Giulianova. 1777, il debito del giuliese Vincenzo Tappatà e le due “paranze”.

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 16
Sandro Galantini*
Mare pericolosissimo l’Adriatico nel ‘700. Numerose, infatti, erano ancora le incursioni turche e barbaresche. E poi, come diceva Melchiorre Delfico nel 1784, il litorale aveva poco fondo. Per cui, a causa anche dei divieti per impedire il contrabbando, Delfico diceva che in tutto il litorale abruzzese fossero poche le barche da pesca «in Ortona, Giulia Nova, in S. Vito, in Pescara». E coloro che le possedevano, spesso le vendevano per lo più a marchigiani. Oppure le ipotecavano. Lo fece il 29 settembre 1777 il giuliese Vincenzo Tappatà per due sue paranze a favore di Pietro Amato Palestini, di San Benedetto del Tronto, su un corrispettivo di 200 ducati. La decisione si doveva ad un debito, per somma equivalente, che il giuliese aveva contratto ma mai saldato. Per cui con
«mandato reale e personale
della Regal Corte di Napoli» spedito ad istanza del Cassiere di Giulianova, l’insolvente Tappatà era stato imprigionato nelle «Reggie
Carceri di Teramo». A quel punto era intervenuto il Palestini “prestando” l’aiuto
finanziario per saldare il debito, dietro la stipula di puntuali «patti
e convenzioni da rispettarsi senza eccezione alcuna». Per tornare in libertà, il giuliese era stato quindi costretto
a ipotecare le “parti” a lui spettanti sopra un paio di paranze,
padroneggiate da paron Domenico Pilati di San Benedetto. Il tutto veniva perfezionato con una procura rilasciata a Giuseppe
Tanai.
Davanti al notaio Filippo Merlini, nella casa sanbenedettese di Palestini (con lui ovviamente presente), si erano dunque presentati Tanai e la
moglie di Tappatà, Donna Benedetta. Alla quale venivano consegnati
i 200 ducati «a rischio, pericolo e fortuna» del marito per saldare
il debito.
E affinché Palestini non dovesse «tenere ozioso il suo denaro, e correr rischio e pericolo della disgrazia, che Dio non voglia, delle Paranze e soccombere all’incontro, al peso dell’amministrazione di esse
senza onesto utile», Tanai, in virtù delle piene facoltà concessegli dal
mandato di procura, cedeva a Palestini le “parti” delle paranze spettanti a Tappatà, «in conformità dello stile che già si usa e non altrimenti», e costituendolo legittimo «Amministratore».
Infine Tanai prometteva e si obbligava, a nome di Tappatà, «di far
pescare le dette paranze in questo Stato Pontificio fin all’intiera
sodisfazione del credito di esso Palestini, e che tutti li danni, spese
ed interessi, che possono incedere a dette paranze debbono cader
sempre a danno di esso Tappatà, perché così per patto».
*Storico e Giornalista



Giulianova. 1866, Isacchi: “i giuliesi sono persone bigotte, disoneste e misere”.

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 15.
di Sandro Galantini*
I colportori, venditori ambulanti di Bibbie, libri e opuscoli evangelici, rivestirono un ruolo fondamentale nella diffusione delle denominazioni protestanti in Italia, percorrendo la penisola e preparando il terreno ai pastori ed evangelisti che avrebbero stabilito le nuove comunità. Nel settembre 1866 uno di essi, tal Isacchi, operò nella provincia di Teramo fornendo il quadro della situazione a Thomas Humble Bruce che sei anni prima era stato nominato agente della Società Biblica Britannica e Forestiera, il primo per tutto il nuovo Regno d’Italia.
Il contesto era molto difficile: forte, infatti, era la contestazione da parte dalla Chiesa cattolica che vedeva nella possibilità del contatto diretto con le sacre scritture un riemergere delle istanze della Riforma protestante.
A Giulianova Isacchi incontrò evidentemente una diffusa ostilità giacché annota: «le persone sono bigotte, disoneste e misere». Diverso invece è il contesto a Teramo, città nella quale vende molte bibbie e dove viene trattato con rispetto. Addirittura un ufficiale, avvicinatosi al suo banco e intrattenutosi a conversare, «espresse forte passione per il Gospel e disse che avrebbe raccomandato a tutti i suoi soldati di avvalersi dell’opportunità offerta di acquistare il Nuovo Testamento ad un prezzo così conveniente».
A Civitella del Tronto, invece, il 1 settembre accadde l’episodio più spiacevole. Il comandante della locale guarnigione della Guardia Nazionale aveva acquistato una Bibbia ma dopo due ore chiese di riprenderla indietro «perché il prete gli aveva detto che il libro era stato scomunicato». Poco dopo fece di nuovo ritorno e, «in preda alla disperazione», prese la Bibbia «e la ridusse in mille pezzi». Stessa sorte, riferii Isacchi, era toccata alle cinque Bibbie e agli otto Nuovi Testamenti che era riusciuto a vendere a Civitella. Tutti libri, scrisse con dispiacere, «distrutti dal prete».
A seguito di questo episodio Isacchi si recò dal prefetto di Teramo, l’emiliano Benedetto Maramotti, il quale dopo aver trasmesso un invito a comparire al prete e al comandante della Guardia Nazionale per garantire il rimborso della Bibbia distrutta, consegnò al colportore una lettera di raccomandazione per tutti i Delegati di PS della provincia ingiungendo di fornire a Isacchi «assistenza e protezione».
*Ringrazio Barbara Di Gioacchino per la traduzione dall’inglese della relazione, sinora mai pubblicata.
*Storico e Giornalista



Giulianova. 1904, l’eroico salvataggio di Paolo Carlier alla stazione ferroviaria.

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 14.
di Sandro Galantini *
È la mattina del 6 settembre 1904 e nella stazione di Giulianova, sul primo binario, è in partenza il treno per Ancona. Mentre il convoglio è già in movimento, Antonio Barone, contadino di Bisenti, tenta comunque di salire. Tuttavia la grossa bisaccia che ha sulle spalle gli intralcia i movimenti: incespica, sta quasi per cadere e riesce ad aggrapparsi al volo alla ringhiera della vettura situata al centro del convoglio. Sospeso tra due vagoni, viene quindi trascinato dal treno che sta acquistando velocità. Ad assistere a quella che si profila come una imminente tragedia è Paolo Carlier, capostazione di Giulianova. 43 anni, settentrionale, ottimo funzionario della Società Strade Ferrate Meridionali che gestiva allora la rete, Carlier era un uomo assai risoluto. L’anno prima, nel corso di un alterco, aveva denunciato senza indugio per oltraggio Attilio Buoni e suo fratello, commercianti giuliesi in “ferrarecce”. È un attimo: Carlier corre e afferra Barone per le spalle ma il bisentino continua a rimanere aggrappato al vagone sicché il capostazione viene trascinato per parecchi metri dal treno che ormai ha preso velocità. Sin quando, con un vigoroso strattone, Carlier riesce a far staccare l’incauto contadino ruzzolando per terra. Malconci ma salvi. Un gesto di grande coraggio, quello di Carlier, a cui il ministro dell’Interno conferirà il 14 maggio 1905, quando era capostazione a Teramo, l’attestato di pubblica benemerenza. Di qui a qualche anno Paolo Carlier, funzionario non più delle Meridionali ma delle Ferrovie dello Stato, gruppo nato il 1 luglio 1905 a seguito della statalizzazione delle linee ferroviarie italiane, sarebbe stato capostazione prima a Fiorenzuola d’Arda e poi a Seregno.
* Storico e Giornalista



Giulianova. I “Giulianovesi” e la rielezione di Carlo Acquaviva d’Aragona, conte di Castellana

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 13.

Di Sandro Galantini*

Carlo Acquaviva d’Aragona, conte di Castellana (titolo che amava ostentare benché spettasse al fratello primogenito Luigi, duca d’Atri), si ricandido’ come deputato di Giulianova alle elezioni politiche del 1865. Svoltesi il 22 ottobre, quando la capitale del Regno era stata da poco spostata da Torino a Firenze, egli raccolse 143 voti. Più rispetto ai concorrenti Nicola Pompizi (123 voti) e Domenico Savini (44), ma non sufficienti secondo la legge per venire eletto. Per cui il 29 ottobre seguente si fece luogo al ballottaggio. E in quell’occasione, con 379 votanti recatisi alle urne, Carlo Acquaviva vinse di misura: 199 i voti ottenuti rispetto ai 176 dell’avversario Pompizi. I risultati del ballottaggio, nonostante qualche voto annullato e un problema poi risolto riguardante la consegna per posta e non personale del verbale da parte del presidente di una sezione, vennero validati dal Parlamento nella tornata del 28 novembre. Da quel giorno, il conte di Castellana diveniva ad ogni effetto, e per la seconda volta, deputato del collegio di Giulianova nella IX legislatura per la Destra. «I Giulianovesi lo elessero perché la famiglia dei duchi d’Atri è la prima nella provincia, e difficilmente avrebbero trovato in paese un uomo migliore di lui». A scriverlo, nel suo “I 450 Deputati del presente e i Deputati dell’avvenire”, volume d’intonazione satirica pubblicato proprio alla fine del 1865, era Cletto Righi, pseudonimo anagrammato del milanese Carlo Righetti. Scrittore prolifico, giornalista di vaglia ma intemperante e anche politico seppur per breve tempo (deputato radicale nel 1867, si dimise qualche mese dopo l’elezione per le antipatie derivanti dal suo atteggiamento scontroso e a causa di uno scandalo), Carlo Righetti fu tra i massimi esponenti della Scapigliatura, che aveva preso nome dal suo romanzo più noto edito nel 1862 (La scapigliatura e il 6 febbraio).
Parlando ancora del riconfermato deputato, Righetti scriveva: «L’onorevole Acquaviva si fece benemerito nella sua città anche nella recente paura dell’invasione del colera. Provvide, istruì, persuase, cercò di scemare i danni dei pregiudizii e delle superstizioni». Ma accanto alla carezza, lo schiaffo. Ritenuto troppo ossequioso al principio d’autorità, l’Acquaviva inoltre – scriveva in conclusione – «non sappiamo che abbia fatta udire la sua voce nella passata legislatura e potremmo metter pegno che non la farà udire mai neppure nella presente». Insomma, un nullafacente. Non era vero. Almeno non completamente. In ogni caso Carlo Acquaviva, perso il seggio nel 1876, sarebbe stato poi nominato senatore nel 1890, due anni prima della morte. Carlo Righetti invece, caduto in miseria per la sua vita dissoluta, e dopo aver rinnegato nel 1902 tutto ciò che di anticristiano era presente nelle sue opere, avrebbe concluso i suoi giorni terreni, isolato e povero, il 3 novembre 1906 a Milano.

*Storico e Giornalista

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Giulianova. Il “Doppio Arancio” della famiglia “Orsini”

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 12.

di Sandro Galantini*

I liquori della Ditta Orsini di Giulianova erano noti ed apprezzati ovunque. Sin da quando Erminio, figlio del barbiere pescarese Gennaro e di Teresa Quaglietta, dal 1848 gestiva un frequentato caffè sul Corso e nel retrobottega, utilizzando cortecce di arance e varie ‘droghe’, aveva ottenuto un liquore finissimo e di gradevole aroma: il Doppio arancio. Quel distillato era il principale ma non l’unico tra i liquori prodotti poi dal suo Stabilimento ubicato al pianterreno del palazzo omonimo nei pressi del Belvedere, innalzato nei primi anni settanta dell’Ottocento. Certamente però il Doppio arancio avrebbe fatto lungamente echeggiare, in Italia e fuori, il nome della ditta giuliese, fruttando numerosi riconoscimenti. Medaglia di bronzo a Chieti nel 1880; nel 1884 oro nella mostra di Napoli e bronzo a Torino; diplomi d’onore nelle mostre di Anversa del 1885 e di Parigi del 1886; medaglia d’argento a Teramo nel 1888 e di bronzo a Roma nello stesso anno. Ma per Giulio e Tiberio Orsini, figli dell’ormai defunto Erminio, il riconoscimento più ambito era giunto nel 1889, con il brevetto che consentiva alla casa giuliese il privilegio di potersi fregiare del simbolo araldico dei Savoia in quanto fornitori della Real Casa. Sicché non sorprende che, dopo i successi raccolti nella Fiera Colombiana di Chicago del 1893 e nell’Esposizione Universale di St. Louis del 1903, il Doppio arancio fosse stato scelto insieme con il Corfinio Barattucci per l’elitario pranzo (appena 48 coperti) imbandito nella Prefettura di Chieti da Cesarino Lizza il 12 giugno 1905, in occasione della venuta di re Vittorio Emanuele III con la consorte Elena di Montenegro. Riferiva il periodico locale “Lo Svegliarino” di una tavola raffinatissima, con un favoloso servizio in argento (posate, vassoi, zuppiere, insalatiere), e di un ricco menù. Il banchetto regale, «servito splendidamente», durò oltre un’ora mentre una folla immensa «aspettava sotto il palazzo della Prefettura che i Sovrani si ripresentassero di nuovo alla loro ammirazione».

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Giulianova. Calcio: 1938, il derby con il Teramo e l’ordine pubblico.

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 11.

di Sandro Galantini*

Nel 1937 la società calcistica Castrum-Giulianova, che proprio in quell’anno aveva visto sistemare ed ampliare lo stadio cittadino grazie ad interventi per 30.000 lire disposti dal podestà Alfonso De Santis, si era iscritta al Campionato nazionale di 1^ divisione Abruzzo-Marche-Dalmazia 1937-1938. Otto erano le squadre partecipanti tra le quali, per l’Abruzzo, oltre a quella giuliese, il Pescara e l’Interamnia-Teramo.
Proprio con i “cugini” del Teramo era stato fissato per le ore 14.30 del 23 gennaio 1938, nella sesta giornata di campionato, l’atteso derby. E che la partita potesse costituire problemi di ordine pubblico, a causa dell’accesa rivalità già allora esistente tra le due tifoserie, lo dimostrano i documenti d’archivio. Le disposizioni impartite il 21 gennaio precedente dal reggente la Questura di Teramo sono assai indicative. Per scongiurare possibili scontri, considerato appunto il «grande antagonismo che regna fra le due squadre e tenuto presente che moltissimi sportivi di Giulianova si recheranno a Teramo per assistere alla partita», la Questura disponeva il rafforzamento del dispositivo per l’ordine pubblico con 20 carabinieri, 10 agenti di PS e altrettante guardie municipali a disposizione del funzionario di Polizia. La partita, arbitrata dall’anconetano Leone, andò male per i giuliesi, che persero per 1 a 0 con goal di Berti al 25′. Per la cronaca il Castrum aveva schierato Novelli, Mancinelli, Farinelli, Di Teodoro, Dicovi, Paolini, Setti, Morselli, Bottaro, Marini e Di Berardino.
Proprio a causa del risultato, anche per l’amichevole tra le due squadre che doveva tenersi al Comunale di Teramo il 23 marzo seguente, la Questura dispose lo stesso contingente di uomini per il servizio d’ordine pubblico. In quel caso però la partita si chiuse con un pareggio (1-1), con goal di Crescini su rigore e l’altro di Di Teodoro pure su rigore.

(Testi e immagini da: Il calcio a Giulianova dalle origini al 1960. Storia Eventi Personaggi, a cura di Sandro Galantini. Testi di Cesare Marcello Conte, Walter De Berardinis, Sandro Galantini, Pescara, Paolo De Siena Editore, 2004).

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Giulianova. Dalla cittadina giuliese l’idea del contenimento della caccia

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 10.

di Sandro Galantini*

8 febbraio 1892. In quel giorno da Giulianova partiva una proposta mirante ad aumentare il costo della licenza di caccia per favorire il ripopolamento dei «graziosi selvatici». La missiva, che seguiva la richiesta avanzata da alcuni cacciatori di Como di abolire le reti, veniva pubblicata su “Caccia e tiri”, periodico milanese su caccia con cani, armi e tiro a volo ideato nel 1886 dal marchese Ferdinando Delor de Ferrabouc, tra le maggiori figure della cinofilia nel nostro Paese nonché fondatore l’anno prima del Kennel Club Italiano di cui la rivista era l’organo ufficiale. La proposta di provenienza giuliese si inseriva in un articolato dibattito che coinvolgeva allora le numerosissime associazioni venatorie in vista del loro secondo congresso nazionale che si sarebbe tenuto a Genova nell’ottobre di quell’anno. Chi erano i firmatari della proposta partita da Giulianova? Si trattava di appassionati tiratori per gran parte espressione delle classi agiate. Lo erano certamente i Trifoni: Serafino, ricco bachicoltore vincitore nel 1888 della medaglia d’oro a Teramo per l’allevamento bovino e insignito all’Aquila della menzione d’onore per cereali e formaggio. Suo nipote Giustino, nonché Domenico, prozio di Serafino, dovizioso proprietario terriero e nel 1881 sindaco facente funzioni di Giulianova con il figlio di questi Bonaventura. Serafino e Domenico Trifoni, va aggiunto, nelle gare di tiro al piccione organizzate a Giulianova nel novembre 1888 si erano piazzati rispettivamente al 2° e al 3 °posto. Noti erano anche Nicola De Dominicis, segretario comunale di Tortoreto e figlio di Livio, già decurione borbonico a Giulianova, nonché i teramani Leopoldo Paris, ispettore di Dogana a Giulianova, e Gaetano Pirocchi, tra i fondatori della banca mutua popolare e più volte assessore nel capoluogo aprutino. C’erano poi Apollo Caravelli, assessore comunale, Cesare e Giulio Di Michele, Ferdinando Falini, Giovanni Brodolini, Divinangelo Zanni, Giuseppe Pedicone e Francesco Rossi. Un gruppo di appassionati chi più chi meno in rapporto con la Società di tiro nazionale e il Club provinciale cacciatori di Teramo: la prima nata nel 1866 (benché fondata ufficialmente nell’aprile 1890 con presidente Attilio Corti) e il secondo esistente dal marzo 1888 sotto la presidenza di Troiano De Filippis Delfico. Di qui a non molto, nel giugno 1901, a Giulianova sarebbe sorta per volontà di Giulio Federici l’associazione Sport Ciclisti e Cacciatori. Alfonso Trifoni, Giulio Di Michele, Francesco Pedicone e Giovanni Albani come consiglieri; Cesare Marà, Bartolomeo Cichetti e Luigi Crocetti nel ruolo di controllori.

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Giulianova. Emma Druetti, soprano e attrice

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 9.

di Sandro Galantini*

Una di origini settentrionali. L’altra siciliana, nata una decina d’anni prima. Cosa unisce Maria Roasio, di cui s’è detto (FRAMMENTI – 4), ad Emma Druetti?
Il talento, indubbiamente. Furono ambedue molto note. Roasio come diva del cinema muto. Druetti (sulla quale nel 2017 Cesare Marcello Conte ha pubblicato una preziosa ricerca) come soprano lirico ed anche attrice di films importanti.

La sua voce:

Ma il punto in comune è che furono giuliesi acquisite.
La Druetti, nata a Siracusa il 22 settembre 1888, si forma a Roma, diplomandosi nel 1906 soprano lirico all’Accademia di S. Cecilia. Già nel 1907, esordendo al teatro Carlo Felice di Genova, interpreta il personaggio principale nella Lorelay di Catalano. Inizia quindi una intensa attività. Nello stesso anno è al Massimo di Palermo; nel 1908 viene scritturata al San Carlo di Napoli (anche per le stagioni 1909-1910) e il 5 novembre di quell’anno è a Bologna nella Wally diretta da Vittorio Landini. Nel 1909 prima uscita all’estero: l’11 agosto ad Ostenda tiene un concerto diretto da Leon Rinskopf. Il 7 settembre seguente è all’hotel Milan di Brunate con Virgilio Bellatti e Gennaro De Tura accompagnata al pianoforte da Ruggero Leoncavallo. Dal 25 dicembre al 22 gennaio 1911 è impegnata a Parma nella stagione d’opera al Regio, raccogliendo giudizi entusiasti dalla rivista “Le Menestrel”. Analoghe espressioni gratificanti riceverà nel 1912 dalle riviste “Ars et Labor”, “Il teatro illustrato” e “Le Théâtre” per l’Adalgisa nella Norma andata in scena alla Scala di Milano, città nella quale il 1 luglio incide due canzoni (la Wally e La Tosca: vissi d’arte) per la Società italiana di fonotipia. Nel frattempo il 5 maggio ha sposato Giovanni Spinozzi, driver teramano ma spesso a Giulianova dove il padre Francesco nei primi anni Dieci ha costruito una splendida villa, su progetto del noto architetto Vincenzo Pilotti, nell’attuale via Ravenna. Dopo una lunga parentesi di inattività, la Druetti torna a calcare le scene: nel novembre 1933 è al Lauro Rossi di Macerata con Aldo Oneto nel Mefistofele diretto da Giuseppe Morelli. Singolare è, il 28 settembre 1937 con atti firmati a Giulianova ma registrati il 4 ottobre seguente a S. Benedetto del Tronto, la cessione a suo favore da parte del marito di due brevetti: uno per l’inversione di un giunto a squadre per collegamenti di travi cavi con pilastri, l’altro relativo ad un dispositivo per il collegamento solidale di ogni materia in forma di tavole, lastre o ramiere poste a distanza. Ormai in pieno clima bellico, Emma Druetti svolta verso il cinema. Nel 1943 è una delle attrici del film All’ombra della gloria, per la regia di Pino Mercanti. Girato nella sua Sicilia, verrà distribuito solo nel 1945. Nel ’48 prende parte al film Ladri di biciclette che, con regia e produzione di Vittorio De Sica, vincerà l’Oscar. Nel 1950 recita in Domani è troppo tardi con lo stesso De Sica, Anna Maria Pietrangeli e Lauro Gazzola. Del 1951 è Febbre di vivere di Claudio Gora e quindi, nel 1953, La signora senza camelie di Michelangelo Antonioni, con Lucia Bose’, Gino Cervi e Andrea Cecchi. Sarà il suo ultimo film. Con la morte, nel 1962, del marito, Emma Druetti si traferisce da Roma a Giulianova dove concluderà la sua impegnata e steaordinaria esistenza terrena nel 1977. Qualche anno prima di Maria Roasio.

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Giulianova. La situazione sociale nel 1935 attraverso i dati dell’Ing. Giuseppe Iannetti.

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 8.

di Sandro Galantini*

Giulianova, ottobre 1935. Nella sua premessa al Piano regolatore, storicamente il primo della città, l’ingegner Giuseppe Iannetti forniva dati e cifre che davano la misura del vigoroso sviluppo di Giulianova in oltre un decennio. Gli abitanti, per iniziare, tra il 1921 e il 1931 erano passati da 8.518 a 10.007: 3.103 nella città alta (dove erano 2.515), 3.338 alla Marina (da 2.496) e 3.516 nella campagna (erano 3.507). Nel 1931, allorché si registrava un apprezzabile incremento naturale (nati 284, morti 132), si erano avuti 340 immigrati e 445 emigrati; nel 1934, con un incremento naturale di 166 persone (97 morti, 263 nati), gli immigrati erano stati 443 e gli emigrati 332 (-111). Oltre ciò, a dare misura della crescita erano le cifre tratte dai ruoli di alcune tasse. Quella sulle industrie e patenti indicava un’attività imprenditoriale in forte ascesa: dalle 10.366 lire del 1920 alle 34.683 del 1934. Il gettito di imposta sulla ricchezza mobile, sempre tra il 1920 e il ’34, era passato da 33.784 a 169.048 lire. I proventi dell’imposta di consumo dalle 226.618 lire del 1926 erano aumentati a 370.000 nel 1934. Logico, quindi, che la città si fosse infittita di nuovi edifici come indica il gettito relativo all’imposta dei fabbricati: 22.399 lire nel 1920; 166.147 lire nel 1935. Tuttavia esistevano ancora aree, poche diceva Iannetti, nelle quali insistevano abitazioni «appollaiate in strettissimo spazio, basse ed in istato deplorevolissimo in fatto di stabilità ed igiene». Si trattava, aggiungeva, di casette vecchie e inabitabili «che non possono essere demolite, perché incompatibili con la necessità di aria e di luce di cui risentono le vicine case nuove o ricostruite, o comunque messe in grado di buona stabilità».

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Giulianova. La terribile carestia del 1817

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 7.

di Sandro Galantini*

1815, 1816, 1817. Furono tre anni terribili. Uno peggio dell’altro per i giuliesi. Si iniziò nel 1815 con una grandinata che devasto’ ogni raccolto anche perché avvenne ad agosto. E nel 1816, anno bisestile, andò ancora peggio. L’apparizione di una cometa, insolitamente grande, fu considerata un pessimo auspicio dal teramano Pietro Marcozzi. Egli, morto poi nel 1840 e considerato tra i primi verseggiatori abruzzesi, nell’occasione scrisse un sonetto dialettale grondante di preoccupazione. E non aveva torto. La mancanza di grano come di ogni altro cereale, e persino delle erbe spontanee, stava riducendo alla fame la popolazione. Per cui, scriveva appunto nel 1816 il sindaco di Giulianova Egidio Bucci, contadini e popolani si trovavano «nell’ estremo bisogno ed i miserabili prezzano poco le leggi e si dedicano per vivere ai furti». Il momento peggiore si ebbe quindi nell’anno della fame, il 1817. A gennaio, a causa della carestia, i morti furono 63, saliti rapidamente a 123 il mese dopo. A maggio erano 226. Fu una strage. In totale i morti di fame a Giulianova furono 770, pari al 27,85% della popolazione, che allora ammontava a 2765 abitanti. Molti i mendicanti morti sulle strade e non confortati da alcun sacramento. E moltissime le donne, adulte (come Maria Castelli, 29enne) o fanciulle (Francesca Foschini di 12 anni). A causa della mancanza di camposanti, i corpi venivano tumulati nelle chiese. Quella di S. Maria a mare o dell’Annunziata era così piena che in quell’anno si decise di scoperchiare il tetto per fare evaporare il fetore dei cadaveri.

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