GIULIANOVA. IL BASTIONE DI SAN FRANCESCO E L’ANGOLO SUD-OVEST DELLE MURA
di Ottavio Di Stanislao*
All’angolo sud-ovest esisteva il bastione chiamato di S.Francesco, come il rione dove era ubicato, attiguo all’omonimo convento cui alla fine del ‘700 risultava inglobato. Con la soppressione del convento, sancita dalle leggi napoleoniche del 1808, i locali furono destinati a pubbliche funzioni (scuola, gendarmeria, giudicato di pace, ricevitoria dei demani e, di fatto, in quattro stanze vi si insediò anche il comune). Il torrione per un lungo periodo fu compreso fra i locali adibiti ad abitazione del giudice regio insieme ad alcune stanze a piano terra dell’immobile. Nel 1833 fu preso in considerazione dal consigliere provinciale Angelo Antonio De Bartolomei per destinarlo a carcere circondariale e, per dimostrarne la compatibilità, fece disegnare la planimetria allegata (unica rappresentazione grafica esistente). Come si legge il diametro interno era di 23 palmi (circa sei metri), ed era collegato all’orto che poteva adibirsi a spazio (sbaglio) per l’ora d’aria per i detenuti. Nel 1868 il bastione fu oggetto di un’asta pubblica e dato a censo per un canone annuo di 40 lire.
L’anno successivo l’aggiudicatario, Giovanni Trifoni, chiese la cessione di un’area adiacente per realizzarvi un’abitazione ma il Consiglio non acconsentì. Il Trifoni realizzò il suo intento circa dieci anni dopo, perché ancora nel 1878 il bastione era esistente, citato in una delibera consigliare, mentre non è più rappresentato nella planimetria catastale del 1881-82, che al suo posto, all’angolo sud-ovest, riporta la sagoma della civile abitazione evidentemente da poco costruita dal Trifoni.
Nel 1855 fu creata una nuova apertura, nei pressi del bastione di S. Francesco, per favorire la ventilazione nel rione in un periodo in cui imperversava una epidemia di colera. Circa un anno dopo il sindaco Livio De Dominicis rilevava che però si era creato un pericoloso dislivello con il sottostante fossato che occorreva colmare anche per poter usare l’apertura come passo carrabile. Ma i lavori di ricoltamento del fossato e di livellazione si protrarranno per molto tempo. Nell’altra planimetria, del 1861, si vede indicata con la lettera A “La porta del paese detta di S. Francesco” e con la lettera C “Torrione detto Bianco”. La cartolina (proveniente dalla ricchissima collezione di Jonata Di Pietro) mostra la Via delle fiere, costruita sul riempimento del fossato ad ovest delle mura e al centro il torrione “il Bianco”.
* direttore dell’Archivio di Stato di Teramo
GIULIANOVA. IL BASTIONE RITROVATO
di Ottavio Di Stanislao*
Sul lato ovest delle mura, a circa 60 metri a sud dalla Rocca, c’è il bastione che nel corso dell’Ottocento era denominato “il Mozzone”. Di tale bastione si era persa memoria, non più rappresentato nella cartografia ufficiale novecentesca. I resti, due metri circa di altezza, con ampi tratti rifatti, per un diametro interno di cinque metri, sono visibili in fondo al viottolo a sinistra della casa della vedova di Enea Chiavaroli su via del Popolo. Il nome lascerebbe intendere che doveva essere ridotto nelle dimensioni rispetto agli altri a seguito di danneggiamento o deterioramento, anche se non era stato mai interessato dai restauri effettuati in vari tratti della cinta muraria nel corso dell’Ottocento.
Nella pianta del 1861, indicato con la lettera M e colorato di azzurro, fu richiesto e concesso a Giuseppe Lallone. Ciò suscitò la protesta di Massimiliano Colantoni, “impiegato telegrafico ritirato in Giulianova” che sosteneva di averlo posseduto da tempo immemorabile “… e siccome in esso vi erano dei grandi buchi, dove ascendevano e discendevano persone, così l’oratore si determinò fare offerta di censimento fin dal 1852 (…) coll’obbligo di rifabbricare (…)”. Ma tale proposta non era stata presa in considerazione.
Le foto dei resti del bastione visti dall’interno e dall’esterno sono del mio grande amico Francesco Trifoni che colgo l’occasione per ringraziare per la sua “assistenza” in questa e in tante altre occasioni. La pianta catastale del 1882, ultima rappresentazione “ufficiale”; particolare della pianta del 1861 allegata alla richiesta di vari tratti del lato ovest da parte di privati (Fondo Prefettura Archivio di Stato Teramo).
* direttore dell’Archivio di Stato di Teramo
GIULIANOVA MAGGIO 1817 “…LA MORTE SEGUITA LA SUA GIORNALIERA STRAGGE …I PROPRIETARI HANNO SERRATO IL CUORE AD OGNI ATTO DI PIETA’ …”
di Ottavio Di Stanislao*
Un mese dopo la visita del commissario sanitario, l’intendente inviò a Giulianova Giuseppantonio Massei [proprietario di Teramo, qualche anno dopo consigliere provinciale] per constatare l’esecuzione delle misure di profilassi decise in quella occasione e riferire sull’assistenza che si riusciva a dare ai poveri. L’ospedale era stato spostato fuori dal paese nel convento soppresso dei celestini e le sepolture erano fatte con cura nella chiesa dell’Annunziata lontano dal paese. Il dato preoccupante era invece la mancanza di risorse per poter assistere un’ampia fascia della popolazione che, risparmiata dall’epidemia era però stremata dalla carestia e fatalmente condannata a perire d’inedia. Il documento, importantissimo perché testimonianza diretta di un momento drammatico della storia cittadina ci rivela anche, purtroppo, il cinismo del ceto abbiente: “… neppure vi è stato uno solo che ha voluto offrire un grano”.
“Mosciano, 31 maggio 1817 … ieri (…) mi portai in Giulia per eseguire i di lei ordini. Mi presentai dal sindaco e le prime mie operazioni furono di domandargli la maniera praticata nel tumulamento de cadaveri. Mi disse che fin da primi tempi del cominciamento della mortalità aveva creduto opportuno far costruire dei cavi in una grande chiesa distante circa un miglio a levante dell’abitato [la chiesa dell’Annunziata]. Volli portarmici (…) ed osservai che i cavi erano stati fatti regolarmente, e il rinterramento di essi si eseguiva con moltissima attenzione, per cui trovo impossibile che in Giulia i morti possano nuocere ai vivi, mentre niun alito pestilenziale potrà svilupparsi dai sepolcri.
Mi ritirai in paese, e chiesi conoscere l’amministratore dell’ospedale, che trovai correre a carico del comune. Domandai i conti e da essi rilevai che questo cespite ha la mensile rendita di ducati diciannove e grana venticinque e che questa nel corrente anno non sono sufficienti a far fronte alla giornaliera spesa per sostenere i malati, che in numero vi sono per la quasi generale epidemia che ricorre per cui me ne ha fatto osservare il sindaco nei conti bimestrali del comune, il supplemento, che il detto comune è obbligato ad aggiungere alla rendita dell’ ospedale.
Ho perciò creduto inutile formare il conto di quel cespite potendosi rilevare da conti bimestrali del cassiere.
Volli portarmi a visitare il locale addetto all’ospedale e trovai appena stato da poco temporaneamente trasferito nel soppresso convento dei celestini fuori dall’abitato, ed in aria più elastica, perché più elevato del paese. Vi trovai sessanta malati poveri, dieci che guardavano il letto, i restanti debilitati estremamente ed incapaci di procacciarsi niuna risorsa, per cui la morte seguita la sua giornaliera stragge (sic).
Vi è necessario soccorsi e pronti; ma dove trovarli se tutte le risorse sono esaurite? Cercai al sindaco di sapere il numero dei poverelli superstiti: i mezzi, che usava per farli vivere e quali fondi erano stati messi a disposizione per loro soccorso.
Riseppi:
• che i poveri sono nel numero centosettantadue come della lista che le annetto [La lista era stata compilata il 18 maggio: Stato di tutti i poveri del Comune di Giulia, e comprendeva tre categorie: «Poveri non atti al travaglio, che traggono la sussistenza col pitoccare [mendicare]: 27; poveri che possono adattarsi a lavori pubblici:80; Impotenti i quali non possono sussistere che coll’elemosina:65»;
• Che la elemosina era incominciata dal giorno 4 spirante maggio;
• Che questa davasi in una giornaliera zuppa di legumi, o pasta; ed in un qualche grano di pane, e poco olio e sale per far condire le foglie che i più robusti possono procurarsi nelle campagne;
• Che ai poveri malati si era assegnato grana dieci per ciascuno;
• Che aveva ricevuta la somma di ducati 186:58 sulle rivalute delle forniture, ma che questa era alla fine , né altri mezzi poteva egli il sindaco poteva far sussistere di vantaggio i rimanenti poverelli fin’ ora salvati dalla fame.
…richiesi al sindaco se aveva altre risorse da indicarmi e se poteva niente sperarsi dalla compassione de’ proprietari.
Per il primo mi ha risposto esservi molte significatorie [documenti fiscali attestanti la posizione debitoria di passati amministratori] di conseguenza contro diversi proprietari del comune per le loro gestioni tenute. Se ne annette una copia con la prevenzione che per riscuoterle vi bisogna costanza e fermezza, giacché le premure del sindaco finora fatte e le minacce sono riuscite infruttuose.
Per il secondo mi ha protestato che per quante fossero state le premure fatte ai proprietari questi hanno serrato il loro cuore ad ogni atto di pietà tendente al sollievo del suo simile e che neppure vi è stato un solo che ha voluto offrire un grano. Per altro le malattie, pare che in Giulia vadino cessando, almeno cambiano la ferocità degenerando quasi tutte in terzane [febbre che compare a giorni alterni]. Se non mancassero i soccorsi nell’ospedale ed ai poveri miserabili svanirebbe all’intutto la luttuosa scena di vedersi rapire dalla morte tante braccia troppo necessarie per i nostri campi.
Giuseppantonio Massei
*direttore dell’Archivio di Stato di Teramo
GLI STEMMI ACQUAVIVIANI DI GIULIANOVA (IGNORATI)
di Ottavio Di Stanislao*
Lo stemma acquaviviano era apposto sui bastioni e su Porta Marina. Purtroppo quelli dei bastioni sono andati perduti. L’ultimo, come si vede nelle foto dei primi anni del ‘900, e come ricordava Cerulli, “sparì” dalla Rocca negli anni confusi del secondo conflitto mondiale, quando il bastione fu capitozzato e restaurato privo della cinta merlata. Dello stemma di Porta Marina esiste però una minuziosa descrizione di Angelo Antonio De Bartolomei: “Sovrasta l’iscrizione lo stemma Acquaviva così formato: un leone sedente che in posizione verticale, al posto della criniera, si muta in un capitello di colonna sopra al quale mezzo drago alato solleva la sua testa. In prospetto scolpito in un sasso informe tondeggiante si vede il leone rampante degli Acquaviva senza alcun ornato. Il monumento ha sui fianchi due festoni di frutti e fiori.” Grazie a tale descrizione è possibile identificare lo stemma di Porta Marina con quello che oggi è sulla facciata di Casa Maria Immacolata.
Altro stemma acquaviviano finora ignorato è apposto sulla facciata,in via Nazario Sauro, della casa del compianto dottor Giuseppe Moruzzi, indimenticabile medico di famiglia a Giulianova per oltre mezzo secolo. Ho avuto conferma di ciò dal nipote, avv. Giuseppe Malignano Stuart, il quale, fin da bambino, aveva appreso che il nonno aveva comprato lo stemma in pietra da “Marrie lu barvire”, cioè Mario D’Ottavio, barbiere con salone sul corso, di fronte a casa Braga, poi trasformato in negozio di antiquariato, e che si trattava effettivamente di uno stemma della famiglia Acquaviva proveniente dal palazzo ducale.
Nella sacrestia della chiesa di S. Flaviano, sulla parete adiacente al lato sud-ovest dell’ottagono, sovrastante un battistero e una lapide murata vi è un altro stemma acquaviviano finora mai preso in considerazione.
La lapide è un omaggio dell’arciprete dell’epoca, il canonico ascolano Torrione de Turre, al signore feudale che lo aveva beneficiato, il duca Giovanni Girolamo II, titolare del patronato della “insigne chiesa collegiata di S. Flaviano”.
D.[eo] O.[ptimo] M.[assimo] Ill.mo Ecc.mo Signor Duca Giovanni Girolamo II De Acquaviva Per devozione ed ossequio Torrione De Turre Ascolano Nell’anno II del suo arcipresbitorato pose 1692.
Dall’aprile 1479, alla nobile famiglia Acquaviva fu concesso dal re il privilegio di aggiungere al cognome il predicato d’Aragona e di inquartate nello stemma le insegne reali. Così lo stemma, uno scudo semipartito troncato, timbrato da corona marchesale stilizzata, risalente al 1692, riunisce i simboli araldici del privilegio reale D’Aragona, con le armi della famiglia Acquaviva e della famiglia Spinelli da cui proveniva la moglie di Giangirolamo, Eleonora. Infatti nella sezione superiore, a sinistra sono rappresentati una H con in mezzo una I (Gerusalemme), le fasce d’Ungheria e i gigli angioini; a destra il leone rampante degli Acquaviva, la parte in basso dovrebbe rappresentare l’arma aragonese “d’oro a quattro pali di rosso”, mentre al centro l’aquila tiene uno scudetto sormontato da una corona con fascia caricata di tre stelle di sei punte (stemma della famiglia Spinelli).
Giangirolamo II (Giulianova 1663-Roma 1709), figlio di Giosia III e di Francesca Caracciolo, XV duca di Atri, fedele alla corona spagnola contrastò l’invasione austriaca difendendo la piazzaforte di Pescara. Costretto alla resa riparò a Roma. Fratello del cardinale Francesco e padre del cardinale Troiano protagonisti di primo piano della politica europea della prima metà del ‘700.
Giangirolamo II aveva i seguenti titoli (maggio 1686): Duca d’Atri, Principe di Teramo, Marchese d’Acquaviva e di Bitonto, Conte di Giulia e di Gioia, Marchese d’Arena.
* direttore dell’Archivio di Stato di Teramo
APRILE 1817 MISURE DEL COMMISSARIO SANITARIO A GIULIANOVA PER SCONGIURARE L’EPIDEMIA
di Ottavio Di Stanislao *
Giulianova era stata già duramente provata nel corso del 1815 quando era stata percorsa dalle truppe di Murat che nel marzo erano avanzate verso nord e, immediatamente dopo, subita la disfatta, quando erano rientrate nel Regno sempre attraverso il suo territorio. A maggio arrivarono poi truppe tedesche dell’esercito imperiale che si trattennero alcuni mesi. La città era già esausta quando al cosiddetto “anno senza estate” del 1816, che provocò la terribile carestia, seguì un’epidemia di tifo petecchiale. Il Commissario Sanitario giunse a Giulianova nel pieno della pandemia; con le autorità locali concordò alcune misure di profilassi per contrastare il diffondersi dell’epidemia che stava decimando la popolazione. Fu infatti deciso: lo spostamento dell’ospedale e dei malati dall’interno del paese all’ex convento dei celestini soppresso da qualche anno; il trasferimento del carcere dai locali sotto il palazzo ducale giudicati non idonei fin dal 1813; la disinfezione degli ambienti, una maggiore pulizia delle strade; la chiusura delle “fosse carnaie” e l’attenzione nelle sepolture. In particolare, si raccomandava di realizzare fosse profonde in maniera da poter interrare sufficientemente i cadaveri, facendo comunque sempre uso della calce, e di assistere i poveri assicurando almeno un pasto giornaliero. Nel corso del 1817 si registreranno ben 777 morti, circa un quarto degli abitanti. La popolazione del comune nel 1810 era infatti di 2779 abitanti (Archivio di Stato, Atti demaniali Giulia). Per avere una idea della drammaticità del fenomeno basta confrontare il numero dei morti del 1817 con quello degli anni immediatamente precedenti e successivi: 117 nel 1813, 93 nel 1814, 87 nel 1815, 222 nel 1816, 61 nel 1818 e 45 nel 1819.
“Oggi giorno 17 del mese di aprile 1817 essendoci riuniti col sig. dott. Don Fulgenzio de Petris qui arrivato ieri in qualità di Commissario Sanitario, unitamente ai dottori fisici di questo comune, egli dopo un ragionamento fatto con essi (…) si è portato a visitare gli ammalati tanto nel paese che nella campagna, nonché l’ospedale civile, le carceri, le chiese, camposanto e tutte le strade dell’abitato e poi riunitosi col sig. Giudice di pace, sig.ri membri di carità e galantuomini principali del comune si è risoluto concordamente di traslocarsi l’ospedale nel soppresso monastero dei Celestini sito in campagna e distante bastantemente dall’abitato, chiudersi l’ospedale dopo disinfestato con sfumicazioni muriatiche, farsi chiudere tutte le sepolture delle chiese con lamia e mattonato, facendoci prima buttare molta calce, e non più aprirsi, farsi spazzare maggiormente le strade del paese due volte la settimana, come anche farsi chiudere vari locali terranei abitati da poveri già morti, con disinfettarli prima con le sopradette fumicazioni muriatiche, vari fondaci che servono d’occasione d’immondezze; trasferirsi il carcere attuale ridotto in pessimo stato nel torrione della casa del sig. don Francesco Ciafardoni siti nella Rocca; chiudersi ermeticamente le due sepolture del cimitero, con farsi uso per l’avvenire giornalmente dei scavi della profondità secondo il numero dei morti, che vi saranno alla giornata, e quindi dopo averci buttata della calce coprirsi almeno con quattro palmi di terra e mattonato. (…) inoltre si è risoluto farsi un notamento esatto dei poveri atti alla fatiga ed obbligarsi giornalmente d’andare al travaglio delle strade, come anche farsi una nota degli altri poveri impotenti e ricoverarli nell’Ospedale dove dovranno essere provveduti coi sussidi del Governo, dell’Ospedale stesso e dei buoni cittadini, dandosi loro una zuppa economica.…
Fulgenzio De Petris Commissario Sanitario, Egidio Bucci sindaco, Andrea Castorani arciprete-parroco.”
Archivio di Stato Teramo, Stato civile Giulianova, ultima pagina del registro dei morti: 28 dicembre 1817, numero d’ordine settecentosettatnasette.
* direttore dell’Archivio di Stato di Teramo
Giulianova. 1952, L’ANNO DEI DUE VESCOVI
di Ottavio Di Stanislao*
Locandina per la festa della Madonna dello Splendore del 1952.
Proprio il 20 aprile faceva l’ingresso in diocesi il nuovo vescovo Stanislao Amilcare Battistelli e don Alberto invitava i giuliesi ad accoglierlo alla stazione di Giulianova. La messa del 22 sarebbe stata celebrata da mons. Adolfo Binni, già sacerdote diocesano, appena nominato vescovo di Nola.
Don Alberto di Pierto (1907-1990) fu uno dei sacerdoti più conosciuti e più stimati della diocesi. Arciprete di Giulianova dal 1945, precedentemente era stato parroco prima a Torricella Sicura e poi a Controguerra. Durante gli anni ’50 e ’60 era considerato di fatto il capo dell’opposizione alle giunte social-comuniste per la sua ferma battaglia culturale contro il comunismo.
Mons. Adolfo Binni (1902-1971) era originario di Monsampolo del Tronto, allora in diocesi di Teramo, prevosto di Corropoli per un ventennio era stato poi vicario generale. Nel mese di giugno di quell’anno (1952) prese possesso della diocesi di Nola (vedi foto). Un anno dopo fu alla ribalta delle cronache per essersi opposto, ad Ottaviano, ai “voli degli angeli” che caratterizzavano la processione di S. Michele, che riteneva per niente religiosi se non addirittura reminiscenze pagane, e per aver abolito la raccolta delle offerte in “presenza simulacro”, per cui le statue dei santi venivano ricoperte da corolle di banconote. Mons. Battistelli (1885-1981), frate passionista, già vescovo di Sovana e Pitigliano, in Toscana, fu vescovo di Teramo dal 1952 al 1967, quando si dimise per raggiunti limiti di età, anche se morirà solo nel 1981. La foto, di qualche anno dopo il suo arrivo a Teramo, lo ritrae in occasione della benedizione della prima pietra di un edificio IACP, con don Giulio Di Francesco, Luigi Lolli, presidente dell’IACP, il prefetto Di Pangrazio e alle spalle un giovanissimo Antonio Tancredi. Questa foto e quella giovanile di don Alberto provengono dal Fondo Nardini della Biblioteca Provinciale, ringrazio Fausto Eugeni che me le segnalò; la foto dell’ingresso in diocesi di Binni è in F. DI FILIPPO, “Maria icona di un popolo devoto”, Colonnella 2014.
*direttore dell’Archivio di Stato di Teramo
Giulianova. La cinta muraria: da struttura difensiva a mura ad tenimen.
di Ottavio Di Stanislao*
Ancora nel corso dell’Ottocento, all’occorrenza la cinta muraria era oggetto di lavori di restauro o di rifacimento vero e proprio. Ciò anche se ormai su gran parte di esse erano addossate le abitazioni civili. L’atto di concedere parti di mura o lo spazio attiguo però destava sempre qualche remora da parte di chi pensava alle esigenze difensive o comunque era geloso delle prerogative dell’interesse pubblico nei confronti delle particolari richieste dei privati. Tuttavia la stessa espressione comunemente usata: mura ad tenimen, che italianizzata diveniva “mura a tenime” o muratteinme”, ci indica che la funzione prevalente di queste era considerata quella di sostegno, di appoggio dell’edilizia privata.
D’altronde lo stesso fenomeno era avvenuto anche negli altri borghi fortificati dei dintorni di Giulianova (Mosciano, Montone, Tortoreto, Montepagano), con case appoggiate alle mura e bastioni di proprietà di privati. Va comunque rilevato che il regolamento comunale di polizia urbana del 1823 (Fondo Intendenza borbonica Archivio di Stato di Teramo), tendeva a tutelare l’integrità della cinta muraria proibendo: “… di fare de guasti nelle mura che circondano la città e nelle porte che la chiudono (…)di tenere aperte le porticine dalle quali i proprietari delle case rispettive possono entrare ed uscire dall’abitato nel caso il paese sia chiuso dalle porte e da da mura ma dovranno chiuderle murandole (…) di fare nelle proprie case nuove aperture di finestre o di porte che riguardano una strada pubblica o vero un vico senza precedente permesso …”.
Nella prima foto avanzi di mura a scarpa del lato ovest inglobate in abitazioni civili (casa Massei).
Nell’altra foto (lato est), sono ancora visibili i caratteri del borgo fortificato, con avanzi di torricino e l’edificato delle abitazioni sulla linea delle mura.
* direttore dell’Archivio di Stato
Giulianova. Che cos’è una “scoperta archivistica”?
di Ottavio Di Stanislao *
La tavola che riporto, trovata più di 15 anni fa (Fondo Intendenza borbonica dell’Archivio di Stato di Teramo), richiamò subito la mia attenzione. Si tratta della pianta che rappresenta il perimetro delle antiche mura di Giulianova ed è una testimonianza unica. Tale documento consente di sciogliere i dubbi sulla conformazione delle mura di cinta di Giulianova, sui bastioni e sulle porte perché proprio la mancanza di documentazione grafica ed iconografica ha determinato imprecisioni e confusioni in vari autori, che hanno prodotto ricostruzioni ampiamente congetturali, come rilevò M. Bevilacqua nel pregevolissimo “Giulianova. La costruzione di una città ideale del rinascimento”, Napoli 2002.
La tavola è inserita in un progetto redatto da due tecnici giuliesi dell’Ottocento, gli ingegneri Gaetano De Bartolomei e Gaetano De Maulo (che erano anche cognati), contenuto in un fascicolo dal titolo “Accomodo del pomerio esterno del Comune di Giulianova”. Siamo nel 1853, il Decurionato, come opera pubblica al fine principale di impiegare i disoccupati nella stagione invernale, decise di iniziare il riempimento del fossato, “il pomerio esterno” esterno alle mura. L’opera avrebbe consentito l’impiego di molte braccia prive di specializzazione in quanto lavoro consistente nel movimento di terra: “uomini con zappe e pale, donne con panieri”. Si realizzava però un’opera utile dal punto di vista igienico perché nel fossato ” una mala intesa abitudine suole ammonticchiare letami in danno della pubblica salute”. Ma era presente anche un’esigenza di pubblico decoro:”regolarizzare le così dette terraje e convertire così tali siti insalubri in piazze e comode passeggiate”.
Da questa “scoperta” prese le mosse un’indagine archivistica sistematica sulla città acquaviviana di cui diedi conto prima con un saggio pubblicato nel vol. 7 dei “Documenti dell’Abruzzo teramano”, Tercas 2007, poi nella monografia “Giulianova. Le modifiche ottocentesche alla città acquaviviana”, edita nel 2012 dalla Banca di Teramo grazie a quel grande mecenate che è stato Tonino Tancredi.
*direttore dell’Archivio di Stato di Teramo
25 aprile: il Comune di Giulianova ricorda i giuliesi Poltrone ed Alleva, morti per mano nazista e la Garro, vittima dei bombardamenti degli alleati
Oggi 25 aprile, in occasione dell’Anniversario della liberazione d’Italia,
il Comune di Giulianova ha voluto ricordare, in una commemorazione
simbolica dovuta alle restrizioni dell’emergenza sanitaria, i giuliesi
Flaviano Poltrone, Vincenzo Alleva (nato a Nocella di Campli e in seguito
trasferitosi a Giulianova) uccisi per mano nei nazisti e Maria Teresa
Garro (nata a Mazzarino), il simbolo delle donne morte sotto i
bombardamenti degli alleati.
Alla loro memoria, questa mattina, nel cimitero monumentale di Giulianova,
la vice sindaco Lidia Albani ha deposto dei fiori, ornati con il
tricolore, ai piedi delle loro tombe mentre il ricercatore giuliese Walter
De Berardinis ha portato il saluto istituzionale dei sindaci di Mazzarino
e Campli e dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra.
“Oggi, giorno in cui festeggiamo la liberazione d’Italia dall’occupazione
nazista e dal regime fascista, abbiamo voluto ricordare a futura memoria
tutti coloro che hanno combattuto per la conquista della libertà e la
storia di tre giuliesi, vittime degli orrori della Seconda Guerra Mondiale
– dichiara la vice sindaco Albani – tra di loro, per la prima volta,
commemoriamo la figura di Maria Teresa Garro, simbolo delle donne morte
dotto i bombardamenti degli alleati. I nostri più sentiti ringraziamenti
al ricercatore storico Walter De Berardinis che, ancora una volta, ha
messo la sua conoscenza a disposizione della comunità e che lavora
incessantemente affinché non si perda la memoria di questi concittadini.
Ci tengo a ringraziare anche i sindaci di Mazzarino e Campli, Vincenzo
Marino e Federico Agostinelli, per averci inviato una missiva con la quale
hanno espresso amicizia e fratellanza alla nostra città, in ricordo dei
concittadini Alleva e Garro e l’Associazione Nazionale Vittime Civili di
Guerra che, anche in questa occasione, non hanno fatto mancare un
messaggio di cordoglio per il ricordo dei civili giuliesi morti durante le
due guerre mondiali”.
Di seguito le biografie di Flaviano Poltrone, Vincenzo Alleva e Maria
Teresa Garro.
Flaviano Poltrone nasce a Giulianova il 4 luglio 1887, nella casa posta in
Via per Mosciano al civico 29, da Domenico (proprietario agricolo) e
Teresa Castorani. Il 20 aprile 1907 viene giudicato idoneo al servizio di
leva nel distretto militare di Teramo e il 19 ottobre viene chiamato alle
armi nel 56° Reggimento Fanteria – Brigata “Marche”. Il 9 settembre 1909
viene congedato nel deposito di Teramo del Reggimento Fanteria Genova e il
30 ottobre ottiene il visto per l’espatrio in America. Il 12 novembre
parte da Napoli con la nave Konig Albert ed arriva a New York il 25
novembre. Il 14 agosto 1911 viene dispensato dall’istruzione militare
perché all’estero con regolare nulla osta. Il 31 luglio 1915, all’indomani
dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, non si presenterà al distretto
militare di Teramo e il 6 settembre viene dichiarato disertore. Finita
l’avventura americana, torna in Italia e si sposa il 21 aprile 1924 a
Castellalto (TE) con Angeladea Fidanza (6 giugno 1891/23 dicembre 1975).
La coppia andrà a vivere sulla strada Nazionale per Teramo al civico 73
(oggi Via Mulino da Capo). Il 12 giugno 1944, alle ore 20,00, durante la
ritirata delle forze tedesche sulla dorsale adriatica, un soldato tedesco,
nel tentativo di requisire il suo cavallo, estrasse la sua pistola
uccidendolo (altre fonti parlano di alcuni fendenti per finirlo) per
essersi rifiutato di consegnare o negare di avere un cavallo. Moriva così
Flaviano all’età di 57 anni. Si deve al lavoro degli storici locali, tra
cui il ricercatore storico Walter De Berardinis il ricordo della sua vita
e della tragedia che lo colpì.
Sempre grazie alla ricerca storica di De Berardinis possiamo ricostruire la
vita di Vincenzo Bruno Mario Alleva, figlio di Paolo e Vittoria Iaconi,
nato a Nocella di Campli (TE) il 27 novembre 1914. Si trasferisce a
Giulianova il 10 maggio 1923 e si stabilisce con la famiglia prima in Via
Quarnaro e successivamente in Viale Vittorio Emanuele III (oggi Via Turati
– SS16). Dal 1 aprile 1935 al 31 agosto 1936 farà il servizio di leva nel
9° Reggimento Bersaglieri a Zara. Il 13 maggio 1939 emigra a Roma con la
moglie, Igina Buccella, di Cugnoli di Campli, sposata a Giulianova il 4
settembre 1935 nella Chiesa della Natività di Maria Vergine da Don
Raffaele Baldassarri. Vincenzo, a Roma, è impiegato come operaio per il
Genio militare Marittimo e ritarda la chiamata alle armi. Il 28 agosto
1941 viene richiamato in guerra come pilota di carrarmati con il grado di
Sergente. Dopo i noti fatti dell’8 settembre 1943, Vicenzo rientra a
Giulianova con tutta la famiglia il 28 settembre. Sfollato in località
Convento di Mosciano Sant’Angelo, la mattina del 10 gennaio 1944, con un
carretto, si recherà a Giulianova lido nel tentativo di recuperare alcuni
suppellettili. Nel risalire Via XXIV maggio, nei pressi di una curva a
gomito dove persiste la ex fabbrica di liquori e confetti “Orsini”, Alleva
taglierà o raccoglierà un filo del telefono per legare le masserizie. Un
soldato della Wehrmacht, appostato sul belvedere della città, lo segnalerà
agli altri commilitoni per poi farlo arrestare. Portato dentro il comando
tedesco di Villa Migliori, nella parte alta della città, verrà interrogato
e subito condannato alla fucilazione, nonostante le suppliche del
prigioniero. Alle 16,30 verrà fucilato e sotterrato nei pressi della
stessa villa. Aveva 29 anni. Sarà il Commissario straordinario, Col.
Giovanni Piccinini, implorato dai familiari, a trattare con i tedeschi per
il recupero del corpo che avvenne probabilmente il 12 gennaio, quando alle
or 11,00 si presenterà in Comune per dichiarare la morte di Alleva
l’imprenditore giuliese, Luigi Iaconi, alla presenza di due testimoni. I
funerali, sempre da documenti vergati dall’arciprete Tito Nespeca del
Duomo di San Flaviano, furono fatti il 14 gennaio.
Alla fine della guerra, il 18 luglio 1945, alla memoria gli fu concessa la
Medaglia di Bronzo al Valor Militare.
Maria Teresa Garro nasce a Mazzarino in provincia di Caltanissetta il 29
gennaio 1899, in Via Collegio, da Sebastiano e Luigia Iannelli (trasferiti
ad Ascoli Piceno). Sposata con Leonida Abbondanza, avrà dei figli.
Trasferita a Giulianova, inizierà l’attività d’insegnamento dal 18 maggio
1934 quando prende alloggio in Piazza Roma e successivamente in Via Thaon
De Revel, 5. La sera del 5 novembre 1943, alle ore 20,30, una serie di
bombardieri attaccano, per la prima volta, la parte alta della città. Il
bilancio sarà pesante: 2 morti e 3 feriti. Maria Teresa Garro muore
all’età di 44 anni nei pressi dell’androne di una casa in Via Migliori
(davanti l’attuale palestra dello stadio Rubens Fadini) e Michele
Splendiani, 50enne, abitante in Via Cupa (oggi parcheggio dello stadio).
Il giorno successivo, tra la paura generale di ulteriori bombardamenti,
furono fatti i funerali nel Duomo di Giulianova dall’Arciprete Tito
Nespeca.
Complessivamente i morti civili di Giulianova per bombardamento e
mitragliamento aereo furono 23 (10 donne) e 46 feriti; mentre tra i
militari si contarono 3 italiani (RSI) e 24 soldati della Wermacht. Oggi,
dopo quasi 78 anni, persiste intatta la lapide del loculo con il seguente
epitaffio: “fatale bellico ordigno strappo anzi tempo, Maria Garro in
Abbondanza, all’amore dei figli e del marito”. Per tali motivi il delegato
dell’I.N.G.O.R.T.P., Walter De Berardinis, ha fatto richiesta
all’amministrazione comunale di conservare il loculo e la lapide a futura
memoria come reale testimonianza di quei tragici giorni.
Giulianova. Un particolare invito alla festa della Madonna dello Splendore.
Controguerra. In occasione della solennità della Madonna dello Splendore di Giulianova, pubblico l’invito alla festa… del primo Ottocento! Nella speranza che si possa tornare presto a festeggiare ogni ricorrenza Si tratta di un documento della mia raccolta che illustra, con il linguaggio aulico del tempo, quali erano i divertimenti popolari più graditi: le corse degli asini, dei cavalli e nei sacchi, le bande musicali e i fuochi d’artificio.
Matteo Di Natale
“Oh! Che festa! Oh che festa!! E quando? Nel giorno quindici corrente, per l’anniversario del miracolo di nostra Signora dello Splendore. Venite, venite, correte a rompicollo. Che vedrete? Che troverete? Vedrete corse di asini, di cavalli spallati, d’uomini dentro i sacchi, di aspiranti al premio d’un gallo appeso sotto un secchio d’acqua. Più sentirete lo sconcerto di stridole bande musicali, e di voci giuliesi che canteranno la messa e l’oratorio del bravissimo Bruschelli. Come dopo tanti spettacoli del giorno passere la sera? La passerete a vedere due bellissimi fuochi d’artificio, belli quanto li fa sperare il valore di ciascuno; il primo di 35 carlini, il secondo di 4 ducati. Voi ridete! Il mio piacere è di farvi ridere di più. Celia a parte desidero di rivedervi. Cogliete l’occasione suddetta per venire in casa mia a passare qualche ora in allegria. In fra troverete gran cuore e vera amicizia”.