L’Aquila. Tutto pronto per domani alle 16:00 quando si alzerà il sipario su “Innova Manet” l’evento organizzato da Strange Office Coworking

, in collaborazione con l’associazione L’Aquila Che Rinasce e patrocinata dall’assessorato alle Politiche Sociali e dall’assessorato alle Politiche Giovanili e Innovazione del Comune dell’Aquila.

La conferenza vuole accendere i riflettori sul tema della trasformazione digitale nelle aziende e istituzioni del territorio e vedrà la partecipazione di realtà locali come Dompè, Dante Labs, Saturno Consulting, CNA L’Aquila, Confindustria L’Aquila, Università dell’Aquila e Gran Sasso Science Institute.
Ospiti speciali della kermesse saranno i 18 ricercatori del master in Digital Transformation di TAG Innovation School che faranno tappa a L’Aquila deviando dal loro tour di 6 settimane in giro per le PMI italiane.
Riccardo Cicerone a riguardo:
“È motivo d’orgoglio per noi riuscire a concentrare l’attenzione cittadina su un tema così importante come la trasformazione digitale. Ne va del futuro delle nostre attività produttive ma anche della qualità della vita che possono offrire i territori e le istituzioni ai propri cittadini. Nella doppia veste di organizzatore con Strange Office ma anche di ospite, in quanto studente del Master di TAG Innovation School, domani sarà una giornata emozionante e spero di mostrare ai miei colleghi, che provengono da tutte le parti d’Italia, una città che dia segni di vita e che anzi possa essere anche la capofila di best practises in ambito digital”
L’assessore Petrella ha voluto proseguire: “Accolgo con piacere questo evento nella città dell’Aquila, che a seguito della ricostruzione post sisma si appresta a diventare un capoluogo all’avanguardia sia sotto il profilo urbanistico che tecnologico.
Grazie all’adeguamento delle  infrastrutture, ora sarà possibile un ulteriore passo avanti anche nel campo dei servizi. Dalla dematerializzazione degli atti, all’integrazione delle banche dati, fino alla creazione del fascicolo elettronico per i cittadini, con un occhio di riguardo al nuovo Regolamento europeo sulla protezione dei dati.  Lo scopo è quello di facilitare i rapporti tra cittadini, imprese e Pubblica Amministrazione con strumenti idonei per rendere effettivi i diritti di cittadinanza digitale. Ritengo, infatti, necessario – conclude l’Assessore – che per governare il cambiamento il Comune dell’Aquila debba tenere il passo e adeguarsi alle rivoluzioni in corso, recuperando il gap degli anni passati, per diventare una vera e propria città smart”.
 
Appuntamento quindi a domani alle 16 nella Sala Rivera di Palazzo Fibbioni a L’Aquila.




Teramo. Sabato 23 giugno presentazione dell’ultima fatica editoriale di Lina Ranalli “Peppino e la perfezione del Melograno”

Il Melograno di Lina Ranalli

Locandina di Lina Ranalli

Una leggenda racconta che mentre Gesù Cristo saliva al Calvario, portando sulle spalle la pesante croce, dalla sua fronte trafitta dalla corona di spine cadevano gocce di sangue.
Uno degli apostoli lo seguiva e non lo perdeva di vista; vide così che il sangue di Gesù bagnava le pietre che c’erano lungo la salita. Allora raccolse, ad una ad una, tutte le pietre macchiate di sangue e le ripose in un sacchetto. Quando più tardi lo aprì per mostrare il prezioso contenuto agli altri apostoli, vide che con quelle pietre si era formato un melograno. Un frutto nuovo, dalla buccia spessa ed aspra nella quale c’erano tanti chicchi rossi come il sangue di Gesù.
Le pietre macchiate di sangue finiscono per rappresentare i giorni della vita di ciascun uomo. Ogni giorno ha la sua gioia, il sapore dolce della melagrana, e la sua sofferenza, il sangue che macchia ogni sasso. Il Melograno come simbolo rimanda alla storia personale di ciascuno di noi e bene rappresenta, la perfezione della vita, la storia di Peppino ed è il simbolo del suo sacrificio come lui stesso scriveva (Dalla quarta di copertina)



L’Aquila. L’aprutino Italo Foschi, fondatore dell’A.S. Roma, e i legami con L’Aquila e Giulianova

 

 

           

Corropoli, lapide a Italo Foschi – Foto Walter De Berardinis

L’AQUILA – In un suo non recente, ma mirabile saggio (Capitale, Provincia, Campagne, in AA.VV., Intellettuali e Società in Abruzzo fra le Due Guerre, Roma, Bulzoni, 1986), il prof. Umberto Dante ci dice che per i mutamenti di gerarchie territoriali indotte dall’Unità, la ‘più popolosa città abruzzese’ diventa Roma. Coloro che dal Gran Sasso alla Majella, piuttosto che dal Tronto al Trigno, a prescindere da un proprio talento di base, avessero inteso di trovare impieghi e/o un’affermazione notabilare, non potevano che sbarcare, caduta la ‘patria napoletana’, per usare un’espressione cara a Vincenzo Cuoco, nella Capitale. E di esempi, ed illustrissimi, ce ne sono a iosa ed è superfluo citarli.

 

Italo Foschi

Non sfugge a questa regola della matrice capitolina, per l’anoblissement personale, Italo Foschi, nativo da famiglia benestante il 7 marzo 1884 nella teramana Corropoli, uno di quei centri laboriosi e silenti che guardano al più alto massiccio appenninico, come simbolo delle sommità da scalare, nella quotidiana esistenza.

 

Trasferitosi coi familiari armi e bagagli a Roma ad inizio ‘900, il personaggio si laurea in Legge alla “Sapienza” nel 1906 e da brillante avvocato della Corte dei Conti passerà alla storia, più che per la sua vocazione nazionalfascista, ma dai connotati ‘di sinistra’ essendo in perenne conflitto col Duce, invece, per il suo ruolo nella politica sportiva del Ventennio: fu l’ispiratore della famosa ‘Carta di Viareggio’ del 1926, conformativa per lungo tempo di una certa visione del calcio italiano ed il regista di importanti fusioni di club, a Giulianova nel 1923 e San Benedetto del Tronto nel 1924, per finire alla grande fondazione dell’A.S. Roma, il 22 luglio 1927, in antitesi ‘popolare’ alla ’olimpica’ e liberale S.S. Lazio.

Enrico Cavalli

 

Insomma, la vicenda di Foschi si inscrive in quei gerarchi adusi a delle estrinsecazioni agonistiche, deprecabili dal pensiero di un salientissimo abruzzese, che non a caso si sottrasse ai salotti romani, quale Benedetto Croce, ma questo è un altro discorso.

 

Le inquietudini post ‘normalizzazione’ mussoliniana del 1925, di Foschi, dentro la Federazione fascista dell’Urbe furono una molla che lo portarono a mantenere una visibilità operativa nello sport (col favore e non malcelato di Palazzo Venezia!), una passione che incideva profondamente nella sua stessa vita, perendo, dopo l’amnistia dalle responsabilità di regime, il 20 marzo 1949 alla notizia – riportano gli annali – della sconfitta della sua A.S. Roma.

A livello locale aquilano Foschi balza agli onori della cronaca per effetto del torneo calcistico fra i ‘Giovanissimi’ giallorossi e rossoblù, a sfondo benefico per il 7 giugno ed a lui dedicato dal Roma Club di L’Aquila “Vittorio Zingarelli”: per inciso, l’intitolazione del club cittadino di tifosi romanisti è a riconoscimento non solo del nipote per parte materna di Italo Foschi, ma di colui che nel capoluogo abruzzese fu benemerito e massimo dirigente delle aziende municipalizzate ed artefice del rugby neroverde e dello sport in generale, negli anni ‘60.

Corropoli. Lapide a Italo Foschi, foto Walter De Berardinis

 

Non radi gli intrecci di Foschi con l’aquilanità dal punto di vista sportivo e politico, ambedue i fronti tipici di quegli anni ruggenti: all’atto degli accorpamenti calcistici, di cui sopra, egli venne assistito dal costruttore edile Elia Federici, originario di Barete, con questa amicizia realizzatore di via dei Fori Imperiali. Una volta esautorato dalla Segreteria del fascio capitolino, fu sostituto dal rocchigiano Nino D’Aroma e poi dall’aquilanissimo Adelchi Serena, anzi, per una comune appartenenza alla corrente farinacciana, i contatti fra il futuro capo del PNF e Foschi avranno aspetti collegabili all’allestimento dell’A.S. L’Aquila in serie B dal 1934 al ‘37.

 

Un profilo, quello di Foschi, da meglio discettare, fuori da pregiudiziali e/o revisionismi a targhe alterne, la qualcosa spetta a chi tenta di fare storia. Invece, la cosa più importante e meritoria è che sia stato occasionato a L’Aquila un momento di riaggregazione giovanile, a favore della onlus cittadina ‘Per la Vita’, in nome soprattutto dei valori interclassisti ed idealmente apolitici dello sport.

 

Enrico Cavalli

 




Cartoon: Marco D’Agostino e Giornale di Montesilvano al concorso più importante del mondo

 Portogallo World Press cartoon. Su 600 vignette pubblicate in 227 media da 54 paesi solo 281 sono state selezionate per la mostra e il catalogo. 

 

PESCARA – Il cartoon “Pink Ballooon – Manchester arena” di Marco D’Agostino, pubblicato dal Giornale di Montesilvano, è stato selezionato per l’esposizione e catalogo del 13° World Press Cartoon in Portogallo, il più grande Concorso internazionale di risonanza mondiale, riservato a Cartoon e Caricature pubblicati su testate giornalistiche in tutto il mondo, e in questa ultima edizione aperto anche alle pubblicazioni on-line, che si svolge nella bella città termale di Caldas da Rainha, ad una novantina di chilometri da Lisbona.

 

Marco D’Agostino ha concorso con i grandi del Cartoon di tutto il mondo che pubblicano quotidianamente o quasi con grandi testate e che quindi hanno più possibilità di proporsi e ambire al premio finale. “Il fatto di essere stato selezionato mi rende soddisfatto e felice”, dichiara D’Agostino, e anche per Angela Curatolo, direttore responsabile, è una notizia stupenda, un vero “onore”.

 

Il Giornale di Montesilvano e Marco D’Agostino insieme in un così prestigioso evento. Il Concorso si svolge ogni anno e si suddivide in tre sezioni “Editorial Cartoon” – “Caricatura” e “Gag Cartoon“: si può inviare un Cartoon per ogni sezione con prova di pubblicazione. Si premiano i primi tre di ogni sezione tra cui viene scelto il vincitore del “Gran Prix“, quest’anno vinto da una italiana: Marilena Nardi. Il Cartoon “Pink Ballooon – Manchester arena” di Marco D’Agostino ha partecipato alla sezione “Editorial Cartoon”.

 

Nei giorni scorsi c’è stata la gran cerimonia di premiazione. Le 281 opere selezionate rimarranno in esposizione fino al 28 Luglio al in una straordinaria mostra del Centro Culturale e Congressuale della città portoghese di Caldas da Rainha e raccolte nel prezioso catalogo annuale. 600 vignette, 54 Paesi, l’abruzzese D’Agostino tra i 7 autori italiani selezionati per mostra e catalogo. Sono, nella sezione Caricatura personale, Gio con l’opera di Bashar Al Assad, Marco Spadari, con la caricatura di Clint Eastwood e Sciamarella, con quella di Putin.

 

Per il disegno satirico (Editorial Cartoon): Marilena NardiAndrea PecchiaMarco D’Agostino e Agim Sulaj. Per il disegno umoristico (Gag Cartoon) partecipa Sciamarella. Solo due i caricaturisti degli Stati Uniti selezionati. I paesi con maggiore presenza sono Brasile, Iran, Ucraina e Serbia. D’Agostino commenta: “Direi che è andata bene, pensando che il pacco con i 3 disegni originali (uno per ogni sezione) spedito in posta prioritaria internazionale mi è tornato indietro, e che quindi ho rischiato di non partecipare.”

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Dichiarazione di Rino Giuliani, Portavoce FAIM Novità positiva e motivo di soddisfazione la nomina di Ricardo Merlo a Sottosegretario agli Affari Esteri

 

 

A nome del Forum delle associazioni degli italiani nel mondo formulo gli auguri di buon lavoro al sottosegretario Ricardo Merlo. La scelta del Presidente del Consiglio di affidare l’impegnativo incarico a persona eletta all’estero e proveniente dal mondo associativo rappresenta una novità positiva ed è motivo di soddisfazione.

 

Promuovere il rilancio del protagonismo delle nostre comunità all’estero, collegare non sporadicamente la madrepatria all’Italia più larga che è fuori dai confini è obiettivo di carattere generale per il quale anche come FAIM ci sentiamo impegnati.

 

Gli oltre 5.000.000 italiani all’estero, in quanto parte integrante della più complessiva comunità nazionale, da anni si aspettano dalla più generale azione del Parlamento e del Governo e nei peculiari provvedimenti che verranno promossi e assunti dal MAECI, l’attenzione dovuta alle loro aspettative ed alle loro esigenze.

 

Le molte questioni irrisolte nel passato e i non pochi dossier aperti costituiscono un banco di prova impegnativo per tutti.  Due questioni fra tutte alla sua evidenza:

Una: i giovani che emigrano.

Da diversi anni l’Italia è ridiventato un paese di costante emigrazione, soprattutto di giovani qualificati con problemi che riguardano la precarietà, la dequalificazione e la riduzione delle tutele welfaristiche nei paesi di accoglienza, in specie in quelli europei.

 

L’altra, la richiesta, che anche il CGIE avanza, dell’’indizione della Conferenza degli italiani nel mondo, con la partecipazione attiva dei protagonisti della realtà migratoria, un obiettivo che, dopo tanti anni, può fornire all’azione di Governo un quadro rinnovato e condiviso delle linee di indirizzo per porre in essere le politiche verso gli italiani all’estero, recuperando e rinsaldando il necessario rapporto fra istituzioni e società.




L’Aquila e i suoi cittadini: il 6 aprile 2009, oggi e domani Le riflessioni dell’arcivescovo, Mons. Giuseppe Petrocchi, che il 28 giugno sarà Cardinale

 

 

di Goffredo Palmerini 

 

 

L’AQUILA – Non si attenua ancora l’emozione suscitata nella Chiesa aquilana e nell’intera comunità diocesana dalla notizia della prossima elevazione alla dignità cardinalizia dell’arcivescovo dell’Aquila, Mons. Giuseppe Petrocchi. Anzi, l’emozione sta man mano crescendo in vista del 28 giugno prossimo, quando si terrà il Concistoro con la creazione dei 14 nuovi Cardinali, e il 29 per la Messa del Papa con i nuovi porporati in Vaticano. Del tutto inatteso l’annuncio che papa Francesco, con il consueto tratto di semplicità e naturalezza, ha dato il 20 maggio scorso durante l’Angelus ai tanti fedeli presenti in Piazza San Pietro, rimbalzato in Italia e nel mondo grazie alla diretta televisiva, comunicando la creazione di 14 nuovi Cardinali nel Concistoro già fissato per la Festività dei Santi Pietro e Paolo.

 

Inatteso l’annuncio, sorpresa per le nomine, come ormai da tempo papa Francesco ci ha abituato, rompendo costumi e consolidate tradizioni nell’attribuzione della porpora cardinalizia. Mai scelte scontate. Ogni gesto e ogni decisione di questo Pontefice vanno colti nel loro peso specifico, che costantemente sembra incarnare quella che san Giovanni Paolo II chiamava “opzione preferenziale per i poveri” (Sollicitudo rei socialis, n. 42), con uno sguardo rivolto agli ultimi, alle frontiere delle periferie e della sofferenza. Ecco perché le sue scelte quasi sempre risultano imprevedibili, sorprendenti, controcorrente.

 

Come felicemente sorprendente, appunto, è stato l’annuncio della nomina cardinalizia di Mons. Petrocchi, il quale, per sua stessa ammissione, in un primo momento stentava a crederci e ci ha sorriso sopra, pensando che l’interlocutore trafelato, il quale tentava di dargli la lieta notizia, volesse scherzare. Nessuno scherzo, ma una scelta, quella di papa Francesco, che con il passare delle ore e dei giorni appare pienamente nella sua grande dimensione spirituale e umana: verso Mons. Petrocchi e verso L’Aquila. E così la nomina a Cardinale dell’Arcivescovo dell’Aquila è apparsa nella pienezza del suo significato: riconoscimento dei valori del Pastore, poi anche quale straordinario “dono” alla città e ai centri colpiti dal sisma. Un segno dell’attenzione premurosa del Santo Padre verso le sofferenze delle popolazioni dell’aquilano, squassate dai terremoti del 2009 e del 2016.

 

Mons. Petrocchi ha raccolto nel 2013 la guida della Chiesa aquilana nel momento forse il più difficile della storia della diocesi e della città capoluogo, con le drammatiche ferite materiali e morali inferte dal terremoto del 6 aprile del 2009. Una prova pastorale che l’ha impegnato e lo cimenta ogni giorno, non solo al pensiero della ricostruzione dei luoghi di culto – quasi il 90% delle chiese della diocesi il terremoto del 2009 ha distrutto o reso inagibili – quanto soprattutto alla consapevolezza che occorre ricostruire la dimensione spirituale e sociale della comunità, lacerata dalle conseguenze del sisma. Ricostruire, insomma, la dimensione integrale di una comunità che è sì certamente mirata alla riedificazione di case, chiese, monumenti, uffici, la qual cosa, nei suoi tempi alterni, va comunque procedendo.

 

Tuttavia, ben più importante è la ricostruzione del senso stesso di comunità di un popolo aquilano che si deve riappropriare in pieno della propria identità civile, della speranza, del suo futuro. Specialmente se si guarda alle giovani generazioni, questa è la missione prioritaria, inderogabile. Questa, infatti, la preoccupazione quotidiana dell’arcivescovo Petrocchi sin dal suo primo giorno all’Aquila, con l’impegno pastorale assiduo, tanto intenso e operoso quanto discreto e lontano dalle esposizioni mediatiche. Un impegno pastorale duale: attenzione alla rinascita materiale della città e più ancora alla rinascita morale e sociale, con l’occhio di chi ha consuetudine ad osservare ed analizzare i problemi dell’anima e dell’animo umano – Mons. Petrocchi è psicologo e psicoterapeuta. Di questo particolare aspetto, che attiene alla ricostruzione di una comunità matura d’un umanesimo integrale e d’una coesione sociale profonda che abbia a cuore le generazioni presenti e future, vogliamo parlare con Mons. Petrocchi, in questa conversazione, partendo dall’intensità delle sue riflessioni espresse due mesi fa in occasione del nono anniversario del terremoto.

 

Intanto, Mons. Petrocchi, qual è stato il suo primo pensiero nell’apprendere la notizia che papa Francesco ha pensato a Lei come uno dei 14 nuovi Cardinali?

   

«A me è apparso subito che questa nomina sia segno di un’attenzione speciale che Papa Francesco riserva a questa comunità ecclesiale e alla città dell’Aquila. Una città simbolo della sofferenza, delle attese e della speranza che unisce tutte le popolazioni colpite dalla sequenza dei terremoti che dal 2009 al 2017 hanno martoriato l’Italia Centrale. Dunque è segno di un amore che dà coraggio e apre prospettive di speranza per il futuro.  In questo senso, il servizio cui papa Francesco mi chiama vorrei ancor più rivolgerlo alla promozione di una Chiesa missionaria, che si rende prossima agli ultimi, che raggiunge le periferie.»

 

Ha molto colpito la singolarità del suo messaggio, il 6 aprile scorso, in occasione del nono anniversario del terremoto. Queste le sue prime parole, che sono anche i cardini di una visione di città nuova, di una comunità che si rinnova: “Per la Comunità aquilana questo è il tempo della laboriosità, della ripresa, della saggezza e della prossimità: dimensioni che debbono essere declinate al presente, ma ancora meglio in prospettiva dell’avvenire”. Qual è per lei il futuro possibile per L’Aquila e per la sua comunità, latamente intesa nei suoi Castelli fondatori?

 

«C’è bisogno non solo di riedificare le devastazioni esterne, ancora visibili, ma di ricomporre le fratture interiori, provocate dal sisma. Infatti, c’è un terremoto che scuote la terra, ma c’è anche il terremoto dell’anima, che ferisce la mente, gli affetti e i rapporti interpersonali. Alcuni dolori sono così acuti e profondi che non possono essere espressi “parlando”: forse la loro manifestazione più immediata e intensa è il grido. Quando è impossibile urlare, queste sofferenze restano “mute”: tuttavia il grido non si azzittisce ma diventa “silenzioso”. Per questo, i primi verbi da coniugare per la ricostruzione non sono “progettare” e “fare”, ma “ascoltare” e “incontrare”: cioè, accogliere i bisogni profondi della gente, per disporli secondo il giusto ordine di priorità, e intensificare la tessitura delle “relazioni convergenti”, che potenziano la coscienza fattiva di essere un’unica famiglia. L’Aquila non va ridisegnata al passato, ma pensata al futuro. Inoltre, L’Aquila che deve “risorgere”, non è solo quella raccolta dentro le mura, ma anche quella esterna: cioè, allargata ai centri limitrofi che l’hanno costruita.»

 

Lei, Mons. Petrocchi, ha riservato una particolare attenzione alle lacerazioni della dimensione personale degli aquilani, ai sismi dell’anima che tante sofferenze – e patologie – il terremoto ha provocato. Dal suo punto di osservazione, qual è la situazione che vive la città e il territorio del cratere sismico?

 

«Il sisma del 2009, che ha causato immensi danni e provocato molte vittime, ha conosciuto una sequenza lunga di sciami culminati con i terremoti dell’agosto/ottobre 2016 e del gennaio 2017. Ancora oggi continuano i movimenti di assestamento del suolo, che aumentano l’ansia della gente. Oltre le devastazioni materiali, c’è da sottolineare che le “scosse telluriche” hanno prolungato la loro nefasta azione propagandosi attraverso “onde sussultorie” spirituali, emotive e relazionali, determinando profonde fratture nel vissuto religioso, psicologico, economico e sociale della popolazione. Le vittime del sisma ufficialmente sono 309: ma l’elenco andrebbe rivisto e, purtroppo, aumentato. Infatti, sacerdoti, medici ed esponenti della pubblica amministrazione mi hanno riferito che nei periodi successivi al terremoto molte persone, soprattutto anziane, sono decedute per infarto, per tumore o per malattie riconducibili a sindromi cardiovascolari o a drastiche diminuzioni delle difese immunitarie, causate da forte stress. Questo triste esito viene interpretato, da diversi clinici, come un atteggiamento di “congedo anticipato” dalla vita. Anche i fenomeni di tipo depressivo o di tristezza rassegnata hanno conosciuto, nel territorio, un improvviso e vistoso incremento, come è dimostrato dalla accentuata e anomala crescita nell’uso di psicofarmaci. La gente di montagna, molto dignitosa ma di indole introversa, tende a mantenere “serrati dentro” i sentimenti che prova, correndo il rischio che il dolore scavi solchi interiori e provochi relazioni personali impoverite. In sintesi: il tessuto sociale si è fortemente sfibrato e parcellizzato.»

 

Quali misure, a suo parere, andrebbero prioritariamente prese per ricostruire il senso della comunità, così essenziale per la rinascita della città?

 

«Migliaia sono le persone ancora residenti fuori delle loro case. Gran parte della gente che ha subìto questo “trasloco forzato” ha sofferto la perdita di legami affettivi di primaria importanza e si è ritrovata priva degli spazi tradizionali di aggregazione, come anche delle aree che ospitavano consolidate “abitudini” religiose e sociali. Robusto appare anche l’esodo silenzioso di tanti Aquilani che, pur risultando anagraficamente residenti nel territorio, di fatto hanno lasciato l’area del “cratere” per insediarsi nei centri urbani del litorale abruzzese o in altre città. La causa principale di tali spostamenti è da ricercarsi nelle incertezze che gravano sul presente, con il lavoro che manca, con conseguenti ripercussioni per il futuro. Il “tasso di allontanamento” risulta ancora più alto e preoccupante tra i giovani: per questo recentemente ho parlato di una “emorragia generazionale”, ormai in atto, che ci deve allarmare. Risultano accentuate, purtroppo, le fragilità e le spinte disgregative che colpiscono numerosi nuclei famigliari, come pure appaiono in ascesa inquietanti manifestazioni di disagio giovanile, che si esprimono nel disorientamento esistenziale e in diffusi fenomeni di “dissonanza” comportamentale. Appare perciò fondato concludere che, se non si trovano le vie per dare risposte concrete e rapide a queste sfide, nel prossimo futuro il “senso di appartenenza” di molti credenti e cittadini andrà incontro a fenomeni di “atrofia” e di marcata indifferenza e l’esperienza ci insegna che si rivelano refrattari a tentativi tardivi di recupero. Mi auguro, pertanto, che sia ben presente in tutti questa preoccupazione e che ciascuno operi per sanare e risolvere tali “criticità”. La ricostruzione, per essere vera ed efficace, non può quindi contare solo su logiche ingegneristiche ed efficienze tecnico-finanziarie: ha bisogno, prima di tutto, di ritrovare un’anima, munita di intelligenza “profetica” – che sa progettare l’avvenire valorizzando l’esperienza del passato – e dotata di un cuore che pulsi amore, spirituale e civile, capace di creare coesione sociale e cittadinanza attiva. Certamente la ricostruzione dell’Aquila deve garantire anzitutto la sollecita riedificazione delle abitazioni civili, per consentire alla popolazione di ritornare presto a casa, ma anche – e in modo sincronico – deve puntare al restauro delle chiese, che rappresentano un tesoro spirituale, artistico e storico. Esse costituiscono un fondamentale fattore “identitario” dell’aquilanità. Inoltre, questi luoghi di culto e di incontro assolvono anche al fondamentale e insostituibile compito di essere “spazi di prossimità”, sul versante ecclesiale e sociale».

 

Qual è stato e come può essere utile alla “ricostruzione” del senso di comunità l’impegno pastorale e il contributo operoso della Chiesa aquilana?

 

«La nostra attenzione, quella di tutti i sacerdoti e dei religiosi, quella dell’intera comunità ecclesiale, è quotidianamente impegnata verso il popolo aquilano non solo nella dimensione spirituale, ma anche negli aspetti sociali, culturali e formativi che possano favorire la ricostruzione del senso di una comunità civile coesa, operosa e solidale, con una particolare cura rivolta ai ragazzi e ai giovani. Essenziali in quest’opera sono però le strutture e i luoghi di aggregazione, dunque chiese ed oratori – e qui con rammarico ho osservato i ritardi e i problemi nella ricostruzione della Cattedrale, che ora finalmente appaiono in via di soluzione. In tale prospettiva assume valore determinante il progetto non solo di “riparare” le chiese danneggiate, ma di costruirne di nuove, laddove nelle periferie – in cui si addensa la maggioranza degli abitanti – mancano i luoghi di incontro comunitario e di socializzazione. Penso, come prima esigenza da affrontare, ad una struttura pastorale da costruire in un’area popolosa della periferia ovest della città. Si tratta di un importante investimento verso il futuro, un segno di ripresa dato all’intera comunità, ecclesiale e civile».

 

Di quale importante opera si tratta? Mi sembra di capire che abbia un valore emblematico per la Chiesa aquilana e per l’intera città, proprio come simbolo di “ricostruzione” del senso di comunità e d’identità civica.

 

«La zona di Cansatessa costituisce un popoloso quartiere esterno alla città, che ha urgente bisogno di strutture ecclesiali rispondenti alle esigenze degli abitanti. Attualmente dispone solo di ambienti provvisori, assolutamente inadeguati. C’è necessità di costruire lì una chiesa nuova. Si tratta di una decisione coraggiosa, interamente affidata alla Provvidenza, perché la nostra diocesi esce fortemente indebolita dall’esperienza del sisma. Perciò abbiamo bisogno della generosità e della solidarietà di tutte le persone che, dall’Italia e dall’estero, hanno un cuore grande per contribuire ad un’opera di rilevante utilità sociale, non solo spirituale. I costi globali previsti dal progetto di costruzione della chiesa e delle strutture pastorali della Parrocchia di San Giovanni da Capestrano, in Cansatessa dell’Aquila, sono 3.492.996 euro. Di questo importo il 75% sarà coperto con fondi stanziati dalla Conferenza Episcopale Italiana, il 25% dei costi della costruzione deve essere assicurato dalla Parrocchia, per una quota di 873.249 euro, cui vanno aggiunti altri 226.753 euro per lavori non ammessi a contributo. Ci occorrono dunque 1.100.002 euro di donazioni per poter iniziare a costruire l’opera. Con i donatori condivideremo ogni passo della costruzione, rendicontando loro le spese fino al centesimo di euro, con la massima trasparenza. Abbiamo fiducia nella Provvidenza. La nostra è una Chiesa che crede fermamente nell’azione Spirito Santo e nella solidarietà fattiva dei fratelli in Cristo! Fin d’ora assicuro le preghiere dell’intera Comunità per tutti i benefattori, ricordando che il Signore è infinitamente ricco di grazie e di misericordia verso coloro che, con il loro aiuto, promuovono la vita e la missione delle Comunità ecclesiali, specialmente quelle segnate dalla sofferenza».

 

L’intervista a Mons. Giuseppe Petrocchi, arcivescovo dell’Aquila che tra dieci giorni sarà creato Cardinale, si conclude con un appello alla generosità di tutti. Un appello che anche vorrei sottolineare con forza, richiamando la grande solidarietà e la vicinanza che gli italiani di tutto il mondo hanno riservato verso L’Aquila e i centri colpiti dai terremoti del 2009, 2016 e 2017. E che, mi auguro, anche in questa occasione non mancherà d’esserci. Mi rivolgo in particolare alle comunità abruzzesi nel mondo, straordinarie per impegno e passione, perché siano motore di sensibilizzazione in questa ulteriore prova di generosità, che troverà duratura eco e memoria nella Chiesa di San Giovanni da Capestrano in Cansatessa dell’Aquila, dedicata al grande Santo abruzzese, apostolo di unità e di coraggio nelle imprese più impegnative.

 

 




Il “caso” Pascal D’Angelo di Mario Setta

 

 

 

L’AQUILA – Introdacqua, paese natale, si impegna da anni, a livello istituzionale, a far conoscere e valorizzare la personalità e l’opera di un suo degno figlio, il poeta e scrittore Pasquale D’Angelo. Un autore che costituisce un “caso”, come da molti è stato rilevato (cfr. G. Prezzolini, Scrittori italiani nel mondo. Voci di poeti nostri negli Stati Uniti).  E come lui stesso dice, a conclusione del suo libro, Son of Italy: “mi trasformai in un caso di incredibile interesse”.

Pascal D’Angelo

 

Il “caso Pascal D’Angelo” può essere analizzato secondo due aspetti: letterario e sociologico. Sotto il profilo letterario si tratta di un caso intrigante e, per molti aspetti, ancora fitto di interrogativi dalle molteplici risposte. Se applicassimo alla sua opera, estremamente ridotta, le categorie che Italo Calvino espresse nelle Lezioni americane, pubblicate postume, ne verrebbe fuori un quadro interessante. Calvino presenta alcune “proposte per il prossimo millennio”. Sono le linee fondamentali da conservare e tramandare per il millennio che abbiamo iniziato.

 

Della prima, la leggerezza, pone in rilievo “la funzione esistenziale della letteratura, e la leggerezza come reazione al peso di vivere”. E cita Lucrezio e Ovidio, mossi dal bisogno di liberarsi dalla precarietà dell’esistenza. In D’Angelo c’è la stessa esigenza: la fuga verso la letteratura per liberarsi dalla sua condizione di emarginato, di escluso, (“dago”, “wop”). Altra proposta di Calvino, la rapidità: “Sono convinto che scrivere prosa non dovrebbe essere diverso dallo scrivere poesia; in entrambi i casi è ricerca d’un’espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile”. Aggettivi che si adattano perfettamente al libro di Pascal D’Angelo.

 

Quanto all’esattezza, il libro di D’Angelo non può essere considerato totalmente “perfetto” (il compianto e grande esperto dell’opera di D’Angelo, Rino Panza, ha spulciato varie inesattezze!).  Ma se Leonardo poteva definirsi “omo sanza lettere”, a maggior ragione Pascal D’Angelo può ben

cover, Son of Italy

ritenersi, con sincera modestia, “uomo del piccone e della pala” (“pick and shovel man”). Per la visibilità, Calvino ricorre a Balzac e scrive: «Balzac nella Commedia umana infinita dovrà includere anche lo scrittore fantastico che lui è o è stato, con tutte le sue infinite fantasie; e dovrà includere lo scrittore realista che lui è o vuol essere, intento a catturare l’infinito mondo reale nella sua “Commedia umana”».  In D’Angelo, i due aspetti sono coesistenti e coessenti: realtà e fantasia s’intrecciano in una continua dialettica. Forse per questo sente il bisogno di integrare, nella sua autobiografia, la prosa con la poesia.

 

Trattando, infine, della molteplicità, Calvino scrive: «Chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili». A questi interrogativi di Calvino, ecco gli interrogativi di Pascal D’Angelo, nella lettera all’editore di The Nation: «Io sono uno che arranca con fatica per emergere dal buio dell’ignoranza e portare il suo messaggio di fronte ad un pubblico, di fronte a voi. Voi la cui missione è di difendere l’immensa causa degli oppressi. Questa lettera è il grido di un’anima che si è arenata sui lidi tenebrosi lungo il suo disperato viaggio verso la luce […]» E, a conclusione dell’autobiografia, annota: «Per gli ambienti letterari mi trasformai in un caso di incredibile interesse, divenendo oggetto di grandi festeggiamenti, curiosità e attenzione. […] Ma, fra tutte, le parole più sentite e sincere che mi scaldarono il cuore, furono quelle dei miei compagni…».

 

Queste parole conclusive riportano il “caso Pascal D’Angelo” da quello letterario a quello sociologico. Perché si tratta soprattutto di “caso sociologico”. Pascal D’Angelo, descrivendo la sua vita di emigrante, descrive la vita degli emigranti italiani negli Usa, ai primi decenni del ‘900. Nella sua vita di emarginazione, di stenti, di maltrattamenti c’è la vita delle migliaia di abruzzesi e dei milioni di italiani che emigrarono per le terre scoperte da Colombo. La sua opera non è solo una descrizione, è anche una denuncia. Non un libro politico, ma un grido di rivolta in nome dei valori umani, universali. Jean Paul Sartre, nella prefazione al libro di Frantz Fanon, I dannati della terra, ha scritto: “Le bocche s’aprirono da sole; le voci gialle e nere parlavano ancora del nostro umanesimo, ma era per rimproverarci la nostra inumanità”. Il libro di Pascal D’Angelo si pone su questo filone, che sta tra l’inchiesta e la denuncia, tra l’arte e il messaggio, tra l’intuizione e la ragione.  Un’opera che può ben definirsi: “libro di vita”. Una vita che si “radica” su due terreni: Introdacqua e New-York, Càuze e Mulberry Street.

 

“Càuze”, un agglomerato di poche case, allora come oggi. Il nome, ha rilevato Rino Panza, deriva forse dalla parola “gelso”, in dialetto “céuze”, albero allora diffuso e di cui ancora oggi rimane nella zona qualche esemplare. Vi abitano due o tre famiglie, circa dieci persone. Ai tempi di Pasquale D’Angelo le famiglie che vi abitavano erano una dozzina. Poco meno di cinquanta persone. Si viveva di agricoltura e con l’allevamento del bestiame: pecore, capre, maiali, mucche, galline, ecc. Nella prima parte del libro (un terzo circa), Pascal D’Angelo si sofferma a descrivere la vita che si svolgeva in paese (Introdacqua) e nella contrada (Cauze): la casa, il paese, le montagne, la scuola, il lavoro, le streghe, ecc. È un’indagine dal taglio antropologico, una descrizione da osservatore partecipante (participant observer).

 

Passa poi a presentare le motivazioni di fondo dell’emigrazione: «La nostra gente è costretta ad emigrare, ad allargare i confini di un’esistenza stretta nella morsa di uno spazio angusto. In quelle terre ci sentiamo in trappola. Ogni centimetro appartiene a pochi privilegiati che la fanno da padroni. Col finire dell’inverno buona parte dei campi della nostra valle viene data in affitto o messa stagionalmente a disposizione dei contadini che pagano pigioni altissime a tassi d’usura, vale a dire, beneficiando solo della metà o addirittura di un quarto del raccolto, a seconda delle necessità che dipendono dal proprietario o dalle condizioni disperate del contadino in cerca di terra» (Son of Italy, p. 65)

 

La soluzione al problema dello sfruttamento in casa è la partenza per il Nuovo Mondo: «Cos’è allora che trae l’uomo in salvo impedendogli di rimanere schiacciato sotto il peso di quella inesauribile necessità? Il Nuovo Mondo!» (Son of Italy, p. 65)

 

Si ricrea e si rafforza la solidarietà paesana: «Qui gli immigrati che arrivano dalla stessa città formano gruppi compatti tra loro, e simili ad uno sciame d’api dello stesso alveare, vanno a lavorare laddove il loro caposquadra o ‘boss’ gli trova qualcosa. Così noi che ci eravamo riuniti quasi per caso diventammo come una vera famiglia fino al giorno in cui la morte e altre calamità non ci costrinsero a separarci». (Son of Italy, p. 80)

 

Ma anche qui, la vita non è meno dura: “Ovunque era ammazzarsi di fatica…”; “Ovunque era lavoro e fatica, sotto una cappa di sole incandescente o sotto le sferzate della pioggia, lavoro e sempre lavoro: continuo e inarrestabile”. Le pagine sulla sua condizione di lavoro, sulla sua sopravvivenza precaria, sul suo disagio di vivere sono tra le più toccanti e sconvolgenti. Ma la soluzione non viene ricercata nella politica o nel sindacato. È strettamente personale: il piacere dello scrivere, del comunicare, dell’elaborare un pensiero poetico. Percy Bysshe Shelley, un poeta noto e amato da Pascal D’Angelo, ha scritto: “cibo dei poeti è l’amore e la fama”. Pascal D’Angelo ha cercato di nutrirsi di questi due alimenti. Durante la vita non c’è riuscito. Ed anche “post mortem”, purtroppo, sembra essere ancora uno sconosciuto.

 




IL 7 e 8 LUGLIO PESCARA COMIC CONVENTION Torna la manifestazione dedicata a fumetti, giochi e mondo cosplay

 
 
PESCARA – Ci sarà il più giovane copertinista della Bonelli, Fabrizio De Tommaso, che ha disegnato la locandina del Pescara Comic Convention interpretando con la sua insuperabile matita il tema dell’edizione 2018: l’esordio. Con lui, il 7 e l’8 luglio, tra corso Umberto I, piazza Sacro Cuore e il lungomare pescarese arriveranno tantissimi fumettisti, editori, sceneggiatori e graphic designer quali Michele MonteleoneGiulio RincioneWalter Trono,Davide La RosaFrancesco SavinoMarco NucciSimona BinniJacopo VanniAntonio Sepe e tanti altri.
La seconda edizione del Pescara Comic Convention, la manifestazione gratuita interamente dedicata agli appassionati di fumetti, manga, cosplay, giochi e non solo, si arricchisce con un parterre di ospiti che abbraccia le più svariate realtà della Penisola. Una due giorni tutta da vivere fra cosplay contest, presentazioni e incontri con autori provenienti da tutta Italia. Ma anche una performance di disegno lungo corso Umberto, mostre, tornei, workshop e una grande area mercato. La manifestazione è realizzata grazie alla collaborazione di realtà professionali quali Scuola Internazionale di Comics di Pescara e Games Academy Pescara, con il coordinamento dell’ENDAS Abruzzo e il sostegno del Comune di Pescara.
Novità di quest’anno è il tema scelto come filo conduttore del Pescara Comic Convention: l’esordio. Nelle intenzioni degli organizzatori, infatti, l’obiettivo è riuscire a dare risalto agli autori esordienti in un viaggio ideale tra case editrici, temi e personaggi che sarà coordinato da Giulio Antonio Gualtieri e Bruno Letizia, i due “magister” delPescara Comic Convention, ossia le due figure di riferimento del mondo del fumetto che rispecchiano le caratteristiche del tema annuale e che delineano il programma culturale. Gualtieri è scrittore, sceneggiatore e direttore della Editoriale Cosmo, mentre Letizia è sceneggiatore, disegnatore e insegnante di fumetti.
«Pescara Comic Convention – sottolinea Bruno Letizia – ruota intorno al concetto di esordio. Questa è l’identità che abbiamo deciso di dare alla fiera e porteremo a Pescara una bella fetta della meglio gioventù del fumetto italiano. Il fumetto ha diverse sfumature e, per noi, era importante avere ospiti che potessero rappresentare ogni sfaccettatura della nona arte».
Ci saranno in fiera autori legati al fumetto da edicola, come Dario Sicchio, sceneggiatore Cosmo, Alessio Moroni, che quest’anno ha esordito in Bonelli come disegnatore, o Marco Nucci, sceneggiatore, sempre per Bonelli. Assieme a loro anche autori completi che racconteranno le loro esperienze sulla pubblicazione del loro primo libro a fumetti: Gaia Cardinali, fresca vincitrice del premio Nuovo Talenti del Concorso Romics dei libri a fumetti, autrice di Viktoria (Tunuè); Nova Sin, che presenterà Stelle o Sparo (Bao publishing); Lorenza Natarella, autrice di Sempre Libera (Bao publishing) e Francesco Guarnaccia, autore di Iperurania (Bao publishing) e già giovanissimo autore di From Here to Eternity (Shockdom). Inoltre, arriveranno a Pescara anche rappresentanti dell’autoproduzione, come il Caos Studio e Daniele De Sando, che presenterà il toccante La Rabbia Sul Fondo.
«Gli autori – prosegue Bruno Letizia – saranno presentati sotto l’ala protettiva del padrino della manifestazione:Fabrizio De Tommaso, il più giovane copertinista di un seriale Bonelli, autore del bellissimo manifesto di quest’anno. Anche Giulio Rincione, autore di Paperi (Shockdom) e disegnatore di un Dylan Dog Color Fest (Bonelli), ci aiuterà a presentare questi ragazzi in fiera. Gli autori saranno infatti coinvolti in diverse conferenze e presentazioni, che verteranno sul racconto dell’esordio e coglieranno ogni aspetto professionale del fumetto: dalla sceneggiatura al disegno, ma anche grafica, lettering, colore ed editoria, un aspetto in cui sarà coinvolto Francesco Savino. Inoltre, saranno parte attiva della manifestazione anche gli insegnanti della Scuola Internazionale di Comics, che terranno diversi workshop in fiera. Un’opportunità aperta a chiunque: un primo passo che si spera possa portare a nuovi esordi».
 



Giulianova. Iniziativa Associazione culturale “Veliero”, sabato 23 giugno

L’Associazione culturale “Veliero – Riccardo Cerulli” presenta sabato 23 giugno, alle ore 18:00, presso il Loggiato del Sottobelvedere, l’incontro con il prof. Aurelio Manzi sul tema “Storia dell’ambiente nell’Appennino Centrale”. Aurelio Manzi, naturalista botanico e storico ambientale, ha al suo attivo centinaia di pubblicazioni scientifiche ed è autore di diversi volumi tra cui Libro rosso delle piante d’Italia, Origine e storia delle piante coltivate in Abruzzo, Piante sacre e magiche in Abruzzo, Flora popolare d’Abruzzo, Piante alimentari in Abruzzo, Pastori lanaioli e contadini, etc. Gran parte della sua produzione divulgativa interessa il settore della storia e trasformazione del paesaggio e dell’agricoltura nell’Italia centrale. L’incontro avrà come tema centrale il libro “Storia dell’ambiente nell’Appennino Centrale – La trasformazione della natura in Abruzzo dall’ultima glaciazione ai nostri giorni”.

L’ Abruzzo è una terra, posta al centro del Mediterraneo, con una natura straordinaria che esprime una biodiversità eccezionale, raramente riscontrabile in ambito italiano ed europeo. Eppure, l’azione dell’uomo, fin dalla sua comparsa, ha influito sulla natura primordiale, ha sistematicamente trasformato l’ambiente per adattarlo alle sue esigenze di vita. Oggi non c’è ettaro di terreno che non abbia risentito dell’attività antropica. Aurelio Manzi ripercorre la storia dell’ambiente nella regione, dall’ultima glaciazione fino ai nostri giorni, con gli occhi del naturalista attento alle vicende umane. Analizza le trasformazioni ambientali nelle diverse epoche, i cambiamenti nel paesaggio e nell’agricoltura, le mutazioni nelle comunità faunistiche e floristiche. Si sofferma sulla distruzione di importanti ecosistemi come il lago Fucino, uno dei più estesi bacini italiani, oppure la preziosa torbiera di Campotosto, le aree paludose e la fascia costiera, indugia sulla devastazione dei grandi complessi forestali, in particolare le selve della pianura. Indaga su alcuni processi oggi in atto di portata storica, tra cui l’abbandono della fascia montana e collinare con la conseguente urbanizzazione della costa, i cambiamenti climatici e gli effetti ambientali che ne derivano. Modera ed introduce l’incontro il Presidente della Associazione, il prof. Andrea Palandrani. Ingresso gratuito.




Giulianova. “Muorili”, spettacolo dell’Associazione Culturale Knà domenica 24 giugno in occasione di Rokka Rock

GIULIANOVA – L’Associazione Culturale Knà sarà presente, in occasione di Rokka Rock, domenica 24 giugno alle 21,30 portando in piazza in vicolo del Gallo lo spettacolo di corti teatrali  “MUORILI”, con Giuliana Cianci, Francescomaria Di Bonaventura e Maurizio Emidi, con testi di Mattia Torre.

 

Durante la serata ci saranno intervalli degli allievi del “Progetto Adulti Knà 2018” con promo teatrali di “7 Piani”, con testi di Dino Buzzati, il cui spettacolo verrà riproposto integralmente il 1° luglio nella sala polivalente dell’Annunziata.

Gli attori in piazza sono: Alessandro Carincola, Sara Ciabattoni, Salvatore Citzia, Marco Nazionale, Matilda Pepe, Michela Spinozzi, Davide Vagnozzi e Moira Vespasiani.

Ingresso libero.