persino abbozzato un rudimentale rilievo.
Quel cunicolo, per il quale il giornale invocava l’intervento della Soprintendenza potendo «far scoprire chissà quali cose di valore archeologico e storico», aveva dato luogo all’opinione popolare di un fantasioso tracciato di fuga, ad uso dei duchi Acquaviva, che da Giulianova terminava al fiume Tordino o addirittura, secondo la versione ancora più leggendaria, passando sotto il fiume risaliva ad Atri.
In realtà doveva trattarsi di un tratto dell’adduttore idrico ipogeo, con tratti di camminamento per la manutenzione, che partendo dalla domus sub-urbana con cisterna nel giardino di Casa Maria Immacolata, raggiungeva l’area, romana prima medievale poi, nella zona dell’attuale cimitero. Dove, sulle pendici orientali, sino a qualche anno fa erano ancora visibili i resti di una piccola cisterna scivolata ormai a valle.
* Storico e Giornalista



Giulianova. 1907, l’eccezionale scoperta di 36 monete medievali

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 31.
di Sandro Galantini*
Nel 1907, giustificando in parte le storie popolari relative a favolosi tesori disseminati nei nostri territori, casualmente si scopriva a Giulianova un ripostiglio monetale di età medievale non particolarmente cospicuo però di una certa consistenza. Erano infatti 36, diligentemente repertati, i “pezzi” riportati alla luce. Si trattava di 4 ducati del Senato Romano, di 1 fiorino di Firenze, di 1 ducato di Luigi I d’Ungheria e soprattutto di ducati d’oro veneziani, tutti databili al XIV secolo. Di questi 1 era risalente al tempo del governo del doge Francesco Dandolo (1329-1339); 7 a quello di Andrea Dandolo (1343-1354); 3 a quello di Giovanni Dolfin (1356-1361); 2 a quello di Lorenzo Celsi (1361-1365); 1 a quello di Marco Corner (1365-1368); 12 a quello di Andrea Contarini (1368-1382); 1 a quello di Michele Morosini (1382) e 3 infine a quello del doge Antonio Venier (1382-1400).
Il tesoretto monetale evidenziava i rapporti commerciali e i traffici marittimi intercorrenti tra Castel San Flaviano, che si giovava ancora delle strutture portuali realizzate dai romani a Castrum Novum, e altri centri della Penisola.
* Storico e Giornalista



Giulianova. Niccolò Persichetti: “l’indifferenza da parte dei giuliesi nei confronti delle emergenze antiche”.

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 30.
di Sandro Galantini
Relativamente ai rinvenimenti archeologici a Giulianova, il XX secolo esordiva con la comunicazione del comasco Solone Ambrosoli, pubblicata nel 1900 nella rivista “Notizie degli scavi”, del casuale rinvenimento «nell’agro dell’antica Castrum Novum», non lontano dall’abitato, di un ripostiglio di monete romane in bronzo. Si trattava di un tesoretto di età repubblicana, costituito da 605 assi di Ostia (382 non erano però identificabili), riconducibile a varie famiglie romane.
Un paio di anni dopo era invece l’aquilano Niccolò Persichetti, appassionato archeologo e dal 1889 Ispettore per gli scavi e i monumenti del circondario di Cittaducale, a dare notizia nel “Bullettino” del Deutsches Archäologisches Institut di Roma di un altro casuale rinvenimento che indicava oltretutto la diffusa indifferenza da parte dei giuliesi nei confronti delle emergenze antiche.
Su un terreno comunale affittato a Giustino Pedicone, a destra della strada che conduceva in città provenendo da Teramo, «avendo quegli rinvenuto – scriveva il Persichetti – a circa 4 m. dalla detta strada, e ad un metro di profondità, un muro di antico edifizio, lo stava disfacendo per venderne poi il materiale».
* Storico e Giornalista



Giulianova. 1936, la sistemazione del cinema Braga

1936 Sistemazione cinema Braga. L’ottimo ing. De Annibale ne fece un vero gioiellino! Ecco la relazione, la pianta e due sezioni.



Giulianova. I reperti archeologici giuliesi ritrovati e scomparsi

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 29.
di Sandro Galantini*
Nel dicembre 1875, precedendo di poco la seconda venuta di Theodor Mommsen nel Teramano per una serie di ricognizioni nei siti di Hatria, Interamna e Castrum Novum, in un suo fondo a sud della chiesa dell’Annunziata, al lato dell’attuale ponte ferroviario sul Tordino, l’ingegnere Gaetano de Bartolomei riportava alla luce un frammento di collo di anfora recante la scritta C. IVLI MARCELLI ed un’antefissa rappresentante in bassorilievo un Genio che conduce una biga. Ciò che sollecitava però la sua maggiore attenzione era un recinto di grosse mura laterizie, intervallate da piccoli incavi architravati, con una lunga gradinata sotterranea formata da enormi mattoni. In tutto cinque rampe «discendenti entro terra, ritorcendosi ad angolo retto», per 38 gradini complessivi. La scoperta dei ruderi, riportata dal “Corriere Abruzzese”, aveva creato l’opinione popolare che il fabbricato fosse un luogo di pena o un trabocchetto. A detta del neretese Domenico de Guidobaldi, illustre archeologo e Ispettore agli scavi che ne dava comunicazione a Giuseppe Fiorelli, la struttura era invece un tempio riferibile, insieme con gli altri reperti, al periodo in cui Nerone aveva dedotto a Castrum Novum l’ultima colonia.
Nell’ottobre 1877 sempre Gaetano de Bartolomei rinveniva, nel corso dei lavori di dissodamento di un altro suo fondo a Terravecchia, grandi lastre quadrilunghe di travertino larghe 0,80 centimetri e lunghe circa 2,50 metri. In questo caso però era opinione del de Guidobaldi, il quale ne riferiva al Fiorelli con una nota del 29 marzo 1878 approntando anche uno scritto al riguardo pubblicato sul periodico napoletano “La Scienza e la Fede”, che si trattasse dei resti della distrutta chiesa medievale di San Flaviano.
Nel 1878, altra scoperta da parte del de Bartolomei. Ad emergere dalle profondità della terra, seppellita in un terreno comunale posto ad est dell’attuale cimitero comunale oltre l’odierna via Gramsci, era un’iscrizione latina larga 1,25 metri e alta 67 centimetri. Sarebbe stato, da quel che sappiamo, l’ultimo ritrovamento ottocentesco. Tuttavia di molti di quei reperti non si sarebbe avuta più traccia. Come scomparsi, o irrintracciabili, risultano quelle «reliquie di antichità» cui faceva cenno Gaetano Ciaffardoni nel suo libro Breve cenno di Castro e Giulia del 1861: dai due grandi stipiti di marmo giacenti sulle pareti nord-ovest del Duomo di San Flaviano all’iscrizione di L. Vettio «sistente nell’attual Convento de’ Cappuccini» al frammento «in cui leggesi L.Septimius Pracco» che al tempo si conservava in quello che era il «casino» dei Palma, l’attuale villa di Serafino Cerulli-Irelli.
* Storico e Giornalista
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Tu, Elso Simone Serpentini, Simone Gambacorta e altri 12
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