Milano. Museo del Novecento e Fondazione Furla presentano PAULINA OLOWSKA Slavic Goddesses and the Ushers

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Paulina Olowska, After Zofia Stryjeńska, collage, 2018. Courtesy of the artist

Museo del Novecento e Fondazione Furla

presentano

PAULINA OLOWSKA

Slavic Goddesses and the Ushers

 

Musiche di Sergei Tcherepnin

Performer: Dobrawa Borkala, Milovan Farronato, Paulina Olowska, Sergei Tcherepnin

 

6 marzo 2018                        

Ingresso libero in qualunque momento tra le ore 18 e le ore 21

Sala Fontana, Museo del Novecento, Milano

Data la capienza limitata di Sala Fontana, è possibile che sia necessario attendere prima di poter accedere

 

Quarto appuntamento di FURLA SERIES #01

Time after Time, Space after Space

A cura di Bruna Roccasalva e Vincenzo de Bellis

 

 

Museo del Novecento e Fondazione Furla presentano Paulina Olowska che per il quarto appuntamento di Furla Series #01 – Time after Time, Space after Space animerà la Sala Fontana con la performance Slavic Goddesses and the Ushers.

 

Il poliedrico lavoro di Paulina Olowska ispirato alle utopie moderniste e alla cultura popolare americana e esteuropea – in particolare della Polonia del periodo socialista – stabilisce un dialogo con la storia creando riferimenti culturali incrociati che riflettono sull’idea di femminismo e consumismo. Concentrandosi su figure del passato, l’artista recupera storie minori e spesso dimenticate con un approccio che non è mai nostalgico, ma al contrario dettato dal desiderio di comprenderne il valore intrinseco non solo in un’ottica storica, ma anche contemporanea.

 

Ispirato al lavoro della visionaria artista polacca Zofia Stryjeńska (1891-1976), Slavic Goddesses and the Ushers nasce proprio all’interno del costante interesse di Paulina Olowska nei confronti di personaggi femminili del passato. Protagonista della scena polacca tra le due guerre e poi consegnata all’oblio dalla politica del regime comunista, la multiforme produzione di Zofia Stryjeńska, suggestionata dai rituali e dal folclore del suo paese, ha ispirato negli anni diversi lavori dell’artista, dai dipinti realizzati per la Biennale di Berlino nel 2008 alla performance Slavic Goddesses – A Wreath of Ceremonies, presentata nel 2017 al The Kitchen di New York, e di cui Slavic Goddesses and the Ushers costituisce un’evoluzione.

 

Le divinità slave, già soggetto della performance newyorkese, sono protagoniste anche di SlavicGoddesses and the Ushers in cui sei manichini installati al centro di Sala Fontana indossano i costumi realizzati dall’artista stessa a partire dalla serie di dipinti Bożki słowiańskie (Divinità slave, 1918) della Stryjeńska. Questi surreali abiti di scena, dai grandi copricapi e con decorazioni di piume di pavone e spighe di grano – nominati nel 2017 per il Bessie Award in Costume Design – restituiscono figure fantastiche della mitologia e del folclore slavi: vere e proprie dee della malizia, della prosperità, del fatalismo, della primavera, dei cieli e dell’inverno, “con corpi di argilla, capelli di grano e di rami, di spine e cardi”.

 

Ad accompagnare il pubblico nella partecipazione a questo cerimoniale sono quattro figure-guida (Ushers), impersonate da Dobrawa Borkala, Milovan Farronato, il compositore Sergei Tcherepnin e l’artista stessa. Queste misteriose presenze animano la Sala Fontana e lo spazio sovrastante, attivando la scena in modi diversi e guidando i visitatori in un’esperienza magica e suggestiva.

 

Si ringraziano la Ushirka Cooperative e il Rabcio Puppet Theater per il loro aiuto nella realizzazione dei costumi degli Ushers.

Sponsor tecnico: Hans Boodt Mannequins

 

 

Paulina Olowska. Slavic Goddesses and the Ushers

6 marzo 2018

Ingresso libero in qualunque momento tra le ore 18 e le ore 21

Sala Fontana, Museo del Novecento, Milano

Data la capienza limitata di Sala Fontana, è possibile che sia necessario attendere prima di poter accedere




Poesia di Pasqua 2018 di Francesco Lena

Poesia di Pasqua 2018

Il dolce profumo della primavera è arrivato, creatività e tanti bei colori ha portato, da ammirare,

madre terra con i suoi frutti fa sognare, ci dona la meravigliosa Pasqua da festeggiare.

Sogno una Pasqua, dove fiorisce la verità e l’amore per la vita, da globalizzare,

ci sia onestà e rispetto per la dignità della persona, favorendo la diffusione di un clima cordiale.

Sogno una Pasqua, dove la luce del sole ci illumina, e, ci unisca nel dire basta armi, sì alla costruzione della pace in ogni angolo del mondo,

si scommetta su ideali sani, che aprano la mente e il cuore, per portare calore umano al fratello bisognoso.

Sogno una Pasqua, dove si pratica l’amicizia, con grande volontà la vera solidarietà,

Lettere al Direttore

valore umano, forte e bello, che porta alle persone armonia, gioia e serenità.

Sogno una Pasqua, dove ognuno pratica il bene e la bontà, fa buone azioni con semplicità,

portando con dolcezza una carezza, un abbraccio, un sorriso, ai bambini, vecchi e ammalati, con  umanità.

Sogno una Pasqua, dove ognuno pratica etica morale, ecologica nella fratellanza, segue la luce interiore,

da forza per promuovere la globalizzazione dei valori umani, libertà, uguaglianza, giustizia, ci farebbe onore.

Sogno una Pasqua, dove si fanno meno discorsi ma più disposti ad ascoltare le persone che soffrono, con umanità,

portare loro dei diritti universali, diritto al cibo, alla salute, all’istruzione, attuando la vera fraternità.

Sogno una Pasqua, dove tutti insieme, con coscienza, ci mettiamo a sognare, ma sopratutto a fare,

per far si che arrivi la bella Pasqua, quella che ci fa stare bene ogni giorno insieme, a festeggiare.

Sogno una Pasqua, che ci fa guardare oltre il buio dell’egoismo, per vedere la luce della condivisione con generosità,

nel rispetto della dignità dei fratelli e sorelle, e, tutti i cittadini del mondo possano vivere meglio, nell’amore, nella speranza, nella pace con serenità.

Francesco  Lena

Via

24060 Cenate Sopra ( Bergamo )




Approvata dalla Giunta la modifica allo schema di convenzione per l’attuazione del Piano di recupero area ex Acciaierie del Sud ed ex FOMA di via Trieste.

Approvata dalla Giunta il 27 febbraio, la modifica allo schema di
convenzione per l’attuazione del Piano di recupero dell’area ex
Acciaierie del Sud ed ex FOMA di via Trieste.
Si tratta di una modifica che tende a garantire maggiormente gli interessi
pubblici nel momento in cui la proprietà ha deciso definitivamente di dare
attuazione al comparto urbanistico. Le modifiche riguardano principalmente

Piano di recupero area ex Acciaierie del S

la tutela della fase di caratterizzazione del sito al fine della sua
bonifica successiva alla conferenza dei servizi per la valutazione del
rischio così da garantirne la piena sicurezza. Inoltre sono state
formulate dalla Giunta alcune indicazioni per quanto riguarda le opere di
urbanizzazione primaria da eseguirsi anche all’esterno dell’ambito
di intervento. Infatti, considerata l’importanza del Piano di
recupero, si è reso necessario inserire tra le opere da realizzare anche
il collegamento della rete idrica tra via Turati e via Trieste in
corrispondenza di via Salerno per un importo aggiuntivo stimato in
125.196,32 euro. La ditta proponente peraltro dovrà versare al Comune
l’ulteriore somma di 570.000 euro per la mancata cessione, a titolo di
corresponsione di 380 mq., così come deliberato dal Consiglio comunale nel
2012. Somme, queste, che il Comune utilizzerà per ulteriori opere di
urbanizzazione consistenti in opere finalizzate alla riqualificazione e
all’ammodernamento della zona e del quartiere prossimo all’area.
Al Comune infine verrà ceduto gratuitamente un locale di 150 mq.
nell’edificio adiacente la piazza pubblica della quale è prevista la
realizzazione.
Per il Sindaco e per gli assessori si tratta quindi di un importante
intervento che assieme all’adiacente area ex SADAM determinerà la
riqualificazione di una vasto territorio che da troppi anni attendeva
soluzioni.




Roseto degli Abruzzi, pronto il calendario 2018  dedicato al Belvedere e Dancing sul lungomare. 

Per l’anno 2018, fra le migliaia di cartoline che fanno da soggetto al calendario, dedicato alla città di Roseto degli Abruzzi, i due autori hanno pensato di riprodurre immagini dell’ex Belvedere e Dancing situati sul lungomare di Roseto degli Abruzzi.

Calendario Roseto 2018

Il calendario si presenta con vari scatti d’epoca, uno per ciascun mese, che mostrano immagini selezionate tra le cartoline originali d’epoca in bianco e nero.

Per raccontarvi del belvedere costruito negli anni ’30 sul lungomare di Roseto degli Abruzzi, da nostre ricerche possiamo affermare che nel mese di giugno del 1929 il podestà di Roseto degli Abruzzi, Giuseppe Di Blasio, stipulò un contratto con la Regia Capitaneria di Porto di Ancona per la costruzione di un “belvedere sul mare”.

Nel mese di marzo 1933 il podestà Archimede Carusi affidò l’incarico del piano di lavoro all’ingegnere Luigi Onorati.

Il lavori della costruzione del “belvedere” furono ultimati nella stagione estiva dello stesso anno.

Il belvedere rosetano occupava un tratto di spiaggia di fronte alla odierna pineta Raffaello Celommi, delimitato a nord  da via Giovanni Thaulero e a sud da via Frascati.

Il belvedere, con al centro un dancing, aveva una lunghezza di 200 metri e una larghezza di 24 metri.

Il progetto del nuovo lungomare invece fu approvato dal Consiglio Comunale di Roseto degli Abruzzi, presieduto dal sindaco Pio D’Ilario, nel mese di febbraio 1957.

Dopo quella data furono subito iniziati i lavori di demolizione di smantellamento del belvedere e la costruzione del nuovo lungomare rosetano.

Le 12 cartoline riprodotte nel calendario fanno parte degli archivi privati dei rosetani Emidio D’Ilario e Luciano Di Giulio, entrambi collezionisti, appassionati e cultori di storia locale, che dal 2010 mettono a disposizione i loro archivi fotografici per omaggiare la città di Roseto degli Abruzzi.

L’allestimento e la stampa del calendario è curata dalla Tipolitografia Rosetana che, a nome di Christian Risi, Riccardo Innamorati e Patrizio Serafini ci tengono a comunicare che: “Dal 2010, anno celebrativo dei primi 150 anni della nascita di Roseto degli Abruzzi abbiamo appoggiato questa iniziativa editoriale nel rispetto delle tradizioni e della divulgazione della memoria storica e visiva della nostra città attraverso le immagini delle cartoline.

Quello del 2018 è l’ottavo calendario che realizziamo insieme agli amici Emidio e Luciano, e ogni anno ci troviamo a ringraziare i tantissimi rosetani che apprezzano e condividono con noi questa iniziativa”.

“Ricordiamo che alcune delle immagini del calendario 2017 sono tratte dal libro “Roseto degli Abruzzi. La cartolina racconta la storia della città” – ci dicono, gli autori del volume, Emidio D’Ilario, presidente del C.F.N.R. e il giornalista collezionista Luciano Di Giulio – mentre le altre immagini le abbiamo scelte dalle nostre collezioni private, visionandole insieme ai titolari della Tipolitografia Rosetana, che hanno selezionato le più interessanti tra quelle dedicate al Belvedere a al Dancing sul lungomare rosetano, oggi scomparso”.

Anastasia Di Giulio




Editoria. Gabriele D’Annunzio e la gastronomia abruzzese, Pescara, 2 marzo

Venerdì 2 marzo, alle ore 18:00, sarà presentata a Pescara l’ultima ristampa del libro di Enrico Di Carlo, “Gabriele d’Annunzio e l’enogastronomia della memoria”, nei saloni del Circolo Aternino, in piazza Garibaldi. Introduce Andrea Lombardinilo. Durante l’incontro, Franca Minnucci leggerà alcuni brani dannunziani. Al termine, l’Istituto Alberghiero “De Cecco” offrirà una degustazione di piatti ispirati alla tradizione gastronomica abruzzese.

Copertina Gabriele D’Annunzio

NOTA DELL’EDITORE

Il successo delle prime due edizioni del libro (2010), e della terza del 2013, ci ha indotto a ristamparne l’ultima emendata di alcune inesattezze storiche, chiarite grazie a recenti studi, e arricchita di nuove fonti bibliografiche.

La fortuna di questo lavoro è sicuramente dovuta al fatto di aver presentato un d’Annunzio bel lontano dall’eroe, dal poeta-soldato, dal Superuomo, ma molto più intimistico, quasi famigliare che si lega alla regione natia attraverso i profumi semplici di una cucina che povera lo era realmente. La mentuccia, il cacio pecorino, il salamino pepato della Maiella, le triglie allo spiedo, il brodetto di pesce alla vastese, i maccheroni (che non sponsorizzò) di Filippo De Cecco rinnovano, di volta il volta, la nostalgia e il ricordo della propria Mamma, della propria Casa, della propria Terra.

Lo avevano capito gli amici abruzzesi a lui più cari che gli inviavano il Parrozzo, l’Aurum, la porchetta, l’Amaro Majella, perché potesse sentirsi meno solo nella immensa solitudine del Vittoriale, soprattutto alla vigilia delle feste di Pasqua e di Natale.

D’Annunzio astemio e (forse) parco nel mangiare si fa leggere, in queste pagine, con interesse, con simpatia, probabilmente strappandoci il sorriso come davanti all’impresa ardua di cucinare una enorme frittata con trentatre uova. Ma riesce anche a commuoverci nel suo infantile attaccamento all’Abruzzo del quale succhia ancora la parte più genuina così come fa il neonato attaccandosi al seno materno.

L’Editore

 

 

Enrico Di Carlo è nato a Chieti il 18 settembre 1960. È laureato in Lettere, ed è Dottore di ricerca in “Lingua e letteratura delle regioni d’Italia” e in “Epistemologia dell’informatica e mutamenti sociali”. Lavora presso la biblioteca dell’Università di Teramo. Da oltre trent’anni svolge attività di giornalista-pubblicista.

È Deputato di Storia Patria negli Abruzzi.

I suoi studi vertono prevalentemente su d’Annunzio e la cultura abruzzese dell’Ottocento e del Novecento. Ha pubblicato una quindicina di volumi.

L’autore ha presentato l’argomento di questo libro in Italia e all’estero. Si ricordano: la Biblioteca Storica Nazionale del Ministero dell’Agricoltura, a Roma; l’Istituto Italiano di Cultura, a Budapest; l’Azienda Vinicola Masi, in Val Policella; Overtime Festival, a Macerata; l’Università “G. d’Annunzio”, a Chieti, e le manifestazioni organizzate a Pescara da Licio Di Biase, in occasione dell’ottantesimo anniversario della morte di Gabriele d’Annunzio.




Giulianova. Il Nome della Rosa: il programma di Marzo, per riscaldarvi gli animi…

Circolo virtuoso Il nome della Rosa
Giulianova Alta, Via Gramsci 46/a

Info Line 338/9727534

Per contattarci
nomenrosae@gmail.com

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Sempre sorriso
Chico (per sempre presente),
Marisa, Paolo, Rosa & Roberto

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In questi giorni di gelo vi anticipiamo il programma di marzo,
l’avvento della primavera…

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DA MARZO 2018
LA POTATURA DELL’OLIVO CORSO TEORICO/PRATICO
La via moderna dell’olio
Le nuove tipologia di potatura

A cura di: Gennaro MONTECCHIA
Frantoio Montecchia

1 LEZIONE TEORICA: Venerdì 2 marzo 2018 ore 21:00
3 LEZIONI PRATICHE (sul campo) – Sabato 3, 10 e 17 marzo 2018

http://ilnomedellarosacorsi.blogspot.it/2018/02/la-potatura-dellolivo-corso.html

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Martedì 13 marzo 2018
ORE 21,00
FORMAZIONE
“MASTER DI FOTOGRAFIA DIGITALE”
Corso avanzato di fotografia di paesaggio, giorno e notte
A cura di: Giovanni LATTANZI

7 lezioni (4 teoria + 3 pratica) da due ore ciascuna
Workshop Day-Night

http://ilnomedellarosacorsi.blogspot.it/2018/01/master-di-fotografia-digitale.html

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Sabato 24 marzo 2018
Dalle ore 09:00 Alle ore 13:00
SEMINARIO
“LA GESTIONE DELLA SICUREZZA NEL CONDOMINIO: FOCUS E CONSIGLI”
A cura di: Nicola VIGILANTE – Ingegnere

http://ilnomedellarosacorsi.blogspot.it/2018/01/la-gestione-della-sicurezza-nel.html

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Giulianova. 90 anni alla morte di Vincenzo Bindi. Riunione il 2 marzo per l’organizzazione degli eventi commemorativi.

 

Vincenzo Bindi

Il 2 maggio 1928 cessava di vivere Vincenzo Bindi, illustre storico e
umanista giuliese al cui nome sono intitolate la Biblioteca e la
Pinacoteca civiche sorte grazie al suo munifico lascito consistente in
preziose opere librarie ed artistiche.
In vista delle celebrazioni per il 90° della sua scomparsa, il prossimo 2
marzo si terrà in Sala “Buozzi”, a partire dalle ore 18, un primo incontro
con le associazioni culturali cittadine organizzato dagli assessorati alla
Cultura e alle Manifestazioni e dal Polo Museale Civico per valutare e
coordinare gli eventi commemorativi.




JACOPO SIPARI DIRIGE LA BOHÈMENEL REGNO DI DRACULA

 

Cluj – Napoca. Ancora una volta un importantissimo successo internazionale per il direttore abruzzese Jacopo Sipari di Pescasseroli, direttore musicale del Teatro dell’Opera di Macedonia e Direttore Artistico del Festival Internazionale di Mezza Estate Citta’ di Tagliacozzo.

Maestro Avv. Jacopo SIPARI di PESCASSEROLI

Dopo i numerosi successi in Serbia con Aida e Nabucco di Verdi, il direttore Sipari torna Venerdì 23 Febbraio 2018, ore 18.30 a dirigere il “suo” Puccini al Teatro dell’Opera Nazionale Rumena di Cluj – Napoca, nel cuore della Transilvania di cui la citta’ era la storica capitale, citta’ del grande eroe Mattia Corvino.

Sipari sale sul podio dello storico teatro nazionale di Romania, che proprio quest’ anno festeggia i 100 anni dell’ Opera, per dirigere la Boheme di Giacomo Puccini, la prima opera che lo ha consacrato direttore principale ospite alla Fondazione Festival Pucciniano, allora con la coppia Fiorenza Cedolins – Leonardo Caimi per la regia di E. Scola.

All’Opera di Romania, il direttore abruzzese dirige coro lirico, coro di voci bianche e orchestra del Teatro Nazionale per la regia di INA HUDEA, scene di MIHAI VĂLU, luci di MĂDĂLINA MÂNZAT con la straordinaria partecipazione di DIANA ȚUGUI – Mimì, ALIN STOICA – Rodolfo, GEANI BRAD – Marcello, ANDREEA NOVAC – Musetta, CRISTIAN HODREA – Schaunard, PETRU BURCĂ – Colline.

“Ogni volta che dirigo la Boheme – dice Sipari – è per me un voler tornare indietro al mio passato più profondo, al mio amore più antico. E’ questa la prima opera che ho visto da piccolo e la prima opera che ho diretto alla Fondazione Festival Pucciniano. In qualche modo ha profondamente segnato la mia vita. E’ un’ opera indubbiamente straordinaria, ricca di una profonda umanità e verità. Per questo forse è così amata e così eseguita”.

Al ritorno da Cluj il Maestro è atteso in tournee proprio con la Fondazione Festival Pucciniano per la messa in scena di Rigoletto di G. Verdi e poi al Teatro dell’ Opera di Skopje e a quello di Baku – Azerbaijan con Madama Butterfly di Puccini e ancora all’ Opera di Belgrado con Otello di Verdi.

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La ASL di Teramo invitata alla tavola rotonda dell’Istituto Superiore di Sanità sui disturbi dell’alimentazione

 

 

Un importante incontro sui disturbi dell’alimentazione è in programma domani a Roma, presso l’Istituto Superiore di Sanità (ISS). L’incontro è rivolto ai ricercatori, ai rappresentanti istituzionali e agli operatori della Sanità che si occupano di questa problematica, con lo scopo di favorire lo sviluppo di procedure, iniziative, strumenti ed azioni di programmazione per la cura delle persone affette da queste severe patologie, e per integrare le “Linee di indirizzo nazionali per la riabilitazione nutrizionale nei disturbi dell’alimentazione”, già pubblicate nel 2017 dal Ministero della Salute .

Per la ASL di Teramo, in rappresentanza della Regione Abruzzo insieme ad un collega della ASL di Pescara, la Dr.ssa Patricia Giosuè, Psichiatra in servizio presso il Centro di Salute Mentale dell’Ospedale di Atri, siederà al tavolo dei relatori per parlare di condivisione di buone pratiche e di prospettive future, da implementare poi a livello regionale, in questo specifico ambito.

I disturbi dell’alimentazione sono un problema di sanità pubblica di crescente importanza e oggetto di attenzione sul piano scientifico e mediatico per la loro diffusione e per l’esordio sempre più precoce tra le fasce più giovani della popolazione.

Secondo le stime ufficiali del Ministero della Salute, il 95,9% delle persone colpite dai disturbi alimentari sono donne.

L’incidenza dell’anoressia nervosa è di almeno 8 nuovi casi per 100mila persone in un anno tra le donne, mentre per gli uomini è compresa fra 0,02 e 1,4 nuovi casi.
Invece, per quanto riguarda la bulimia ogni anno si registrano 12 nuovi casi per 100mila persone tra le donne e circa 0,8 nuovi casi tra gli uomini.

Già da diversi anni, l’ISS ha promosso una serie di iniziative con lo scopo di analizzare la dimensione epidemiologica del fenomeno in Italia e quindi il carico assistenziale, promuovere l’attivazione di programmi di prevenzione ed identificazione precoce, analizzare i percorsi diagnostici-terapeutici-riabilitativi mettendo a disposizione, al tempo stesso, documenti di indirizzo e linee guida da condividere con tutti gli operatori coinvolti a livello nazionale e regionale, per la cura al paziente nel tempo e nei luoghi di cura più appropriati.

Il Direttore Generale Roberto Fagnano: “Sono sempre molto contento quando i nostri operatori partecipano a questi eventi che arricchiscono non solo loro stessi, ma tutta l’Azienda. In questo caso, essere chiamati a relazionare in un  tavolo nazionale dove si decidono linee guida valide per tutto il Paese, indirizzi e prospettive future da organizzare poi a livello regionale, è un indicatore della qualità dei nostri professionisti. Non posso che esserne orgoglioso.”

 




IL FASCISMO E I CORRISPONDENTI AMERICANI IN ITALIA, IL SAGGIO DI MAURO CANALI

La presentazione del libro al Centro Studi Americani di Roma. Una lettura del ventennio mussoliniano da un punto di vista inedito, i casi Hemingway e Scott Fitzgerald.

Roma, febbraio 2018 – La scoperta dell’Italia, il fascismo raccontato dai corrispondenti americani (Marsilio Edizioni) è l’ultima opera del professor Mauro Canali, per la quale lo storico romano è stato insignito pochi giorni fa del Premio FiuggiStoria 2017 per la saggistica. Il libro è stato presentato a Roma nel corso di un incontro pubblico che ha avuto luogo presso il Centro Studi Americani e a cui hanno partecipato, oltre all’autore, Paolo Messa (direttore del Centro), Piero Craveri (presidente della Fondazione Biblioteca Benedetto Croce), Mario Avagliano (giornalista e storico) e il giornalista del Messaggero Fabio Isman.

Mauro Canali, professore ordinario di Storia Contemporanea all’Università di Camerino e membro del Comitato scientifico di Rai-Storia, è uno degli studiosi più autorevoli del fascismo, a cui ha iniziato a dedicarsi in giovane età sotto la guida del suo maestro Renzo De Felice. Ha concentrato in particolare le sue ricerche sulla struttura totalitaria e sui meccanismi informativi e repressivi del regime mussoliniano. Questo bel saggio, che si legge come un romanzo molto avvincente, nasce – come lo stesso autore ha spiegato nel corso della presentazione – soprattutto dalla necessità di scoprire e chiarire sotto quale luce il regime fascista apparisse agli occhi di un paese estraneo all’Italia come gli Stati Uniti, e come venisse descritto ai suoi lettori. Un punto di vista quindi inedito per ripercorrere le vicende di quegli anni, in grado di offrirci al tempo stesso uno spaccato molto interessante della società del ventennio fascista.

Si tratta di un lavoro che ha richiesto una lunga e meticolosa ricerca attraverso le fonti più disparate, tra cui gli archivi privati di molti corrispondenti che spesso lasciavano ai posteri dei diari e appunti legati a quel periodo storico. Rispetto ad altri testi che hanno analizzato il tema del rapporto tra gli Stati Uniti e Mussolini – a cominciare da quello dello storico californiano John Diggins (L’America, Mussolini e il fascismo, Laterza 1972) – Canali ha voluto indagare più in profondità per scoprire fino a che punto certe prese di posizione nei confronti del fascismo fossero condizionate dalle pressioni (che spesso sfociavano in ricatti e minacce) e in veri e propri tentativi di corruzione che il regime esercitava nei confronti degli inviati esteri.

Il libro mostra come nel primo periodo il fascismo venisse visto generalmente di buon occhio da parte della stampa americana. Si trattava di un giudizio che, prima ancora dell’avvento al potere di Benito Mussolini, risentiva del bagaglio di esperienze legato alla fase turbolenta post-bellica in cui si trovavano gli Stati Uniti, e del fatto che questi inviati avessero nella maggior parte dei casi una conoscenza molto superficiale della storia e della politica italiana, frutto essenzialmente di pregiudizi e di stereotipi. Il Duce era ritenuto l’artefice di una rivoluzione “bella e giovane” e veniva dipinto come l’unico credibile baluardo nei confronti del pericolo bolscevico: negli Stati Uniti infatti si avvertiva un forte allarme per quelle manifestazioni di grande conflittualità sociale che ebbero luogo in Italia nel cosiddetto “biennio rosso”, poi culminate con l’occupazione delle fabbriche nel settembre del 1920.

Il fascismo rappresentava quindi per molti di questi corrispondenti americani una risposta efficace in quanto aveva saputo mettere a tacere i sindacati e le lotte di classe, garantendo una pax sociale fatta di ordine e disciplina. Una soluzione certo non esportabile negli Stati Uniti ma che a loro avviso si adattava bene all’Italia, che inquadravano come un paese un po’ anarcoide e tendenzialmente refrattario all’ordine costituito. Tra questi giornalisti Canali cita ad esempio Kenneth Roberts, inviato del “Saturday Evening Post” e autore del romanzo storico Passaggio a nord-ovest, che dopo aver denunciato il pericolo comunista, esaltò il fascismo come un movimento necessario per impedire che l’Italia precipitasse “in un turbine caotico di comunismo e di disastri finanziari”. Un altro corrispondente, Isaaac Marcosson, definì Mussolini addirittura “Il Theodore Roosevelt latino”, così come Lincoln Steffens del “New York American”, che arrivò a scrivere frasi apologetiche come questa: “Immaginate un Theodore Roosevelt consapevole, mentre governava, del posto che avrebbe occupato nella storia degli Stati Uniti, e avrete l’immagine di Benito Mussolini in Italia”. E poi ancora Walter Lippmann, vincitore di due premi Pulitzer e molto noto nella comunità degli italo-americani; e Anne O’Hare McCormick, autrice di molti reportage più che lusinghieri nei confronti del fascismo per il supplemento domenicale del “New York Times”, autentico megafono della propaganda del regime mussoliniano in America.

Ma tra questi corrispondenti vi era chi aveva maturato riguardo al Duce un’opinione del tutto opposta. Ci riferiamo in particolare a mostri sacri della letteratura del Novecento come Francis Scott Fitzgerald e Ernest Hemingway. In particolare Fitzgerald, che trascorse cinque mesi a Roma nel 1924 insieme alla moglie Zelda, capì subito che il fascismo si presentava con il volto del vecchio autoritarismo e in riferimento ad esso parlava senza mezzi termini di “spasmi di un cadavere”, invitando i suoi lettori a non lasciarsi ingannare dal suo dinamismo apparente. In seguito sarà costretto ad andarsene e a non mettere più piede in Italia perché fermato dalla polizia, malmenato e portato in prigione per qualche ora: racconterà questa sua brutta esperienza in uno dei suoi più celebri capolavori, Tenera è la notte.

Il caso di Hemingway è diverso: inizialmente sembrava attratto da Mussolini, che apprezzava soprattutto per le sue qualità di patriota combattente, ritenendo legittima la reazione del fascismo contro la minaccia di una trionfante rivoluzione bolscevica. Lo incontrò per la prima volta a Milano e lo descrisse sul “Toronto Daily Star” come “un uomo grande, dalla faccia scura con una fronte alta, una bocca lenta nel sorriso, e mani grandi ed espressive”. Poi solo sei mesi dopo il giudizio di Hemingway cambiò radicalmente. Nel gennaio del 1923, in un articolo pubblicato dopo aver incontrato Mussolini a Losanna in occasione del meeting internazionale che avrebbe dovuto regolare i rapporti tra la nuova Turchia di Atatürk e le potenze uscite vittoriose dalla guerra, si lascerà andare a una critica molto feroce nei confronti del duce: arriverà a definirlo “il più grande bluff d’Europa”, come uno che ha del “genio nel rivestire piccole idee con paroloni”; aggiungerà inoltre di non sapere se e quanto questo bluff potrà durare: se quindici anni o se verrà rovesciato al più presto. E racconterà un episodio a dir poco grottesco: appena entrato nel salone dove si svolgeva la conferenza stampa vide Mussolini seduto alla scrivania mostrandosi molto concentrato come per darsi delle arie da grande intellettuale “intento a leggere un libro con il famoso cipiglio sul volto”. Hemingway si avvicinò e sbirciando alle sue spalle scoprì “che si trattava di un dizionario francese-inglese, tenuto al rovescio”. Dopo aver letto quell’articolo Mussolini gli giurò che non lo avrebbe più fatto tornare in Italia. Canali svela anche che anni dopo, nel pieno della guerra di Spagna, dopo che sulla stampa americana erano apparse alcune sue corrispondenze da Tarragona fortemente critiche nei confronti degli italiani impegnati a combattere a fianco delle truppe franchiste, dei personaggi che gravitavano intorno al consolato italiano di New York avevano studiato un piano di aggressione fisica ai suoi danni.

Quest’ultimo episodio è rivelatore dell’opera sistematica di controllo che il regime esercitava nei confronti della stampa, sia attraverso tentativi di corruzione sia, come nel caso di Hemingway, per mezzo di veri e propri atti di intimidazione. E questo spiega il motivo per cui solo pochi coraggiosi inviati americani si fossero esposti fino denunciare il carattere repressivo e autoritario del regime e la presenza sempre più asfissiante del famigerato apparato poliziesco dell’Ovra nella vita quotidiana. Un apparato che già a metà degli anni Trenta sarà particolarmente raffinato e in grado di controllare la vita dei cittadini (e quindi anche degli inviati esteri) in maniera spietata e relativamente facile. I lettori americani furono così per tanti anni di fatto ingannati dai loro corrispondenti: nei direttori e negli editori delle principali testate prevalse la prudenza nel raccontare le vicende del regime, anche per evitare i costi delle inevitabili espulsioni dei loro corrispondenti. Persino dopo il delitto Matteotti i grandi giornali americani si mostrarono sostanzialmente allineati e non fecero altro che riportare le veline dell’ufficio stampa di Mussolini, quindi la versione secondo cui il deputato socialista sarebbe stato ucciso da alcune frange estremiste di fascisti fuori controllo. Il solo inviato che ebbe il coraggio di indagare sul caso fu il corrispondente del “Chicago Tribune” George Seldes, che infatti fu per questo motivo cacciato brutalmente dall’Italia.

L’idillio con il fascismo comincerà a tramontare con la guerra di Etiopia (tra il 1935 e il 1936) e in seguito con la guerra civile spagnola (1936-1939), la promulgazione delle leggi antisemite nel 1938 e il progressivo avvicinamento alla Germania nazista. Fu a quel punto che il presidente americano Frank Delano Roosevelt, che pure in passato aveva manifestato apprezzamento verso le riforme sociali fasciste legate allo stato corporativo, capì di avere a che fare con un personaggio del tutto inaffidabile e con cui non si poteva avere nulla a che spartire.

La stampa americana si pose quindi sulla stessa lunghezza d’onda del capo della Casa Bianca, assumendo finalmente una posizione non più indulgente nei confronti del fascismo, fino a denunciarne il carattere totalitario. Ci fu così un inasprimento del metodo repressivo e fioccarono inevitabilmente le espulsioni di molti corrispondenti in Italia. Tra le prime testate ad adeguarsi vi fu il “New York Times” con la sostituzione del fascistissimo Arnaldo Cortesi con Herbert Matthews, reduce dalla guerra civile spagnola e convertito all’antifascismo. Tuttavia non sarà facile giustificare questo repentino cambio di rotta. Gli articoli di Matthews erano sottoposti come quelli di tutti gli altri corrispondenti alla censura preventiva ma l’inviato del giornale newyorkese non rinuncerà a pubblicarli lasciando gli spazi bianchi che coincidevano con i tagli che venivano operati dagli uomini del regime.

Sebastiano Catte