UN CONVEGNO SULLA QUALITÀ CERTIFICATA DELLA PORCHETTA ITALICA DI CAMPLI

UN CONVEGNO SULLA QUALITÀ CERTIFICATA DELLA PORCHETTA ITALICA DI CAMPLI

È in programma mercoledì 22 agosto alle ore 17.30, presso la sala “Giammario Sgattoni” dell’Ufficio Turistico del Comune di Campli, il convegno dal titolo “La porchetta: dallo street food alla qualità alimentare certificata”. L’iniziativa è stata promossa e organizzata dalle associazioni Pro Loco Città di Campli e Memoria & Progetto Onlus nell’ambito degli appuntamenti culturali della 47^ Sagra della Porchetta Italica (in corso a Campli fino al 23 agosto) allo scopo di tutelare e valorizzare la tipicità della Porchetta Camplese, già menzionata negli antichi statuti comunali di Campli del 1578 e nel tempo divenuta protagonista assoluta della gastronomia teramana e abruzzese, anche grazie alla famosa sagra nata nel 1964.

La giornata di studio e divulgazione scientifica è incentrata sul tema della tutela e della certificazione della Porchetta Camplese attraverso una serie di contributi di studiosi, esperti e professionisti del settore. Il convegno sarà introdotto dai saluti istituzionali del sindaco di Campli, Pietro Quaresimale, del Consigliere provinciale Federico Agostinelli, del Consigliere della Regione Abruzzo Sandro Mariani, dal presidente della Pro Loco Pierluigi Tenerelli e dal vicepresidente di Memoria & Progetto Onlus Coriolano Germe.

Ad aprire la sessione degli interventi accademici sarà il prof. Gabriele Di Francesco, sociologo dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara, con una suggestiva ricostruzione storica intitolata “Dal porco troiano ai disciplinari di produzione”; seguiranno gli interventi del prof. Roberto Ricci, presidente di Memoria & Progetto Onlus, che omaggerà la figura del maestro porchettaio Luigi Meloni, tra “tradizione e innovazione”, e del prof. Leonardo Seghetti, agronomo ed enologo, docente all’Istituto Agrario Ulpiani di Ascoli e all’Università di Teramo, che tratterà il tema “Contenuti e valenza della qualità alimentare”; seguiranno i contributi del giornalista Nicolino Farina, che ricostruirà la storia della sagra di Campli attraverso una proiezione di immagini d’epoca, e quello dell’imprenditore Nicola Genobile, con la sua testimonianza dal titolo “Dalla tradizione artigianale ai prodotti di nicchia”.

Le conclusioni del convegno saranno affidate al prof. Gabriele Di Francesco, che presenterà le linee guida del disciplinare per la certificazione di qualità della Porchetta Camplese e delle Colline Teramane insieme al progetto del Museo della Porchetta “Luigi Meloni”, promosso dalla Pro Loco Città di Campli e dall’Associazione Memoria & Progetto Onlus.

 

Pro Loco “Città di Campli”

Piazza Vittorio Emanuele II n. 3 – 64012 Campli (TE)




Torna a Giulianova la 3° Tappa del Trofeo Minimoto Marco Simoncelli

Coppa Centro Sud Trofeo Minimoto Marco Simoncelli 2018.

PISTA CIPRIETTI

GIULIANOVA (TE)

 

Torna a Giulianova , nella mitica Pista Ciprietti, teatro di grandi sfide dove hanno mosso i “primi passi “ anche gli attuali  Campioni  della MOTO GP MOTO2 e MOTO 3, la

3° Tappa del Trofeo Minimoto Marco Simoncelli E

 

Questo Trofeo è stato promosso dal Comitato Regionale Emilia-Romagna della FMI e si svolge su tutto il territorio nazionale in 5 prove.

 

Vedremo a Giulianova una grande manifestazione , ci saranno piloti che hanno dagli 8 anni in su  divisi nelle Categorie rispettive per peso ed anno di nascita.

 

 

L’attività  prosegue impreziosita quest’anno dall’istituzione della categoria “Primi Passi”, espressamente finalizzata all’avviamento alle Minimoto in tutte e tre le coppe (Nord Ovest, Nord Est, Centro Sud) e nel trofeo Marco Simoncelli. Un’opportunità per i giovanissimi di avvicinarsi, in un contesto professionale, alla specialità, apprendendo preziose nozioni e maturare una consolidata esperienza in previsione di un futuribile impegno agonistico nel Campionato Italiano Minimoto/CIV Junior.

 

Potrete assistere alle Prove libere gia’ da venerdì 24, poi sabato ci saranno le Verifiche Tecniche e prove libere e Domenica 26 Agosto le gare cominceranno dalle 09.30 fino alle 16:00.

 

Un ringraziamento alla Federazione Motociclistica Italiana nella figura di Cristian Farinelli, al Nostro grande Presidente FMI Abruzzo Elvio Fortuna , che hanno dato l’ opportunità di svolgere questo evento e potremmo tifare anche i Ns. piloti di Casa che sono numerosi, perché il Circuito Della Pista di Giulianova è una fabbrica di Campioni , dove tutto ha inizio nel settore del Motociclismo.

 

VI ASPETTIAMO NUMEROSI.




CASTELBASSO, L’ARTE DI FABIO MAURI ILLUMINA L’ABRUZZO MATTEO FATO SI CONFRONTA CON LE OPERE DELLA COLLEZIONE

 

 

L’arte di Fabio Mauri per Castelbasso 2018, mostra allestita dalla Fondazione Malvina Menegaz per le arti e le culture (presieduta da Osvaldo Menegaz), illumina l’Abruzzo fino al 2 settembre.

 

Il percorso tra le opere di Fabio Mauri, fotografie, installazioni, proiezioni e disegni scelti dalla curatrice Laura Cherubini esposti nelle ampie sale di palazzo De Sanctis, permette una sintesi del pensiero dell’artista nel decennio 1968-1978.

 

Il nucleo delle iniziative, allestite dalla Fondazione Malvina Menegaz, presieduta da Osvaldo Menegaz, è sempre l’arte contemporanea e, oltre alla fondamentale e unica esposizione delle opere di Mauri, trova spazio quest’anno un artista abruzzese di nascita (Pescara, 1979) ma di livello internazionale come Matteo Fato. Attraverso il progetto Sarà presente l’artista, Fato prende spunto da un antico ritratto di un astronomo, presente nella Collezione permanente della Fondazione, per costruire una riflessione sul modo di osservare (e quindi percepire) la realtà. Da questo punto di partenza si snoda il percorso espositivo della mostra, a cura di Simone Ciglia, che comprende opere di autori dal secondo Ottocento al Novecento – fra cui Boille, Festa, Michetti, Spalletti, Turcato – posti in dialogo con le opere di Matteo Fato a palazzo Clemente.

 

Con il patrocinio e il contributo di Mibact (Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo), Regione Abruzzo, Fondazione Tercas, Provincia di Teramo, Comune di Castellalto, Consorzio dei Comuni B.i.m., Camera di commercio di Teramo, Gruppo Falone, Subaru Barbuscia.

 

Di seguito l’intervento critico del curatore della mostra di Matteo Fato

 

Sarà presente l’artista #0 Matteo Fato – di Matteo Ciglia

 

Il progetto Sarà presente l’artista nasce con l’intento di riaffermare la centralità della figura dell’artista, richiamata nel titolo che cita ironicamente un’espressione utilizzata in passato negli inviti delle mostre. Con cadenza annuale, un artista è invitato a vestire i panni del curatore, riallestendo la collezione della Fondazione Malvina Menegaz in dialogo con il proprio lavoro.

Nel primo episodio della serie, Matto Fato prende spunto da un ritratto anonimo di astronomo – l’opera più antica della collezione – per costruire una riflessione sull’osservazione e sull’essere contemporaneo che ripercorre il pensiero di Giorgio Agamben. In Che cos’è il contemporaneo? (2008), il filosofo descrive il rapporto fra l’uomo e il proprio tempo attraverso una metafora celeste. La luminosità delle stelle nell’oscurità del cielo viene spiegata dall’astrofisica per via dell’allontanamento delle galassie, la cui luce viaggia a una velocità inferiore che le impedisce di raggiungere la terra. Allo stesso modo – afferma Agamben – anche «il nostro tempo, il presente, non soltanto è il più lontano, ma non può in nessun caso raggiungerci». Da qui deriva la paradossale necessità – già sottolineata da Nietzsche – di essere inattuale per riuscire a cogliere il proprio tempo: «È davvero contemporaneo chi non coincide perfettamente col suo tempo né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo».

Da questa esigenza nasce anche il progetto curatoriale di Fato, che concepisce nelle sale di Palazzo Clementi un percorso espositivo fondato sullo sfalsamento temporale. La sua scelta si orienta verso autori italiani che spaziano dal secondo Ottocento al Novecento – fra questi, Franco Angeli, Luigi Boille, Tano Festa, Francesco Paolo Michetti, Ettore Spalletti, Giulio Turcato – in un allestimento che immagina lo spazio «come un foglio in cui disporre pittoricamente gli oggetti». Il loro lavoro è messo in dialogo con quello di Fato, che ha costruito la propria disciplina esplorando i bordi fra immagine e segno, una regione al confine fra pittura e scultura. Da questo incontro nasce l’invito allo spettatore a percepire quello che Agamben dice «il buio del presente».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FABIO MAURI 1968-1978

a cura di Laura Cherubini

Palazzo De Sanctis, dal martedì alla domenica, dalle 19 alle 24

Fino al 2 settembre

 

Sarà presente l’artista

#0 MATTEO FATO

a cura di Simone Ciglia

Palazzo Clemente, dal martedì alla domenica, dalle 19 alle 24

Fino al 2 settembre

 

Ingresso unico per entrambe le mostre 8 €

 

PROIETTIAMO!

Laboratorio didattico per bambini dai 5 agli 11 anni

Tutti i martedì fino al 28 agosto

TECNICA MISTA

Laboratorio didattico per bambini dai 5 agli 11 anni

Tutti i mercoledì fino al 29 agosto

 

Presenza di un accompagnatore facoltativa.

Ingresso 5 € (all’eventuale accompagnatore è richiesto il biglietto d’ingresso)

 

INFO

Palazzo Clemente e Palazzo De Sanctis, Borgo Medievale di Castelbasso

Orari: martedì – domenica, 19-24

Ingresso (valido per entrambe le mostre): 8€, ridotto 6€, gratuito per i bambini fino a 6 anni

tel. 0861.508000 – info@fondazionemenegaz.itwww.fondazionemenegaz.it

 




Nicolino Farina presenta a Campli il suo nuovo libro su vino e vino cotto nella tradizione teramana

 

Verrà presentato domani, martedì 21 agosto, alle 18, presso la sala “Giammario Sgattoni” dell’Ufficio Turistico del Comune di Campli, il nuovo libro di Nicolino Farina Dalle Botti alle Pagine. Excursus storico-letterario sul vino e vino cotto nella tradizione teramana, edito da Artemia Nova Editrice. La presentazione rientra nell’ambito degli eventi collaterali della 47^ Sagra della Porchetta Italica di Campli ed è promossa dalla Pro Loco Città di Campli e dall’Associazione Memoria & Progetto Onlus. Interverranno il sindaco di Campli, Pietro Quaresimale, il presidente della Pro Loco Pierluigi Tenerelli, il presidente di Memoria & Progetto Roberto Ricci, l’editrice Teresa Orsini. Modera l’incontro Davide Francioni.

Il nuovo libro di Farina, giornalista e scrittore, fa parte della collana «Briciole di Sole», un progetto editoriale nato per far conoscere con facilità e immediatezza il territorio teramano attraverso le sue eccellenze culturali, paesaggistiche, antropologiche ed enograstronomiche.

Il volumetto su vino e vino cotto è il terzo della collana ed è anche un omaggio alla vocazione secolare al vino del territorio teramano, che si è intrecciata con alcuni snodi fondamentali della nostra storia: dagli antichi fasti degli Italici di Campovalano, al celebre passaggio di Annibale nel Pretuzio, agli episodi delle lotte medievali tra Teramo e Campli, alla Guerra del Tronto nel Rinascimento, fino alla nascita nell’Ottocento di un’industria vitivinicola, che ottenne già all’epoca diversi premi, avviando un percorso di qualità che prosegue ancora oggi.

 




LA STORIA DI NAVELLI NELLA STORIA DELL’ITALIA MERIDIONALE

 

Annotazioni sul volume “Quelli che hanno dato – Storia del Meridione dal 1860 a oggi” di Antonio Galeota

 

di Giuseppe Lalli

 

L’AQUILA – Il 13 agosto scorso, nell’Aula consiliare del Comune di Navelli, con vista sull’antico stupendo borgo, si è svolta la presentazione del volume “Quelli che hanno dato – Storia del Meridione dal 1860 a oggi”, scritto da Antonio Galeota. Come tutte le opere originali, il libro sfugge ad una precisa classificazione di genere. Si tratta di un lungo racconto scritto sotto forma di saggio storico-politico; ma potrebbe essere anche l’abbozzo di una storia sociale dell’Italia meridionale. Lo scritto è percorso da cima a fondo da un vivo senso della giustizia e da un’esigenza di verità. In esso convivono passione civile e rigore storiografico, direi – tanto per entrare in argomento – nella migliore tradizione della cultura meridionale. In più di una pagina, ho avuto l’impressione di rileggere il Francesco De Sanctis di “Un viaggio elettorale”.

 

La trattazione è densa, ricca di notizie e di argomenti. Ci s’imparano molte cose.  Io vi ho imparato ad apprezzare la figura di Giuseppe Garibaldi, sulla quale non avevo mai riflettuto a fondo. L’autore ce lo presenta come un personaggio di spessore a tutto tondo: non solo il grande condottiero e stratega militare che tutti abbiamo conosciuto nei libri di storia, ma anche l’uomo che pensa in maniera politica, che è disposto ad accantonare il suo repubblicanesimo e il suo radicalismo sociale convinto com’è che l’unità politica della nostra penisola si sarebbe potuta realizzare solo sotto l’egida del Piemonte di Cavour e dei Savoia. Un’altra cosa che ho appreso, nel capitolo dedicato all’emigrazione, quando si riferisce del terribile episodio avvenuto a New Orleans dell’uccisione per linciaggio di alcuni italiani (tra cui il navellese Loreto Còmitis), imputati dell’uccisione di un rappresentante delle forze dell’ordine ed assolti, è quanto, in molti momenti della sua storia, la società americana sia stata percorsa da sentimenti di odio razziale ed etnico, di cui i primi emigrati italiani fecero le spese.

 

La copertina del libro è assai didascalica. Sotto, sulla falsa riga di un celebre dipinto, “Il quarto stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo, sono raffigurate tutte quelle figure sociali, a partire da una coppia con bambino in braccio, che da sempre tirano la carretta, quelli, appunto, che hanno sempre dato. C’è il contadino, il medico, l’operaio, il carabiniere, insomma quelli che producono vera ricchezza, finanziaria e soprattutto morale. Si tratta, tutto sommato, come nel quadro di Pelizza da Volpedo, di una forza tranquilla. Sopra, invece, è raffigurata tutta quella borghesia che soprattutto nel meridione è vissuta all’ombra della rendita di posizione o, addirittura, ai limiti della legalità.

 

Goffredo Palmerini, nella prefazione al libro, a proposito di quella ricca articolazione di fatti locali e vicende nazionali che è uno dei tratti caratteristici del libro, evoca appropriatamente la lezione di un grande storico francese, Jaques Le Goff, autore per il quale, nella ricerca storica, fatti come la lingua, le tradizioni, i racconti, i monumenti, insomma tutto ciò che è parte viva di una memoria collettiva, ha la stessa dignità di fonte del documento scritto. A me la lettura del libro ha evocato un altro grande esponente di quella corrente storiografica che va sotto il nome di “Scuola delle Annales “, e cioè Fernand Braudel, che parla di correnti che si muovono nel sottosuolo della storia, processi di lunga durata, che agiscono sotto la superficie della politica e che da questa superficie sono toccate solo parzialmente. Sono quei piani bassi della società, su cui Antonio Galeota, in questo suo libro, getta i riflettori: quei piani abitati, appunto, da quelli che hanno sempre pagato, quelli che, alla fine, fanno la storia vera.

 

Una delle principali chiavi di lettura di questo saggio, che consta di otto capitoli, va ricercata a mio parere nel capitolo secondo, quello dedicato al brigantaggio e alle politiche dell’Italia postunitaria. E’ qui infatti che l’autore crede di rintracciare le radici di quella “questione meridionale” che appare tuttora non risolta. Il fenomeno del brigantaggio meridionale postunitario è, a mio avviso, esemplare di quella visione di lunga gittata di cui si parlava, perché ripropone temi che vanno al di là della stessa vicenda politica dalla quale prese le mosse. I libri di storia “ufficiale” hanno operato, su questo tema, o una rimozione, o, a mio parere, una interpretazione quasi sempre parziale. C’è una storiografia di ispirazione marxista che ha voluto vedere nel brigantaggio una rivoluzione in anticipo, una rivolta sociale che reclamava una dottrina e una guida politica. Da parte liberale, invece, si è preferito spesso sottolineare la strumentalizzazione politica operata dalle vecchie classi dirigenti spodestate: un incidente di percorso.

 

Nel libro c’è un approccio corretto. Si sottolinea la partecipazione contadina al movimento e si dice che si trattò di una vera e propria guerra civile, combattuta anche “da centinaia di donne in servizio armato permanente”. Si chiarisce che il brigantaggio era sì antiunitario e filoborbonico, ma non per deliberata scelta politica, ma come inevitabile risposta ad un profondo malessere sociale. Una secolare esperienza e un istinto atavico induceva i braccianti e i contadini poveri a diffidare dei cambiamenti, e a vedere nelle stesse richieste costituzionali solo la possibilità data a quella nascente borghesia agraria piccola e grande presente nei municipi e sempre pronta a cambiare cavallo, di accaparrarsi le terre, ed eliminare quelle concessioni, come i diritti di uso civico (pascolo, legnatico, seconda raccolta) che gli aristocratici riconoscevano per antica consuetudine.

 

I fatti, come si dimostra nel libro, daranno ragione ai contadini: niente più concessioni e, in cambio, tasse e servizio militare obbligatorio. Ma Galeota accenna, sia pure fugacemente, ad una spiegazione più profonda, che richiama quelle correnti sotterranee a cui si accennava. Per paradossale che possa apparire, le plebi meridionali percepiscono il regime borbonico come più equo, e più in sintonia con quel sentimento religioso radicato in quel mondo. Agisce insomma l’autorità di una tradizione secolare, aspetto su cui non si è abbastanza riflettuto. Non si tratta certo di alimentare sentimenti neoborbonici, che sono del tutto estranei, credo, all’autore, ma di aderire, come si diceva, ad un’esigenza di verità.

 

Se è vero che il processo di unificazione era scritto nel destino della nostra penisola (come aveva capito già Napoleone Bonaparte) e se è altrettanto vero che, in quel contesto determinato, esso poteva essere portato a termine solo dal Piemonte di Cavour e dei Savoia (come era convinto Giuseppe Garibaldi), questo non significa – sembra dire Galeota – che non si potesse agire in maniera diversa. L’alternativa alla famigerata legge che porta il nome di un deputato aquilano, la legge Pica del 1863, che dava all’esercito piemontese i poteri più arbitrari nella repressione del brigantaggio, era attuare “politiche giuste ed equanimi”. Galeota non manca di richiamare il quadro normativo entro il quale si consumò la grande ingiustizia. Un provvedimento a firma del Luogotenente Farini (che nel dicembre del 1862 diventerà Presidente del Consiglio), istituiva, per ogni provincia, dei commissari governativi che avrebbero dovuto provvedere alla ripartizione dei terreni del demanio pubblico, quel demanio pubblico dove erano state “accantonate” provvisoriamente le terre degli antichi feudi baronali soppressi nel 1806 da Giuseppe Bonaparte (provvedimento che i Borbone avevano mantenuto), appezzamenti che assai spesso venivano affittati ai contadini a prezzi  calmierati. In ossequio a quanto stabiliva il decreto, i commissari agirono di concerto con la amministrazioni comunali. Ma finì per prevalere il criterio di assegnare le terre non ai senza-terra, ma a chi già di fatto le possedeva, vale a dire a quei proprietari che da sempre agivano all’interno dei consigli comunali.

 

Più tardi, in occasione della alienazione delle terre confiscate agli ordini religiosi (la cosiddetta “mano morta”) e trasferite al Demanio dello Stato nel 1862, si dispose che esse potessero essere acquistate solo da chi vantava crediti nei confronti dello Stato. Ma chi poteva vantare crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione se non quelli che Galeota definisce “i soliti noti”? Non erano mancate voci di dissenso, come quella di un magistrato aquilano, Pasquale Carli, che a proposito delle suddette terre ecclesiastiche, aveva proposto, sul modello di quanto era avvenuto in Toscana e in Umbria, di assegnarle: prima, al demanio dei Comuni; e di ripartirle poi tra i contadini poveri, conservando inoltre i diritti di uso civico, “ In tal modo – scriveva saggiamente il Carli in un editoriale del 19 gennaio 1861 pubblicato su un giornale edito all’Aquila – non solo verrebbe tolta la causa o il pretesto alla sedizione, ma si trasferirebbero gli avversari della libertà in ardenti partigiani di essa “ .

 

Nel libro non si esita a sfatare anche un altro luogo comune, quello di uno Stato borbonico, al tempo della spedizione garibaldina, opprimente e retrogrado. L’autore ci mostra, dati alla mano, una realtà alquanto diversa. C’era sì un piano di infrastrutture appena abbozzato e decisamente insufficiente, ma era in corso un apprezzabile impulso allo sviluppo industriale in vari settori. Le condizioni sociali negli ultimi anni erano migliorate. Si cita uno studio del 1900 di Francesco Saverio Nitti nel quale lo statista lucano aveva rilevato che, al momento dell’unificazione, l’Italia meridionale vantava “un grande demanio, una grande ricchezza monetaria, un credito pubblico solidissimo”, ereditati dal nuovo Stato e messo a frutto non certo a vantaggio di chi li aveva prodotti e conservati.

 

Avviene in quegli anni, da parte delle classi dirigenti – scrive con documentata argomentazione Galeota – la deliberata scelta di favorire il solo sviluppo industriale del Nord. A ciò concorse una politica di agevolazioni fiscali e, più tardi, di protezionismo doganale, che dal punto di vista della produzione industriale, finì per trasformare il meridione – è questa l’amara conclusione dell’autore – in una sorta di colonia interna, sul modello di quanto farà l’Inghilterra con le sue colonie “esterne” (tesi certo forte e discutibile, ma niente affatto isolata nel panorama culturale italiano). Guido Dorso, forse il più appassionato e penetrante tra i meridionalisti, nel libro “La rivoluzione meridionale” del 1925, si esprime in termini assai simili. A ciò concorse anche – aggiunge Galeota – un ceto politico meridionale più attento a curare i propri orticelli locali e clientelari che a farsi portavoce di riforme strutturali a beneficio delle genti meridionali. Si manifesta qui quel costume, tipico di una certa tendenza meridionale, di coltivare virtù private e pubblici vizi, da cui nascerebbero quello scarso senso dello Stato di cui tanto si è parlato ai nostri giorni.

 

L’autore documenta, in altra parte del libro laddove la storia si confonde con l’attualità politica, che in termini di investimenti statali e di spesa pubblica, il divario favorevole al Nord non si è mai attenuato, a dispetto di tutta quella propaganda contro il presunto assistenzialismo meridionale. Alla denuncia del passato, recente e meno, l’autore fa seguire una serie di indicazioni. Ne parla nel capitolo 7, dall’eloquente titolo “Puntare sul meridione “. Tra le tante proposte, due meritano a mio avviso particolare attenzione. La prima, di carattere generale, è quella rivolta alla politica nazionale: si tratta di vincere le resistenze dell’Unione Europea per poter modificare una legge che, mentre permette che lo Stato finanzi, tramite una società pubblica, la Simest, con capitali della Cassa Depositi e Prestiti, la delocalizzazione delle nostre industrie in altri paesi a basso costo del lavoro, vieta che questo avvenga a favore delle due regioni del Sud che presentano redditi pro-capite molto al di sotto della media Europea. La seconda indicazione degna di attenzione riguarda direttamente il nostro territorio. Si tratterebbe, da un lato, di tornare alla cultura dell’artigianato finalizzato ai prodotti ad alto contenuto tecnico ed estetico; dall’altro di dare impulso ad un settore terziario al servizio di quel turismo che nella nostra regione sta conoscendo una fase di ripresa, in un territorio come il nostro disseminato di borghi stupendi come Navelli, con una discreta capacità ricettiva e un alto grado di attrazione.

 

L’autore di questo libro, come si evince fin dalle prime pagine, è un meridionalista convinto, un meridionalista però che ama analizzare la realtà nei suoi aspetti quantitativi, cercando i rimedi, piuttosto che attenersi alla sola teoria. C’è poi un’altra faccia del libro di Antonio Galeota, non meno importante, quella in cui descrive quel microcosmo sociale che è stata la Navelli dei primi decenni del secolo scorso. Vi dedica un capitolo specifico –  “Tra le due guerre mondiali “ -, ma Navelli sta sullo sfondo di tutto il lungo racconto. Sembra quasi che l’autore abbia voluto saldare con questo borgo un debito sentimentale, in pagine dove spesso il dato storico e lo slancio poetico si fondono. Viene in mente quel nostro grande conterraneo, Benedetto Croce, che in appendice alla sua “Storia del regno di Napoli”, scritta nel 1924, riproduce due precedenti scritti dedicati a due paeselli d’Abruzzo, Montenerodomo e Pescasseroli, che sono i paesi d’origine rispettivamente della famiglia del padre e di quella della madre. E’ certamente un omaggio ai sentimenti e alle radici, ma risponde anche ad una esigenza intellettuale del filosofo, quella di “vedere in miniatura i tratti medesimi della storia generale”, come egli stesso scrive.

 

Antonio Galeota, crociano di fatto, fa una cosa analoga con Navelli. Con una differenza, mi permetto di osservare: che Benedetto Croce non potette avvalersi, nella sua ricerca su Montenerodomo e Pescasseroli, di un archivio ordinato come quello di Navelli. Antonio, come Don Benedetto, ci ricorda che siamo sempre figli, oltre che dei tempi, anche dei luoghi, come ha ricordato a noi aquilani, di dentro e fuori le mura, anche quella tremenda notte del 6 aprile di nove anni fa. Antonio ha scritto un libro pedagogico, di educazione civile, cosa tanto più importante in questi nostri giorni di confusione civile e morale. Mi viene da pensare, in conclusione, a quante volte abbiamo sentito, fin dai banchi di scuola, quel vecchio adagio secondo cui “la storia è maestra di vita”. Ebbene, se è vero che la storia è maestra di vita, è altrettanto vero che questa maestra, assai spesso, ha avuto scolari distratti. Antonio Galeota non sembra essere stato uno scolaro distratto. Ha scritto un libro in ottimo italiano, condito di ironia, punteggiato di espressioni dialettali caustiche ed efficaci. E queste sono ragioni in più per leggerlo, rispetto a quelle dianzi illustrate.




L’autore abruzzese Peppe Millanta con un libro per tornare a sognare Il suo romanzo “Vinpeel degli orizzonti” è finalista al Premio John Fante Opera Prima

 

 

di Patrizia Angelozzi

 

Vinpeel degli orizzonti” è il romanzo edito da Neo Edizioni, casa editrice per metà abruzzese e metà campana che negli anni si è distinta per scelte editoriali accurate, con autori candidati al Premio Strega e altri importanti riconoscimenti. L’autore Peppe Millanta, abruzzese, sta ricevendo grande consenso di pubblico e critica con la sua opera prima.

Vinpeel degli orizzonti: un libro pieno di luce, un romanzo intriso di poesia, che ai sogni e all’immaginazione ruba la scintilla. Un cartello sbiadito con su scritto “Benvenuti a Dinterbild”. Un pugno di case gettate alla rinfusa intorno a una locanda. Una comunità che pare sospesa nel tempo. Una strada da cui non arriva più nessuno, e nessuno ricorda più dove porti. E gli occhi di Vinpeel, l’unico ragazzino di questa bizzarra comunità, che una notte, scrutando l’orizzonte, si convince che al di là di questo mondo esitante ci sia qualcos’altro.

Peppe Millanta, al suo esordio, crea un mondo che tutti vorremmo abitare e che forse, in cuor nostro, già abitiamo. Racconta del ragazzino che abita dentro ognuno di noi. C’è la sua vita confinata in un luogo che sembra appartenere a un sogno, c’è suo padre con cui parla solo attraverso l’aiuto del mare, ci sono amici che hanno la consistenza di nuvole e bizzarri personaggi. Ma su tutto c’è la sua voglia di scoprire, di spingersi oltre ciò che gli è dato conoscere.

In soli quattro mesi dall’uscita editoriale del romanzo Vinpeel degli orizzonti, sono oltre 80 le tappe che lo hanno visto protagonista su tutto il territorio nazionale e ospite nei grandi Festival della letteratura, con numerosi riconoscimenti e premi. Abruzzo, Lombardia, Book Pride Milano, Salone internazionale del libro di Torino, Bologna, Venezia, Varese, Nocera Inferiore, Napoli, Roma, Palermo, Salerno, Isernia, Isole Tremiti, Pescara, Festival delle letterature Salerno, Urbino, Tropea, Palermo e moltissimi altri luoghi.

 

Questi i Premi e riconoscimenti raccolti finora per l’opera: vincitore (1° classificato) del Premio Alda Merini, del Premio Quercia in favola (per i diritti dell’infanzia), del Premio La Pania, del Premio Borgo Albori 2018 per la narrativa; 2° classificato al Premio Nero su Bianco; Menzione speciale al Premio Città di Grottammare. Inoltre, il suo romanzo è Opera selezionata al Premio Grotte della Gurfa, e Opera finalista al Premio San Salvo e al Premio Carlo Piaggia. Infine, Vinpeel degli orizzonti è nella terna dei finalisti del Premio Letterario John Fante Opera Prima 2018, il cui vincitore si conoscerà nel corso del Festival “Il dio di mio padre”, in programma a Torricella Peligna (Chieti) dal 24 al 26 agosto prossimi.

 

Peppe Millanta – una laurea in Giurisprudenza alla “Sapienza” di Roma, due anni di Specializzazione e un’Abilitazione all’esercizio della professione forense – si è diplomato in Drammaturgia e Sceneggiatura all’Accademia Nazionale Silvio d’Amico. Vincitore di numerosi premi di narrativa e di teatro, nel 2013 fonda la “Peppe Millanta & Balkan Bistrò”, band di world music con cui si esibisce in tutta Italia. Nel 2017 fonda a Pescara la “Scuola Macondo – l’Officina delle Storie” dedicata alle arti narrative.

 

Scrittore, sceneggiatore, musicista, insomma artista dal multiforme ingegno, nella sua biografia semiseria, tra l’altro, afferma che in totale si è innamorato una sola volta. Ha avuto due cani. Ha fissato il mare almeno una volta al giorno. Ha pianificato nove viaggi che poi non ha fatto. Ha tirato a far tardi molte più volte del dovuto. Gli sono volati via dalle mani sei palloncini. Ha una fobia, otto libri che rileggerebbe all’infinito e quattro persone che vorrebbe prima o poi rincontrare. Vinpeel degli orizzonti è il suo primo romanzo.

 

http://www.peppemillanta.it/




Nessuna prescrizione per la copertura previdenziale dei dipendenti pubblici 

Si precisa che dal 1° gennaio 2019 i pubblici dipendenti potranno continuare a sistemare la loro posizione contributiva senza incorrere in alcuna conseguenza prescrittiva sul diritto al riconoscimento previdenziale dei periodi di lavoro presso la pubblica amministrazione.
Le novità introdotte dalla circolare INPS n. 169 del 15 novembre 2017 riguardano invece le amministrazioni pubbliche che verranno assoggettate alla stessa disciplina prevista per il lavoro privato in materia di prescrizione quinquennale dell’omesso pagamento dei contributi previdenziali.
A partire dal 1° gennaio 2019 il datore di lavoro pubblico non potrà più regolarizzare i versamenti dei contributi mancanti e prescritti secondo la prassi in uso nell’ex INPDAP, ma dovrà sostenere un onere parametrato a quello corrispondente alla rendita vitalizia in vigore nelle gestioni private dell’INPS.

INPS

Un’eccezione riguarda unicamente gli insegnanti delle scuole primarie paritarie, gli insegnanti degli asili eretti in enti morali e delle scuole dell’infanzia comunali. Questi lavoratori sono iscritti alla Cassa Pensioni Insegnanti (CPI), e nell’ipotesi di prescrizione dei contributi, il datore di lavoro può sostenere l’onere della rendita vitalizia, ma nel caso in cui non vi provveda, è direttamente il lavoratore che dovrà pagare il detto onere per vedersi valorizzato il periodo sulla posizione assicurativa.
Si ricorda che i lavoratori dipendenti pubblici che vogliano comunque verificare la propria situazione contributiva, lo possono fare dal sito istituzionale accedendo, tramite PIN, all’estratto conto personale e verificarne la correttezza.
In caso riscontrassero lacune e/o incongruenze possono richiedere la variazione della posizione assicurativa (RVPA), istanza per la quale non è previsto alcun termine perentorio.




CASTELBASSO, L’ARTE DI FABIO MAURI FINO AL 2 SETTEMBRE

 

1.
Dramophone, 1976
Performance
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma 1994
Foto: Giorgio Tellini
Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser & Wirth

 

L’arte di Fabio Mauri per Castelbasso 2018, mostra allestita dalla Fondazione Malvina Menegaz per le arti e le culture (presieduta da Osvaldo Menegaz), illumina l’Abruzzo fino al 2 settembre.

 

Il percorso tra le opere di Fabio Mauri, fotografie, installazioni, proiezioni e disegni scelti dalla curatrice Laura Cherubini esposti nelle ampie sale di palazzo De Sanctis, permette una sintesi del pensiero dell’artista nel decennio 1968-1978.

 

Con il 1968 prende l’avvio un periodo di grandi contestazioni e creatività che, pur non realizzando una rivoluzione politica, ha però portato profondi mutamenti nella società, nella cultura, nel costume. Di quella stagione rovente Fabio Mauri è stato lucido testimone, riuscendo a mettere a punto un linguaggio – incentrato sul concetto d’ideologia – capace di esprimere la complessità politica e sociale di quel momento storico.

 

Il nucleo delle iniziative, allestite dalla Fondazione Malvina Menegaz, presieduta da Osvaldo Menegaz, è sempre l’arte contemporanea e, oltre alla fondamentale e unica esposizione delle opere di Mauri, trova spazio quest’anno un artista abruzzese di nascita ma di livello internazionale come Matteo Fato. Attraverso il progetto Sarà presente l’artista, Fato prende spunto da un antico ritratto di un astronomo, presente nella Collezione permanente della Fondazione, per costruire una riflessione sul modo di osservare (e quindi percepire) la realtà. Da questo punto di partenza si snoda il percorso espositivo della mostra, a cura di Simone Ciglia, che comprende opere di autori dal secondo Ottocento al Novecento – fra cui Boille, Festa, Michetti, Spalletti, Turcato – posti in dialogo con le opere di Matteo Fato a palazzo Clemente.

 

Con il patrocinio e il contributo di Mibact (Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo), Regione Abruzzo, Fondazione Tercas, Provincia di Teramo, Comune di Castellalto, Consorzio dei Comuni B.i.m., Camera di commercio di Teramo, Gruppo Falone, Subaru Barbuscia.

 

Di seguito l’intervento del presidente della Fondazione, Osvaldo Menegaz, e un estratto del saggio critico della curatrice, Laura Cherubini, raccolti nel catalogo della mostra.

 

Introduzione alla mostra di Osvaldo Menegaz, presidente della Fondazione Malvina Menegaz per le arti e le culture

 

Quella straripante ondata di contestazione e creatività che fu il 1968 investì in pieno Fabio Mauri. La scintilla scoccata esattamente cinquant’anni fa, e destinata a generare una fiammata capace di divampare in una stagione che avrebbe segnato profondamente la società, il costume e la cultura di un’Italia d’improvviso chiamata a confrontarsi con se stessa, in un dialogo anche drammatico tra la generazione dei padri e dei figli, coinvolse fortemente l’artista.

 

Testimone d’eccezione, intellettuale raffinato, artista vocato all’avanguardia e sensibile a ogni forma di manifestazione del “nuovo” (fu tra i fondatori della rivista “Quindici”), Mauri attivò dentro di sé un laboratorio di riflessione e orientò la sua analisi verso il concetto stesso d’ideologia: un concetto che nel ’68 mostrò un’imprevista forza dirompente e che conobbe – nel bene e nel male – una possibilità diversa di manifestarsi. Gli effetti della riflessione che Fabio Mauri dedicò a quella data “mitica” non furono circoscritti al ’68 in sé (anno terribile o meraviglioso, a seconda di come lo si consideri oggi e di come lo si sia considerato ieri), ma si ampliarono come i cerchi concentrici prodotti da un sasso lanciato nell’acqua, riverberandosi e diversificandosi nella sua stessa ricerca artistica.

 

La mostra allestita dalla Fondazione Malvina Menegaz per le arti e le culture a Castelbasso, nelle sale di palazzo De Sanctis, ancora una volta con la curatela di Laura Cherubini, elegge a proprio campo d’indagine il decennio che va dal 1968 al 1978, decennio nel quale Mauri ha sviscerato, dal suo punto di vista e secondo le sue modalità di approccio, un momento cruciale della storia italiana contemporanea, in una visuale che abbraccia scaturigini e conseguenze di un intero turbolento scenario politico. Su quel decennio così complesso, e in molti suoi aspetti così drammatico per la storia repubblicana, l’opera di Mauri offre un osservatorio al tempo stesso inedito e privilegiato: tanto più che l’intellettualità dell’artista vi esplode e vi rifulge in tutto il suo vigore anche nella valenza politicamente predittiva dei lavori e del linguaggio straordinariamente innovativo che li connota.

 

Mauri ha avuto con l’Abruzzo un rapporto speciale e fecondo, contrassegnato principalmente dalla sua ventennale docenza di Estetica della sperimentazione all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, città nella quale peraltro realizzò diverse performance. Un rapporto – mi piace ricordare – che nel 2000 ha coinvolto la stessa Fondazione Menegaz, quando Mauri visitò Castelbasso – dove ebbi la gioia di conoscerlo – in occasione di Trasalimenti, la mostra in omaggio all’arte di Tullio Catalano. Alla mostra Mauri partecipò con una sua opera, anche perché di Catalano, così come della stessa Cherubini, era stato collega all’Accademia aquilana. È nel solco di quella felice precedente esperienza, che la Fondazione Malvina Menegaz per le Arti e le Culture realizza quest’anno la mostra Fabio Mauri 1968-1978.

 

La scoperta della luce solida – di Laura Cherubini

 

L’idea di proiezione percorre tutto il lavoro di Mauri, dagli Schermi, le superfici che virtualmente accolgono la proiezione, le Proiezioni che presentano l’oggettività dello schermo, ossia del mondo, che accoglie la proposizione di una mente, e se la adatta creando un terzo significato, fino a Due acquerelli in cui il pantografo, che è una macchina per “proiettare”, in un certo senso, è esso stesso proiezione in scala del modellino. Tra i vari progetti di Mauri c’era quello dei due proiettori che dovevano proiettare uno contro l’altro. Nel caso dei lavori a luce solida, c’era il desiderio di recuperare Depero, a quel tempo a torto considerato un minore. Mauri osservava invece con grande interesse le opere del futurista che con Balla

 

aveva voluto ricostruire l’universo, in particolare le sue lampadine con i raggi solidificati. L’idea di dare un corpo alla luce

partiva anche dal concetto che tutte le componenti dell’universo sono reali, compreso il pensiero. L’attenzione dunque era alla fisicità della proiezione. Un precedente può essere rintracciato nei paralumi disegnati da Mauri per la mostra Arte-oggetto alla galleria La Salita, piccoli schermi con immagini a decalcomania, cinematografo in miniatura. Nell’estate del ’68 Mauri è invitato da due artisti, Marotta e Castellani, e da due architetti, Ponzio e Casati (organizzò anche alcune mostre del design dell’artista, un’attività poco nota di Mauri, ma estremamente interessante e che propongo di approfondire anche alla luce del macabro campionario di oggetti di Ebrea, corrosiva e tragica parodia del design modernista), a presentare un progetto “pubblico” per un luogo italiano scelto dall’artista alla mostra Nuovo Paesaggio per la XIV Triennale di Milano. La manifestazione ideata dai quattro curatori era fortemente lungimirante, in netto anticipo sulle future proposte di “arte pubblica”. L’occupazione della Triennale (era il ’68!!!) interruppe i lavori e la mostra non fu aperta, ma esiste un catalogo che dimostra la stupefacente visione di Marotta, Castellani, Ponzio e Casati e la qualità dei progetti presentati, da Mauri a Boetti. Mauri aveva pensato a un enorme modello di torcia elettrica con raggio luminoso solidificato da piazzare al laghetto dell’EUR di Roma (Buzzati cita i progetti monumentali di Claes Oldenburg, mentre Mario Verdone, per questo tipo di progetti, più esattamente rimanda a Depero e Balla). Dalle Pile si passa al Cinema a luce solida estroflessione cristallizzata dello schermo. “Il proiettore con la sua testa a parallelepipedo con gli spigoli arrotondati e il lungo corpo a sezione triangolare, ha un aspetto vagamente antropomorfo, che suggerisce, oltre all’idea della macchina, quella dello spettatore. Il fascio di luce è una piramide isoscele di perspex applicata alla parete, in modo che il suo vertice venga a coincidere col foro del proiettore che gli sta davanti, e illuminata dal didentro”. Dalla superficie bidimensionale dello schermo nasce un’inedita scultura. Gillo Dorfles parla di “oggettualizzarsi e iconicizzarsi d’un fenomeno comune e consueto dei nostri giorni”.

 

“Le Pile e i Cinema a luce solida, elaborati nel 1967/68 ed esposti a Roma e Milano nel 1968, costituiscono un ulteriore capitolo sulla oggettualizzazione dei messaggi, e di conseguenza dei mezzi di comunicazione. Così come lo Schermo pone lo spettatore dinanzi al luogo della proiezione, e gli Schermi-Targhe sottolineano la compartecipazione del ricevente al messaggio, così le Pile ed i Cinema presentano, come se fosse solido tridimensionale, il fascio di luce che serve alla realizzazione di ogni immagine proiettata, sottraendo anch’esso ad ogni presunta neutralità della comunicazione. La luce, come il segno, come il pensiero, come l’ideologia sulla quale l’artista si soffermerà direttamente nelle opere degli anni settanta, è una cosa, pesante ed ingombrante, e ben lontana dall’utopistica visione dell’arte tecnologica e cinetica che ne fa un elemento ludico e liberatorio. A quella visione, a quella utopia, la riflessione di Mauri si contrappone radicalmente, come un macigno”. Il 1968 è dunque un anno chiave per l’opera di Fabio Mauri (è anche l’anno in cui trasforma in schermo anche la fotografia del corpo esanime di Che Guevara, l’eroe eponimo di quell’era, imprimendo la scritta The end) sia perché prende corpo il concetto di luce solida sia perché in quello stesso cruciale anno, nell’ambito di una manifestazione, che chiude il sipario su un decennio e apre il proscenio del successivo, ideata profeticamente da Plinio De Martiis, Il teatro delle mostre, Mauri fa entrare lo spettatore nell’ambiente sospeso e futuribile de La Luna. Sarà un gesto irreversibile e propedeutico alle successive performance e proiezioni.

 

 

 

 

 

 

 

FABIO MAURI 1968-1978

a cura di Laura Cherubini

Palazzo De Sanctis, dal martedì alla domenica, dalle 19 alle 24

Fino al 2 settembre

 

Sarà presente l’artista

#0 MATTEO FATO

a cura di Simone Ciglia

Palazzo Clemente, dal martedì alla domenica, dalle 19 alle 24

Fino al 2 settembre

 

Ingresso unico per entrambe le mostre 8 €

 

PROIETTIAMO!

Laboratorio didattico per bambini dai 5 agli 11 anni

Tutti i martedì fino al 28 agosto

TECNICA MISTA

Laboratorio didattico per bambini dai 5 agli 11 anni

Tutti i mercoledì fino al 29 agosto

 

Presenza di un accompagnatore facoltativa.

Ingresso 5 € (all’eventuale accompagnatore è richiesto il biglietto d’ingresso)

 

INFO

Palazzo Clemente e Palazzo De Sanctis, Borgo Medievale di Castelbasso

Orari: martedì – domenica, 19-24

Ingresso (valido per entrambe le mostre): 8€, ridotto 6€, gratuito per i bambini fino a 6 anni

tel. 0861.508000 – info@fondazionemenegaz.itwww.fondazionemenegaz.it




La Croce Verde di Villa Rosa festeggia i 30 anni di attività

 

Dal 18 al 21 agosto in piazza Cavour a Martinsicuro musica e specialità gastronomiche

La Croce Verde di Villa Rosa organizza quattro giorni di festa per celebrare il trentennale dell’associazione. Dal 18 al 21 agosto in piazza Cavour a Martinsicuro sarà allestita la cucina mobile da campo per la preparazione di numerose specialità gastronomiche (apertura stand ore 19.30). Non mancherà l’intrattenimento musicale, affidato alla Quintino Graziani Orchestra (18 agosto), alla Stefano band (19 agosto), a Davide & Rinaldo (20 agosto) e ai Tequila & Montepulciano band (21 agosto). Nella serata conclusiva ci sarà l’estrazione della lotteria.

 

La Pubblica Assistenza Croce Verde di Villa Rosa nasce il 5 maggio 1988 ed è la prima associazione di volontariato nella pubblica assistenza in Val Vibrata. In trent’anni di attività ha accolto sempre più volontari che hanno portato l’associazione a crescere e ad incrementare le attività svolte sul territorio. Ad oggi conta circa 200 iscritti ed è impegnata in numerosi servizi nell’ambito sanitario e della protezione civile.

 

Nel 2017, grazie alla reperibilità h24, per le emergenze 118 la Croce Verde di Villa Rosa ha effettuato 1.627 interventi sul territorio. 2704 sono stati i trasporti programmati di pazienti dalle proprie abitazioni agli istituti di cura come ospedali, studi medici, centri per le dialisi, mentre 4.456 i trasporti dei disabili nei centri di riabilitazione a Pescara, Chieti, Sant’Atto, Giulianova. La Croce Verde svolge inoltre servizi di assistenza sanitaria agli eventi e alle manifestazioni sportive che si tengono sul territorio.

 

Numerosi anche gli interventi effettuati nell’ambito della protezione civile: nell’ultimo anno sono stati 22 e relativi allo svuotamento di sottopassi allagati, al monitoraggio dei fiumi a rischio esondazione, alla raccolta di siringhe usate e abbandonate sul territorio.

 

Nel 2017 le calamità che hanno colpito l’Abruzzo hanno visto i volontari della Croce Verde impegnati su più fronti: nell’emergenza neve hanno trasportato beni di prima necessità alle popolazioni bloccate nei centri montani e partecipato alle operazioni di soccorso nella tragedia di Rigopiano; nell’emergenza frane nelle frazioni di Ponzano di Civitella e Castelnuovo di Campli hanno monitorato le aree con turni h24, così come, nell’emergenza incendi sulle montagne del Morrone e del Sirente hanno partecipato al controllo notturno delle zone devastate dai fuochi, per un totale di131 servizi effettuati.

Nei terremoti che hanno colpito L’Aquila (aprile 2009), Amatrice (agosto 2016) e diverse zone di Umbria e Marche (ottobre 2016) la Croce Verde di Villa Rosa ha prestato soccorso con i propri mezzi e i volontari.

 

 

Per essere sempre più prepararti ed efficienti nelle operazioni di soccorso, l’associazione ha organizzato due maxi-esercitazioni di protezione civile: “Tronto, chi parla?” nel 2015 e “Vibra-Tronto” nel 2018. A quest’ultima esercitazione hanno partecipato 255 volontari di 30 associazioni, provenienti da tutto l’Abruzzo, dalla Liguria e dalle Marche.

 

La Croce Verde svolge inoltre attività di banco alimentare e nell’ultimo anno ha distribuito beni di prima necessità a 54 famiglie indigenti. I vari servizi sono svolti con i 18 mezzi dell’associazione (ambulanze, pulmini, auto di servizio, fuoristrada, furgoni, camion) e i volontari percorrono ogni anno circa 450.000 chilometri sulle strade d’Abruzzo.

 




Il Polo Museale Civico su “La Repubblica”: a grande richiesta proseguono fino alla fine di settembre i laboratori didattici per bambini

Un’estate a misura di bambino è quella che ha offerto quest’anno il Polo
Museale Civico di Giulianova con “Bimbi al Museo!”, aprendo le sue sedi
con laboratori didattici alla scoperta delle collezioni museali giuliesi.
Due laboratori che hanno dato la possibilità ai giovanissimi curiosi di
cimentarsi con il mestiere dell’archeologo e con la lavorazione
dell’argilla, materia cardine per la tradizione architettonica e scultorea
cittadina. Questa esperienza è il risultato di una fruttuosa
collaborazione tra la direzione t.s. dei Musei Civici di Giulianova e la
cooperativa VIRATE insieme alle associazioni e agli esperti del territorio.

“Il successo delle iniziative” spiega l’Assessora alla Cultura Nausicaa
Cameli “ha peraltro suscitato l’interesse del quotidiano nazionale “La
Repubblica” che ha scelto di valorizzare l’offerta dalle colonne del
giornale in edicola il 15 agosto nell’inserto “R Lab” ”.

Fino ad oggi, per il mese di luglio e le prime due date di agosto, tutte le
giornate hanno registrato il sold-out con la presenza di circa 150 bambini
provenienti da Giulianova, dalle città vicine e dalle altre regioni
d’Italia con un implemento dell’offerta turistico-culturale.

Tutti i venerdì, alle 17.30, presso il Museo Civico Archeologico “Torrione
La Rocca”, con la collaborazione dell’Associazione G.A.M.A., sotto la
guida di Irene Lattanzi, i partecipanti si sono cimentati nel mestiere
dell’archeologo, impegnati in una simulazione di scavo, nella pulitura e
nella classificazione del reperto. Per tutto il mese di agosto i
laboratori proseguiranno tutti i venerdì con lo stesso orario e per il
mese di settembre tutti i lunedì alle ore 18.00.

I mercoledì sono stati dedicati a “La città con i piedi d’argilla”, con
l’esperta in didattica della scultura Noemi Caserta, laboratori durante i
quali i bambini si sono cimentati in un’esperienza sensoriale che ha dato
loro la possibilità di esperire e conoscere meglio la materia attraverso
il gioco e la creatività. Presso la sala didattica allestita nel Punto
informativo del Polo Museale Civico in Piazza Buozzi, i bambini hanno dato
sfogo al loro estro attraverso momenti di gioco e di scoperta. Visto il
grande successo, il laboratorio proseguirà per tutto il mese di agosto,
sempre il mercoledì, ma alle ore 18.00, e nel mese di settembre tutti i
venerdì alle ore 18.00.

Entrambi i laboratori sono dedicati a bambini dai 6 agli 11 anni; per
partecipare è necessaria la prenotazione entro la mattina che precede il
laboratorio, chiamando lo 085.8021290 oppure il 349.3251050 o inviando una
mail a museicivici@comune.giulianova.te.it. Informazioni sul sito
giulianovaturismo.it e sulla pagina facebook del Polo Museale Civico
Giulianova. Il costo dei laboratori è di € 7,00 a partecipante.