Collana Fattore R: Religioni fra tradizione e globalizzazione, diretta da Brunetto Salvarani.

Collana Fattore R: Religioni fra tradizione e globalizzazione, diretta da Brunetto Salvarani.
Il libro è corredato da un’Intervista con Raimon Panikkar

Brunetto Salvarani, Il Fattore R. Le religioni alla prova della globalizzazione, EMI 2012.

Il libro introduce orizzonti vasti di pensiero e riflessione inerenti la necessità e il significato del pluralismo interreligioso che apre a costellazioni cosmopolite, a visioni “cosmoteandriche”ed interculturali di credi e fedi differenti.

FATTORE R

FATTORE R

Brunetto Salvarani, Il Fattore R. Le religioni alla prova della globalizzazione, EMI 2012.

Collana Fattore R: Religioni fra tradizione e globalizzazione, diretta da Brunetto Salvarani.

Intervista con Raimon Panikkar

Recensione di Laura Tussi

Il libro introduce orizzonti vasti di pensiero e riflessione inerenti la necessità e il significato del pluralismo interreligioso che apre a costellazioni cosmopolite, a visioni “cosmoteandriche”ed interculturali di credi e fedi differenti. Ma la religione non gode sempre di un’immagine positiva, spesso presentata come un atavico e violento inganno. Infatti, ad essa viene imputata la responsabilità non secondaria dei mali del mondo, delle guerre e dei conflitti culturali contemporanei. Sul versante opposto, invece, anche l’ateismo ipotizza apertamente l’utilità sociale delle istituzioni religiose: si può rimanere atei convinti, pur trovando nella religione una certa utilità, un motivo di interesse e di confronto, valutando l’ipotesi di adattare alla vita laica alcune consuetudini e norme religiose, dove le multiformi esperienze del sacro hanno vinto la sfida della secolarizzazione e restano cruciali per comprendere il nostro tempo. Il mosaico delle fedi si complica sempre più nell’epoca contemporanea, favorendo il proliferare di perplessità, dubbi, incertezze e speranze nel fenomeno mondiale del pluralismo interculturale, nel risveglio religioso che prende posizione contro il potere dogmatico, l’autorità prepotente, la burocrazia, l’irrilevanza esistenziale e il carattere obsoleto di troppa predicazione, nell’obiettivo di un intimo e rivoluzionario coinvolgimento spirituale.

Attualmente si assiste ad una riemergenza del fenomeno religioso che vede la crescita esponenziale dei fondamentalismi, con la presenza delle figure religiose e dei vari papi veicolati dai mass media, contro la proliferazione delle spiritualità eclettiche, con l’inclusione del sacro e del ritorno religioso anche nei paesi dell’Est, un tempo atei. Questi sono aspetti del rilancio della dimensione sacrale, prospettata, in modo surrettizio, come via di salvezza e di pace, definita postsecolarismo, che risponde alla crescente confusione esistenziale e alla solitudine solipsistica dell’individuo, come immerso nella “modernità liquida” della società attuale, per cui il dibattito culturale staziona tristemente sul terreno dello scontro tra truppe acriticamente fedeli alla Chiesa e indiscriminati combattenti per una laicità laicista, in uno scontro defatigante e purtroppo senza risoluzioni propositive tra le parti. Al contempo, di fronte ad un risveglio religioso si assiste alla diminuzione dell’influsso delle religioni sulla vita sociale e sul comportamento individuale della persona, in fenomeni intensi di disaffezione alla pratica del culto, nella dissoluzione del ruolo del sacro nell’esistenza collettiva, da non confondere con l’appartenenza e il riferimento identitario che conserva una sostanziale importanza nella vita dei vari Paesi. Il disincanto del mondo, l’uscita dalla religione, a partire dall’epoca rinascimentale, si manifestano nella rifondazione di un nuovo tipo di legittimità che ha consacrato l’emancipazione e l’indipendenza della persona, traducendosi nei principi imprescindibili dei diritti umani. Nel contesto contemporaneo crescono le religioni diasporiche, nella delocalizzazione del dato religioso, con vasti processi di ibridazione, contaminazione e meticciato, favoriti dall’accelerazione del pluralismo interculturale e dalla costellazione cosmopolita delle religioni, nella pluralizzazione delle fedi che registrano l’apertura ad una molteplicità di accesso a vari culti e ad una sostanziale reversibilità dei percorsi fideistici. Dunque l’avvento della secolarizzazione non ha decretato la fine della religione, ma una pluralità del dato culturale, in varianti di narrazioni religiose, oltre gli schemi del relativismo filosofico e del nichilismo antropologico, a partire dall’inclusione pluralista, tramite il portato dell’importanza dell’autocomprensione, a partire dagli altri, per capire il significato religioso, ma al contempo laico, della presenza e dell’inclusione dell’altro, nella vita di ciascuno: oltre la secolarizzazione delle religioni globali, l’opera in oggetto si pone come di fronte ad un paradosso schizofrenico nello scontro di civiltà, nel pluriverso delle religioni che vedono il ritorno del sacro nella globalizzazione, come risorsa culturale di neofilosofie emergenti, sotto la costellazione cosmopolita di tradizioni, culti e fedi, per credere senza appartenere, nel trionfo dell’umano, oltre il sacro come schematico paradigma latente ai fenomeni di massa, nella costante antropologica degli atavici interrogativi umani, nonostante la crisi del praticante, del pellegrino, del convertito, nelle nuove geopolitiche dei sincretismi fenomenologici sacrali, in prospettive proteiformi di ierofanie identitarie, orientate all’accoglienza degli aspetti laici attuali e contemporanei che si compenetrano con il dato culturale determinante e caratterizzante del pluriverso religioso. L’opera di Brunetto Salvarani si conclude con un’importante intervista a Raimon Panikkar, il sommo Teologo del dialogo tra le religioni.

Note:




Radio Radicale: Progetto “Per Non Dimenticare”

Radio Radicale: PeaceLink condivide il Progetto “Per Non Dimenticare” della Città di Nova Milanese e Bolzano

Radio Radicale: Progetto “Per Non Dimenticare”

Radio Radicale: il Progetto “Per Non Dimenticare” sulla Memoria Storica della Resistenza, delle Deportazioni e dell’Antifascismo è condiviso da PeaceLink e da molti Centri di Studio e Istituti di Ricerca che si occupano di Pace, Nonviolenza, obiezione di coscienza alle spese militari, disarmo, diritti umani ed ecopacifismo.

Per Non Dimenticare!

Per Non Dimenticare!

Radio Radicale: il Progetto “Per Non Dimenticare” sulla Memoria Storica della Resistenza, delle Deportazioni e dell’Antifascismo è condiviso da PeaceLink e da molti Centri di Studio e Istituti di Ricerca che si occupano di Pace, Nonviolenza, obiezione di coscienza alle spese militari, disarmo, diritti umani ed ecopacifismo.

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/storia/Gmemoria_1330326193.htm

http://www.radioradicale.it/scheda/346610

Allegati




Centro Saveriano Missionario: CEM Mondialità propone realtà aperte al dialogo tra religioni e culture, in prospettive di Pace ed accoglienza

Centro Saveriano Missionario: CEM Mondialità propone realtà aperte al dialogo tra religioni e culture, in prospettive di Pace ed accoglienza

Cem Mondialità…in Siria con il Monastero di Deir Mar Musa

Cem Mondialità e Tempi di Fraternità rilanciano l’esperienza missionaria e rivoluzionaria di Padre Paolo Dall’Oglio fondatore e animatore del Monastero di Deir Mar Musa in Siria: contro ogni guerra e guerriglia, a favore del dialogo tra culti, culture e religioni, oltre gli interessi economici e gli schieramenti criminali che fomentano i conflitti armati contemporanei

La sete di Ismaele.

Siria, diario monastico islamo-cristiano

Libro di Paolo Dall’Oglio

Prefazione di Paolo Rumiz

Recensione di Laura Tussi

Editore Gabrielli

Come in un intenso sommario descrittivo, in un diario narrativo, Padre Paolo Dall’Oglio consegna nell’opera “La sete di Ismaele” le personali riflessioni sull’attualità e sull’esperienza direttamente vissuta dalla comunità del monastero di Mar Musa in Siria. “La sete di Ismaele”, il figlio primogenito di Abramo, concepito con Agar, la serva di Sara, è proprio la necessità degli esclusi della terra, di quanti gridano e piangono per essere riconosciuti. Padre Paolo Dall’Oglio ha fondato nel 1991 in Siria a Deir Mar Musa un monastero restaurato con la tenacia e la perseveranza di uomo giusto e di persona sorretta dalla propria vocazione. Nel monastero vive una comunità monastica autonoma, maschile e femminile, dedita all’accoglienza e al dialogo tra religioni: è una realtà attiva nell’ambito del panorama mediorientale, che cerca di dimostrare e praticare una possibilità di convivenza e interazione tra cristiani e musulmani. L’autore con l’opera “La sete di Ismaele” vuole proporre una soluzione pacifica e nonviolenta ai problemi posti dalle sommosse popolari scoppiate in Siria, indicando il percorso di una transizione politica verso un’architettura policentrica e istituzionale democratica, fondata sul consenso, sulla condivisione delle differenti sensibilità religiose e delle diverse componenti sociali che coesistono in Siria. Nonostante le reazioni del regime di Assad, Padre Dall’Oglio non ha ottemperato alle ordinanze di espulsione e ha continuato a risiedere in Siria, praticando il personale percorso di impegno sociale, nella pratica spirituale, a favore del dialogo interreligioso e della pace. Il libro racchiude, nel messaggio implicito, l’invito a riconoscere la diversità religiosa, accogliendo il grido degli esclusi, la “sete” degli ultimi, per aprire a orizzonti sconfinati di pace e speranza. La comunità monastica di Deir Mar Musa è formata da monache e da monaci che vivono vita comune nell’ospitalità offerta a tutti, formando un’ampia comunione esistenziale in chiesa, a tavola, nel lavoro. La relazione tra donna e uomo permette di apprendere e imparare la grammatica e la sintassi primigenie di ogni dialogo autentico in una propositiva e innovativa collaborazione e convivenza tra differenti generi e religioni, che costituisce l’annuncio consolante di una rinnovata umanità, costruita sull’umiltà, il realismo, la conoscenza di sè, l’ascesi affettiva, l’apertura all’obbedienza, nella direzione spirituale e non nella sottomissione sessista, come in una grande famiglia, dove proprio la castità consacrata consente di superare le barriere caratteriali, gli steccati familiari, favorendo invece l’apertura universale, la vocazione plurima al dialogo e ad ibridi aneliti di pace nelle interazioni tra diversità, nella speranza di poter riconciliare le identità tradizionali con la ribellione islamica alla globalizzazione capitalista proterva e spersonalizzante, ricordando che i giudei, cristiani e musulmani, figli di Abramo, cercano l’unione personale con il divino, approdando ad un grande unificante silenzio d’amore e di pace nella trasparenza, nella comunione, nella libertà di culto, di opinione e di espressione. La vita cultuale votata all’incontro, all’accoglienza e al dialogo tra diversità è sottesa tra ciò che costituisce il corpo della pratica cristiana e musulmana e la particolarità delle inculturazioni che riattualizzano il significato e il portato valoriale dell’ universale evangelico e del messaggio coranico. Tra il suono di antiche litanie che provengono da un arcipelago di grotte eremitiche, nel monastero si avverte la bellezza della preghiera cristiana formulata in lingua araba, dove poter cercare l’illuminazione spirituale, nelle periferie, negli avamposti, nelle trincee di mondi considerati a rischio e nel profondo di regioni lontane e nazioni marchiate come guerrafondaie e bellicose dalla geopolitica banalizzante dell’Occidente: così, allontanandosi dal baricentro, dal punto di riferimento del culto Romano, si avverte la presenza di un messaggio cristiano limpido e cristallino, sempre più vicino alla fonte originaria dell’Oriente e sempre meno disturbato da tentazioni di egemonia e di potere, oltre i conflitti tra civiltà, per aprirsi ad osmosi dialogiche e visioni maieutiche cultuali, in prospettive plurali di pace, oltre i bizantinismi fideistici occidentali. Quali cenobiti più conviviali degli antichi anacoreti delle valli siriane, in sentieri che si inerpicano a collegare le grotte e le celle degli eremiti e dei monaci, i fratelli e le sorelle del monastero si incontrano e si separano come in una metafora di un sentimento umano verso le ascesi più coraggiose dell’amore divino e del prossimo in prospettive messianiche di pace.

Allegati




E’ confermata per stasera 24 Febbraio 2012 alle 23.30 la puntata di TV7 (Raiuno) su Taranto e l’inquinamento Ilva PeaceLink a TV7 su RAI Uno

E’ confermata per stasera 24 Febbraio 2012 alle 23.30 la puntata di TV7 (Raiuno)
su Taranto e l’inquinamento Ilva

PeaceLink a TV7 su RAI Uno

E’ confermata per stasera 24 Febbraio 2012 alle 23.30 la puntata di TV7 (Raiuno) su Taranto e l’inquinamento Ilva.
Il servizio televisivo prende spunto dalla manifestazione che venerdì 17 febbraio 2012 ha accerchiato la Procura di Taranto per chiedere verità e giustizia. Quel giorno infatti si è discussa la maxiperizia commissionata dalla magistratura che conferma il pesante inquinamento da diossina e altri cancerogeni emessi da Ilva.
Il servizio di Tv7, curato dalla giornalista Carolina Casa, è la seconda puntata di un’inchiesta ampia e dettagliata che cerca di capire come mai un tale inquinamento sia stato possibile senza che la popolazione e i lavoratori fossero stati avvisati delle pericolose esposizioni a veleni capaci di provocare il cancro ed altre gravi malattie. Ad essere intervistato è anche Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink (www.peacelink.it), l’associazione ecopacifista che, con un esposto alla procura e analisi sul formaggio locale, ha documentato la contaminazione della catena alimentare in atto, cosa confermata dalle verifiche della Asl di Taranto.



Quaderni ACP: Bambini Migranti e Disagio Psichico “Associazione Culturale Pediatri” con PeaceLink

Quaderni ACP: Bambini Migranti e Disagio Psichico

“Associazione Culturale Pediatri” con PeaceLink

Quaderni ACP “Associazione Culturale Pediatri”
Bimestrale di informazione politico culturale e di ausili didattici dell’Associazione Culturale Pediatri, in collaborazione con PeaceLink per la tutela del latte materno come “bene comune”

Bambini migranti  e disagio psichico.

di Laura Tussi

Riassunto:

L’approccio interculturale arricchisce anche e soprattutto gli operatori, aprendo innovative prospettive ed esplorazioni di ricerca e studio, ricordando che ognuno di noi è migrante nei nuovi territori della propria professione, della personale storia di vita, dove ognuno è il nomade, il migrante, il pellegrino della propria interiorità e della propria esistenza, in rapporto con se stesso e con l’altro, con il diverso, con l’emarginato e con colui che chiede aiuto.

****************************************

La società plurale, che presenta realtà culturali diverse, avverte l’esigenza di riconoscimento delle famiglie migranti che vivono un’esperienza transculturale, collegata a problematiche esistenziali di identità e appartenenza.

L’operatore, (insegnante, educatore, psichiatra, psicologo) adotta strumenti per comprendere il disagio della persona immigrata, al fine di elaborare approcci di intervento, supporto e aiuto nella costruzione di identità comuni e transculturali. La società differenziata e multiculturale non appare come condizione di ideale integrazione tra genti di origini diverse e non si riduce ad uno slogan ideologico pervaso di vuoto ottimismo. I bambini “venuti da altrove”, destinati a crescere con i nostri figli, obbligano a pensare e ad agire in una prospettiva diversa da quella evocata da certe immagini patinate, imposte dai mezzi di comunicazione di massa. I bambini migranti obbligano a pensare in diverse categorie concettuali e di pensiero, in differenti parametri ideologici, in sollecitazioni provocatorie che inducono la società a partire dal confronto con l’impervia realtà multiculturale delle periferie metropolitane e delle storie di vita, ricche di senso e di speranza per tutti. Le strategie di accoglienza, gli approcci medici di prevenzione e cura devono essere elaborati in un’ottica di concreto sostegno, per sensibilizzare e informare gli specialisti dell’infanzia, gli operatori della giustizia e della pace, gli insegnanti, gli studenti a favore degli strati più vulnerabili del nostro contesto sociale. Per i bambini immigrati, la crescita tra più culture è un’opportunità valoriale, ostacolata però da molteplici fattori e difficoltà esistenziali, inerenti la situazione sociale e le dinamiche collegate alla crescita tra culture. Crescere tra differenti contesti culturali, costituisce una importante opportunità, che permette di impadronirsi di una molteplicità di ricchezze di mondi che possono rendersi fertili a vicenda.

Le condizioni economiche, sociali e immigratorie influiscono, dunque, con il benessere psicologico dei piccoli stranieri. Esistono situazioni che riguardano il crescere tra due mondi. E’ chiaro che più le condizioni di base, di origine e sociali sono favorevoli, più è agevole, per i piccoli, imboccare un processo virtuoso che li porti a una efficace doppia interazione, sia con la realtà italiana che con i riferimenti culturali della famiglia di origine, realizzando così una situazione di duplice cittadinanza culturale.

I bambini dei migranti si possono trovare in situazioni molto differenziate, sia per la situazione sociale, sia per la condizione immigratoria. Infatti, i nati in Italia, da genitori con regolare permesso di soggiorno, vivono una situazione avvantaggiata. Invece, i bambini immigrati con i genitori, conoscono il trauma di separazione dal loro mondo di origine, in un vissuto doloroso di distacco dalle persone care, dal contesto in cui sono cresciuti, per essere innestati in un ambiente nuovo, per cui  sperimentano un senso di abbandono e sentimenti di estraneità. Le donne immigrate con figli si trovano spesso a dover conciliare riferimenti, modelli e pratiche di cura diversi. I messaggi che provengono dal paese di origine, dalla storia personale e famigliare, dalle esperienze condotte altrove talvolta si conciliano male con quelli dei servizi, il cui significato profondo non sempre è condiviso e compreso. Il vissuto di dissonanza cognitiva fra ciò che si sa, si pensa e si è vissuto e ciò che viene proposto nei paesi d’accoglienza, può bloccare le scelte di cura, impoverire la relazione madre/bambino, suscitare timori e paure che si trasmettono al figlio.

I bambini di genitori irregolari costituiscono una situazione difficile e drammatica, aggravata a seguito di recenti interventi legislativi, che hanno reso più complesso il mantenimento del permesso di soggiorno, ottenendo l’effetto di spingere molti nuclei famigliari dalla regolarità alla precarietà dell’assenza di diritto, in condizioni di emarginazione sociale ed economica che costituiscono un enorme fattore di rischio per la salute psicologica dei bambini.

Soprattutto i figli di rifugiati politici vivono con genitori molto provati sul piano psicologico, perché vittime di violenze. Le condizioni economiche e sociali influiscono generalmente sul benessere psicologico delle persone e in particolar modo dei bambini stranieri. Dunque, è necessario riconoscere i piccoli in condizione di maggiore svantaggio e cogliere i primi segnali di disagio per poter intervenire con le famiglie, al fine di avviare percorsi psicosociali, psicopedagogici e, in alcuni casi, psicoterapeutici. L’aiuto di tipo sociale è volto a favorire l’integrazione degli immigrati nel contesto comunitario, accogliendo le famiglie a tutti i livelli, economico, sociale e relazionale, evitando così le tensioni tra famiglie migranti e società d’accoglienza, di cui i bambini sono le vittime principali. In questo caso, sono chiamati in causa gli interventi legislativi e amministrativi, ma anche una diffusione della cultura dell’accoglienza, dell’interazione e della relazione tra tutti cittadini italiani. Una ulteriore strategia di aiuto è di tipo psicopedagogico, per cui i piccoli stranieri necessitano di essere aiutati a far crescere in loro la consapevolezza di una duplice appartenenza: essere italiani e, al tempo stesso, appartenere alla cultura della famiglia di origine. In Italia, essere stranieri dovrebbe costituire un fattore esistenziale che rappresenti un’opportunità preziosa che possa essere valorizzata con approcci e strategie di tipologia educativa e psicologica. Nel nostro Paese sono stati pubblicati molti studi e ricerche nel settore dedicato all’intercultura e all’etnopediatria, che costituiscono un supporto consistente per affrontare la sfida affascinante delle migrazioni, che arricchiscono anche e soprattutto gli operatori, aprendo innovative prospettive ed esplorazioni di ricerca e studio, ricordando che ognuno di noi è migrante nei nuovi territori della propria professione, della personale storia di vita, dove ognuno è il nomade, il migrante, il pellegrino della propria interiorità e della propria esistenza, in rapporto con se stesso e con l’altro, con il diverso, con l’emarginato e con colui che chiede aiuto.

Bibliografia essenziale:

Favaro G., Bambine e bambini di qui e d’altrove, Guerini, Milano 1998

Favaro G., Napoli M., Come un pesce fuor d’acqua, Guerini e Associati, Milano 2002

Mazzetti M., La crescita psicologica del bambino straniero, in: Mazzetti M., Il disagio transculturale. Manuale per operatori sanitari e altre professioni d’aiuto, Carocci, Roma 2003

Tussi L., Il Pensiero delle Differenze. Dall’Intercultura all’Educazione alla Pace, Aracne, Roma 2010

Allegati




Azione Nonviolenta: un ponte di idee tra culture, generi e generazioni per il disarmo e la Pace, contro ogni razzismo e totalitarismo

Azione Nonviolenta: un ponte di idee tra culture, generi e generazioni per il disarmo e la Pace, contro ogni razzismo e totalitarismo

Azione Nonviolenta- Rivista fondata da Aldo Capitini e diretta da Mao Valpiana

L’illustre Rivista Azione Nonviolenta fondata nel 1964 da Aldo Capitini e diretta da Mao Valpiana, Presidente del Movimento Nonviolento, propone contributi di Elena Buccoliero, Pasquale Pugliese, Enrico Peyretti, Johan Galtung, Laura Tussi, Giorgio Nebbia e molti altri amici della Nonviolenza
MOVIMENTO NONVIOLENTO: UNA CAMPAGNA PER IL DISARMO LUNGA UN ANNO

Al termine del convegno svoltosi a Verona il 20-22 gennaio 2012 per i cinquant’anni della fondazione del MOVIMENTO NONVIOLENTO per iniziativa di Aldo Capitini, il Movimento Nonviolento promuove una campagna per il disarmo da gennaio a dicembre 2012.

Opposizione alla guerra, ai suoi strumenti ed ai suoi apparati. Opposizione a tutte le uccisioni.

Opposizione al razzismo e ad ogni altra forma di persecuzione. Opposizione ad ogni denegazione di umanita’.

Difesa intransigente dei diritti umani di tutti gli esseri umani.

Difesa della biosfera, casa comune dell’umanita’ intera ed intrinseco valore.

Solo la nonviolenza puo’ salvare l’umanita’.

La nonviolenza e’ la civilta’ umana, l’umanita’ plurale e solidale, divenuta autoconsapevole e responsabile per se’ e per il mondo.

LA SCUOLA INTERCULTURALE,

PER UN FUTURO DI PACE

http://nonviolenti.org/doc/An_07.11.pdf

di Laura Tussi

L’iniziativa nonviolenta “Ogni vittima ha il volto di Abele”, promossa da importanti Istituti di Ricerca per la Pace, nella sua assoluta compostezza ed addolorata austerita’ ha costituito, nel ricordo e nel nome delle vittime, un esplicito appello all’impegno per la cessazione delle guerre, per il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti, per la pace, la democrazia, la legalita’ che salva le vite; per la difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani. A mio avviso questi nobili e alti ideali devono essere trasmessi in primis dall’Istituzione Scolastica.

La scuola deve promuovere l’altro come punto di incontro tra le diversità, quale principio attivo di scambio vicendevole e di integrazione solidale, dove l’alterità venga accettata e accolta in quanto ricchezza e risorsa per conoscere il mondo circostante e se stessi.

L’istituzione scolastica è chiamata a promuovere e trasmettere i valori della pace, al fine di pensare, concepire e progettare una società senza guerre, dove si mobilitino meccanismi positivi di cultura della nonviolenza in un ambiente ecosostenibile, in cui le risorse delle ricchezze naturali siano spartite equamente tra i ceti e i gruppi sociali, nella civiltà delle relazioni tra popoli, genti e minoranze, per un’utopia attuale e realizzabile concretamente nel qui ed ora, nell’attualità del presente.

Un futuro senza conflitti armati è generato dalla condivisione della coesistenza tra culture aperte nel tessuto sociale e collettivo, che deve promuovere e progettare un processo civile orientato alla pace e al dialogo tra culture e religioni, dove l’altro divenga meta di condivisione, scambio e confronto pacifico, evitando ogni affronto sprezzante e violento.

L’altro è un microcosmo di conoscenza in un pluriverso di differenze che permettono di avvicinarsi all’attualizzazione concreta del concetto di pace tra popoli, a partire da ogni singolo individuo, chiamato ad entrare in relazione con il diverso da sé, al fine di porre in comunicazione molteplici entità ed identità che racchiudono ciascuna un microcosmo di idee, valori, sentimenti, pensieri, progetti da spartire collettivamente nella quotidianità, all’interno degli ambiti comunicativi e sociali, dove poter imparare a convivere e ad accogliere i caratteri identitari e impliciti nel soggetto che aiuta o chiede aiuto, che soccorre chi soffre o è soccorso.

La società intera è chiamata a promuovere i valori e a rivendicare i diritti umani contro ogni intenzione basata sul conflitto armato, nella pretesa di prevaricazione sull’altro, in quanto occorre immaginare, ipotizzare, inverare e realizzare l’utopia contemporanea di un mondo senza guerre, dove il più debole venga aiutato e accolto e non sottomesso da pretese prepotenti di sfruttamento, prevaricazione e riduzione in schiavitù dei più bisognosi.

Il dialogo è una risorsa pedagogica che consente di mettere in discussione i propri assunti, le certezze e i presupposti nel confronto con gli altri, come atteggiamento positivo tramite cui la pluralità delle esperienze può agire come arricchimento reciproco e non come volontà di sopraffazione e prevaricazione, promuovendo invece comportamenti equilibrati tra il prestare la giusta attenzione nei riguardi dell’alterità e il riconoscimento delle differenze.

La scuola è il luogo dove si genera un nuovo orientamento umanitario per tradurre gli atteggiamenti negativi di non accettazione e condivisione, che nascono da pregiudizi razziali molto diffusi nella società, in idealità e comportamenti positivi e costruttivi.

La presenza nella scuola di persone immigrate rappresenta uno stimolo a impegnarsi e a interrogarsi sui valori di cui siamo tutti portatori, in prima persona, perché l’educazione interculturale rappresenta per la scuola un elemento innovativo e critico, che comporta la trasmissione di idealità e valori di pace, accoglienza e dialogo con l’altro.

Il sistema educativo è attualmente più che in altri periodi storici, sollecitato a cambiare le prospettive pedagogiche e le impostazioni didattiche che non rispondono ai mutamenti inevitabili delle pratiche educative, nella manifesta necessità di aprire la pedagogia a una dimensione interculturale, per una filosofia del dialogo, dell’incontro, dello scambio vicendevole nei messaggi educativi e valoriali di apertura alle culture altre e di valorizzazione delle differenze, nella pace.

Attualmente è necessario aprire l’Italia, l’Europa, il mondo all’accoglienza dello straniero, non solo per integrarlo, ma soprattutto per riconoscerne e accettarne il valore, nella critica al dogmatismo totalitario, nel rispetto delle diversità, nella valorizzazione della specificità, della minoranza, della singolarità, con l’opposizione al razzismo, al nazionalismo, alla xenofobia, alla guerra.

La scuola può insegnare il percorso di un’interazione che consideri l’apporto delle culture, cercando di leggerle in una sintesi globale, in modo che l’espansione di sè non sia basata sull’annientamento dell’altro, riconoscendo invece la pluralità dei contesti culturali, favorendo la costruzione di identità flessibili. La scuola è responsabile, in quanto istituzione preposta all’educazione, di attivare iniziative per estirpare i pregiudizi sugli altri e le paure del diverso, facendo in modo di evitare che le incomprensioni si radicalizzino nel razzismo, nell’omofobia, nella xenofobia, nella guerra.

La scuola deve promuovere la pedagogia dell’incontro, dell’accoglienza reciproca, del dialogo costruttivo, per evitare il conflitto a livello individuale e collettivo, per incentivare una predisposizione alla pace in un mondo che si concepisca privo di guerre e di scontri armati.

Note:

  • MOVIMENTO NONVIOLENTO: UNA CAMPAGNA PER IL DISARMO LUNGA UN ANNO.
  • Al termine del convegno svoltosi a Verona il 20-22 gennaio 2012 per i cinquant’anni della fondazione del MOVIMENTO NONVIOLENTO per iniziativa di Aldo Capitini, il Movimento Nonviolento promuove una campagna per il disarmo da gennaio a dicembre 2012. Opposizione alla guerra, ai suoi strumenti ed ai suoi apparati. Opposizione a tutte le uccisioni. Opposizione al razzismo e ad ogni altra forma di persecuzione. Opposizione ad ogni denegazione di umanita’. Difesa intransigente dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Difesa della biosfera, casa comune dell’umanita’ intera ed intrinseco valore. Solo la nonviolenza puo’ salvare l’umanita’. La nonviolenza e’ la civilta’ umana, l’umanita’ plurale e solidale, divenuta autoconsapevole e responsabile per se’ e per il mondo.



Il Centro Studi Sereno Regis di Torino per la Memoria e la Pace “Fammi ricordare, discutiamo insieme” (Is 43,26)

Il Centro Studi Sereno Regis di Torino per la Memoria e la Pace

“Fammi ricordare, discutiamo insieme” (Is 43,26)

Il Centro Studi Sereno Regis di Torino propone : Le Dimensioni Angeliche tra Memoria e Oblio sulla scena della Shoah. Ricordati di ricordare
“Fammi ricordare, discutiamo insieme” (Is 43,26)
*******************************************************************
LE DIMENSIONI ANGELICHE TRA MEMORIA E OBLIO SULLA SCENA DELLA SHOAH.
RICORDATI DI RICORDARE.
“Fammi ricordare, discutiamo insieme” (Is 43,26)

di Laura Tussi

http://serenoregis.org/2012/01/le-dimensioni-angeliche-tra-memoria-e-oblio-sulla-scena-della-shoah-ricordati-di-ricordare/

http://www.peacelink.it/pace/a/35459.html

L’imperativo presente nel titolo già presuppone l’esortazione a ricordare di compiere un’azione, in questo caso reciproca, relazionale, a livello duale o collettivo. L’incitamento, l’invito, in tal senso, consiste proprio nell’atto del ricordare, del rammentare il ricordo, di rimemorare un pensiero, un evento passato che implica la necessità di essere rimemorato, ossia riportato alla memoria, e di conseguenza di risanare la ferita inferta dall’oblio della contemporaneità con il passato. L’episodio viene riattualizzato e ripresentificato, non solo nella mente, nello sguardo, negli occhi, nei sensi di chi è chiamato a ricordare, quindi, non solo di un individuo singolo, che, peraltro chiede aiuto nel ricordare (fammi ricordare), ma di un’intera comunità che si ritrova “insieme” a discutere della ripresentificazione dell’evento ricordato.
L’episodio storico, relativo ad un passato sociale, è riattualizzato e quindi riportato alla memoria, o meglio, in questo caso, com-memorato, rammentato insieme, in comunità, in comunione di valori e significati. I principali verbi del rimemorare presentano etimologicamente due diverse interpretazioni di senso, come ra-mentare, ossia raccogliere nella mente e ri-cordare, riportare al cuore. Queste forme verbali fanno pensare alla memoria come una forma di religio, da re-ligare, ossia nel ricollegare l’uomo a Dio, con il tramite messianico dell’angelo della memoria, quale messaggero di pace, per continuare a sperare che il mondo riemerga dal baratro brutale della bestialità disumana. L’angelo della Shoah è l’ancella, il messaggero della pace, che annuncia l’avvento di una memoria che ripresentifica il tempo per condurlo ad una rimemorazione collettiva, a partire da ogni singolo individuo, per non dimenticare. Le dimensioni angeliche della Shoah consistono in un anelito di speranza che ripristina il ricordo e conduce all’atto della rimemorazione per stendere un velo di com-passione sugli eventi, ossia un portato di sofferenza collettiva che scongiuri l’oblio, allontani la dimenticanza, tramite un potere taumaturgico che distolga dal male, per ripresentificare gli eventi, affinché la negatività non si ripeta.

Ricordare e dimenticare? Memoria, identità, speranza.

Il ricordo comporta la rilettura di eventi, fatti, avvenimenti, episodi: il passato, il tempo precedente, trascorso, non prossimo, ma remoto, ossia intriso di storicità. L’azione del ricordare si declina al passato, nel tempo trascorso che tralascia pensieri, opere, parole, emozioni, sentimenti e quindi implica la dimenticanza, l’oblio, quando la memoria diviene oblio e dimenticanza e non rammenta, non rievoca, non rimembra il tempo trascorso che diviene perduto, privo di riferimento e di senso, senza più significati, per cui l’evento, nella dimenticanza, perde d’identità.
La memoria individuale e collettiva viene rievocata e commemorata.
Individualmente, l’azione del ricordare si svolge lentamente, in una dimensione interiore, meditativa, soggettiva. In un’accezione collettiva, la memoria passa attraverso una comunità, un gruppo, una società che com-memora tramite cerimonie, rituali, celebrazioni, miti, credenze e simboli. Il ripristinare un evento passato e riconsegnarlo alla memoria, individuale e collettiva, avvalora un’identità redimendola dall’oblio lacerante in cui imperversa il mondo moderno: l’identità è dispensata con il ricordo dal rischio dell’oblio inesorabile degli eventi attraverso il passato, per cui subentra la speranza della sopravvivenza sociale del ricordo, della memoria presso la posterità, procastinando al tempo futuro, ripristinando l’atto celebrativo del rammentare, riconsegnando così alle nuove generazioni, una rinnovata speranza nell’avvenire, ossia la memoria del futuro.
L’angelo della memoria si presenta alla collettività attraverso la meditazione, il pensiero, il ricordo che intimamente e insitamente suscitano la rievocazione scritta e orale della testimonianza, nella tradizione di padre in figlio, dove le dimensioni angeliche della Shoah si manifestano nell’annuncio della speranza in un mondo migliore, dove non si ripetano le ingiustizie, i soprusi, le prepotenze, gli odi, le vendette perpetrate agli uomini su altri uomini.
L’angelo è il messaggero di giustizia che tramite l’annuncio della memoria distoglie il genere umano dalla barbarie e scongiura il male, apportando giustizia dove le dignità e i diritti umani vengono cancellati e calpestati nel mondo e nella storia umana. L’angelo della memoria si identifica con la collettività che tramite l’impegno del ricordo trasforma la disumanità brutale in speranza per un futuro migliore dove gli uomini si rispettino nella giustizia, nella pace, nella libertà e fratellanza fra i popoli.

Memoria e conflitto

La memoria è serbatoio di immagini, vissuti, eventi del passato. Nell’interiorità questi ricordi possono confliggere in vuoti di senso e di valore.
La memoria storica è pervasa di eventi spesso cruenti, guerre, stragi, conflitti di vario genere. Le posizioni ideologiche assunte dalle parti in causa in un determinato evento passato possono, attualmente, creare conflitto di idee, di posizioni, di valori, di scelte di campo nella società civile che commemora.
Il conflitto di posizione e di idee scaturisce nel gruppo sociale che nella sua storia, nella sua cultura, nel suo passato ha sperimentato un determinato evento e rispetto al quale prende posizioni ideologiche e valoriali differenti, a seconda della scelta di posizione  e di parte, rispetto ad un determinato episodio storico che implica analisi, ragionamenti e ripensamenti di carattere politico, sociale e ideologico.

La pluralità delle memorie

La storia nei suoi corsi e ricorsi presenta molteplicità plurime di eventi degni di ricordo e memoria. Gli eventi memorabili che occorre “ricordarsi di ricordare” sono molti in una stessa società. In differenti contesti comunitari, in altre nazioni, in diverse sottoculture ed etnie, si ricordano molteplici eventi degni di memoria, fatti storici, guerre civili, episodi politici e tutto ciò che scaturisce dal susseguirsi inesorabile e necessario degli eventi. Le differenti culture e società presentano varie tipologie di avvenimenti e di memorie filtrati dal corso della storia e dal pensiero del popolo che setaccia e seleziona il tempo ed il significato di cui è portatore. La cultura cristiana, islamica ed ebraica convivono da secoli in tutto il bacino del Mediterraneo, portandovi nuova cultura, arte, scambi commerciali, altre idee, differenze etico, morali e religiose, usi, costumi, tradizioni differenti, in sostanza  altri mondi conviventi e compenetrantesi vicendevolmente, che hanno determinato ed influenzato le fasi storiche della vita in tutto il Mediterraneo. Queste tradizioni distinte, ma influenzantesi reciprocamente, generano occasioni commemorative, riti, rituali, cerimonie, suffragate dalla memoria e dalle molteplici occasioni di ricordo collettivo, dove le dimensioni angeliche della speranza costituiscono l’identificazione tradizionale e mitica con la collettività, che diviene dispensatrice di memoria al fine di contribuire alla positività nel genere umano.

La memoria che disturba

La memoria della Resistenza partigiana contro l’occupazione nazifascista in Italia e le deportazioni di prigionieri politici, dissidenti al sistema reazionario del regime Hitleriano costituisce un dato di fatto consolidato e suffragato da analisi storiche. Alcune frange intellettuali di matrice revisionista hanno voluto negare tutto ciò che concerneva la deportazione e la realtà del campo di concentramento: ossia il cosiddetto negazionismo storico.
Invece, il revisionismo storico può puntare l’accento sugli episodi, presunti di aspro disaccordo, tra i partigiani gappisti e gli Osoppo, insinuando un esasperato dissidio tra frange partigiane più estremiste (comuniste) e cattolici di carattere più conservatore. Una memoria importante è costituita dalla commemorazione delle stragi di atti terroristici, per esempio per mano delle Brigate Rosse che si definivano e si definiscono tuttora “comunisti combattenti”, in una seria e contrita analisi politica, chi si identifica con il primo  appellativo, ma non ammette intenzioni e attentati stragisti e armati e di sovversione terroristica del sistema.

Il futuro della memoria

La memoria di un evento costituisce sempre lo sprone a ricordarlo nel tempo futuro, soprattutto se l’evento, o meglio, la memoria di esso comporta un portato valoriale motivante, un ideale molto significativo per la comunità civile e per la società. La Shoah, la Resistenza Partigiana al regime nazifascista sono avvenimenti dal portato emblematico, ossia costituiscono, nel valore del loro ricordo, tramite la commemorazione, un simbolo, una simbologia di codici di significato emblematici, che si rimandano (dal greco sum-ballo) di generazione in generazione, nella tradizione coommemorativa e celebrativa da parte della comunità e collettività sociale, che avviene e si esplicita tramite cerimonie, rituali, in luoghi della memoria, in ambiti di culto, dove si identifica il sacrificio della vita umana con la sacralità dell’evento: come, dal latino, sacer, ossia separato dall’usuale, dal consueto, dal comune trascorrere del tempo, quale avvenimento straordinario, ossia fuori dal normale, dal concepibile della giustizia, della morale e dell’etica umana.
La memoria ha futuro nel ricreare ambiti collettivi di riflessione e riproposizione di tematiche del conflitto, delle sopraffazioni, delle diversità fino a giungere a tramandare e concepire e riattualizzare il valore del dia-logos interreligioso ed interideologico, con risvolti sociali e politici, tramite il confronto tra varie realtà che racchiudono in sé i vari simboli, multipli e plurimi di tutto ciò che è diverso, di tutto ciò che è altro dalle “nostre” più radicate convinzioni.

Educare alla memoria

Un’interpretazione biblica sostiene che “se non ci fosse la dimenticanza l’uomo penserebbe continuamente alla propria morte”, non costruirebbe case, non si affaccenderebbe, non parlerebbe con gli altri e neppure amerebbe nessuno: perciò Dio ha posto nell’uomo l’angelo della dimenticanza. Per questo un angelo è incaricato di insegnare al bimbo, cosicchè non dimentichi nulla, ma un altro angelo è incaricato di chiudergli la bocca perché dimentichi quanto aveva imparato.
Anche da questa immaginazione esegetica si evince che le dimensioni angeliche non sono pertinenti solo alla memoria, ma anche all’oblio. L’angelico della memoria deriva principalmente da ethos, che ha la necessità di stabilire una continuità con il passato, mentre l’angelico della dimenticanza deriverebbe maggiormente da eros, che anela sempre ad un nuovo cominciamento, totalmente incurante della storia passata (per l’elaborazione del concetto di derivazione tra eros ed ethos, mi ricollego al pensiero dell’amico Baldo Lami).
La tradizione è perennemente sospesa nella scelta non di rado traumatica tra memoria e oblio. Parafrasando la litania dei tempi nel capitolo terzo del Qoelet si dovrebbe avvertire che esiste un tempo per fare memoria ed un tempo per astenersi dal ricordare. Il tempo della memoria si esplica perché quanto è accaduto non abbia mai più da accadere. Vi è un tempo dell’oblio per non vedersi inchiodati ad un passato che va superato e messo in discussione, per non farne un idolo pericoloso e dogmatico. Esiste un ricorso retorico all’appello alla memoria, oggi, molto diffuso. Si tratta di un riferimento spesso appunto puramente celebrativo, ornamentale, privo di reale mordente e scadente persino nel linguaggio adottato. E si presenta il rischio di diffondere talvolta in buona fede, la convinzione di una necessità di pacificazione sociale ottenuta al prezzo della smemoratezza, giungendo al punto di occultare le fonti storiche o di riabilitare i colpevoli trovando una colpa nel crimine. La memoria è un esile filo interiore che ci tiene legati al nostro passato, quello individuale, quello familiare, quello della società civile di appartenenza, in quanto risulta faticoso vivere in modo fecondo la relazione con il proprio passato, dato che si corre sempre il rischio di rimanere prigionieri di ciò che è trascorso, incapaci di superarne gli errori, ma anche subentra la tentazione di spezzare ogni vincolo con il passato, come se fossimo i primi abitatori di questo pianeta. Bernardo di Chartres, con un’immagine ormai celebre, diceva che gli uomini sono nani che camminano sulle spalle di giganti, che, fuor di metafora, sono le nostre storie, i successivi e contradditori volti del passato. E’ necessario il coraggio della memoria e non il culto asettico di quanto è accaduto. Comunque non tutto va ricordato in ogni momento di quanto ci è accaduto in termini di male, di sofferenza, di vicende traumatiche. Esistono avvenimenti di tale straordinaria complessità e grandezza che non li si dovrebbe ricordare in ogni momento, ma non li si dovrebbe nemmeno dimenticare: la Shoah è uno di questi accadimenti. La commemorazione rituale non solo è di scarsa utilità per l’educazione della popolazione quando ci si limita a confermare nel passato l’immagine negativa degli altri o la propria immagine positiva. Essa contribuisce anche a sviare la nostra attenzione dalle urgenze presenti, procurandoci una buona coscienza con poco investimento. La ripetizione lancinante del mai più questo, all’indomani della prima guerra mondiale, non ha impedito l’avvento della seconda. La memoria in crisi del secolo breve risale a partire dalla considerazione notissima, di solito citata anche in apertura di ogni riflessione, sulla rinascita della “Teologia narrativa” di Walter Benjamin. La caratterizzazione di questo secolo è appunto la problematicità, la difficoltà e addirittura l’impossibilità di scambiare esperienze e, a partire da questo, evidentemente, una messa in crisi forte della possibilità della memoria. La memoria in disfacimento può essere rappresentata dalla figura ripresa dallo stesso Benjamin del reduce dal fronte della prima guerra mondiale che torna a casa, ma non è in grado di proferire quanto gli è accaduto, perché l’esperienza, le emozioni belliche sono state troppo forti per lui e non trova le parole adatte per tradurle adeguatamente. Accanto al reduce dal fronte si può porre una figura letteraria di Borges, un racconto paradossale secondo cui un ragazzo dell’Uruguay, dopo una brutta caduta da cavallo, è condannato a rimanere paralizzato. Ma, per una sorta di compensazione, egli acquista la memoria di tutto ciò che è successo lungo la storia del mondo. Una memoria totalizzante e omnicomprensiva e proprio per questo inservibile, un deposito di infinito. Il reduce dal fronte e il ragazzo uruguayano sono emblemi dell’atrofizzazione dell’esperienza che rappresenta il tratto caratteristico della modernità, alla base della crisi della memoria, perché subentra un cambiamento incessante dal momento che non appaiono più configurabili né una tradizione, né una memoria collettiva e quindi punti di riferimento comuni e condivisi. Il reduce e il ragazzo sono i simboli contrapposti di un’umanità dalla voce inceppata, incapace di fornire storie di salvezza, impossibilitata a scrollarsi di dosso le ruggini della guerra, le ferite dell’odio, la rabbia impotente dell’ammucchiarsi insensato dei giorni. Del resto persino Dio, in qualche modo, è ammutolito di fronte ad Auschwitz e come ha affermato Adorno “La cultura e la stessa critica della cultura ad Auschwitz non sono altro che spazzatura”. Attualmente viviamo questo estremo paradosso di essere immersi in un mare magnum di stimoli, di informazioni, di notizie grazie ai mezzi informatici, ai musei, agli archivi, ai media, alla persino parossistica riproducibilità tecnica, però immersi in tantissimi ricordi ed in pochissima memoria, cioè poca capacità e strategia selettrice, scarsa riflessione critica rispetto a questo mare magnum di nozioni e informazioni. Quindi le distorsioni della memoria contribuiscono a produrre una sorta di imbarbarimento generale nelle relazioni interpersonali. Vi è un ricorso distorto alla memoria che in anni recenti ha condotto gli uomini del nostro tempo al conflitto etnico, alla ricerca di una impossibile e stupida purezza e superiorità razziale, ad un presunto conflitto di civiltà che assume sempre più, soprattutto dopo l’11 settembre, il sapore contraffatto di “una profezia che si autodetermina”, ”l’apparente visione che la guerra possa essere concepita come “giusta” e subentra l’oblio di chi predica la xenofobia, dimenticando colpevolmente, come capita nel nostro Paese, quando, tutti i giorni, gli Albanesi, i profughi, i fuggiaschi, gli emigrati, gli stranieri e i dannati della terra eravamo noi, i nostri genitori, le nostre nonne, i nostri nonni. Così finiamo per confondere le cause con gli effetti e attribuiamo ad un presunto odio ancestrale le guerre tra due popoli, dimenticandoci, al contrario, che sono appunto le guerre a generare e a perpetuare l’odio. Ormai viviamo solo nell’attimo e nelle emozioni, bruciando e spettacolarizzando notizie e informazioni senza mai trovare il tempo e l’occasione di farne reale esperienza, di risponderne con responsabilità, di farne bagaglio utile per il futuro, producendo invece indifferenza, banalizzazione e retorica. In una stagione che i sociologi definiscono in preda all’incertezza più totale, caratterizzata da una memoria ormai in frantumi, che fatica a gestire il proprio ieri, in funzione di un odio aperto al domani, rischia di diventare un’impresa fallimentare e persa in partenza la sfida, pur necessaria di educare alla memoria. Non tanto quella retorica e rassicurante che mira a conservare lo status quo o quella purificazione e riconciliazione delle memorie che pretende la cancellazione di quanto avvenuto, un rischio ben presente agli occhi del teologo Mendes nella sua elaborazione di una teologia politica credibile nel contesto della modernità, tanto da fargli ammettere: ”La memoria sembra essere una controfigura borghese della speranza”, che ci dispensa ingannevolmente dai rischi del futuro. Ci si riferisce alla memoria del buon tempo andato per cui il passato viene inevitabilmente letto come un paradiso incontestato, un asilo delle illusioni attuali, in tal modo il passato viene filtrato attraverso il clichè della iniquità e il ricordo si trasforma in falsa coscienza, il nostro ieri e in oppio, il nostro oggi. Ma esiste un’altra forma di memoria che ci provoca e attraverso cui le esperienze antiche irrompono nel mezzo della nostra vita, regalandoci intuizioni nuove per il presente. Scrive Mendes: “Memorie che perforano il canone dell’evidente comunemente recepite, sabotano in qualche modo le nostre strutture di plausibilità e in questo modo possiedono proprio dei tratti sovversivi”. Dunque una memoria pericolosa ed eversiva, una memoria, quella cristiana non meno di quella ebraica, che contempla, in modo specifico, non tanto il ricordo di principi, idee, astrazioni, ma piuttosto rivive le storie, gli eventi, i fatti davvero accaduti, per cui la comunità che ne nasce si autodefinisce come una realtà narrativa e commemorativa: ecco la strategia del ricordo…quando è lecito pensare che il contrario di oblio non sia memoria, ma giustizia.
Una dimensione angelica potrebbe sanare l’antinomia esistente tra memoria e oblio, per cui se c’è l’una non può esserci l’altro, destinando l’uomo alla smemoratezza e alla ripetizione. Invece, l’oblio aiuterebbe la memoria a non cristallizzarsi, ma a riformularsi continuamente sulla base del presente, in modo che ram-mentare e ri-cordare significhino riportare sempre al vivente.
Le dimensioni angeliche della memoria e dell’oblio sulla scena della Shoah rappresentano tutto il portato valoriale della rimanente positività del presente che si autodetermina nel processo collettivo della com-memorazione, al fine di scongiurare l’abiezione umana, dove il diverso, l’emarginato, l’umile e il più debole, di cui tutti siamo parte, nel tessuto sociale e comunitario e nel mondo, vengano riabilitati dall’ethos della giustizia sociale, propugnata dai valori sanciti dalle carte costituzionali democratiche e dalla dichiarazione universale dei diritti umani, perché le tante Shoah che si ripetono ostinatamente e tragicamente nel mondo vengano scongiurate dall’angelo della memoria portatore di speranza in un domani di pace.

Note:




TEORIE FEMMINILI SULLA FEMMINILITA’

TEORIE FEMMINILI SULLA FEMMINILITA’
Onerpo è Osservatorio Nazionale ed europeo per il Rispetto delle Pari Opportunità che come finalità statutarie ha quelle della rimozione degli ostacoli che impediscono la libera e democratica partecipazione delle donne alla vita sociale e politica

Osservatorio Nazionale ed Europeo per il Rispetto delle Pari Opportunità

L’ONERPO ha origine dalle iniziative della società civile per le pari opportunità. Nasce affinché si riconosca che le donne sono parte concreta e fattiva della cittadinanza che non ha bisogno di tutele, né di compartimenti stagni, né di aree protette. Le quote cosiddette rosa, i regali, le protezioni, sono modalità errate di affrontare il problema paritario da cui le donne rifuggono.

http://www.peacelink.it/tools/author.php?u=437

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/donna/Riflessioni_1327430093.htm

La Consulta delle Donne è un portale esistente dal 2003 per offrire spazio al talento femminile, con la pubblicazione di testi letterari e poetici, immagini artistiche, e informazioni di rilevanza sociale e politica. E’ composta da numerose rubriche e si avvale della collaborazione di artisti e scrittori già affermati, come di nuovi letterati di qualità.

L’ONERPO ha origine dalle iniziative della società civile per le pari opportunità. Nasce affinché si riconosca che le donne sono parte concreta e fattiva della cittadinanza che non ha bisogno di tutele, né di compartimenti stagni, né di aree protette. Le quote cosiddette rosa, i regali, le protezioni, sono modalità errate di affrontare il problema paritario da cui le donne rifuggono. Onerpo è Osservatorio Nazionale ed europeo per il Rispetto delle Pari Opportunità che come finalità statutarie ha quelle della rimozione degli ostacoli che impediscono la libera e democratica partecipazione delle donne alla vita sociale e politica. Come prevedono gli articoli 3, 2, 51 della nostra Costituzione.

Wanda Montanelli, Vicepresidente ONERPO e Responsabile della Consulta delle donne

www.onerpo.it

http://www.wandamontanelli.it/CdD/

http://www.facebook.com/wanda.montanelli

wmontanelli@alice.it

************************************

TEORIE FEMMINILI SULLA FEMMINILITA’

Il disagio della civiltà

di Laura Tussi

Il modello universale dell’eccellenza umana, imperniata sulla centralità del soggetto maschile, com-prende e informa, costantemente e incessantemente, la cultura, il pensiero, i contenuti, gli atteggiamenti, che vengono trasmessi anche quando la discriminazione esplicita diventa latente, traducendosi in ormai esacerbate e note dinamiche discriminatorie e di segregazione. La critica femminista ha confutato i contenuti patriarcali del principio costituzionale di uguaglianza come il carattere prevalentemente androcentrico della storia del pensiero filosofico, psicanalitico e della tradizione culturale.

Secondo Freud il transfert che si stabilisce con un’analista donna è idoneo ad esplorare le fasi preedipiche dello sviluppo attualizzando il legame materno. Secondo Helen Deutsch la psicologia della donna è un derivato sostanzialmente universale ed immodificabile della sua situazione anatomica e della sua fisiologia. L’organizzazione della libido della donna appare strumentalizzata dalla funzione riproduttiva. Secondo Karen Horney l’anatomia non è un destino e sono i condizionamenti sociali e culturali, non le pulsioni, che giocano un ruolo determinante. La Horney denuncia l’ottica di parte con cui è stato costruito il modello psicanalitico di femminilità e nella sua opera “Psicologia femminile” del 1924 l’invidia del pene, che per Freud è un dato di fatto, è una conseguenza della situazione di inferiorità della donna, indotta da tutto il contesto ambientale operante sul suo sviluppo. La Horney propone che la psicanalisi esca dal privato confrontandosi criticamente con la sociologia e l’antropologia. La Deutsch sarà considerata il portavoce della psicanalisi ortodossa sulla questione femminile, mentre la Horney sarà allontanata nel 1941 dalla società di psicanalisi. Ernest Jones invece riuscì a dissentire dalle teorie freudiane senza urtarne l’ortodossia, notando che le osservazioni degli uomini analisti sulla sessualità femminile sono viziate da una sorta di fallocentrismo, minimizzando le esperienze psichiche femminili. Ricostruì uno specifico sviluppo della sessualità della bambina, autonomo rispetto a quello del bambino vedendo nel timore di castrazione il simbolo della  “aphanisi” (il soggetto del desiderio minacciato di cancellazione), costituita per tutti, dalla paura della perdita di ogni possibile piacere sessuale. Maria Bonaparte considera la passività non come un dato di fatto, bensì come una posizione da raggiungere con il sacrificio delle pulsioni erotiche pregenitali. La donna è in una situazione di svantaggio rispetto all’uomo perché possiede un minor patrimonio libidico ed è soggetta ad un più complesso processo evolutivo. Questo spiega l’immaturità del suo super ego e le frequenti difficoltà della vita sessuale. La frigidità femminile è anche provocata dalla cultura patriarcale che reprime la sessualità della donna. Lou Andreas Salomè teorizza un’esperienza complessiva femminile senza però legarla ad alcuna specificità biologica, caratterizzata dalla felicità di un erotismo che basta a se stesso, di un narcisismo che si appaga nell’autocontemplazione. Il dibattito sull’evoluzione della donna, verso la maternità, svoltosi tra le due guerre rimase sporadico e frammentario. Luce Irigaray denuncia l’impossibilità del pensiero occidentale di pensare il diverso. Il nostro pensiero poggia sul principio di non contraddizione e se il sesso maschile è, quello femminile non è, perché così vuole la logica delle preposizioni. La Irigaray diede conto del coinvolgimento, della complicità culturale con l’uomo, della impossibilità della rappresentazione a causa del sistema della donna. Venne anche lei allontanata dal Dipartimento di psicanalisi della Università di Vincennes nel 1974, per la sua mancanza di etica. Partendo dal presupposto che il femminile ha luogo solo in modelli e leggi maschili, cercò di vedere l’essere femminile nella sua specificità e pluralità contrapposta all’unità fallica. Centrale qui è il rapporto con la madre, momento fondante nella costruzione dell’identità sessuale femminile. Irigaray sostiene che all’origine della civiltà ci fu un assassinio più arcaico del parricidio, quello della donna-madre che costituì l’atto inaugurale della società maschile, fondata sulla negazione del femminile. La Irigaray incita il movimento delle donne a recuperare il legame con la madre e l’amore per se stesse e per le altre donne normalmente sacrificato all’amore del lui e alla competizione per la conquista dell’uomo, attraverso la cultura tradizionale per lacerare il discorso maschile e per trovare modalità alternative di rappresentare e dare voce al femminile.

La psicanalisi si occupa di una sessualità in quanto storia, tracce di vicende remote, un sistema di rapporti interpersonali che rimandano costantemente dal corpo ai fantasmi del passato, dell’immaginario, dalle scene primarie ai vissuti individuali, dalla famiglia alla società, dall’uomo alla donna. La sessualità non è una, ma un coaugolo di pulsioni parziali contraddittorie, non è più regolata dagli schemi fissi della naturalità animale, si svolge tra la pluralità delle fonti, l’intercambiabilità degli oggetti e la labilità del fine. La meta della soddisfazione le è preclusa in se stessa, dalla propria natura anarchica. Freud analizza il rapporto tra natura e cultura e deduce che nessuna conquista dell’uomo sarebbe possibile senza una costante sottrazione di energie sessuali: la civiltà tende ad aumentare le sue richieste di sacrifici pulsionali. Nella sua famosa opera “Totem e tabù” del 1912, Freud opera un confronto tra la struttura psichica individuale, l’Edipo e le strutture sociali, nucleari messe in luce dall’antropologia evoluzionistica: il totem e il tabù. Freud interpreta l’animale totemico come una simbolizzazione del padre e traduce il tabù come l’interdizione edipica, ossia “non ucciderai il padre non amerai la madre”. Freud stabilendo un’analogia tra il nevrotico moderno ed i selvaggi primitivi sulla minaccia rappresentata dai desideri incestuosi, si interroga anche sull’origine dell’orrore per l’incesto. Riprende la ricostruzione proposta da Darwin per cui l’uomo primitivo sarebbe vissuto in piccole comunità (orde) in cui un solo maschio adulto possiede tutte le femmine, scacciando i figli rivali. Da allora un sistema di divieti regola i rapporti sociali, ma poiché il desiderio incestuoso continua a riproporsi, la vicenda viene ripetutamente paralizzata nella società attraverso i miti e nella storia individuale, attraverso l’immaginario edipico. Secondo Freud la religione stessa può essere fatta risalire a queste prime vicende. L’uccisione del padre libera esasperando le componenti libidiche, provocando sentimenti di nostalgia e la conseguente idealizzazione della figura paterna. Nel 1915, turbato dalla guerra, Freud cerca di interpretarla con l’analisi e nelle “Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte” rivela che il comportamento della società moderna è analogo a quello dei popoli primitivi: l’azione vietata ai singoli diviene lecita quando si fa opera collettiva. Nell’inconscio permane un’aggressività mortale della quale cogliamo il senso di colpa come conseguenza.

Nel saggio “L’avvenire di un’illusione” del 1927, Freud tenta l’impresa di smantellare con la critica dell’analisi, la necessità della religione, che vede come un narcotico con il quale l’uomo controlla la sua angoscia, ma rende insensibile la mente. Freud non ha dubbi: il fine dell’uomo è la felicità intesa sia come assenza di dolore, sia come fruizione del piacere, fine che si rivela impossibile. La labilità è una caratteristica intrinseca di qualsiasi piacere che, prolungandosi all’infinito, finisce per scomparire. Per provare piacere risulta necessario che ci sia stata prima deprivazione e l’intensità del godimento è direttamente proporzionale a quella della sofferenza provocata dal bisogno. L’infelicità così è componente essenziale della felicità.

La vita dell’uomo è costantemente minacciata dal deperimento organico, dalle forze distruttive della natura e dalle relazioni con gli altri uomini, le più sofferenti. L’organizzazione sociale si configura all’analisi psicologica come una pericolosa minaccia. Con il termine Kultur, civiltà, Freud intende l’insieme delle norme e delle istituzioni che regolano la distribuzione dei beni. Con il patto sociale, l’uomo rinuncia alla felicità in cambio della sicurezza. La società infatti per costituirsi e mantenersi deve sottrarre energie libidiche individuali. Nel “Al di la del principio di piacere” del 1920, Freud aveva ipotizzato accanto alle pulsioni sessuali, un’ antagonistica pulsione di morte. Ne “Psicologia delle masse e analisi dell’io”, Freud cerca le motivazioni che spingono gli individui a comportarsi diversamente quando sono insieme, rispetto a quando invece sono isolati. Si tratta di rapporti amorosi sublimati, che uniscono l’individuo alla massa e la massa al loro capo, riproducendo i legami tra i figli e il padre nella famiglia primitiva. Nel capo Freud scorge la corrispondenza con una istanza interna alla personalità, con l’io ideale. Il bambino di fronte alle proibizioni dei genitori, non potendo aggredirli, interiorizza l’aggressività che essi provocano e la riversa sul proprio io. La rinuncia pulsionale viene gestita da una istanza interna, da una coscienza morale astratta, il super io, le cui pretese paradossalmente aumentano sempre più. Essere uomini civili significa rinunciare ad una gestione libera, spontanea e felice della sessualità e dell’aggressività. A livello cosciente la rinuncia pulsionale viene mascherata dalla razionalizzazione e nell’inconscio essa permane come una protesta disperata e soffocata, che si presenterà sotto forma di malessere diffuso, appunto il disagio della civiltà.

Spesso lo sfruttamento della libido da parte della civiltà, causa nell’individuo una situazione di nevrosi di cui egli scorge solo le componenti personali, non il più vasto contesto storico e sociale. Contro l’angoscia ineliminabile prodotta dall’impossibilità dell’uomo e della donna di vivere isolati e dall’insofferenza per la vita di gruppo, il soggetto ha trovato alcuni rimedi tra cui la droga che agisce sull’apparato sensitivo e inibisce il dolore, provoca piacere, comportando però uno spreco di energie vitali. Secondo il principio di realtà, occorre abbandonare la ricerca immediata del piacere, per investimenti a lungo termine, ma più sicuri e redditizi. Esso opera in due sensi, nella modificazione del mondo esterno e nella elaborazione dell’economia psichica interna, che si implicano a vicenda. A seconda del prevalere di una o dell’altra, ogni individuo attua scelte intenzionali diverse: alcuni si dedicano all’arte e alla cultura, altri ancora negano o fuggono il mondo come gli eremiti, altri si rifugiano nella pratica religiosa. La soluzione però più generalizzabile consiste nell’amore verso il prossimo, da cui derivano alcune delle gioie più grandi della vita, ma l’oggetto d’amore è sempre minacciato di perdita e non resta che moltiplicare gli oggetti d’amore che però sono incompatibili con le esigenze della relazione erotica. A Freud questo appare come un goffo tentativo di celare le componenti aggressive delle relazioni tra gli uomini. I surrealisti francesi definirono l’inconscio come il luogo incontaminato, il paradiso perduto, l’assoluto positivo, ma Freud non condivise queste ipotesi.

Allegati

  • Wanda Montanelli
    La Consulta delle Donne è un portale esistente dal 2003 per offrire spazio al talento femminile, con la pubblicazione di testi letterari e poetici, immagini artistiche, e informazioni di rilevanza sociale e politica. E’ composta da numerose rubriche e si avvale della collaborazione di artisti e scrittori già affermati, come di nuovi letterati di qualità. L’ONERPO ha origine dalle iniziative della società civile per le pari opportunità. Nasce affinché si riconosca che le donne sono parte concreta e fattiva della cittadinanza che non ha bisogno di tutele, né di compartimenti stagni, né di aree protette. Le quote cosiddette rosa, i regali, le protezioni, sono modalità errate di affrontare il problema paritario da cui le donne rifuggono. Onerpo è Osservatorio Nazionale ed europeo per il Rispetto delle Pari Opportunità che come finalità statutarie ha quelle della rimozione degli ostacoli che impediscono la libera e democratica partecipazione delle donne alla vita sociale e politica. Come prevedono gli articoli 3, 2, 51 della nostra Costituzione.




Magister. Le Nuove Frontiere dell’Educazione Istituto di Istruzione Superiore “G. Verga”- Modica (Ragusa)

La Rivista Magister dimostra con umiltà, che la cultura, quella vera, discute e affronta i problemi del vivere quotidiano, del nostro presente e del futuro senza confini, bandiere e barriere, oltre le dimensioni geografiche, politiche e ideologiche.

Magister. Le Nuove Frontiere dell’Educazione

Istituto di Istruzione Superiore “G. Verga”- Modica (Ragusa)

Magister propone i contributi di ricerca di Moni Ovadia, Laura Tussi, Roberto Zaccaria, Luciano Corradini, Claudio Saita, Andrea Cevenini, Clemente Floridia, Giuseppe Tidona, Francesco Rando, Douglas Ponton e molte altre personalità del mondo accademico e culturale.

Magister. Le Nuove Frontiere dell’Educazione.

Istituto di Istruzione Superiore “G. Verga”- Modica (Ragusa)

La Rivista Magister dimostra, con perseveranza, coraggio e abnegazione, un concreto e coerente impegno dal basso, di chi opera nella scuola, nelle associazioni, nei gruppi di solidarietà, ma anche nelle Università, nelle istituzioni, nella Provincia più meridionale d’Italia (Ragusa), ma senza avvertire la marginalizzazione che qualcuno, pregiudizialmente, vorrebbe stigmatizzare. La Rivista Magister dimostra con umiltà, che la cultura, quella vera, discute e affronta i problemi del vivere quotidiano, del nostro presente e del futuro senza confini, bandiere e barriere, oltre le dimensioni geografiche, politiche e ideologiche.

Magister propone i contributi di ricerca di Moni Ovadia, Laura Tussi, Roberto Zaccaria, Luciano Corradini, Claudio Saita, Andrea Cevenini, Clemente Floridia, Giuseppe Tidona, Francesco Rando, Douglas Ponton e molte altre personalità del mondo accademico e culturale.

Direttore: Alberto Moltisanti- Dirigente Scolastico dell’Istituto Statale di Istruzione Secondaria “G. Verga” – Modica (Ragusa)

Responsabile coordinatore del Progetto: Piergiorgio Barone– Docente di Scienze Sociali

*****************************************************************************

PER UNA FORMAZIONE INTERCULTURALE ALLA PACE.

Dalla Disuguaglianza alla Diversità.

Una riflessione didattica ed educativa.

di Laura Tussi

I concetti di diversità e disuguaglianza indicano prospettive e situazioni diverse, a partire dalla radice etimologica del loro significato. Il termine disuguaglianza si riferisce ad un connotato di tipo dichiarativo e constatativo nella considerazione che due soggetti non appartengono allo stesso universo, ma costituiscono parti a sé stanti.

Nella parola diversità, invece, a volte è implicito il riferimento ad una origine comune, nella differente evoluzione del concetto, dove la diversità volge verso una situazione nuova, in continuo divenire, in costante modifica e si sviluppa per linee discontinue e non identiche, nel movimento, nella trasformazione, nella dinamicità, nella creatività. Al contrario, la disuguaglianza sociale ed economica implica staticità, stagnazione, ingiustizia, priva di dinamismo interno, presente invece nell’evoluzione della molteplicità e del riconoscimento e della valorizzazione della differenza.

Nel mondo degli esseri umani subentrano caratteristiche personali e situazioni, da cui scaturiscono pari dignità, ma anche disuguaglianze. Quindi è un preciso compito dell’educazione e dell’istituzione scolastica permettere che la diversità non si trasformi in disuguaglianza e si risolva in dinamismo e ricchezza per la persona e per la comunità.

Occorre prendere atto che il contesto sociale, il mondo, l’universo, sono intrisi di molteplicità e complessità che costituiscono la creatività originale e l’individualità dinamica e costruttiva delle persone, risorse imprescindibili per ciascuno, come valore da custodire e da coltivare, per impedire così alla diversità di trasformarsi in disuguaglianze sociali e civili, giuridiche ed economiche.

La scuola deve porsi l’obiettivo didattico di educare con la differenza, utilizzando ogni aspetto diffrangente, come spazio di possibilità pratica, di eventualità potenziali, come orizzonte di senso, in situazioni esistenziali e in ambiti pedagogici da valorizzare, nella condizione di porre lo specifico della diversità a sostegno dello sviluppo cognitivo ed emozionale, quale termine di confronto, in un ambito esistenziale di verifica critica, per dotare ogni individuo di una propria identità.

L’identità è espressione e segno di un processo continuo di costruzione, in cui entra in gioco un flusso ininterrotto di transazioni tra soggetti e ambiente, nel quale si manifesta quella speciale risorsa della persona che conferisce direzione, autenticità e originalità allo sviluppo creativo, sociale e culturale, in una mediazione didattica che possa trarre energia e forza dalla diversità.

L’implicanza prioritaria di queste riflessioni si ricollega al disordine costitutivo dell’esistenza, dove prevale la differenza e non la banale disuguaglianza che genera procedimenti di omologazione, mirando a sopprimere e reprimere, più che a promuovere personalità, creatività, originalità, dignità, valore individuale, in assunzione di compiti, in responsabilità singole, sociali e collettive, nel proprio tempo e nella storia, in tutto il suo decorso.

La differenza è la prima caratteristica delle persone e della loro personalità, in cui ognuno è insieme un universo e un unico irripetibile, come le individualità storicamente maturate e determinate nelle comunità umane, indicate come popoli, etnie, gruppi e minoranze portatori, appunto, della propria cultura, della originale civiltà, nelle espressioni ed inflessioni della lingua d’origine, della propria visione del mondo intrisa dei significati dell’arte, del pensiero, della creatività, in cui si assomma la pluralità delle culture del genere umano.

La diversità nasce come effetto dell’intreccio dinamico di contributi e sollecitazioni, dove si situano i più efficaci momenti di educazione, nel segno della multilateralità, dove il soggetto trasforma l’appartenenza da esigenze e bisogno a compito e responsabilità, da dato di fatto a scelta, da situazione predefinita a campo di libertà e progresso. Senza questo movimento evolutivo di consapevolezza e crescita, l’appartenenza finirebbe con il soffocare la persona, con il bloccarne l’individuazione, la maturazione, favorendo il gregarismo, con tutti i suoi corollari, intrisi di stereotipie, dipendenze, omologazione, dove, invece, la vocazione della persona richiede creatività, invenzione, originalità, ricreazione, per cambiare e ricominciare.

In questo contesto, la diversità non è un ostacolo da superare, un disagio da azzerare, ma è un’imprescindibile risorsa, l’indizio privilegiato di tutta una serie di ricchezze, peculiarità, prerogative e caratteri che attendono di essere valorizzati, educando attraverso la complessità, dove la critica deve poter cominciare da un’analisi di se stessi, finalizzata non all’autocensura o all’autocommiserazione, ma alla padronanza di sé e al dominio delle proprie risorse. L’educazione all’analisi critica di se stessi accetta e si nutre delle differenze, intese come distanze da percorrere, modelli da affiancare, qualità da verificare e risorse da utilizzare.

La disuguaglianza, nel rispetto dei diritti imprescindibili della persona, racchiude in sé un significato di staticità, immobilità, stagnazione, dove, invece, la diversità cerca riconoscimento, nel tentativo di riemergere dall’omologazione di un contesto intriso di stereotipia, discriminazione e intolleranza, dove la repressione del diverso diviene pratica ed esercizio di lotta per la sopravvivenza, in una società ormai esacerbata dall’egoismo dall’individualismo e dal razzismo, che impediscono un movimento evolutivo dell’essere verso il riconoscimento dell’altro.

Contro ogni razzismo

Le crisi della società attuale sono dovute alla precarietà di fattori culturali, all’incapacità di rispondere alle rapide trasformazioni economiche e politiche e alle pressioni provenienti dai popoli che insorgono contro i gioghi dei potenti, per avviare nuove condizioni e forme di sviluppo. L’educazione interculturale ha importanti responsabilità rispetto ai drammatici problemi che caratterizzano l’attuale congiuntura storica, politica, sociale. Il futuro dell’educazione consiste nel passaggio dalle situazioni di coesistenza del multiculturale alla costruzione dell’ interculturale, inteso come ambito di crescita e sviluppo della persona, in rapporto con gli altri, tramite il dialogo, nella conoscenza e valorizzazione delle pluralità, con la riscoperta delle risorse umane, nel sentimento della persona, nel significato del suo esistere, nell’importanza di una propria identità apportatrice di diversità, libere e responsabili, nella tensione attivista dell’impegno sociale nell’attualità storica. L’alterità è diversità di culture, pluralità di soggetti che si aprono verso altri sistemi di pensiero e apparati culturali, ritrovando nell’altro il sentimento fondamentale dell’essere portatore di una diversità, come sistema di valori, come articolazione e modalità dell’essere. L’educazione deve agevolare la comprensione delle differenze, superando i fattori di indifferenza, dove la diversità non sia fonte di odio nei confronti dell’umanità e non sia arroccamento su privilegi e pretese di prevaricazione e di razzismo, ma distinzione, differenziazione, superamento della segregazione cognitiva, nella complementarità e nella cooperazione, tramite il divenire relazionale e di confronto in implicite solidarietà verso nuovi soggetti storici che stanno cambiando radicalmente lo scenario dell’umanità, dove l’immigrazione è segnale di squilibri e sperequazioni nei rapporti tra popoli, ma diviene anche esperienza di incontro, accoglienza, ascolto, collaborazione e sviluppo in reciprocità relazionali, in cui la diversità diventa un diritto umano nell’esplicarsi di atteggiamenti aperti, esplorativi, conoscitivi e solidali di apertura agli altri.

Intercultura è rapporto tra persone portatrici di storie di vita e culture diverse, tra sistemi sociali ed economici di sintesi nella condivisione del patrimonio delle conoscenze e dei saperi, come alleanza tra persone, enti e associazioni che si impegnano in progetti sociali e politici per una società in cui ciascuno si senta membro di comunità locali, ma con un legame strutturale e indissolubile al grande contesto umano, nel concetto di cittadinanza planetaria, per cui ogni persona risulti effettivamente abitante del mondo, in una concezione cosmopolita, internazionale e democratica dell’essere e dell’esistere.

L’intercultura ha come finalità la persona a più dimensioni, che trasforma e si trasforma, ritrovando in sè la fonte primaria della creatività e i tratti originali della propria personalità, nell’apertura agli altri, in sintesi di dinamismi endogeni ed esogeni dell’esistere nel tempo dell’esperienza, nell’armonia dell’essere duale e plurimo, nella coesistenza pacifica, in simbiosi feconde di reciproche vicende relazionali, che pongano la personale identità al centro della storia, nel riedificare spazi di autocoscienza, in società libere, ricercando l’incontro come segno di manifestazione delle pluralità dell’essere umano che accomunano l’altro nella categoria del prossimo e non dello straniero.

Costruire società interculturali aperte e solidali, nella pace, significa lasciarsi interrogare, riconoscendo nell’altro un interlocutore attivo e responsabile, crescendo nei rapporti interpersonali con l’irruzione dell’alterità in identità sociali purtroppo sovente cristallizzate in dogmatismi ideologici, nell’esigenza di mutamento delle relazioni tra persone, in rivoluzioni pluraliste che pongano a confronto valori, norme e regole di diversi contesti culturali, ricercando opzioni, ragioni, modalità di consenso e ambiti di libertà, nella pienezza dell’esistenza, nella comprensione e nel rapporto con l’altro, nella continua disamina della propria storia di vita, ponendo in discussione i propri assunti, le proprie certezze, le fissità identitarie, rivedendo i personali progetti e impianti di vita. La comprensione dell’altro non consiste nell’accumulare informazioni, nozioni, concetti, ma

nell’ascoltare e nel rispondere, oltre il pluralismo di mero contatto, praticando modalità per affrontare i problemi nel movimento interattivo, capaci di gestire le discrasie cognitive, le crisi esistenziali nella prospettiva di promozione delle identità plurime, contro ogni razzismo.

Le reciprocità interculturali rappresentano progetti ideali volti a combinare l’universale con il particolare, l’internazionale con il nazionale, favorendo l’incontro, l’incrocio, la commistione, la contaminazione identitaria, contro l’omogeneo e il monolitico, oltre le monografie e tipologie umane, nell’unità storica basata sull’ interfecondazione delle diversità, frutto delle interdipendenze, nella consapevolezza che ogni modello culturale fornisce un apporto alla società, aprendo spazi di innovazione e di creatività, nello scambio relazionale reciproco. L’esperienza interculturale si dirama in prospettive di ricomposizione tra il vissuto, il certo, il sicuro che definiscono l’identità e il non conosciuto, l’ignoto, l’indefinito, l’incerto, che apportano squilibri nella tensione costante dell’uscire dal sè, nell’incontro con altre certezze, con altri valori e civiltà, in strategie educative che prevedano processi di reciproco adattamento nel cambiamento, nello sviluppo di dinamiche dialettiche costruttive, che valorizzino la memoria storica, le coscienze etniche di ogni cultura, interrogando la realtà, per ridefinirla, oltre ogni griglia ideologica, al fine di elaborare delle azioni promozionali, aperte, innovative.

Per costruire ponti di dialogo, reti di relazioni, varchi di speranza…

Pluralismo, pluralità e moltiplicazione delle alternative sociali sono ricchezze che implicano nuove strategie educative, nell’apprendimento e nell’adattamento alle situazioni, per socializzare al plurale e accettare le commistioni culturali, al fine di apprendere e comunicare, per cambiare e porre in relazione i ruoli e le rappresentazioni dell’altro, per salvaguardare una coerenza e un’identità personale oltre gli schematismi latenti, verso i mutamenti del polimorfismo sociale e culturale, evitando di rinchiudersi in una struttura identitaria fissa e monolitica.

La nuova strategia educativa transita attraverso la riconversione della persona e delle strutture sociali, perché il vero sapere è ascoltare la propria coscienza e il pensiero altrui, nel ricevere l’altro e desiderare di trovare con gli altri le soluzioni ai problemi. L’approccio interculturale richiede uno slancio di decentramento dagli schemi abituali di rappresentazione e di distacco dalla contemporaneità, che rischia di assorbire e omologare il diverso nell’uniforme.

Risulta necessario l’impegno interculturale ed intergenerazionale nella ricerca delle memorie perdute, nel confronto tra la storia dei popoli che vivono sullo stesso territorio e che fanno riferimento a fonti, risorse e memorie differenti, nel riconoscere e valorizzare la storia dell’altro, nella scoperta dell’alterità come rapporto, nella realizzazione dei diritti umani e nella lotta contro tutte le forze di discriminazione, nell’unità nazionale, europea, globale, universale.

La differenza è un diritto.

Diritto alla genialità non come esaltazione, sregolatezza e frenesia nell’autocompiacimento, ma ricchezza di capacità e competenze nella valorizzazione, nel supporto e nell’aiuto di sè e degli altri, nella diversità come appartenenza al più ampio contesto umano, nelle somiglianze, nelle affinità, nell’universalità dei valori in cui l’interculturale diviene una componente intellettuale, un principio direttivo di conoscenze e comportamento, nell’orientare i percorsi, per costruire reti di incontro e dialogo, ponti di relazioni, nell’aprire varchi di significato e speranza e assumere le asperità dei conflitti nelle loro valenze positive.

Intercultura verso traguardi di reciproca comprensione e graduale interazione dove le esigenze di autonomia, i bisogni di relazione, ma anche disfunzioni, squilibri, interferenze, contrasti, vanno vissuti in dinamiche costruttive e interattive, verso obiettivi di comprensione con cui descrivere le culture degli altri, conoscendo i particolari, approfondendo le difficoltà del conoscersi, senza soffermarsi sull’eccentrico, sulla tautologia esperienziale, ma inserendo le informazioni nell’ordine cognitivo, nell’operare processi di movimento, cambiamento, pace, finalizzati a ristabilire il rapporto, la relazione, il confronto di esperienze, la collaborazione progettuale.

Certamente non è facile accogliere il nuovo, senza perdere il proprio passato e la propria identità, senza lasciarsi assorbire da scenari sperimentati da altri, in altri contesti, in altre storie, in una ristrutturazione di significati in cui la novità non è il cambiamento dell’identità, ma è la relazione, il rapporto, l’interscambio di contenuti e opinioni, nel passaggio da un’educazione etnocentrica ad un’apertura concettuale e di pensiero allocentrica, che permetta di prendere coscienza dell’alterità, nell’unità. Transizionalità significa uscire da sé per entrare nell’altro e comprenderne i miti, le idee che lo strutturano, in forme polimorfe di plasticità della persona che pone in contatto circuiti relazionali di umanesimo spirituale, per associare, per entrare in sintonia, per rendere liberi, per redimere da schiavitù sociali più o meno latenti e implicite, dove l’insegnante si trova al centro di tutte le problematiche educative nei rapporti con le pluralità degli studenti, dei genitori, con il contesto nazionale e, al contempo, con le società degli immigrati, in polimorfismi frammisti che si articolano in insiemi, sottoinsiemi, incoerenze, variazioni, discrepanze, domande contraddittorie e risposte incerte. La comprensione della realtà pluralista, della molteplicità è compito dell’educatore che deve sapere avanzare proposte progettuali, fare uscire dai ghetti delle preclusioni intellettuali, delle giustapposizioni, dal culto ostentato, anomalo, forzato e fittizio del diverso, per gestire e apprendere le appartenenze categoriali, al fine di valorizzare colui che apporta un senso di diversità, oltre l’omologazione del sociale, nell’appiattimento concettuale ed intellettuale, per aprire al movimento, al cambiamento, alla relazione, alla pace, oltre le crisi, le discrasie, i conflitti per restare uniti nelle diversità. La progettualità, la multidimensionalità, le dinamiche evolutive trovano la sintesi fra l’unità e il cambiamento rivoluzionario, dalla totalità che ingloba alla specificità che connota, nel risultato di interazioni diverse, molteplici che avvicinano e separano, alimentano le differenze e costruiscono ponti di legami e reti di relazioni, nell’aggregazione e interazione, oltre l’assimilazione e il conseguente annientamento identitario, dove il senso e il significato dell’essere e dell’esistere sono idee e concetti strutturali che permettono di apprezzare l’altro come affine, simile, prossimo, e non straniero, che sente l’esigenza della conferma del proprio ruolo da parte degli altri, aprendosi ai processi di interazione e rinnovamento. Nel discorso interculturale occorre evitare la celebrazione dell’identità, nella sua istituzionalizzazione fino a forme di feticismo che bloccano i potenziali attori di cambiamento, nel gioco perverso di una certa politica che riduce l’alterità a merce, a oggetto di piacere e di consumo e pone in rilievo l’altro esclusivamente per subdole esigenze economiche e manovre consumistiche, negando la dignità di colui che è portatore di diversità di opinione, sesso, razza, condizione sociale ed economica, appartenenza politica, etnica e religiosa.

Educazione alla Cittadinanza Attiva e Mediazione Culturale.

Il termine mediazione viene utilizzato per segnalare la capacità di generare progetti culturali, politici e pedagogici, al fine di interpretare i nodi relazionali delle complessità interculturali nel tempo della globalizzazione. La mediazione linguistica e culturale pone in comunicazione varie realtà, tramite passaggi di informazioni.

Ogni percorso educativo è un processo di mediazione che si esplica nella relazione comunicativa, in quanto traduzione, ossia creazione di legami tra realtà differenti.

L’insegnante propone una personale dimensione costitutiva di mediatore interculturale che favorisca il passaggio di contenuti tra culture, creando una sintesi all’interno delle diverse posizioni, con momenti pedagogici capaci di superare le reciproche differenze e di generare una realtà in dialogo critico e riflessivo con il contesto di origine, evitando rigide contrapposizioni e schematismi latenti, relativi alle differenti pratiche esistenziali e ai vari approcci culturali. Una società orientata nell’ottica di modalità pedagogiche dialoganti, aperta al confronto, all’interazione comunicativa, coincide con il modello di comunità democratica composta da persone uguali, libere, che cercano di risolvere razionalmente i propri conflitti di interessi e i propri contrasti. Tramite gli incontri con le posizioni, le perplessità, gli sguardi e i volti degli altri possiamo divenire maggiormente coscienti delle nostre scelte, dei significati, dei valori di riferimento delle nostre azioni, con il portato complessivo di tutte le debolezze, le incertezze, le incompletezze della nostra opinione, di un personale punto di vista presunto unico e vero, che invece deve essere relativizzato e posto in discussione, nell’ambito di uno spazio pubblico di incontro e confronto comunitario e collettivo, culturalmente stimolante, caratterizzato dai significati del reciproco rispetto e della fiducia nell’arricchimento, tramite lo scambio, nell’accrescimento valoriale della relazione, grazie alla consapevolezza della fatica di un impervio itinerario di crescita, di un percorso collettivo, all’interno delle relazioni aperte con gli altri e per gli altri, in un portato di significato insostituibile, di un processo plurimo di appartenenze e mediazioni trasversali.

L’essere umano contemporaneo vive profondamente e diffusamente la dimensione plurale della sua identità, nella cittadinanza partecipe e consapevole di più entità pubbliche, da integrare e interiorizzare nella problematicità degli incontri dialettici delle varie realtà, in una sintesi di comunità, culture, stili e valori unificati dalla storia, dalle istituzioni e dalle regole collettive, poste oltre le istanze locali, permettendo così la coabitazione e la convivenza civile e cosmopolita, dove la persona nella propria integrità e complessità è cittadina del mondo, nell’insieme dei rapporti, delle relazioni tra globale e locale, nella quotidianità del tempo.

La condizione umana richiede nuove modalità per costruire e vivere identità plurali, transitando tra le dimensioni esistenziali in maniera dialettica, accogliendo positivamente tensioni, scarti, dubbi e difficoltà del processo di interazione relazionale, quale elemento di una nuova etica pubblica, frutto della mediazione tra le persone concrete che convivono in un territorio, realizzano scambi culturali e linguistici che tendono a costruire e regolare i legami sociali, nella convinzione del senso specifico dello stare insieme per affrontare le difficoltà, con la fiducia nell’importanza del dialogo, della comprensione e del rispetto reciproco, quali ideali irrinunciabili e imprescindibili dell’esperienza umana personale e sociale.

La scuola deve assumersi in primis il compito di educare i giovani a costruire e ad esercitare una nuova cittadinanza planetaria, spiegando la memoria storica dell’esperienza del passato, favorendo la comprensione razionale della situazione sociale e individuale presente, nel costruire responsabilmente il volto della società, sempre più caratterizzata da legami planetari, per cui la cittadinanza diventa un punto di intersezione di una serie di esigenze educative per la formazione umana universale. La scuola ha l’importante obiettivo di indicare alle nuove generazioni la costruzione di progetti di vita, nell’accettazione serena del cammino di crescita e della fatica che esso comporta, per l’impegno con la personale esistenza, tramite la collocazione del proprio percorso di vita, all’interno di una rete di storie e progetti esistenziali che attraversano il tempo e lo spazio e invitano ad intessere relazioni tra generazioni, culture e religioni, nel concetto esteso di mondialità, come forma di convivenza pacifica, rispettosa del diritto di ciascuno e dei popoli a mantenere vive le proprie tradizioni, nella ricerca del valore insito nell’abitare insieme questo mondo.

Laura Tussi, Istituto Comprensivo via Prati, e Istituto Comprensivo Lev Tolstoj –  Desio (Monza e Brianza)

Note:

Allegati

  • La Rivista Magister dimostra, con perseveranza, coraggio e abnegazione, un concreto e coerente impegno dal basso, di chi opera nella scuola, nelle associazioni, nei gruppi di solidarietà, ma anche nelle Università, nelle istituzioni, nella Provincia più meridionale d’Italia (Ragusa), ma senza avvertire la marginalizzazione che qualcuno, pregiudizialmente, vorrebbe stigmatizzare.



Articolo-denuncia di Gian Mario Gillio, Direttore di Confronti su Notizie Radicali: Stop F35 e Manifesto Nonviolento

Articolo-denuncia di Gian Mario Gillio, Direttore di Confronti su Notizie Radicali: Stop F35 e Manifesto Nonviolento

F35, se il servizio pubblico informasse i cittadini…

Gian Mario Gillio, Direttore di Confronti, afferma “Il Manifesto Nonviolento è stato sottoscritto, tra gli altri, da Alex Zanotelli, Vittorio Agnoletto,

Moni Ovadia, Laura Tussi, Luisa Morgantini, Gilberto Squizzato. Oltre ai singoli e alle associazioni pacifiste, compaiono le redazioni di “Nigrizia”, “Left-Avvenimenti”e de “Il dialogo” www.ildialogo.org.

Le firme sono in continuo aggiornamento sul sito www.peacelink.it

Fonte: http://notizie.radicali.it/articolo/2012-01-05/intervento/f35-se-il-servizio-pubblico-informasse-i-cittadini

http://www.peacelink.it/pace/a/35335.html

F35, se il servizio pubblico informasse i cittadini

di Gian Mario Gillio

“Noi sottoscritti, singoli e associazioni: chiediamo al governo di attuare il risanamento del bilancio statale a partire dal taglio drastico delle spese militari […] ricordiamo che votare a favore di missioni militari volte a partecipare ad azioni di guerra all’estero viola l’articolo 11 della Costituzione italiana […] infine ricordiamo che non sosterremo politicamente con il voto i partiti che in Parlamento voteranno a favore dei finanziamenti per tali missioni o per l’acquisto di cacciabombardieri F-35, ovvero i partiti che si dichiareranno favorevoli alle suddette iniziative”. È la sintesi di un appello lanciato dal sito web Pacelink ai parlamentari italiani per fermare le spese militari finalizzate alla guerra e all’acquisto di cacciabombardieri F-35. Una campagna promossa da numerose associazioni e personalità del mondo pacifista dal simbolico titolo “Taglia le ali alle armi” che chiede di destinare le risorse previste per gli F-35 alla società, all’ambiente, al lavoro e alla solidarietà internazionale.

Il manifesto non violento è stato sottoscritto, tra gli altri, da Alex Zanotelli, Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Laura Tussi, Luisa Morgantini, Gilberto Squizzato.

Oltre ai singoli e alle associazioni pacifiste, compaiono le redazioni di “Nigrizia”, “Left-Avvenimenti”e de “Il dialogo” www.ildialogo.org. Le firme sono in continuo aggiornamento sul sito www.peacelink.it La denuncia delle associazioni nasce dal fatto che l’Italia, in un momento così difficile e recessivo, si è impegnata a spendere 20 miliardi di euro per l’acquisto di 131 velivoli F-35. Tra le promesse del governo, a giustificare tale spesa, l’incremento occupazionale ed economico per il nostro paese. Così dicono. Finmeccanica compare come azienda leader del settore nel consorzio guidato da Lockheed Martin e Base System. 20 miliardi – questa la cifra stimata dai promotori dell’appello – pare davvero una bella cifra in tempi di vacche magre e proprio mentre si chiede al ceto medio (se ancora esiste) di ripianare il debito pubblico del nostro paese, risanare dunque i conti di uno Stato in piena crisi recessiva. Una follia l’acquisto di 131 cacciabombardieri F-35? Solo per alcuni sembrerebbe. Molti italiani invece di questa storia non ne sono nemmeno a conoscenza. Il fatto è che di spese militari poco si parla, non sono una notizia, questo vuoto si registra sia nella televisione pubblica italiana che in quella privata. Solo alcuni giornali hanno voglia di approfondire la questione e un esempio di questi giorni arriva da il Fatto quotidiano. La rete, come sempre si muove e sensibilizza come può ed è a disposizione per chi ha la pazienza di navigare e cercare tra le notizie non date dagli organi ufficiali di informazione. Gian Mario Gillio direttore di “Confronti” Incuriosisce constatare invece che una notizia di tale portata: 20 miliardi di euro previsti per le spese militari (soldi nostri?) non venga percepita come tale né dalla società civile né dagli addetti all’informazione. Dovrebbe essere una notizia “bomba” di questi tempi. Dovrebbe far sobbalzare tutti e suscitare domande e curiosità. Ma se questa notizia non viene data e difficile che ciò possa accadere. Le spese militari non trovano spazio e se lo trovano la notizia scivola dolcemente tra le altre, così, en passant. Sarebbe invece importante per tutti cittadini italiani poter ricevere dal nostro servizio pubblico, almeno quello del canone, approfondimenti su temi così importanti. Poter meglio capire, ad esempio, per quale motivo si è deciso di acquistare tali velivoli? Sapere se c’è urgenza di minaccia internazionale. Sapere perché si è scelto di puntare su questo tipo (F-35) di cacciabombardiere piuttosto che un altro. Si tratta della nostra sicurezza, giusto? Sarebbe importante conoscerne le potenzialità belliche, o se preferite di “difesa”. Capire quali saranno i tempi di acquisto, dove avverrà la produzione e con quali partner. Dove verranno presi i fondi. Approfondire anche le questioni giuridiche: a partire dalla nostra Carta costituzionale. Che cosa ne vogliamo fare del nostro Articolo 11 che testualmente cita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Ed ancora sarebbe bello poter assistere in prima serata televisiva ad un dibattito che si concentri non solo sulle questioni tecnico-finanziarie ma anche sulle questioni etiche e morali che tale acquisto pone: la guerra e la pace. Un’analisi sul dopo Iraq. Un bilancio dei morti sia tra la popolazione civile irachena sia tra i militari americani. Quale ruolo giocò l’Italia. La recente e attuale questione libica. Insomma, temi troppo spinosi e difficili, probabilmente. O forse non siamo ritenuti all’altezza di poterli comprendere? La guerra uccide, fa male e non serve a nulla. Ma muove interessi finanziari, economici e espansionistici. Meglio non parlarne. Allora sarebbe importante in prima serata almeno affrontare, in modo veniale in che modo decisioni del genere (come l’acquisto di 131 aerei militari) possono incidere sulle nostre tasche. In un momento di crisi come quello che attraversa il nostro paese, sarebbe interessante poter vedere una bella inchiesta per capire se siamo davvero tutti interessati a tali spese. Sapere qual è attualmente la forza dei nostri armamenti. Sono obsoleti? Quanti aerei militari possediamo attualmente? Sono davvero necessari131 velivoli o ne basterebbero molti di meno: per ripudiare la guerra e promuovere la giustizia e la pace fra le nazioni? Come ci ricorda l’articolo 11. Infine, ma non ultimo. Con questi 20 miliardi cosa si potrebbe fare di diverso per sostenere l’economia del nostro paese Italia? Ma tutto tace, e di spese militari non si parla. Così come non si è mai voluto parlare del debito pubblico italiano. Sempre citato dai “tiggì” tra i servizi economici: “oggi il debito pubblico si è attestato…” e via, sempre più veloce, per passare ad un’altra notizia. Così facendo (finta che non fosse poi così importante sapere quanto debito pro capite avesse ogni bambino appena nato in Italia) il debito è cresciuto, sempre più, in modo sconsiderato, di anno in anno, nella disattenzione di tutti. Il debito oggi è finalmente protagonista, sì è preso la scena! Un debito, quello che oggi “finalmente” riusciamo a vedere, che però giustifica tutto (è proprio così?) il sacrificio chiesto a molti italiani. Una disattenzione, quella di tutti noi, colpevole. Colpa ne ha chi non ha voluto che si parlasse del debito quando ancora si poteva intervenire e colpa l’ha chi ha voluto far finta di niente tanto, prima o poi, qualcuno ci avrebbe messo mano. Invece nessuno lo ha fatto. E oggi si corre ai ripari. Per evitare di non caderci un’altra volta torniamo all’appello iniziale di Peacelink. La campagna ricorda anche quanto le manovre approvate in questi mesi graveranno sui cittadini: “si stimano proprio in 20 miliardi i tagli agli Enti locali e alle Regioni (che si tradurranno in minori servizi sociali o in aumento delle tariffe), ed altri 20 miliardi di tagli alle prestazioni sociali previsti dalla legge delega in materia fiscale ed assistenziale, senza contare il blocco dei contratti e degli aumenti ai dipendenti pubblici e l’aumento dell’IVA che colpirà indiscriminatamente tutti i consumatori”. Il tutto anche per partecipare ad un progetto militare “faraonico” – denunciano i promotori dell’appello – “di cui non si conoscono ancora i costi complessivi (cresciuti al momento almeno del 50% rispetto alle previsioni iniziali) che ha già visto aspre critiche di paesi partner come la Norvegia e i Paesi Bassi e l’ipotesi di cancellare gli acquisti da parte della Gran Bretagna. Senza dimenticare che, contemporaneamente, il nostro paese partecipa anche allo sviluppo e ai costosi acquisti dell’aereo europeo EuroFighter Typhoon”. Dunque aerei militari sì, treni-notte verso il sud Italia no! Insomma le domande alle quali vorremmo delle risposte in merito alla questione F-35 sono tante! Non oscurare questa storia sarebbe davvero un bel servizio (pubblico) per i lettori, gli ascoltatori e i telespettatori! Attendiamo allora fiduciosi qualche approfondimento in Rai. Per ora, per quanto ci riguarda, abbiamo voluto aprire un varco, ma da oggi ci impegniamo a far emergere un po’ di luce su questa storia. Meditate gente, meditate!!! Chiosava Renzo Arbore in una bella trasmissione televisiva.

http://notizie.radicali.it/articolo/2012-01-05/intervento/f35-se-il-servizio-pubblico-informasse-i-cittadini

http://www.youtube.com/lauratussi