Giulianova. Emma Druetti, soprano e attrice

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 9.

di Sandro Galantini*

Una di origini settentrionali. L’altra siciliana, nata una decina d’anni prima. Cosa unisce Maria Roasio, di cui s’è detto (FRAMMENTI – 4), ad Emma Druetti?
Il talento, indubbiamente. Furono ambedue molto note. Roasio come diva del cinema muto. Druetti (sulla quale nel 2017 Cesare Marcello Conte ha pubblicato una preziosa ricerca) come soprano lirico ed anche attrice di films importanti.

La sua voce:

Ma il punto in comune è che furono giuliesi acquisite.
La Druetti, nata a Siracusa il 22 settembre 1888, si forma a Roma, diplomandosi nel 1906 soprano lirico all’Accademia di S. Cecilia. Già nel 1907, esordendo al teatro Carlo Felice di Genova, interpreta il personaggio principale nella Lorelay di Catalano. Inizia quindi una intensa attività. Nello stesso anno è al Massimo di Palermo; nel 1908 viene scritturata al San Carlo di Napoli (anche per le stagioni 1909-1910) e il 5 novembre di quell’anno è a Bologna nella Wally diretta da Vittorio Landini. Nel 1909 prima uscita all’estero: l’11 agosto ad Ostenda tiene un concerto diretto da Leon Rinskopf. Il 7 settembre seguente è all’hotel Milan di Brunate con Virgilio Bellatti e Gennaro De Tura accompagnata al pianoforte da Ruggero Leoncavallo. Dal 25 dicembre al 22 gennaio 1911 è impegnata a Parma nella stagione d’opera al Regio, raccogliendo giudizi entusiasti dalla rivista “Le Menestrel”. Analoghe espressioni gratificanti riceverà nel 1912 dalle riviste “Ars et Labor”, “Il teatro illustrato” e “Le Théâtre” per l’Adalgisa nella Norma andata in scena alla Scala di Milano, città nella quale il 1 luglio incide due canzoni (la Wally e La Tosca: vissi d’arte) per la Società italiana di fonotipia. Nel frattempo il 5 maggio ha sposato Giovanni Spinozzi, driver teramano ma spesso a Giulianova dove il padre Francesco nei primi anni Dieci ha costruito una splendida villa, su progetto del noto architetto Vincenzo Pilotti, nell’attuale via Ravenna. Dopo una lunga parentesi di inattività, la Druetti torna a calcare le scene: nel novembre 1933 è al Lauro Rossi di Macerata con Aldo Oneto nel Mefistofele diretto da Giuseppe Morelli. Singolare è, il 28 settembre 1937 con atti firmati a Giulianova ma registrati il 4 ottobre seguente a S. Benedetto del Tronto, la cessione a suo favore da parte del marito di due brevetti: uno per l’inversione di un giunto a squadre per collegamenti di travi cavi con pilastri, l’altro relativo ad un dispositivo per il collegamento solidale di ogni materia in forma di tavole, lastre o ramiere poste a distanza. Ormai in pieno clima bellico, Emma Druetti svolta verso il cinema. Nel 1943 è una delle attrici del film All’ombra della gloria, per la regia di Pino Mercanti. Girato nella sua Sicilia, verrà distribuito solo nel 1945. Nel ’48 prende parte al film Ladri di biciclette che, con regia e produzione di Vittorio De Sica, vincerà l’Oscar. Nel 1950 recita in Domani è troppo tardi con lo stesso De Sica, Anna Maria Pietrangeli e Lauro Gazzola. Del 1951 è Febbre di vivere di Claudio Gora e quindi, nel 1953, La signora senza camelie di Michelangelo Antonioni, con Lucia Bose’, Gino Cervi e Andrea Cecchi. Sarà il suo ultimo film. Con la morte, nel 1962, del marito, Emma Druetti si traferisce da Roma a Giulianova dove concluderà la sua impegnata e steaordinaria esistenza terrena nel 1977. Qualche anno prima di Maria Roasio.

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Giulianova. La situazione sociale nel 1935 attraverso i dati dell’Ing. Giuseppe Iannetti.

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 8.

di Sandro Galantini*

Giulianova, ottobre 1935. Nella sua premessa al Piano regolatore, storicamente il primo della città, l’ingegner Giuseppe Iannetti forniva dati e cifre che davano la misura del vigoroso sviluppo di Giulianova in oltre un decennio. Gli abitanti, per iniziare, tra il 1921 e il 1931 erano passati da 8.518 a 10.007: 3.103 nella città alta (dove erano 2.515), 3.338 alla Marina (da 2.496) e 3.516 nella campagna (erano 3.507). Nel 1931, allorché si registrava un apprezzabile incremento naturale (nati 284, morti 132), si erano avuti 340 immigrati e 445 emigrati; nel 1934, con un incremento naturale di 166 persone (97 morti, 263 nati), gli immigrati erano stati 443 e gli emigrati 332 (-111). Oltre ciò, a dare misura della crescita erano le cifre tratte dai ruoli di alcune tasse. Quella sulle industrie e patenti indicava un’attività imprenditoriale in forte ascesa: dalle 10.366 lire del 1920 alle 34.683 del 1934. Il gettito di imposta sulla ricchezza mobile, sempre tra il 1920 e il ’34, era passato da 33.784 a 169.048 lire. I proventi dell’imposta di consumo dalle 226.618 lire del 1926 erano aumentati a 370.000 nel 1934. Logico, quindi, che la città si fosse infittita di nuovi edifici come indica il gettito relativo all’imposta dei fabbricati: 22.399 lire nel 1920; 166.147 lire nel 1935. Tuttavia esistevano ancora aree, poche diceva Iannetti, nelle quali insistevano abitazioni «appollaiate in strettissimo spazio, basse ed in istato deplorevolissimo in fatto di stabilità ed igiene». Si trattava, aggiungeva, di casette vecchie e inabitabili «che non possono essere demolite, perché incompatibili con la necessità di aria e di luce di cui risentono le vicine case nuove o ricostruite, o comunque messe in grado di buona stabilità».

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Giulianova. La terribile carestia del 1817

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 7.

di Sandro Galantini*

1815, 1816, 1817. Furono tre anni terribili. Uno peggio dell’altro per i giuliesi. Si iniziò nel 1815 con una grandinata che devasto’ ogni raccolto anche perché avvenne ad agosto. E nel 1816, anno bisestile, andò ancora peggio. L’apparizione di una cometa, insolitamente grande, fu considerata un pessimo auspicio dal teramano Pietro Marcozzi. Egli, morto poi nel 1840 e considerato tra i primi verseggiatori abruzzesi, nell’occasione scrisse un sonetto dialettale grondante di preoccupazione. E non aveva torto. La mancanza di grano come di ogni altro cereale, e persino delle erbe spontanee, stava riducendo alla fame la popolazione. Per cui, scriveva appunto nel 1816 il sindaco di Giulianova Egidio Bucci, contadini e popolani si trovavano «nell’ estremo bisogno ed i miserabili prezzano poco le leggi e si dedicano per vivere ai furti». Il momento peggiore si ebbe quindi nell’anno della fame, il 1817. A gennaio, a causa della carestia, i morti furono 63, saliti rapidamente a 123 il mese dopo. A maggio erano 226. Fu una strage. In totale i morti di fame a Giulianova furono 770, pari al 27,85% della popolazione, che allora ammontava a 2765 abitanti. Molti i mendicanti morti sulle strade e non confortati da alcun sacramento. E moltissime le donne, adulte (come Maria Castelli, 29enne) o fanciulle (Francesca Foschini di 12 anni). A causa della mancanza di camposanti, i corpi venivano tumulati nelle chiese. Quella di S. Maria a mare o dell’Annunziata era così piena che in quell’anno si decise di scoperchiare il tetto per fare evaporare il fetore dei cadaveri.

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Giulianova. Il ‘700 giuliese con Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 6

di Sandro Galantini*

Per Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona, 15° duca d’Atri e conte di Giulianova dove era nato il 20 maggio 1663, i primi anni del ‘700 furono gratificanti e al tempo stesso drammatici. Infuriava infatti la guerra di successione spagnola ed egli, letterato raffinato ma anche avvezzo alle armi, si era schierato decisamente a favore di Filippo V ricevendone nel 1701 l’incarico di Tenente generale nel Regno di Napoli per gli Abruzzi e nel 1702, direttamente dalle sue mani, il prestigioso Toson d’Oro. Ma accanto agli onori anche gli oneri. E così proprio come Tenente generale era dovuto intervenire all’Aquila dopo che la città, il 2 febbraio 1703, era stata squassata dal terremoto. Giorni intensi per lui, e pieni di preoccupazioni dopo che il marchese di Vasto Cesare Michelangelo d’Avalos, esponente dell’ala più intransigentemente filoaustriaca dell’alta nobiltà regnicola, aveva tentato con ogni mezzo, ma inutilmente, di guadagnarlo alla sua causa. «Invece di impiegare l’opera sua al vil mestiere di seduttore, pensasse ad emulare la gloria dei suoi antenati», aveva risposto Giangirolamo rifiutando le offerte del marchese d’Avalos. Per cui quest’ultimo, sentitosi offeso, prima di esulare a Schönbrunn aveva messo in atto una serie di azioni contro Giulianova, la città in cui il duca Giangirolamo era solito risiedere nei mesi invernali e sino a primavera inoltrata. Era infatti dal suo palazzo ducale giuliese che il 2 maggio 1703 aveva firmato l’assenso a Bernardo Massicci di Tortoreto per l’assegnazione dotale di un terreno a sua figlia in quanto terreno feudale. E il 12 maggio seguente sempre da Giulianova aveva investito Francesco Maria de Petris del feudo di Valviano. Ma ormai in piena estate, nell’agosto 1703, i giuliesi trovarono insudiciate porte e muraglie cittadine di un «untume giallo». Fu il panico. Subito si pensò infatti, come riportano i documenti del tempo, che il marchese di Vasto disponesse di una legione di “untori” i quali, «disseminando ovunque la peste manufatta», miravano a trasformare l’intero Abruzzo, e la stessa Giulianova, in un cimitero.

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Giulianova. Maria Roasio, una diva del cinema muto.

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 4.

di Sandro Galantini*

Bella, brava e affascinante. Ma soprattutto una diva del cinema muto. Era Maria Roasio, moglie di Vincenzo Trifoni (1901-1985), uno dei sei figli di Giustino e ricco possidente terriero di Colleranesco che a partire dal 1927 avrebbe dato vita col socio Domenico Catitti ad una florida azienda agricola in Libia.
Maria Roasio, di famiglia piemontese ma nata a Nizza (secondo i repertori a Milano), era stata attratta giovanissima dalla cinematografia mettendosi in luce nella parte di Onoria nel film Attila, uscito nel 1918 per la casa produttrice torinese Ambrosio e diretto da Febo Mauri. Da quel momento la Roasio sarebbe stata la diva di punta del produttore Arturo Ambrosio, interpretando numerosissimi film. Ben cinque le pellicole l’anno seguente, terminata ormai la guerra: da Champagne Caprice, per la regia di Achille Consalvi, a La Gibigianna. Da La Cantoniera n. 13 a Zavorra umana a Cuor di ferro e d’oro, diretto da Luigi Maggi. Intenso per lei anche l’anno 1920 con ben quattro film: La farfalla della morte, Terra, Gens nova e Sillabe ardenti per la regia di Eugenio Testa. Con Angeli e demoni del 1921 Roasio torna alla regia di Luigi Maggi mentre con Mara West, film uscito nello stesso anno e distribuito dall’olandese J.S. Croeze, viene diretta da Alexsandr Rosenfeld. Con il drammatico La Rondine, del 1922 (stroncato dalla rivista “La vita cinematografica”), la Roasio sperimenta la regia di Gabriellino D’Annunzio, figlio del Vate e della duchessa Maria Hardouin di Gallese, proprio lui che molti anni prima, il 25 luglio 1912, era venuto a Giulianova come relatore alla festa intellettuale organizzata allo stabilimento balneare Venere. Pure al 1922, anno in cui Maria Roasio tenta ma senza fortuna la via della produzione creando la società Star Film, risalgono Manolita e Il castello dei gufi per la regia di Max Sullian. Il trittico di Bonnard, Il palazzo dei sogni, con il ritorno di Alexsandr Rosenfeld alla regia, e Notte di tempesta sono i film che la impegnano nel 1923. I tempi sono ormai maturi per rispolverare l’ambizioso progetto di una casa cinematografica. E così Maria Roasio nel 1924 produce, con lei interprete e Luigi Maggi alla regia, Bambola vivente. Ambientato a Roma tra Castel S. Angelo e Trinità dei Monti, Bambola vivente (restaurato non a caso dalla Cineteca Nazionale) precorre il cinema di fantascienza in Italia e ispirerà nel 1949 quello inglese. Il film, con la partecipazione degli attori Augusto Poggioli, Umberto Scalpellini e Dillo Lombardi, doveva peraltro inaugurare una serie “Maria Roasio” ma l’impresa non ebbe seguito. Tramontato il suo sogno di produttrice, Maria Roasio parteciperà da protagonista al suo ultimo film, tuttavia ritirato dalla distribuzione. Si tratta de I rifiuti del Tevere del 1927, il cui titolo era tratto da una rubrica del giornale Il Tevere riservato alla criminalità romana. Con il declino del cinema muto, Maria Roasio scomparirà dalle scene. Morirà nel 1982. Da quell’anno riposa in pace nella cappella gentilizia dei Trifoni, nel cimitero di Giulianova.

*Storico e Giornalista

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Giulianova. La triste avventura dei giuliesi in Brasile

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 3.

di Sandro Galantini*

La Gazzetta Ufficiale del 28 febbraio 1902, recava il rapporto sugli italiani deceduti nel quarto trimestre 1901 fornito dal viceconsolato d’Italia di Santos, la città portuale nello Stato di San Paolo più importante del Brasile e di tutta l’America Latina. Tre i giuliesi morti a causa dell’epidemia di febbre gialla che vi infuriava: Giulio Bompadre, 23 anni; Elisa Cataldi, di 1 anno; Splendore Cimadamore, 67enne. Quei tre sfortunati nostri concittadini erano parte dei 537.784 emigrati italiani in Brasile tra il 1894 e il 1903 per essere impiegati nella coltivazione del caffè. Una speciale convenzione stipulata dallo Stato di San Paolo consentiva il trasporto gratuito degli emigrati che si rivolgevano pertanto alle numerosissime agenzie delle compagnie di navigazione (nel 1895 erano 37 rappresentate da 7169 subagenti). Per mettere ordine alla situazione, nel 1901 venne emanata un’apposita legge dando vita al contempo al Commissariato per l’emigrazione e creando oltretutto un fondo formato dalle tasse sulle tariffe delle compagnie di emigrazione. Tuttavia, come avvertiva il periodico giuliese “Il Fuoco” esortando i nostri concittadini ad evitare imbarchi per il Brasile, nel 1902 lo Stato di San Paolo sospese le licenze speciali spingendo il governo italiano a proibire l’emigrazione con il Decreto Prinetti del 1902.

*Storico e Giornalista

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Giulianova. «Evviva Giulianova incantevole spiaggia». Così scriveva il 10 agosto 1933 Vittoria Fogolari a Toldo

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 2.

di Sandro Galantini*

«Evviva Giulianova incantevole spiaggia». Così scriveva il 10 agosto 1933 Vittoria Fogolari a Toldo elogiando con la città anche Giulio Federici, gestore dell’hotel Kursaal proprio in quell’anno. Ormai terminate le vacanze, e appagata dal successo per la sua mostra di quadri, la pittrice, scrittrice e sodale della Società Italiana per il progresso delle Scienze, doveva far ritorno alle domestiche sue latitudini.
Nata il 10 dicembre 1879 a Rovereto (Trento), Vittoria Fogolari a Toldo era cugina di secondo grado di Cesare Battisti, della cui madre rievocava il nome. Sposatasi nel 1907 con Francesco Weinzierl, probabilmente un funzionario ferroviario austriaco, era stata sfollata a Innsbruck e a Lienz durante la Prima guerra mondiale, luoghi dai quali scriveva spesso al fratello, occupato come soldato sul fronte galiziano. Molto legata alla nobiltà della famiglia e alla parentela con Cesare Battisti, insieme col fratello fece apporre il 25 aprile 1924 una lapide sulla casa Fogolari in corso Vittorio Emanuele III (attuale corso A. Bettini 44) a Rovereto. Nel primo dopoguerra aveva collaborato con la rivista “L’arciere” e con l’Associazione di cultura letteraria e scientifica di Genova, fondata nel 1930. Prese parte a numerose mostre: a Innsbruck, a Vienna, a Castel Sant’Angelo a Roma, alle Sindacali della Venezia Tridentina, al Concorso per le opere d’arte sulla guerra. Tra le sue opere si ricordano: “Autunno tardo”, “Preghiera presso il capitello di Castel Dante”, “Sulle Dolomiti”. Dipinse prevalentemente paesaggi montani, in parte esposti proprio nella mostra allestita al Kursaal nel 1933, in relazione alla quale dette alle stampe anche un catalogo. Riuscì ad esporre a manifestazioni nazionali e internazionali e divenne famosa soprattutto per il dipinto “Il Quadrante della Vittoria, del Sacrificio e della Gloria”, che servì alla raccolta fondi “pro erigenda Torre della Campana dei Caduti di Rovereto” e che fu riprodotto anche in medaglie d’argento, bronzo e oro. Morì il 17 maggio 1959 e fu sepolta nel cimitero di S. Marco a Rovereto.

  • Storico e Giornalista
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Giulianova. Il progetto di Livio Crocetti su Via dello Stabilimento (oggi Nazario Sauro)

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI.

di Sandro Galantini*

Ecco il progetto del nuovo edificio, destinato ad abitazione al piano superiore e con magazzini in quello inferiore, che Biagio D’Egidio intendeva realizzare nell’allora Via dello Stabilimento, oggi Nazario Sauro. La domanda per ottenere il permesso di costruzione è del 23 gennaio 1929, su progetto approntato da Livio Crocetti. Figlio dell’imprenditore Luigi, Livio era nato a Giulianova il 3 agosto 1894 e, conseguita a Roma la laurea in ingegneria mineraria, dal 1926 collaborava con il padre nello Studio di progettazione Crocetti, specializzato in villini balneari e lottizzazioni. A seguito della morte del padre, avvenuta nel 1932, Livio si trasferirà in Toscana con la moglie Dora Bencinanni, sua coetanea (era infatti nata il 12 marzo 1894) e dal 1926 docente in materie letterarie al liceo “Delfico” di Teramo. Ma di lui torneremo a parlare più ampiamente.

*storico e giornalista

 

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Giulianova. La cura, l’attenzione, l’assistenza. Storia dell’Istituto “Castorani”, ultima fatica editoriale dello storico Sandro Galantini

Sarà presentato venerdì 6 dicembre, alle ore 17.30 nella chiesa di San Rocco posta all’interno del complesso “Castorani” di Giulianova Alta, il nuovo libro dello storico Sandro Galantini dal titolo: La cura, l’attenzione, l’assistenza. Storia dell’Istituto “Castorani” (Artemia Nova editrice).

Il Castorani negli anni ’60

La presentazione, moderata dal giornalista Rai Antimo Amore, sarà preceduta dai saluti del sindaco Jwan Costantini e del presidente dell’ASP 2 Teramo Roberto Prosperi che ha fortemente voluto e sostenuto la pubblicazione del volume.
IL VOLUME

Il libro edito da Artemia Nova Editrice

Ricorrendo ad uno stile sobrio ed essenziale, Galantini ripercorre la vicenda plurisecolare dell’importante istituzione cittadina, sorta a fine Ottocento ma le cui radici affondano in tempi remoti legandosi indissolubilmente all’ospedale di S. Rocco, erede dell’ hospitium presente sin dal XII secolo nel centro medioevale di Castel San Flaviano quindi ricollocato nella Giulianova rinascimentale edificata per volontà di Giulio Antonio Acquaviva nel 1470.

Sandro Galantini, autore e storico di Giulianova

Struttura di riferimento per i pellegrini diretti soprattutto al santuario mariano di Loreto, l’ospedale di San Rocco si connota dunque come luogo di accoglienza e di assistenza anche spirituale: non casuale è infatti la compresenza, nella originaria struttura che appare nei documenti sin dal 1526, dell’omonima chiesa, la seconda per importanza in città dopo quella di San Flaviano e dotata di apposite sepolture per i viandanti.

Il Castorani oggi

Alla chiesa e all’ospedale di San Rocco, ristrutturato nel 1867, si uniscono, nei decenni successivi all’Unità d’Italia, un asilo infantile, giuridicamente eretto il 10 gennaio 1869 ma entrato in funzione il 1° maggio 1871 sotto la gestione delle Figlie della Carità di S. Vincenzo de’ Paoli, e quindi, nel 1873, un Convitto-educandato per fanciulle, egualmente sotto la direzione delle suore Vincenziane.
L’orfanotrofio “Castorani”, così chiamato per via di un cospicuo lascito effettuato dal giuliese Flaviano Castorani, fa invece la sua comparsa nel 1886 andando ad integrare l’asilo e il Convitto-educandato.
Le successive vicende del “Castorani” si svolgono in parallelo con gli interventi legislativi sugli istituti di pubblica beneficenza, a partire dalla legge del 1890. Nel 1930 il “Castorani” veniva eretto in Ente morale e nel 1940 si inauguravano le scuole medie “Edmondo De Amicis”.
Due svolte epocali si hanno dapprima, nel dicembre 1960, con la nascita degli Istituti Riuniti di Ricovero di Giulianova come conseguenza dell’accorpamento amministrativo dell’Opera Pia Orfanotrofio Femminile “Castorani” e dell’Asilo infantile “Edmondo De Amicis”, e quindi con la legge 8 novembre 2000 n. 328, che inserisce le ex I.P.A.B. nella rete dei servizi sul territorio favorendone la trasformazione in Aziende di Servizi alla Persona (ASP).



Giulianova. Riportato a nuova luce il manifesto ufficiale dell’inaugurazione al monumento a Vittorio Emanuele II

Il cimelio è stato recuperato a spese del Sindaco Costantini per donarlo
nuovamente alla città

Durante l’ultimo sopralluogo al cantiere della Pinacoteca Civica di Palazzo
Bindi, in occasione della visita della Soprintendenza archeologia, belle
arti e paesaggio dell’Abruzzo, il Direttore t.s. del Polo Museale Civico
Sirio Maria Pomante ha segnalato al Sindaco Jwan Costantini, lo stato
precario in cui versava, ormai da tempo, il manifesto ufficiale
dell’inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele II avvenuta il 15
agosto 1894 e realizzato dallo scultore giuliese Raffaello Pagliaccetti
(1839-1900), illustre esponente della scultura italiana
dell’Ottocento. Il primo cittadino si è mobilitato immediatamente per
far tornare a nuova vita il cimelio storico a sue spese, e posizionarlo,
all’interno di una preziosa cornice, nella Sala Consigliare del Comune, al
posto delle due teche che contengono le onorificenze di Pagliaccetti e le
medaglie vinte dallo scultore, donate all’ente comunale dalla vedova, e
attualmente ricoverate all’interno della Biblioteca civica e della futura
Pinacoteca, per una più adeguata conservazione. La storia del manifesto è
strettamente legata a quella dell’evoluzione travagliata del celebre
monumento di piazza della Libertà, e la sua inaugurazione rappresentò per
la comunità giuliese e del Meridione un evento di portata nazionale, dato
che Giulianova fu la prima città di quello che fu il regno di Napoli, ad
essere visitata dal Re d’Italia il 15 ottobre del 1860.

“Ho voluto personalmente contribuire a riportare alla luce un documento
storico importante per la città, che rischiava di essere irrimediabilmente
perduto – dichiara il Sindaco Costantini – e riservagli un posto d’onore
all’interno della Sala Consigliare a disposizione di tutti i cittadini e
delle tante scolaresche che, dal mese di novembre, avranno la preziosa
possibilità di visionarlo”.